CAZZO, GIA’ DIECI ANNI…

Ai tanti che oggi se lo fossero persi, di seguito il succo di quel che abbiamo detto oggi su Facebook.

Sono già passati dieci anni: a tratti sembrano trenta, altre volte invece sembrano due settimane…

Prima di abbandonarci ai ricordi inebrianti, un minimo di obiettività. Cerchiamo di capire quanto cazzo fosse forte quella squadra, quanto sia stato importante non quell’anno, ma quel ciclo dell’Inter.

Un ciclo durato 5 anni e iniziato come tutti sappiamo. È verosimile che senza Calciopoli l’Inter avrebbe fatto più fatica a costruire quello squadrone, Ibra e Vieira non sarebbero arrivati. Però Julio Cesar, Zanetti, Cuchu, Samuel e Cruz c’erano già. Maicon, Grosso e Crespo sarebbero arrivati comunque. E soprattutto, senza voler riaprire ferite che agli juventini fanno ancora male: il redde rationem di quell’associazione a delinquere che era la Juve è arrivata in ritardo. Io come tanti altri interisti ho sempre visto lo scudetto 2006, il 14°, come un segnale da parte del sistema calcio, un modo per dire “ah scusate, non avevamo capito un cazzo, ora vediamo di rimediare”. Poi in realtà hanno continuato a non capire un cazzo, visto non molto è cambiato, però…

Come sa chi ha letto il libro, il mio rancore l’ho espresso riscrivendo una manciata di campionati al netto delle famigerate sviste arbitrali. Tutti noi, non rancorosi complottisti, semplicemente tifosi dotati di occhi e intelletto, sappiamo che l’Inter avrebbe potuto e dovuto vincere almeno due campionati prima di quello 2005/2006 (parlo del 97/98 e del 01/02, io ci metto anche il 02/03).

Ad ogni modo, si vede che doveva andare così, inutile rimuginarci sopra.

Torniamo a bombazza: Quelle 5 stagioni sono finalmente state la rappresentazione di quel che ho sempre voluto dalla mia squadra: un piano strategico, una coerenza anno dopo anno, che mantenesse inalterati i punti di forza e andasse a migliorare gli aspetti ancora traballanti.

E quindi ecco arrivare Chivu, ecco crescere Ibra a livelli mai visti fin lì (chè nasino alla Juve faceva 10 gol all’anno…), ecco anche la sostituzione agrodolce in panchina. Sbagliata nei modi, sbagliatissima, ma tremendamente efficace.

Il Mancio inizia ad andarsene dopo la sua crisi mestruale post-Liverpool di marzo 2008: da lì inizia un imbarazzante tira e molla che per poco non ci costa uno scudetto, tra il gatto nero di Figo e il sarto di Appiano.

Vedo l’ultima partita di quella stagione (Parma Inter, due gol di Ibra sotto la pioggia) in una maniera solo apparentemente folle. Siamo in cinque: io, mio fratello, il Signor Carlo, Gio e il neonato Pancho.

I tre uomini presto inginocchiati per terra davanti alla tele, la mamma premurosa che si occupa del piccolo ed ha la provvidenziale idea di fare capolino in salotto col pupo in braccio a metà ripresa e chiedere “Come va?”

Ibra nello stesso istante arma il destro e tira lo scaldabagno da fuori area: gol e delirio collettivo. Bandiere che escono dalle tasche e che fin lì erano state scaramanticamente nascoste e noi tre che torniamo i dodicenni che in fondo siamo da sempre.

La donna di casa contempla la regressione pre-adolescenziale che le si para davanti agli occhi, lascia calare il livello dei decibel e sussurra “va beh, io torno di là, così magari il bimbo dorme un po’”.

La risposta all’unisono “Ferma lì! Tu adesso non ti muovi per la prossima mezz’ora!”.

So che i veri tifosi capiranno. Ma non solo loro, anche i campioni ragionano così. Non ci credete?

Facciamo un salto di due anni circa e da Monza ci trasferiamo in un lussuoso appartamento milanese in cui due giovani uomini argentini stanno assistendo -abbastanza interessati- a Roma-Samp:

La Sampdoria attacca e attacca. La bambina, malgrado il volume della telecronaca a palla e il nostro tifo da ultras, si addormenta placida in braccio al papà, e allora la mamma mormora: “Diego, la bambina dorme. Dammela, la metto a letto…”.

Serissimo, Diego Milito, il padre più sollecito e amorevole che ci sia, un uomo serio e intelligente, un cattolico praticante, stringe al petto la figlioletta dicendo: “Neanche per sogno, Sofi. Appena l’ho presa in braccio la partita è cambiata. La pupa sta qui, in braccio al papà”.

J. Zanetti, Giocare da Uomo, Strade Blu Mondadori, 2013

Non serve che vi dica com’è finita quella partita.

Chiaro quindi: io non ho mai avuto dubbi sulla mia stabilità mentale, figuriamoci dopo aver letto che anche il Principe Milito la pensa come me.

Finita la parte aneddotica, il passaggio dal Mancio a Mourinho fa continuare la crescita, che per carità, passa anche da qualche scelta toppata: Amantino Mancini e Trivela Quaresma sono lì a dimostrarlo, ma perfino questi errori andrebbero visti sotto la giusta luce.

Ai tanti che si riempiono la bocca col “Mourinho grande motivatore e comunicatore” e basta, farei vedere in ginocchio sui ceci la varietà di moduli utilizzati da José in due anni. L’uomo con l’ego più smisurato che c’è arriva convinto di usare il 4-3-3, con i due succitati ai lati di Ibra. Quando capisce che non è cosa, si adegua e cambia. Coi giocatori che ho come posso farli giocare? Rombo di centrocampo e due punte. Ah! Come giocava il Mancio! E ‘sti cazzi? Vinco il campionato in carrozza, pure senza dover giocare l’ultima di campionato.

Certo, serve un altro passaggio per arrivare alla perfezione. Ed ecco l’estate del 2009, il colpo da maestro Ibra/Eto’o più una paccata di milioni, Milito e Motta, Cavallo pazzo Lucio e Sneijder giusto in tempo per le 4 pere nel Derby, fino alla conclusione trionfale che tutti conosciamo, vecchia giusto di 10 anni.

Ecco: in tutte le celebrazioni che, grazie a Dio, stanno facendo, io al solito faccio la parte del rancoroso petulante. Occhio, quell’Inter non è “solo” la notte leggendaria di Madrid, quello è un “cazzo” di ciclo di quattro anni, che avrà una bonus track nella stagione successiva.

Ma, esattamente come per il bel giuoco o per il regista, ciclo è un’altra di quelle parole che per la stampa italiana non è applicabile all’universo interista. Noi siamo sempre quelli estemporanei, da una botta e via, ma questo ormai ve l’ho “imparato”!

Quindi: viva l’Inter viva il Triplete, viva quelle stagioni.

Ora, ognuno di noi immagino ricordi dove si trovava in quel Maggio 2010, io sempre in prima fila divanata nel salotto di casa, col rampollo semicosciente (aveva 2 anni, gridava quando gridavo io ma non ricorda nulla…). Per la finale di Champions mi ero scientemente dotato della compagnia di un amico infermiere di cardiochirurgia, all’insegna del “una cazzo di tracheotomia con la penna BIC me la saprà fare!”. La Giò rigorosamente fuori, computer e balcone, che a Maggio va ancora bene. Il problema, povera, è che si è fatta tutta la stagione così.

Ognuno poi si costruisce i ricordi secondo i propri comodi, o forse inconsciamente si va di memoria selettiva.

Ricordo la rabbia quasi maggiore alla gioia dopo la vittoria in Coppa Italia, con quell’orrenda caccia all’uomo che è stata Roma Inter, ennesima dimostrazione del fatto che l’Inter fosse sola contro tutti. Tutta la stampa a tifare Roma. Totti, Perrotta, Mexes, Taddei, Burdisso tutti da cacciare nel giro di mezz’ora, tutti liberi di menare come fabbri ferrai sotto gli occhi bonari di Rizzoli.

Lo Scudetto aveva portato con sé lo stesso sapore, forse perché lo stesso Siena era una sorta di succursale giallorossa, con Curci e Rosi in campo, Sella come vice di Malesani e lo stesso presidente che si chiamava Mezzaroma.

Ho rivisto una sintesi della partita l’altro giorno, fingendo di inciamparci per caso, e i miei ricordi al solito funzionano alla grande, quando si parla di Inter.

Compagnoni a fine partita fa passare meno di 10 secondi prima di aggiungere “L’Inter ha avuto la meglio su un avversario fortissimo: la Roma di Claudio Ranieri!

La notte di Madrid invece, aldilà dell’emozione inevitabile, è passata relativamente liscia -se mi passate il termine-. Come tanti altri interisti, vivevo una strana sensazione di ottimismo, proprio io che ho temuto di uscire contro i coreani al Mondiale per Club del Dicembre 2010.

Si è completato quel parallelo che avevo iniziato a intravedere già nella fase a gironi: la nostra Champions 2010 come l’Italia del Mundial 1982. Un girone complicato, che sfanghiamo non senza fatica.

Subito un ostacolo mica da ridere: il Chelsea per l’Inter, l’Argentina per l’Italia. E in entrambi i casi, con le partite forse migliori di tutto il torneo. Tanti ricordano comprensibilmente la tripletta di Rossi contro il Brasile o la doppia sfida con il Barcellona, ma personalmente il controllo totale del gioco che ho visto a Stamford Bridge non l’ho più visto: 4 volte l’uomo davanti al portiere in meno di un’ora di gioco. Segna Eto’o e partita incartata, loro inebetiti davanti al nostro dominio.

Brasile e Barcellona sono i picchi spettacolari dei due tornei, con Polonia e Spartak Mosca tappe intermedie prima della finale contro i tedeschi, in entrambi i casi quasi una formalità prima di alzare la Coppa.

