NOT IN MY NAME

Torno a rispolverare il blog per appoggiarci sopra le statuine di un presepio blasfemo e rancoroso.

Ieri sera, come i meno distratti sapranno, l’Inter ha cannato la miliardesima partita che non poteva cannare, quella che avrebbe potuto far girare pagina, azzerare tutte le critiche e portare la squadra al famigerato “next step”.

E invece, stocazzo.

Non ci crederete, e questo blog non è una prova a mio favore, ma col tempo sono diventato un tifoso più maturo, che ragiona meno di pancia, in termini di impresa potremmo dire un aziendalista. E come tale, mi ero fatto andar bene Conte nonostante il gatto che si porta in testa, il passato juventino e la squalifica per omessa denuncia. Era funzionale all’ennesimo anno zero, arrivava con Marotta alle spalle, aveva una sua logica.

Ne sono stato convinto fino alla ripresa di ieri.

Poi mi è venuto in mente lui, anzi Lui, e quel che aveva fatto nella sua di ripresa, in una partita di uguale importanza ormai 11 anni fa.

(60) 1908 STORIE, DINAMO KIEV – INTER 2009/10 – YouTube

Non che servisse questa Epifania per sentire puzza di bruciato ieri sera: gli amici mi saranno testimoni, e già dalla fine del primo tempo ho iniziato la mia litania: “vediamo di non aspettare gli ultimi 10 minuti per fare i cambi e metterci l’elmetto, qui bisogna buttarla dentro in una maniera o nell’altra”.

Appunto: primo cambio a venti dalla fine, un’ultima mezz’ora giocata sotto metadone, ad assistere attoniti alla nostra disfatta, con l’immancabile carambola sfigata con cui sventiamo da soli la conclusione più pericolosa della partita. Il classico finale pronosticabile.

E qui subentrano le responsabilità di Conte. Che per quel che mi riguarda non stanno nell’aver fatto giocare Tizio al posto di Caio, quanto nella totale apatia dei giocatori in campo.

Aldilà delle preferenze sul modulo, sul tipo di giUoco, sui calciatori utilizzati, se c’è una cosa che tutti riconoscono a Conte è la grinta, la capacità di trasmettere furore agonistico alle sue squadra. Ieri sera non si è visto niente di tutto ciò. Ci siamo fermati alla bella traversa di Lautaro dopo 5 minuti, pensando che prima o poi sarebbe entrata.

Ora: io seguo l’Inter da quarant’anni, e forse proprio per questo so che, all’Inter, non basta passeggiare sempre dritto per arrivare alla meta placidi e rilassati. Noi ci dobbiamo sudare ogni cazzo di centimetro in campo. Potrete capire la mia inquietudine tutte le volte in cui percepisco nell’atteggiamento della squadra quel fatalismo ineluttabile che sembra quasi emergere come un fumetto dalle loro teste “Oh, visto che bravi? Neanche dieci minuti e abbiamo già preso una traversa e fatto un altro paio di azioni: basta continuare così e vinciamo facile”.

Maledetti!

Il Real fa il suo, e quindi non abbiamo nemmeno la scusa dei cattivoni che ci hanno fatto uscire apposta. No. Per il terzo anno di fila siamo arrivati all’ultima partita del girone con l’obbligo di vincere (condizione sempre necessaria, a volte sufficiente) e per tre volte abbiamo balbettato, insipidi come la peggior squadra di esordienti.

Pensavo di aver visto il peggio, che invece doveva ancora arrivare. E qui tutto il mio aziendalismo vacilla pericolosamente. Proprio perché tengo all’Inter -che non è un modo infantile per dire che tifo per lei, vuol proprio dire tenerci, volerle bene, sperare che tutto vada per il meglio- non posso accettare che uno dei suoi tesserati più rappresentativi si presenti così a commentare la sconfitta che lo butta fuori dall’Europa.

(60) INTER SHAKHTAR 0-0 CONTE CONTRO GLI ARBITRI NERVOSO NON RISPONDE ALLE DOMANDE E SNOBBA CAPELLO – YouTube

Un bambino permaloso incapace di perdere, di ammettere le proprie responsabilità, che insulta chi gli fa domande assolutamente sensate, che non risponde come il bimbo offeso o che inventa balle per svicolare a considerazioni più che legittime, come il carugnin de l’uratori che dice “io la so ma non la dico”.

No, caro Conte: questo non è un allenatore dell’Inter. E avrei voluto che un cazzo di Ausilio, di Zanetti, o addirittura di Marotta lo riportasse per le orecchie davanti alla telecamera per scusarsi in diretta di fronte agli interessati e all’interessata. Sì, perché tra i destinatari dei suoi strali c’era anche una donna. So che essere un vecchio galantuomo con retrogusto maschilista è ormai fuori moda, ma mi hanno insegnato che la buona educazione è un dovere nei confronti di tutti, soprattutto con le signore.

Caro Conte, hai toppato su tutta la linea. Non me ne frega un cazzo di Eriksen, che per quel che mi riguarda può andar via domani. Se è per quello mi frega molto di più di Sensi che è sempre rotto e che ci manca come il pane, mi frega non aver passato il turno unicamente per la nostra inedia. Mi urta invece, e in maniera epidermica, aver dovuto assistere a quei minuti di dichiarazioni in cui, di Inter, non c’era proprio niente.

Sei anche poco furbo, Andonio: non vuoi che ti rompano i coglioni con domande scomode? Vai lì e attacca il disco del “è tutta colpa mia, non mi sono fatto capire dai ragazzi. Io sono l’allenatore, le scelte sono mie, la responsabilità anche “. Vedi che a quel punto li avresti spiazzati, e qualcuno avrebbe detto “beh ma non è colpa tua se Lukaku ieri non ha toccato palla, se Lautaro ha preso la traversa…”.

È da agosto che penso che quell’assurda riunione si sia conclusa con un accordo di questo tipo: la Società ti accontenta in tutto e per tutto (ecco Vidal, ecco Kolarov, via Godin), tenta di vendere Eriksen (evidentemente non è così un crack, altrimenti avremmo la fila fuori per portarlo a casa a meno di venti milioni…). Tu in cambio porti a casa un trofeo.

Se così non è, una stretta di mano, un incentivo all’esodo e nemici come prima.

Che le cose siano andate così o meno, non ti resta che vincere lo scudetto, e sai benissimo che non sarà facile.   

Al lavoro adesso, e basta con le stronzate.

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