BAYERN-INTER 0-2 Inter Campione d’Europa
Che bello sbagliarsi.
Che bello vederti fare quello che mai avresti pensato.
Che bello poter dire: hai visto che invece…?
Sabato sera, quando il capitano ha alzato la Coppa, ho sentito gli occhi riempirsi di lacrime.
Lacrime dolci e liberatorie, di chi (lui, come noi) ha aspettato tanto per godere di queste gioie, di chi ha dovuto sorbirsi Caio e Vampeta (tra gli altri 100), salutarli come salvatori della patria e giubilarli poco dopo con un sonoro pernacchione, di chi forse ormai aveva anche smesso di pensarci, alla “Cempions”.
E invece eccolo lì Pupito, con gli occhi spiritati e la coppa sulla testa, Ramiro e il Cuchu ai suoi lati, degni vice-capitani e altri “pezzi di storia” nerazzurra degli ultimi lustri.
Solo una volta mi era capitato di piangere per questi colori, ed erano state lacrime amare (indovinate quando…?). Più in generale, ho sempre sposato la massima che girava nel nostro gruppo di amici e secondo la quale “non si piange sul posto di lavoro”: negli anni, quindi, ho vomitato insulti sui vari vincitori di gare, festival, Oscar e premi in generale, che celebravano il loro successo frignando come bambine.
Chiaramente (e “paraculisticamente”) sabato sera era diverso.
Sabato valeva tutto: 45 anni di attesa, che nel mio caso vuol dire una vita intera; un’infanzia ad addormentarsi chiedendo a papà “Mi racconti una partita?” “Quale?” “Inter-Liverpool 3-0”; l’adolescenza e la gioventù passata a chiedersi quando mai ti sarebbe capitato di vivere emozioni simili a quelle; e ancora, anni e anni di speranze fiaccate dal Villareal o dai Burdisso di turno.
E invece, sabato è stato tutto splendido. Le emozioni sono talmente tante, e arrivano tutte insieme, che faccio fatica a fare ordine. Vorrei cantare le lodi del Principe, che in una settimana raccoglie quel che il suo talento merita da anni (e cioè segnare gol decisivi per i tre tituli e candidarsi per il Pallone d’Oro), ringraziare lo Specialone, aldilà delle manie di protagonismo, per averci fatto fare quel “cambio di mentalità” di cui sento parlare da anni e al quale, tipo Babbo Natale, avevo ormai smesso di credere. Vorrei togliermi il cappello davanti a quel mostro di talento, intelligenza e umiltà che risponde al nome di Samuel Eto’o, senza il cui “culo quadro” non sarebbe stato possibile giocare più di metà stagione con 3 attaccanti e un trequartista.
Passeranno i giorni, tornerà la lucidità mentale (sempreché sia mai arrivata…) necessaria per abbozzare analisi ex post e commenti a consuntivo. Ora basta così. Continuo a vedere le immagini della premiazione e continuo ad emozionarmi. E sapete che c’è?
E’ bellissimo, e per una volta affanculo la coerenza!
Grazie Inter, “infinito amore, eterna squadra mia”. (G. Facchetti)