Forse è la distanza temporale a farmi fare questi romantici paragoni tra tornei diversi, forse sto solo invecchiando… Spero solo di non dover aspettare così tanto prima di rivedere qualcosa di simile!

Ora sono curioso di sapere dove eravate voi dieci anni fa, dove e con chi avete visto le “finali” di quell’anno, come avete vissuto tutto il Lustro d’Oro. Un paio di impavidi si sono già confessati, tra generatori che finiscono la benzina spegnendo la TV e blasfemie pronunciate di fronte all’alta diplomazia internazionale.

APERITIFSPIEL – ALT. VERSION

Fin dall’inizio sapevo che sarebbe finita così…

I ballottaggi strappacuore sul centravanti da inserire sono niente rispetto all’assortimento sconfinato di bidoni, promesse mancate, casi psichiatrici, piedi fucilati e compagnia cantante che in questi 25 anni ha indegnamente indossato la casacca nerazzurra.

Un minimo di condizioni di esistenza.

Cercherò di spiegare di volta in volta se il prescelto si è guadagnato il posto in questa blacklist per mancanza dei requisiti minimi di sussistenza (fuori di metafora: sei scarso!) o perché avrebbe potuto ma non ha fatto, o perché si è macchiato di uno o più comportamenti (sia dentro che fuori dal campo) incompatibili con qualsiasi galateo calcistico degno di tal nome.

Posto che l’obiettivo ultimo di questa seduta di autocoscienza è la damnatio memoriae, non metterò foto di questi figuri, nella vana speranza di potermene scordare il prima possibile. Forza, allora, cominiciamo:

Col numero 1 facendo lo schizzinoso avrei potuto inserire Cinghialone Peruzzi o Sebastien Frey ma, pur avendo lasciato un retrogusto agrodolce nel loro breve trascorso nerazzurro, non sono certo stati cattivi portieri. Quindi saltiamo il portiere e cominciamo dal terzino.

Con il numero 2: Il Divino… Jonathan

Aldilà degli aspetti mitologici associati al personaggio, arrivato come primo di tanti “nuovi Maicon”, Jonathan ha avuto 30 secondi di gloria contornati da stagioni di assoluto anonimato, quando non di induzione alla blasfemia calcistica. Semplicemente non da Inter, non da Serie A. Full stop. Ben vengano le parodie e i meme che fanno SEO e muovono l’algoritmo, ma nulla più di questo.

Con il numero 3: Fabio… Macellari

Come forse sapete, ho un debole per il ruolo, che mi rende assai suscettibile ed esigente in materia. Avrei quindi potuto inserire quasi a caso un qualunque affittuario del numero magico, e sarebbe comunque stato indegno di tanta gloria. Macellari però va oltre, pur pagando colpe non sue (che già di sue, poveretto, ha dovuto scontarne abbastanza…). Succede che ogniqualvolta negli anni ho dovuto sentire la manfrina dei troppi stranieri in squadra e dei pochi italiani in rosa, rispondevo quasi in automatico: “Ricordo che l’ultima volta che abbiamo avuto una difesa di ragazzi italiani avevamo Bruno Cirillo sulla destra, Matteo Ferrari in mezzo e Fabio Macellari sulla sinistra”.

Ovviamente saltiamo il 4, per arrivare a…

Con il numero 5: Francesco… Dell’Anno

Una delusione immensa. L’avevo accolto come il regista illuminato che ci mancava dai tempi di Matteoli, si è trascinato per una stagione ciabattando in campo con la lena di un condannato ai lavori forzati. Primo caso (il secondo è stato Balotelli) di giocatore fischiato da San Siro sulla fiducia già al momento del suo ingresso in campo dalla panchina.

Una nota di colore: nello stesso anno in cui Felice Centofanti firmava i suoi autografi “100fanti“, lui iniziò a firmarsi “Dell’365”. Fine.

Con il numero 6: Roberto… Carlos

Sì, sì… lo so. Sono un senza Dio, è stato il più forte terzino del mondo, tutto quello che volete. L’ho adorato per il primo mese di Inter, ma ora di Ottobre mi aveva già rotto i coglioni. Ritorno su una storia già raccontata in passato. La stagione 95/96 è stata la prima ad introdurre le statistiche applicate al calcio: c’era la curiosa figura di Adriano Bacconi ad introdurci ai rudimenti di medie, mediane, trend, eccetera.

Tutta roba se volgiamo ancora abbastanza spartana, ma sufficiente ad evidenziare un dato preoccupante. Nella speciale classifica dei tiri in porta tentati, a fine stagione in testa c’era Batistuta (ovvio, essendo il classico centravantone-della-Madonna): ecco, il secondo in classifica era Roberto Carlos. Quattro, cinque, sei volte a partita prendeva palla e sparava in porta da 30 metri o più. Le prime volte, sfruttando il piacevole fattore-novità, segnava con una certa frequenza (tre dei suoi 5 gol in campionato arrivano prima del 1° Ottobre, uno degli altri due è un rigore) ma, capito il giochino, i portieri lo aspettavano e neutralizzavano i suoi tentativi sempre più velleitari.

Poi, se mi dite che bisognava tenerlo e farlo crescere per sfruttarne le indubbie doti offensive, col senno di poi posso anche essere d’accordo. Ricordo però, come già fatto altre volte, che al momento della cessione nè Milan nè Juve si fecero avanti per sfruttare l’apparente abbaglio dell’Inter.

La verità, come vedremo per altri numeri di questa lista, è che con i giovani è sempre una lotteria, e ti può capitare di dar via quello che altrove diventa un fenomeno. Ma non rimpiangiamo quella stagione di Roberto Carlos all’Inter come un campionario di magie e finezze.

Chiudo con l’ennesimo Luogo Comune Maledetto: Hodgson gli preferiva Pistone, smentita proprio dal diretto interessato ma talmente “bella” da essere tramandata di anno in anno.

Con il numero 7: Sergio… Conceiçao

Quel che l’immortale Ezio Luzzi una volta chiamò “Cosenzao” è stata una delusione, anche se “nasata” da lontano. Ho sempre pensato che quello visto alla Lazio fosse un positivo effetto collaterale di un centrocampo che poteva schierare, tra gli altri, Veron, Simeone e Nedved. Come a dire che lì in mezzo in tanti avrebbero potuto dire la loro.

Se non altro il ruolo era perfetto per il granitico 4-4-2 di Cuper, ma di dribbling e cross vincenti in due anni ne abbiamo visti pochi. Molte di più le palle perse, spesso seguite da braccia levate al cielo in segno di disappunto, e un’espressione scazzata pure quando segnava.

Con il numero 8: David… Pizarro

Aveva tutto per entrare nelle mie simpatie: regista (udite udite, proprio di ruolo, non uno dei tanti “non è il suo ma può adattarsi), cileno (e dopo Zamorano ero pronto anche ad invaghirmi di un capomastro di Vina del Mar), intelligenza calcistica superiore. Invece, è arrivato un trottolino tabbozzo e dribblomane, che anzichè far partire l’azione velocemente insisteva a dribblarne due o tre prima di perder palla sulla nostra trequarti. Da speranza a destinatario dei miei “dalla via ‘sta palla!” in meno di un girone, è migrato a Roma per vederci vincere scudetti e coppe in sequenza.

Pingue consolazione e magra vendetta verso El Pek.

Con il numero 9: Darko… Pancev

Anche se molti interisti avrebbero inserito qui Icardi, per me “ball don’t lie” come dicono in NBA, e quindi faccio il ragionamento valido per Bobo Vieri: uno che segna più di 100 gol con l’Inter meriterà sempre e solo il mio grazie, indipendentemente da mogli, procuratori, rapporti con la Curva, compagni e allenatore. E’ invece un altro malcapitato nella storia nerazzurra ad aggiudicarsi l’ambita maglia da (would to be) centravanti: Il Cobra, o il Ramarro, a seconda delle preferenze etologiche.

Perfino superfluo ricordare il tanto che ci si aspettava da lui e il poco che ha dato. Rimane il fascino dello zingaraccio maledetto, e indolente, sorriso beffardo da Ligabue dei Balcani, pieno di soldi e già nella storia per la Coppa Campioni conquistata a Bari nel 1991.

Il Signor Carlo capirà e non potrà che convenire.

Con il numero 10: Domenico… Morfeo

Come già sunteggiato per Roberto Carlos, e come poi vedremo per un altro giocatore compreso nella lista, anche per Morfeo possiamo tornare sul concetto di grande talento inespresso.

Per il potenziale che aveva a disposizione, ha reso forse al 50% di quel che avrebbe potuto. Sinistro sapiente, ottima visione di gioco, furbo e cattivo quanto basta, alternava però tutto questo a tante, troppe esibizioni fatte di indolenza, superficialità e supponenza. Le Madonne che ho tirato a lui (ma ancor di più a Cuper che l’aveva messo in campo sul 3-1 per noi) in un lontano Inter-Roma in cui c’era solo da gestire gli ultimi 20 minuti hanno risuonato al primo verde di San Siro per mesi e mesi.

Al min. 5.45 il capolavoro del nostro, vecchio di quasi vent’anni ma ancora impresso a fuoco nella mente di chi scrive. Da lì è entrato con un biglietto di sola entrata nella lista nera.

A tutto ciò associa l’aggravante di essere involontariamente inciampato (come tutto il Milan) in uno scudetto conquistato con più culo che anima, nell’anno di (dis)grazia 1999.

Con il numero 13: Fabio… Cannavaro

Non voglio essere scurrile e screanzato. Mi limito a questo: self explaining.

Con il numero 14: Fredy… Guarin

Emblema dell’Inter di quegli anni: brilli estemporanei alternati a nefandezze perpetue (cit.). Avesse avuto anche solo metà del cervello calcistico di uno a scelta tra Cambiasso, Stankovic o Matthaeus, avremmo avuto in casa un campione. Fisico, tiro, quando in buona anche doti di leadership, ma una incostanza degna della peggior nobildonna capricciosa. Per intenderci, capace di risolvere un Derby da solo e di buttare in vacca una partita con un retropassaggio di questo tipo (min. 3,30). In mezzo, tante buone mezze partite, tanti tiri al terzo anello, fino alla salvifica cessione in Cina. Assolutamente non rimpianto.

Con il numero 15: Fabian… Carini

Il terzo portiere della Juve è vittima innocente di queste righe, ma è parte integrante della sceneggiata messa in piedi dal succitato Cannavaro, con la cortese collaborazione dell’altrettanto summenzionato Moggi e di Paco Casal, traffichino sempre presente quando le acque non sono limpide.

Nulla di personale, ma non poteva non essere inserito nella blacklist.

Con il numero 16: Nicolas… Burdisso

Nutro un’ammirazione notevole per la persona, a partire dai problemi familiari fortunatamente risolti all’inizio della sua parentesi nerazzurra (e anche in quel caso chapeau al Sig. Massimo), per arrivare a coscienza sociale extra-calcistica.

Dentro il campo, è stato un buon difensore, ovviamente criticato più ed oltre dei propri demeriti finché tesserato nerazzurro, e invece celebrato negli anni di Roma, quando il ritornello polemico era “Burdisso a cui l’Inter non riusciva a trovare un posto in squadra, alla Roma invece sta facendo faville“. Nessuno ovviamente si sognava di dire le cose come stavano, e cioè che per essere bravo era bravo, ma che i vari Lucio, Samuel, Materazzi, Cordoba lo erano di più. Fine della storia.

Trova posto in questa lista dei cattivi per un errore troppo grave per passare nel dimenticatoio, e che ricordo distintamente essendo stato commesso in un Inter-Juve di fine Marzo 2008, a soli pochi giorni dalla nascita del rampollo di famiglia. Accomodo il poppante in culla a fianco del divano e non posso nemmeno sacramentare come l’occasione avrebbe richiesto per non turbare la quiete familiare. Non mi è mai andata giù…

Con il numero 17: Zdravko… Kuzmanovic

Centrocampista legnoso, ruvido e macchinoso, comprato in tempi di magrissima economica. Sono gli anni più duri del nostro recente passato, in cui pochi mesi bastarono a veder sparire dalla rosa giocatori come Julio Cesar, Sneijder, Maicon e comparire carneadi quali Ruben Botta, Laxalt e, per l’appunto, il Kuz.

Avere pochi soldi da spendere fa parte dei corsi e ricorsi storici. Spenderli male in quei momenti però è ancor più grave…

Essere calciatori mediocri non è una colpa in sè, mica possono essere tutti fenomeni. Quel che non ho mai tollerato del serbo-svizzero è stato il voler sembrare quel che non era. Se vuoi essere un vero “tuttocampista”, o ti chiami Stankovic, o Yaya Touré, o roba simile… Lui non era un regista, non era un incontrista, non era un incursore. Faceva un po’ di tutto ma non era abbastanza.

Come dice Giacomino Poretti in “Chiedimi se sono felice”… “…insomma fu un po’ tutto, e non fu niente”. (min. 4.55).

Con il numero 19: Bernardo… Corradi

Altro caso di giocatore “poco colpevole” per quanto fugace è stata la sua parentesi nerazzurra, e che però assomma in sé un paio di caratteristiche mal tollerate dal sottoscritto: caso tipico di centravanti che segna poco ma si muove bene per i compagni (davano del “generoso” a Graziani, che però di gol in carriera ne ha fatti quasi 200, questo qua in Serie A non supera gli 80), ma comunque celebratissimo dalla critica, forse perchè ci segna contro in quell’Inter-Chievo del dicembre 2001, quando il mondo si accorge dei “mussi volanti” di Clouseau Delneri; infine, in maglia Lazio e con il maledettissimo Piojo Lopez, si esibì in balletti a ripetizione, poi zittiti da una delle migliori esibizioni di Emre Belozoglu (a.k.a. il Maradona del Bosforo).

Ecco, nella mia deontologia calcistica, il balletto post-gol equivale ad aprire la caccia all’uomo. Intollerabile, peggio di scartarli tutti e segnare di testa a porta vuota dopo essersi inginocchiati sulla linea di porta.

Con il numero 20: Sulley… Muntari

Uno dei calciatori che, nella sua parentesi interista, mi ha fatto incazzare di più. Devo dargli il merito di un paio di gol pesanti (anche se quello con la Juve a momenti lo sbaglia…) ma i due minuti di Catania a inizio 2010 sono sufficienti a farlo inserire nelle primissime posizioni della blacklist. Come tanti altri centrocampisti “non pensanti” (Felipe Melo altro esempio) era un pericolo sempre in agguato, con il fallo inutile o la crisi di nervi a livelli altissimi di esondazione.

Per i precisètti: Sulley ha vestito anche l’11 ed il 77, ma nella prima apparizione in nerazzurro aveva il 20. Oh, poi se non vale posso sempre mettere Recoba!

Con il numero 21: Andrea… Pirlo

Altro caso che per molti di voi equivarrà a bestemmia calcistica, ma chi mi conosce sa quel che penso di lui. E aldilà di questo, qui parliamo di quel che i calciatori hanno fatto nella loro parentesi nerazzurra. E lui, all’Inter ha fatto poco al cazzo.

Torno a quanto detto a proposito del numero 6 e del numero 10 di questo nefasto elenco: a vent’anni è ancor oggi molto difficile capire chi sarà il “crack” e chi invece rimarrà il bel giocatorino ma nulla più di quello. Chi ha un minimo di onestà intellettuale converrà con me che Pirlo ha iniziato ad essere il giocatore che è poi stato solo a partire dal 2001, quando Mazzone (e non Ancelotti!) lo sposta regista anche per lasciare Baggio a pennellare calcio in posizione da “10” classico. Quindi, prima di quell’invenzione, il bresciano era uno dei tanti talentuosi trequartisti, con piedi fatati ma senza il fisico nè tantomeno la velocità per giocare sotto la punta, un fantasista che evidentemente non riusciva a convincere gli allenatori dell’epoca -e cazzo, ne cambiavamo una manciata a stagione in quegli anni- a giocare al posto dei vari Baggio, Recoba and Co.

Sacrilegio? Forse. O forse no.

Ricordo per i soliti amanti dei Luoghi Comuni Maledetti che dalla cessione di Pirlo al Milan l’Inter ricavò comunque 35 miliardi di lire. Niente scambio alla pari con Guglielminpietro, quindi.

Con il numero 22: Adem… Ljajic

Giocatore stilisticamente splendido, talento da vendere. L’anno in cui arriva fa la scelta avventata di scegliere quel popò di numero, facendo storcere il naso a tanti di noi. Arriva oltretutto in coppia con Jovetic, altro diamante di classe ma come lui dotato della solidità e della grinta di un lombrico.

Non ha particolari colpe, lo riconosco, ma che una punta scelga il numero di Milito a così poca distanza dall’addio al Principe è un peccato di ubris che non gli si può perdonare. Vero, il numero l’anno prima l’aveva già scelto Dodo, altro mascariato dalla maledizione della fascia sinistra nerazzurra, ma quello lì almeno era un difensore!

Con il numero 23: Christian…Brocchi

Antipatia allo stato puro, devo essere sincero, già nella trascurabile stagione interista. Ennesimo giocatore medio (non mediocre) che i casi della vita, e l’inevitabile culo che da sempre circonda tutto ciò che è rossonero, hanno fatto assurgere a grande campione in quanto panchinaro del Milan di Ancelotti. Godibilissimo nel ruolo di pupillo della premiata ditta Silvio&Adriano, dopo il fallimento da Mister rossonero (come i colleghi “cuori rossoneri” Pippo e Clarenzio) negli ultimi tempi sta mostrando mirabilie sulla panca del Monza. A chi potesse interessare, il combinato disposto tra proprietà, dirigenza e allenatore ha fatto allontanare chi scrive da ogni simpatia biancorossa (peraltro da sempre alquanto blanda), spingendomi nel contempo a supportare l’arcirivale Como.

Un divertissement e nulla più, ma quando leggi stronzate simili, come fai a resistere…

Con il numero 24: Vratislav… Gresko

So che le cose non accadono per effetto di una sola causa. So che, nella vita così come nel calcio, saltare a facili conclusioni è spesso fuorviante. So che non è giusto ridurre il tutto ad un singolo episodio, ma… è tutta colpa sua.

Passi Moggi, passi l’arbitro De Santis, passi l’Udinese in versione zerbino, ma nulla mi toglie dalla testa che se fossimo andati al riposo sul 2-1 per noi, quel 5 maggio lo scudetto sarebbe stato nostro.

Invece, il minchione pensò bene di fare quel cazzo di retropassaggio di testa, dando il via ad un effetto valanga che ha rovinato tutto. Non metto i link. Fa ancora troppo male…

Non l’avrei perdonato nemmeno fosse stato Ronaldo o Vieri, figuriamoci questo slovacco scaleno che, notizia degli ultimi giorni, nel dopo-partita addirittura si chiedeva come mai tutti fossero così tristi e incazzati, e che insomma a lui di perdere uno scudetto all’ultima giornata era già capitato tre volte. Non mi capacito di come Materazzi, che ha riportato la notizia un questi giorni, non l’abbia terminato seduta stante…

Con il numero 25: Vampeta

La storia la sappiamo tutti, quella del giocatore un po’ Vampiro e un po’ Capeta (Diavolo), da cui l’accattivante soprannome. Il baffetto alla Clark Gable ed una certa metrosexualità hanno contribuito a celebrare la portata di questo “pacco”. Camminava per il campo come il peggiore Andrade dei tempi di Roma anni ’80 (non a caso soprannominato “Er Moviola”), venne presto spedito al PSG dopo che era stato compagno di Ronaldo ad Eindhoven. Del resto il Fenomeno, campione assoluto sul campo, è sempre stato rivedibile nel ruolo di talent scout: oltre a Vampeta, suggerì il terzino sinistro Gilberto

Lapidario il commento di Brunone Pizzul dopo la finale del Mondiale 2002: “E va beh… anche Vampeta è campione del Mondo…”. Sipario.

Con il numero 31: Jérémie… Brechet

Ennesimo tentativo di pescare il jolly per colmare l’annosa lacuna del terzino sinistro. Uno dei pochi casi in cui la parola “fallimento” può essere usata senza tema di smentita. Talmente scarso da risparmiare il giro di gogna mediatica al collega di ruolo e di maglia Alvaro Pereira.

Con il numero 34: Martin… Rivas

Confesso che ho dovuto ricorre alla rete per ricordarmi il nome. Del resto, questa è la sua pagina di Wikipedia. Il trascorso nerazzurro è pressocchè nullo, ma è la prova vivente di quel che potremmo definire l’indotto Recoba. Non solo 10 anni del Chino, con splendidi gol del 3-0 e lunghi mesi di apatia calcistica, ma anche una pletora di compagni di asado e di mate, tutti gentilmente forniti dalla scuderia di Paco Casal. Colpisco quindi il quasi innocente stopper quale monito indiretto alla gestione dell’epoca (per una volta non molto simpatttica).

Con il numero 45: Mario… Balotelli

Eh… Mario, Mario… cosa devo fare con te? Ti ho difeso per tanto, troppo tempo, prima di cedere ai ragionamenti da bar, ma non privi di una certa dose di verità: “il gran culo di quello lì è stato di essere nero, ché se era bianco non se lo cagava nessuno”. Fatte un paio di correzioni sulla consecutio temporum, e sgrezzata da una generosa dose di politically incorrect, l’affermazione non è così campata per aria: la carriera di Mario nostro è stata un’eterna promessa non mantenuta.

Continuo a ritenerlo il talento migliore della sua generazione (e non solo), capace di grandi gol… ma purtroppo solo di quelli, e nemmeno poi così frequenti. Intelligenza calcistica a livelli mediocri, un naturale istinto nell’infilarsi in qualsiasi casino, polemica, atteggiamento sconveniente, un’indolenza forse solo apparente ma che ha l’immediato effetto di indisporre chi ti viene a vedere “ué fioeu! se te gh’et minga voeuja de giuga’ vegni giò mi… per la metà dei danée che te dànn”. Ero lì la sera in cui ha sfanculato un intero stadio, da cui credo sia uscito indenne solo perché ha coinciso con la miglior serata di calcio vista a latitudini interiste da decenni. CI pensò comunque Matrix a rimetterlo in riga, seppur per poco. Potevi essere, non sei stato. Ciao.

Con il numero 54: Hakan… Sukur

Altro mito del Signor Carlo che, come avrete capito, ha gusti calcistici questionabili, e da me invece subito “nasato” come bidone. Ha segnato un golazo in un Derby: la cosa è stata sufficiente a farmi entrar nel cuore gente come Minaudo o Schelotto per cui figuriamoci… Niente a che vedere con bomber degli anni del Galatasaray, quando fece fuori il Milan dalla Coppa. Le ultime vicende politiche e umane hanno contribuito a rendermelo più simpatico, ma per il resto N.C.S. (Non Ci Siamo).

Lascio a voi ogni chiosa sull’elenco di malfattori calcistici appena scorso.

APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO – pt. 3)

I numeri superiori al 20 sono apparentemente di minor fascino ed importanza, se non fosse che molti degli eroi della storia recente dell’Inter hanno indossato casacche con cifre poco consone al calcio ortodosso. Una delle tante metamorfosi del calcio del terzo millennio, di cui -nostalgici o meno- non si può che prendere atto.

E quindi, saltando il numero 21 che non annovera grandi nomi (la scelta di cuore andrebbe a premiare il terzo portiere Orlandoni, persona splendida e autore di un gesto solo all’apparenza formale di cedere il numero di maglia al giocatore che segue, vedi al min 3.30, senza piangere se riuscite), spariamo subito i fuochi d’artificio con il successivo in ordine di apparizione.

Con il numero 22: Diego… Milito

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Un giocatore di classe, talento, intelligenza siderali, che solo i distratti o i prevenuti (o le due cose insieme) possono considerare una meteora nel calcio degli anni 2000. Perfino banale ricordare che tutti i gol delle tre “finali” del Triplete sono stati segnati da lui, mi concentro invece su un aspetto da molti non considerato: è uno dei giocatori a cui ho visto commettere meno errori “concettuali”, Certo, ha sbagliato tiri, gol facili, persino rigori, ma l’idea che aveva in testa era sempre quella giusta. Quante volte abbiamo visto giocatori tirare nonostante ci fosse il compagno smarcato, o avanzare per schiantarsi contro tre difensori invece di tirare da fuori?

Ecco, il Principe l’ho sempre visto lucidissimo, spietato, essenziale in qualsiasi sua azione: devo dribblare? Lo faccio. Devo tirare? Ecco la minella. C’è il compagno libero da servire? Pronti con l’assist. Ogni giorno mi ricavo un minuto di indignazione per la mancata assegnazione del Pallone d’Oro 2010, ed altri due per il mancato inserimento nella shortlist finale, prova palese di complotto istituzionale.

Poi, ragionando col cuore e quindi spogliandomi di quell’imparzialità che faccio fatica a mantenere per più di un minuto, in Milito ho sempre visto un uomo, una persona seria, senza fronzoli (“zero tatuaggi e trenta gol“, per citare una delle mie primissime sbrodole), umile ma cazzutissimo. Insomma, un Campione. E non si ammettono repliche.

Con il numero 23: Marco… Materazzi

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Vince a mani basse la “gara” di colleghi di numero di maglia; è un giocatore troppo sopra le righe per non causare reazioni manichee. O lo ami o lo odi (calcisticamente, s’intende…). Ecco, per me Matrix nel biennio 2005-2007 è stato il difensore più forte in circolazione. Sì, molto più di “sorrisofisso” Cannavaro e del bravo ma fragile (e a mio parere sopravvalutato) Nesta.

Materazzi è stato un giocatore impulsivo, fumantino, poco calcolatore, tutte caratteristiche pericolose, specie per un difensore. Eppure, per tanti dei 10 anni passati in nerazzurro ha saputo far sfruttare il suo fisico, il suo sinistro e la sua personalità per chiudere tanti pericoli e segnare una gragnuola di gol. Ha avuto anche lui il suo quarto d’ora di madonne da parte del sottoscritto nell’Inter-Siena del 2008, quando ha voluto tirare a tutti i costi il rigore che ci avrebbe dato lo scudetto senza dover aspettare la pioggia di Parma. Ricordo El Jardinero Cruz convinto di tirare e Matrix che piglia il pallone e va sul dischetto, con Maicon che spiega all’argentino “lo fa per la sua mamma”. Allucinante…

Chiudo con un ricordo positivo: Italia-Rep. Ceca del Mondiale 2006. In fabbrica col Direttore di stabilimento avevamo detto “non pigliamoci per il culo: chi non è di turno in reparto e può staccare viene in mensa a guardare la partita, e poi recupera a fine giornata”. Io ero lì da poche settimane. Quando Matrix entra al posto di Nesta esce il tifoso che è in me “Vai Marco che entri e segni di testa”. Sguardi perplessi quando non ostili dalla massa di colleghi bianco-rossoneri. Parte il corner di Totti e ribadisco “Vai che adesso la mette”. Tre secondi dopo ce li ho tutti addosso: “Cazzo sei un grande!”. No, è che lo conosco: e ‘ste cose, Matrix, le fa.

Liquidato il successivo numero 24, passiamo oltre.

Con il numero 25: Walter… Samuel

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L’uomo dagli occhi di ghiaccio, il Muro, Mister “stecca sulla caviglia al secondo minuto“. In un certo senso, l’esatto opposto di Materazzi: strade opposte per arrivare però agli stessi livelli di eccellenza. Samuel aggiunge ai tanti trofei vinti due legamenti lasciati sul campo ed una professionalità che ha visto pochi pari, non solo in maglia nerazzurra. Vincente anche in Patria col Boca, in Italia con la Roma e, nel crepuscolo della carriera, perfino in Svizzera con il Basilea, per un totale di 10 campionati vinti (per tacer di coppe varie…)

Anche qui aneddoto personale, vecchio giusto di un anno: A Londra per trasferta lavorativa in giornata, finiamo il nostro appuntamento ben prima del volo di ritorno e ne approfittiamo per una passeggiata in zona Westminster. Sono con una collega, totalmente digiuna di calcio. Camminiamo e mentre lei parla scorgo quelli che negli anni ’50 sarebbero stati definiti “Angeles con la cara sucia“: tre ceffi splendidamente argentini nei lineamenti e nel portamento (eufemismo per dire: tre tamarri). I miei occhi si specchiano nell’azzurro di uno dei tre e mi scappa tutto d’un fiato “Cazzo-Walter-Grande-Scusa-Ti-Rompo-Solo-Due-Secondi-Facciamo-Una-Foto-Insieme!”. Lui acconsente, incredibilmente docile e disponibile. Io emozionato smadonno col cellulare e la mia collega dice “Dai ve la faccio io”: Io lo abbraccio e lei gli fa “Su dai però, un bel sorriso!”. A foto fatta mi dice “Mario, ma non mi presenti il tuo amico?” “Lo parli un po’ d’italiano?” E io da dietro “No, Elena, no, basta, questo mi mena!”. E niente, ho passato le due ore successive a istruirla su chi fosse “il mio amico”. “Ah cacchio, è uno famoso!”. Eh sì…

Con il numero 26: Christian…Chivu

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Una intera carriera di sofferenza e spirito di adattamento. Un terzino sinistro per tutti, tranne che per il diretto interessato. Più volte dirà di aver bonariamente “maledetto” i fortissimi centrali difensivi con cui ha giocato: se non fossero stati a livelli così alti, in mezzo ci avrebbe giocato lui. Invece il suo sinistro, educatissimo, faceva comodo in fascia, dove però servivano anche corsa e resistenza fisica, tutte doti che il povero “Cristal” Chivu o Swarovski non ha mai ricevuto da madre natura.

Forse non un campione assoluto all’altezza dei compagni di reparto dell’Inter del Triplete, ma uno che lì in mezzo ha recitato la sua parte con pieno merito. Il caschetto è una sorta di premio alla carriera, crudele sublimazione di una carriera alle prese tra fratture, lussazioni e altri divertimenti in serie.

Non manca il lato umano, in quella che probabilmente è l’unico caso di pazzia calcistica della sua carriera. il fallo è insensato, cattivo e stupido. Questa è la reazione nel dopo partita. Un campione – di più: un uomo – si vede anche quando sbaglia.

Non me ne vorrà Goran Pandev, ma da Chivu facciamo un balzo in avanti fino all’inevitabile…

Con il numero 32: Bobo… Vieri

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Il centravanti italiano più forte che abbia mai visto giocare (quindi non comprendo Gigi Riva né Bonimba). Personaggio controverso, a metà tra il cazzaro svogliato e il mulo da soma che si allena quanto e più degli altri, Bobone per chi scrive è stato un appiglio in anni di magre calcistiche e non solo. Un vero peccato che i suoi cento e passa gol non abbiano portato a tituli, anche se per un paio di campionati le spiegazioni ci sarebbero anche…

Un sinistro potente, implacabile di testa, àncora di salvataggio per tutte quelle partite in cui la spari lunga in avanti e che ci pensi lui, in culo ai quattromila tocchetti e al “giuoco che deve partire da dietro”. La tenuta fisica è sempre stata il suo tallone d’Achille, non ricordo una stagione nella quale non abbia saltato una decina di partite per infortunio. Per quel motivo si è perso gli Europei del 2000 ed i Mondiali 2006.

Alla prima in nerazzurro sono a San Siro col signor padre e ci stropicciamo gli occhi a vicenda a vederlo segnare i primi tre gol interisti.

Bobone, sempre e comunque Bobone. Nonostante la brutta parentesi rossonera (altro che “il Milan dagli scambi con l’Inter ci guadagna sempre”), nonostante gli scazzi con la Curva dei quali poco mi cale. Non è stata senz’altro colpa sua se quella Inter non ha vinto quel che avrebbe potuto, e dovuto.

Non ce ne sono altri, di numeri leggendari. Ci sono giocatori che avrebbero meritato di esserci, da Berti a Matthaeus, da Baggio a Spillo Altobelli, ma il giochino è spietato.

Il giochino ha anche un rovescio della medaglia, e cioè l’elenco dei cattivi. Vedremo prossimamente quali sono stati i calciatori, sempre presi per numero di maglia, più ricordati nei turpiloqui della sera di chi scrive.

– Continua

APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO – pt. 2)

Dopo aver rischiato dissoluzioni coniugali, e messo a serio repentaglio amicizie pluriennali, mi armo di coraggio a due mani e proseguo con lo stillicidio iniziato l’altro giorno.

Oggi mi dedicherò ai numeri dall’11 al 20, prendenomi qualche pausa e quindi “risparmiando” un paio di numeri che utilizzerò più avanti.

Iniziamo da uno dei primi veri campioni visti a San Siro.

Con il numero 11: Kalle… Rummenigge

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Come detto, la prima stella internazionale vista all’opera a San Siro. Come Figo, è arrivato avendo già dato il meglio, ma i primi due anni del suo triennio sono comunque stati sufficienti a farci capire che razza di attaccante fosse. Potentissimo, acrobatico (la bagassa dell’arbitro di Inter-Rangers!), un vero mito per il sottoscritto, forse anche perché il formaggino d’oro Grunland era tra i miei preferiti!.

Inizia oltretutto una felicissima parentesi di acquisti dalla Germania che, escluso forse il solo Hansi Muller (simpatico quanto acciaccato) ha portato all’Inter una serie di campioni che lui stesso aveva “benedetto”, e che tanto ci hanno fatto godere a cavallo tra gli anni 80 e 90.

Con il numero 12: Julio… Cesar

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So che nel post-Toldo è passato ad indossare la 1, ma qui fa gioco schierarlo con l’amata 12, tanto per non scontentare nessuno. Ancora oggi non so decidermi nello scegliere tra lui e Zenga quale più migliormente preferito, ma il brasiliano è stato un portiere fantastico per tutto il periodo di permanenza in nerazzurro.

Completo, bravo tra i pali e nelle uscite, buono come para-rigori, notevole anche coi piedi, qualche iniziale problema sul posizionamento sui calci di punizioni (vero Mancio?) aveva come unica pecca un paio di distrazioni all’anno, compensate però ampiamente da tanti sogni acchiappati. Continuo a preferirlo ad altri grandi portieri del recente passato (Toldone, Pagliuca) o del presente (Handanovic), ma onestà impone di riconoscere l’ovvio: l’Inter, di portieri scarsi, negli ultimi 50 anni non ne ha mai avuti.

Salutiamo Seba Rossi con simpatia.

Con il numero 13: Douglas… Maicon

Ecco, con il Maicone ero partito prevenuto, come del resto con molti brasiliani. Atteggiamento uggeggé-uggeggé-alegria-do-Brasil, scarso acume tattico, attitudine difensiva tendente a zero. E questo dovrebbe togliere il posto a Zanetti? Ha ha ha…

Invece, Maicon si è rivelato il miglior terzino destro della storia di questo sport per tutta la sua parentesi nerazzurra. Che Cafù o Dani Alves vengano ricordati ben più spesso di lui è la prova provata del Negazionismo che serpeggia presso la stampa sportiva italiana. Il fatto che i due “rivali” siano stati sulla cresta dell’onda per più anni rispetto al “nostro” non ne fa ipso facto giocatori migliori. Sarebbe come dire che i Beatles sono durati solo otto anni e quindi i Pooh sono più bravi perché son durati quarant’anni. Andate tutti a quel paese: nessuno ha fatto vedere quel che Maicon ha messo in mostra nei 7 anni di Inter (non 10 partite, 7 anni). Corsa, fisico, cross, gol e, col tempo, giusta presenza in difesa (certo, aiutata da Lucio, Samuel e uno dei centrocampisti ma –hey– il sacrificio è ampiamente compensato dai risultati). Il difetto? Una eccessiva tendenza a ridere, specie dopo un errore marchiano, e la sublimazione di uno dei difetti ancestrali dell’Inter: regalare le rimesse laterali all’avversario.

Ma, come dicono a Rio grande do Sul, inscì avèghen

Con il numero 14: Diego… Simeone

Qui urge premessa metodologica. Come sapete, il nostro gioco ha come unico criterio quello del numero di maglia. Tra tutti i coinquilini della stessa casacca, la preferenza poi va data non necessariamente al calciatore più forte tout court, ma a quello che nella parentesi nerazzurra ha fatto meglio. Ecco perché qui non trovate né Patrick Vieira né Clarence Seedorf, probabilmente giocatori più forti del pur valido Simeone, ma che nei loro trascorsi interisti non hanno lasciato il segno indelebile dell’argentino.

Cholo quindi. Altra tessera di quel mosaico di fine anni ’90 che con una maggior legalità e certezza del diritto ci avrebbe visti campioni d’Italia. I primi mesi sono accidentati, con Simoni stesso che gli dice “Diego, San Siro ti fischia, per qualche giornata ti faccio giocare solo in trasferta”. Poi al primo derby la butta dentro e scoppia l’amore. Piedi forse non raffinatissimi, ma grinta, intelligenza calcistica di primissimo livello, ottima propensione all’inserimento – specie di testa -. Come tanti altri nerazzurri paga lo stigma della stampa, che in questo caso ha ingigantito lo scarso feeling tra lui e Ronaldo. Come ho scritto nel libro (compratelo perdìo!), a chi gliene chiedeva conto, rispose “Brutto clima in spogliatoio? Cambiate i condizionatori, tutto il resto è a posto”. Senza contare che il primo a soccorrerlo dopo l’orrendo infortunio dell’Olimpico è proprio lui.

Con i numeri 15 e 16: Nessuno (chi devo mettere: Cauet e Taribo West?)

Con il numero 17: Francesco… Moriero

Torniamo all’applicazione pedissequa del manuale, adattamento calcistico del mitologico Chitarrella per lo scopone scientifico: non può che esserci “il fruttarolo del Salento” a far brillare la maglia 17 (non certo l’immondo Cannavaro), ancora una volta vendemmia 97/98.

In questa storia c’è una discreta dose di culo, evento più unico che raro a latitudini nerazzurre: Moriero in estate è già del Milan, mentre l’Inter ha acquistato il brasiliano André Cruz. Poi, i due si scambiano le destinazioni, per non meglio appurati magheggi contabili al solo costo di un milione… di lire, nemmeno di euro.

Insomma, arriva un’aletta destra tutta riccioli e fantasia che fin lì ha fatto vedere qualche scampolo di classe tra Lecce e Roma. Invece quella stagione sembra Garrincha: dribbla tutti, sforna assist a garganella, segna gol stupendi, pure in rovesciata. Guadagna la Nazionale (“se hace da vuelta estilo Enzo Francescoli” pure lì) e partecipa a Francia ’98 come titolare fisso. Le stagioni successive sono buone ma non all’altezza di quel lampo accecante. Si guadagna il posto per mancanza di alternative credibili e per il copyright di “Sciuscià” ad imperitura memoria.

Con il numero 18: Hernan… Crespo

Non che oggi sia messo male, ma in quegli anni l’attacco argentino poteva pescare a occhi chiusi e schierare Batistuta, Crespo o Cruz come centravanti, e mi limito a quelli che ai tempi giocavano in Italia. Il mio preferito è stato Batigol, che però ha avuto una parentesi alquanto triste e solitaria all’Inter.

Crespo invece è stato, senza tanti giri di parole, un centravanti della Madonna. Forte, completo, giusto mix di classe e tecnica, persona splendida (è a tutt’oggi uno dei pochissimi casi di ex di Inter e Milan ad essere amato da entrambe le sponde del Naviglio), nei suoi anni nerazzurri ha avuto il pregio ed il talento di farsi vedere sia come riferimento principale dell’attacco, sia come utilissima sponda di campioni quali Vieri e Ibrahimovic. Indimenticabile il suo fiuto per il gol, in particolare per alcuni di testa (questo, o questi, per non parlar di questo). Talmente grande da far emozionare anche un cuore di pietra come me quando festeggia così uno dei tanti gol segnati alla Roma, una delle sue ultime realizzazioni in maglia Inter.

Con il numero 1+8, fuori concorso: Ivan… Zamorano

Piccolo artifizio numerico per inserire uno dei miei giocatori preferiti di tutti i tempi. Il Cileno passa alla storia per la scelta del numero di maglia, barba-trucco per ovviare alla cessione della “9” a Ronaldo. Centravanti di altri tempi, con un cuore e due huevos imparagonabili e capaci di supplire a piedi discreti ma nulla più, Zamorano è stato l’esemplificazione della “boglia di bincere” (come l’avrebbe pronunciata lui nel suo splendido accento andino) e probabilmente il miglior colpitore di della storia del calcio. 178 cm di esplosività che lo rendevano capace di saltare in testa a perticoni più alti di lui di 15-20 cm.

Tra i tanti fotogrammi che restano in mente, l’immortale gol con cui apre le marcature a Parigi nella finale di Coppa Uefa, un paio di gol nel Derby, e la marea di insulti in castigliano stretto vomitati contro l’arbitro Ceccarini in quel putrido fine Aprile del 1998. Non c’è interista che non lo porti nel cuore. Ce l’avesse avuta il Chino metà della grinta di questo qua…

Con il numero 19: Esteban… Cambiasso

Euclide applicato al calcio, il giocatore più intelligente mai visto in maglia nerazzurra. Colpo assoluto -anche con un quid di culo, diciamocelo- di calciomercato, il Cuchu arriva nel 2004 a parametro zero dal Real teoricamente come riserva di Davids. In realtà dopo un paio di partite entra in squadra e non esce per i successivi 10 anni.

Regia, contrasto, inserimenti, gol: capelli a parte, tutto quel che volete. Non aveva i piedi di Veron, non aveva il fisico di Nicolino Berti, ma nessuno è stato pietra angolare del centrocampo interista quanto lui. Come e più di tanti altri compagni di squadra, chi scrive nota come il nostro abbia sempre sommato alle qualità calcistiche una sagacia non comune fuori dal campo, perfetto nel rispondere a domande prevenute dei giornalisti così come a esprimere la sua opinione su fatti extra-calcistici. Esempio plastico di kalokagathìa a strisce nerazzurre,

Se fossi una madre americana e lui fosse mio figlio, direi “è lui il prossimo presidente degli Stati Uniti”.

Con il numero 20: Alvaro… Recoba

Eccezione alle regole del gioco per non vedermi tolto il saluto da quei malati mentali del Sig. Carlo e di Sergio. La mia disistima per il Chino non ha ovviamente nulla a che fare con il piede sinistro che madre natura gli ha dato: non ho visto giocare Corso, ma credo sarebbe stato l’unico nerazzurro a poter rivaleggiare per qualità tecnica con quello di Recoba.

Si aggiudica la maglia per carenza di alternative all’altezza (per quanto, a me Angloma non era dispiaciuto!) e perché rappresenta quel che l’Inter è stata per tanto, troppo tempo: un potenziale incredibile spesso buttato alle ortiche per mancanza di costanza. “Ha le potenzialità ma non si applica”, dicevano i miei professori a mia madre (che già lo sapeva, e anzi li inzigava a mazzularmi ancor di più, ma questa è un’altra storia…), quindi nella ramanzina al Chino c’è anche una dose di autocritica.

Ultima nota per il Sig. Carlo, anche per ricordare degnamente uno dei nostri maestri di vita: se noti ho scelto la foto in cui ha “quei capelli da vecchio mignottone no?!”

Continua

APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO)

In questi giorni di bonaccia calcistica e con la testa comprensibilmente dedicata a questioni più gravi – non oso dire più importanti – la rete si sbizzarrisce nel preparare polpette o altre feste del riciclo assortite, proponendo classifiche ed elenchi tassonomici di partite, calciatori, gol ed emozioni sportive in genere.

Per non essere da meno, sfodero tutto il mio malessere nerazzurro nel compitare il mio personalissimo elenco, guidato dal riferimento numerico più insindacabile che ci sia: il numero di maglia.

Attenzione, non parlo di ruolo in campo, no. Proprio di numero sulla maglietta. E siccome il calcio ormai da qualche decennio ha smesso di avere una corrispondenza ontologica tra numero e ruolo, ecco che troverete centrocampisti con un numero solitamente riservato a difensori e viceversa. Tanto per fare un esempio, l’amatissimo (da me) attaccante Mimmo Kallon, alias il Leone della Sierra, giocava col 2 a Reggio Calabria e col 3 all’Inter.

Come vedrete, lo stratagemma vien buono per aggirare alcune scelte altrimenti dilanianti, su tutte quella del portiere.

Di seguito troverete i primi 10 numeri di maglia, arriverò ad una trentina di numeri di maglia, non necessariamente consecutivi (ma spiegherò il perché strada facendo).

Liberi di commentare e dissentire purché con buona creanza (ma anche no, chissefrega!)

Immaginate ora lo speaker ufficiale dello stadio annunciare nell’ordine:

Con il numero 1: Walter… Zenga

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L’uomo ragno, il primo portiere di cui abbia veri ricordi (Bordon lo ricordo solo vagamente), campione e interista vero, portiere di altissimo livello e personalità strabordante.

Come tanti di quella generazione, ha vinto meno di quanto meritasse. Come tanti (tutti?) gli interisti, dimenticato appena possibile. Tre volte miglior portiere del mondo, un punto di riferimento unico per un decennio, ricordato invece per l’unico errore di un Mondiale altrimenti perfetto e per la migliorabile percentuale sui rigori parati (in effetti suo unico punto debole). Insieme a Zoff e Buffon sul podio dei migliori portieri italiani all time, non necessariamente terzo.

Con il numero 2: Beppe… Bergomi (coro: Sì Fabio!)

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Amato da giocatore, apprezzato da commentatore. Non ha avuto la classe né la personalità per diventare un vero e proprio idolo del sottoscritto, ma è stato un esempio di fedeltà e professionalità per un ventennio. Persona perbene, cosa che all’Inter è una simpatica costante (sì, ne faccio una questione di superiorità ontologica, non rompete i coglioni), è riuscito a passare dal campo al microfono mantenendo le stesse caratteristiche. Criticato da molti interisti per non essere sufficientemente fazioso nelle sue cronache, rappresenta invece quel che chiedo a qualsiasi commentatore: competenza ed onestà intellettuale. Che non significa per forza imparzialità: lui stesso si dichiara interista e non di rado gli scappa un “noi” quando parla dell’Inter, ma ciò non gli impedisce di criticare quando serve. Leggermente troppo assertivo verso il collega di telecronaca (certo Fabio).

Con il numero 3: Andreas… Brehme

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The one and only. Ribadisco il mio parere solo all’apparenza azzardato: il miglior terzino sinistro che abbia mai visto giocare.

Ellamadonna! Più forte di Paolo Maldini? A fare il terzino sinistro sì. Paolino è stato un giocatore più forte perché più versatile e con una carriera che parla da sola, qui parlo proprio di ruolo specifico.

Più affidabile di Roberto Carlos, ala sinistra che ha potuto far quel che ha voluto in dieci anni di Real proprio perché a nessuno interessava il fatto che non tornasse mai a coprire. Meno esplosivo il Bremer (come lo chiamava il Trap), senz’altro, ma il tedesco era realmente ambidestro ed aveva una capacità non solo di cross ma anche di lancio che ne faceva un vero e proprio “regista laterale” (copyright azzeccatissimo di Aldo Serena).

Con il numero 4: Javier… Zanetti

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Il Capitano, di più, il fratello calcistico della nostra generazione: maggiore talento, ma personalità simile all’altro capitano di questa lista (lo Zio), Zanna è stato da me celebrato nel giorno del suo addio con parole che, a distanza di anni, non hanno perso nemmeno una virgola del loro valore intrinseco. La sua storia all’Inter sembra davvero quella di un romanzo sportivo con tanto di lieto fine, ed il fatto che invece sia tutto vero la rende ancora più bella. In vent’anni ha ricoperto una mezza dozzina di ruoli, con il suo 6,5 in pagella come costante. Un supereroe con cosce da extraterrestre ma la faccia da bravo ragazzo, pettinatissimo.

Con il numero 5: Dejan… Stankovic

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È uno dei diversi casi in cui il numero di maglia non corrisponde alla posizione in campo. Il Drago è stato centrocampista totale, raro caso in cui l’eclettismo non andava a scapito della qualità. Detta meglio: sapeva fare benissimo tante cose.

Nelle mie statistiche mentali (e quindi difficilmente suffragate da dati oggettivi), rimarrà sempre il tiratore più sfigato del West, con un numero inenarrabile di pali, traverse, stinchi di portiere a privarlo di numeri ancor più scintillanti della cinquantina di gol fatta in Italia. Quantità, qualità e grinta in servizio permanente effettivo.

Con il numero 6: Stefan… De Vrij

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Non aveva grandissimi rivali “di numero”, giusto Roberto Carlos che però già ho detto non essere nei miei preferiti. L’olandese è invece un luminare della difesa, intelligente nel chiudere e bravo nel far ripartire. Non disdegna qualche capocciata in gol, specie nel Derby, che non guasta.

In un’epoca in cui i difensori devono impostare e gli attaccanti rientrare, mi piace avere un difensore che fa molto bene il suo, e che solo in un secondo momento sa essere utile nel costruire l’azione, offrendo un’alternativa alla atavica mancanza di fosforo della mediana nerazzurra (“a questa squadra manca un Pirlo” ma andateaccagare!). De Vrij vince il mio personale ballottaggio con Lucio, eroe del Triplete ma troppo “cavallo pazzo” per i miei gusti, senza voler infierire con le orrende sottomaglie con cui giocava.

Con il numero 7: Luis… Figo

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Nonostante sia arrivato in nerazzurro già ultra-trentenne, ha fatto vedere sprazzi di classe e talento come pochi. La prima stagione con Mancini – con cui pure non mancarono gli screzi – fu una lectio magistralis di dribbling, assist e qualche sapiente punizia (epica quella del definitivo 4-3 in Supercoppa contro la Roma, dopo essere stati sotto 0-3).

A tutto il talento assommava un basso profilo fuori dal campo, ed una statura morale che nemmeno la manfrina del gatto nero di Appiano ha potuto scalfire. Sta ancora aspettando la restituzione dei 5 mila euro di multa per aver denunciato la presenza di Moggi nello spogliatoio degli arbitri durante un Inter-Juve. Quella simpatia umana di Pavel Nedved gli ruppe il perone arrivando a far arrabbiare perfino il Signor Massimo; fatalmente al suo ritorno l’autonomia in campo era ridotta. Resta un campionissimo che, per una volta, ha visto la propria luce messa in ombra da quel popò di Inter nella quale ha giocato.

Con il numero 8: Zlatan… Ibrahimovic

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Il giocatore più imprevedibile e divertente che abbia mai visto in nerazzurro. Ronie è stato il più forte, ma il campionario di colpi di Ibra non l’ho visto in nessuno. Gli dobbiamo tutti lo scudetto 2007/2008 in quella Parma inzuppata dalla quale ci ha trascinati fuori da campione qual è sempre stato. Caratteraccio, megalomane, egocentrico, poco incline a fare gruppo: tutto quel che volete. Ma come diceva Maurizio Mosca, citando a sua volta il ben più autorevole Italo Allodi: “comincia a prenderlo!”.

Mio papà era allo stadio in quell’Inter-Lazio in cui segnò esultando da par suo in risposta ai fischi che gli erano arrivati proprio dal primo anello verde, su cui da sempre si accomodano le terga mie e dei miei familiari. Ricordo ancora il Signor Padre tornare a casa raggiante e dirmi tutto tronfio: “Visto? Ero io che lo fischiavo, gli ho fatto segnare io il gol!” “Sì ma ti ha mandato affanculo…” “E che me frega, l’importante è che l’ha messa dentro!”.

Machiavellico, in effetti.

Con in numero 9: Samuel… Eto’o

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Inevitabile che alcuni numeri di maglia (tipo questo, tipo il prossimo…) portino a scelte strappacuore e da sudori freddi. Però mi son messo da solo in questo divertente casino, quindi ne pago il prezzo fino in fondo.

Eto’o quindi: l’unico calciatore al mondo ad aver vinto due volte di seguito il Triplete e con due squadre diverse! Due stagioni in nerazzurro, nemmeno tantissime, ma sufficienti a far capire quanto un fuoriclasse possa mettersi al servizio della squadra se c’è da vincere tutto (il riferimento è al primo anno, e basta con la stronzata del “giocava terzino”, giocava esterno in un 4-2-3-1) e tornare invece centravanti coi controcazzi nel secondo anno, quando in stagione i suoi numeri parlano chiaro: 37 gol in tutte le competizioni giocate dall’Inter. Senza avere un fisico eccezionale, è stato un esempio di tecnica, leadership ed intelligenza calcistica che raramente si è vista su un campo di calcio, ancor meno in nerazzurro.

Con il numero 10: Ronaldo… quello vero

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Stratagemma furbetto che mi consente di inserire il brasiliano senza sacrificare l’amato Eto’o, ma che al contempo mi impedisce di inserire Baggio in quello che è nato come puro divertissement e si sta invece trasformando in un sanguinolento deicidio.

Detto ciò, il Fenomeno non può non esserci, essendo semplicemente il giocatore più forte che abbia mai visto giocare nell’Inter. Il primo anno (giocato proprio con la 10) è stato ai limiti dell’inconcepibile per quanto era forte, veloce, letale. Quel grand’uomo di Gigi Simoni ci impiegò poco a capire che “come lui nessuno mai“, e lo disse senza peli sulla lingua al resto dello spogliatoio, formato da esseri senzienti prima che da calciatori, e quindi perfettamente consapevoli che uno così era un lusso che solo loro potevano permettersi.

Uno spartiacque generazionale. Mettendola in musica, Ronaldo è stato come Lucio Battisti nella musica italiana: prima di lui c’erano Claudio Villa, Celentano, Rita Pavone, quando andava bene i cantautori. Dopo di lui è arrivato il rock, il progressive e tanto altro. Ronie ci ha portato nel calcio del 2000, è stato il primo a farci vedere qualità in velocità, forza e controllo. Il tutto facendolo sembrare, se non facile, quantomeno spassoso e divertente. Resta il rammarico di un telaio troppo fragile per contenere quell’esplosività e del modo in cui la storia è finita, ma la magia che ha fatto vedere a tutti noi rimane insuperata.

Devo le mie scuse nell’ordine a:

2- Ivan Ramiro Cordoba

10- Roberto Baggio e Lothar Matthaeus

Continua

PROPOSITI PER IL NUOVO ANNO

I nostri stanno andando benone, direi aldilà di ogni più rosea aspettativa. Indipendentemente da come andrà con l’Atalanta sabato sera, 45 punti in un girone danno una proiezione di 90 a fine anno, quota alla quale di norma si vincono scudetti.

È vero che già in anni passati a quest’epoca eravamo in vetta alla classifica, ma onestà impone di dire che il “come” faccia una certa differenza. Dalla pioggia di pur gustosissimmi 1-0 (vendemmia Mancini 2015/2016), all’insostsenibile velocità del primo Spalletti -poi infatti schiantatosi nel solito Gennaio marroncino- arriviamo a Conte, che ha portato la truppa in vetta spremendo il massimo da tanti dei suoi (Lu-La in primis) ma anche dovendo fare a meno dei due pezzi forti del centrocampo. Tre mesi senza Sensinho, due senza Barella, con l’aggravante di dover abusare dei piedi non raffinatissimi di Gagliardini e della limitata tenuta atletica di Borja Valero.

Eppure, si diceva, siamo lì.

Tutto ciò considerato, ed aggiugendo che da Febbraio i nostri avranno anche l’impegno di Europa League che tante energie ciuccia ad ogni squadra, non intervenire con due o tre innesti di valore sarebbe deleterio.

I tre ruoli sono noti: esterno sinistro, centrocampista, punta da panchina. In ordine di importanza, per me i tre nomi sono: Marcos Alonso, Eriksen, Llorente, e spiego il perchè:

Marcos Alonso Risposta semplice e solo apparentemente banale: perchè è un terzino sinistro. Non è “un laterale che può adattarsi anche a…” non è “un jolly difensivo che può venir buono anche per…“. No. È uno che fa quello di mestiere, che lo fa bene, che Conte ha già avuto e che, ultimo dato non trascurabile, batte bene le punizioni col mancino.

Ineluttabile assioma nerazzurro degli ultimi lustri, quel ruolo è il nostro punto debole anche quest’anno, vista l’inaffidabilità fisica di Asamoah e la stiracchiata sufficienza (ma nulla più) di Biraghi. Mi auguro a riguardo che il giovane Di Marco, sistematicamente ignorato dal Mister finora, venga quantomeno tenuto fuori dal mercato finantochè non sarà arrivato il rinforzo, chè se adesso viene un coccolone all’uomo dai parastinchi discutibili, tocca dirottare D’Ambrosio o -peggio- Candreva.

Le alternative allo spagnolo non mi convincono: Darmian è uno che fa benino un po’ di cose, ma arriverebbe come un D’Ambrosio-bis. Per carità, giocatori preziosi per ogni allenatore, ma qui stiamo parlando di un titolare da inserire, non di un rincalzo buono come alternativa. Serve insomma più classe.

Ashley Young (di nome ma non di fatto, visto che ha 34 anni) è il classico adattato. Se sei terzino sinistro e sei destro di piede, o ti chiami Paolo Maldini o abbiamo un problema. In questo lo Zio Bergomi mi ha preceduto nel commento che avrei fatto se solo qualcuno me l’avesse chiesto.

Eriksen Qui ammetto di ragionare -anche- da tifoso, perchè per alcuni versi Vidal sarebbe un acquisto più pronto e funzionale al gioco di Conte, ma andrebbe ad intasare la già troppo nutrita colonia di ex-juventini, dando ulteriore fiato alle trombe dell’ “adesso sì che l’Inter è cambiata, non è più una squadra di matti, meno male che sono arrivati gli juventini“.

Ciò detto, Eriksen ha cinque anni in meno di Vidal e soprattutto sembra poter dare qualcosa a questo sport per un lasso di tempo maggiore rispetto al cileno.

Detto che nel ruolo il mio sogno bagnato resta il laziale Milinkovic-Savic, per il quale ci sarebbe da sborsare una cifra vertiginosa, la ventina di milioni di cui si parla in queste settimane io la farei viaggiare spedita in direzione Tottenham e non Barcellona.

Llorente La punta dovrebbe sostanzialmente essere un cambio per Lukaku, quindi lo spagnolo dagli occhi di ghiaccio sarebbe perfetto. Anche lui è già stato agli ordini di Conte, il che dovrebbe facilitarne l’ambientamento. Facendo attualmente panchina a Napoli, non credo avrebbe problemi a farla a Milano. Lo preferisco all’altro nome che circola in questi giorni, e cioè Giroud, per più di un motivo.

Anzitutto, Giroud è il classico attaccante di manovra, che gioca al servizio della squadra, ma che storicamente segna poco: non è un caso che sia diventato campione del mondo con la Francia senza aver segnato nemmeno un gol a Russia 2018. Immaginando l’impiego di questo tipo di punta nelle classiche partitacce che non si sbloccano, preferirei giocarmi il jolly buttando in campo lo spagnolo, pressocchè imbattibile nel gioco aereo ed opportunista quanto basta per piazzare il piedone al momento giusto.

Inoltre, se già è difficile che il Chelsea ceda su Marcos Alonso, è ancor meno probabile che accetti di far partire due suoi giocatori (anche Giroud gioca lì) che, oltretutto, andrebbero a far comodo a Conte, beneficiario di una cospicua buonauscita dopo la parentesi alla corte di Abramovich e senz’altro non molto ben visto da quelle parti. In altre parole: l’ultima cosa che il Chelsea vorrà è fare un favore al Mister che si è appena intascato una decina di milioni di indennizzo.

CHE NE SAR­À DI NOI

Conscio della mia fissazione con il ruolo di terzino sinistro, a mio parere il peso specifico dell’Inter dipenderà dal titolare in quella posizione a fine mercato di riparazione.

Arriva Marcos Alonso? Possiamo giocarcela per lo Scudetto. Arriva Darmian? Ci accomodiamo per il secondo/terzo posto.

È semplicistico, ma la penso così. Avere lo spagnolo tra i titolari fa crescere il valore complessivo della squadra più di avere il Vidal di turno (che giocherebbe al posto di uno tra Brozo, Sensi o Barella).

Voglio dire: a metacampo ne esce uno bravo, ne entra uno bravo, che sia Vidal o Eriksen.

A sinistra, ne esce uno medio (se non mediocre) e ne entra uno bravo.La differenza sta tutta lì.

IZ BACK

Ho smargheritato tanto, cercando di capire se augurarmi il ritorno di Ibra al Milan oppure no, e mi scopro sorprendentemente ad esserne contento.

Non mi rimangio quel che ho detto e scritto: i peana del figliol prodigo che torna là dove si era trovato così bene sono già iniziati, con tanto di dirette dall’aeroporto e endoscopie su come saluta i compagni. Gol come visto, ancora niente (anche se contro la Rhodense ha fatto i numeri!).

Zlatan però farà bene alla Serie A e anche al Milan. Già nella mezzoretta giocata contro la Samp ha fatto vedere di essere il migliore dei rossoneri pur giocando praticamente da fermo. A questi livelli, e con questo livello di concorrenza interna, gli basterà qualche allenamento per elevarsi dalla mediocrità diffusa. Arrivo a dire che, in ottica stadio, a noi conviene che il Milan faccia schifo ma non troppo. Mi diverto come un riccio a vedere la classifica e trovarli saldamente nella colonna di destra, ma pensare ad una partnership con una squadra di centroclassifica per costruire lo stadio del futuro non è il massimo della vita: e visto che i problemi del Milan non finiranno certo con questa stagione, occorre ricordare l’epilogo dell’altro stadio europeo che era stato inizialmente costruito da due squadre della stessa città: l’Allianz Arena di Monaco.

Per carità, non mi farebbe schifo far pagare metà del nuovo stadio al Milan per poi vederli migrare altrove (al Brianteo?), ma è una favola troppo bella perchè possa diventare realtà.

Tornando a Ibra, mi scopro un romanticone dal cuore d’oro: se già non l’avevo fischiato al Derby 2010-2011 quando atterrò Materzazzi con una mossa da arti marziali, a maggior ragione lo accolgo col sorriso adesso: la maniera che ha di ghignare dopo aver fatto la sparata da gradasso me l’ha sempre reso simpatico a pelle, pur essendo probabilmente il più abile mercenario e trasformista del calcio moderno.

Quindi, nonostante tutto, bentornato Zlatanasso!

ICARDI SI ICARDI NO

L’imputato si alzi. A suo carico, leggo dal suo fascicolo, vedo:

  • Cattivi rapporti con parte dello spogliatoio. Solo i croati? Davvero? Quant’è grande la inevitabile zona grigia, che esclude i suddetti slavi ed altrettanto gli amici-amici? La possibilità di permanenza in nerazzurro dell’Icardi è a mio parere direttamente proporzionale all’ampiezza della succitata zona grigia;
  • Relazione con l’allenatore che pare compromessa, colpe e meriti di entrambi;
  • Scarsa o nulla collaborazione con la Società che, da Febbraio in poi, ha invano chiesto low profile e silenzio mediatico, a cui l’imputato ha risposto come visto in questi giorni;
  • Uno stato di forma sotto i livelli minimi di decenza, senz’altro complici i due mesi da scioperato, e la conseguente penuria di gol in stagione. Solo 10 finora, e non dimentichiamo che anche prima della querelle-fascia di capitano, il nostro era in astinenza da gol da qualche partita.

Certo, l’imputato ha anche le sue belle esimenti, oltre a qualche attenuante ed una fedina fin qui immacolata:

  • 100 e passa gol in 6 stagioni non è roba da poco, e tutti sono concordi nel ritenere questo 2019 come una sfortunata contingenza e non come un declino del giocatore (peraltro appena 26enne);

Forse con Marotta a bordo già da Luglio la questione avrebbe potuto risolversi in maniera più rapida e meno mediatica? Chi lo sa. Qui senz’altro non si è visto arrivare il bubbone… Cara Inter, ascolta uno ossessionato dai media: se la moglie-agente del tuo giocatore migliore ti informa che da Settembre sarà in TV tutte le domeniche a parlar di calcio, la cosa in qualche modo la devi tamponare.

  • Aldilà delle esternazioni del suo agente, che mi limito a definire inopportune, la ricerca della massimizzazione dei profitti da parte di qualsiasi professionista è un imperativo cui nessuno sfugge. Fa quindi parte del gioco tutta la tiritera legata al rinnovo del contratto ed all’aumento dello stipendio. Che la questione sia stata gestita male nell’insieme è pacifco, ma in questo caso è la Società a mio parere ad avere le maggiori responsabilità.

Raiola o Mendes non avranno labbra carnose e un metro di tette da mostrare a favor di camera (per quanto Raiola…), ma si sono mai visti ospiti fissi in una trasmissione che parla di calcio? Mai.

Solo una mente semplice o obnubilata può pensare di uscire indenne da 9 mesi di domande incrociate all’insegna “allora rinnova?” “perchè non ha ancora firmato?” “ma ci sono problemi?“.

In questo, torno a dire, Wanda fa il suo mestiere e difende gli interessi di famiglia, alternando polemiche, lacrime e scollature a seconda della convenienza. Non è il massimo in termini del già citato senso dell’opportunità o di understatement ma, hey, mica siamo a Buckingham Palace… Tu però, cara Società, cos’hai fatto davvero per evitarlo? E dopo che non l’hai evitato, cos’hai fatto per minimizzare entità e durata del danno.

Prima cagata che mi viene in mente: ti dò 100 lire in più di aumento ma basta ospitate in TV non concordate con il Club.

Odio concordare con Caressa, ma capita anche questo: domenica sera l’ho sentito auspicare una gestione più o meno dittatoriale dei diritti di immagine dei calciatori da parte delle società e questo, a un imperialista come me, suona come musica celestiale. Che tu sia Icardi o Piraccini, sei un calciatore dell’Inter e mi rappresenti anche quando sei sulla tazza del cesso. Ergo: dalle tue terga non esce nemmeno un peto se non l’hai prima concordato con me.

So’ poeta, checcevoifà

SI VA BEH MA ALLORA, ANDARE O RESTARE?

Sono un vecchio romantico, quindi alla fin della fiera vorrei che Icardi rimanesse. Fortunatamente ho superato la fase in cui il centravanti della mia squadra dev’essere il mio modello di vita (per quello restano i terzini biondi e tedeschi e i mediani pelati e argentini). Il mio ragionamento è assai più utilitaristico e poggia su due motivazioni discretamente nerborute:

Se Icardi lo dai via adesso, lo svendi. Troverai senz’altro soggetti interessati, ma scordati i 110 bomboloni della clausola. Verosimilmente lo puoi cedere per 70, forse 80 milioni.

Che, per carità, son gran soldi e, vista l’endemica necessità di plusvalenze, sistemerebbero i numeri del bilancio dell’anno. Però di fatto incassi la metà di quel che sarebbe stato il suo valore dopo una stagione all’altezza dell’Icardi che conosciamo.

Ragioniamo coi se e coi ma, per una volta: immaginiamo un Icardi con i “soliti” 25 gol in Campionato, cui sommare la buona figura fatta in Champions (6 partite e 4 gol, di cui 2 a Tottenham e Barça). Se ricordate, uno dei leit motiv di questo inverno, con acque ancora placide, era “aumentiamo la clausola! Anzi no: togliamola del tutto chè anche ad aumentarla comunque è come appiccicargli sopra il cartellino del prezzo, e il PSG di turno arriva e te lo porta via“.

Invece siamo al “diamolo via al primo che ci casca e se lo piglia”, come fosse un Balotelli qualsiasi; peggio; come nell’intramontabile scena di Amici Miei, tutti consapevoli che “chi si prende Donatella, deve per forza prendersi tutto il blocco”. E la cosa, in termini di valutazione del giocatore, non fa il bene del venditore.

Ma siccome ci piace ragionare coi se e coi ma, ammettiamo pure che l’Atletico di turno sia disposto a pagare la cifra in questione: 75 cucuzze e ciao-ciao Icardi (dall’esempio ho volutamente lasciato fuori l’ipotesi Juve, che complicherebbe ancor di più il dilemma). A quel punto, col portafoglio bello pieno, devi andare a trovare e successivamente comprare uno che faccia lo stesso mestiere, magari con un procuratore più tranquillo.

E qui casca l’asino: dove lo trovi?

Dybala? Non scherziamo. A parte che è una seconda punta, e poi fa a gara col nostro a chi ha fatto la stagione peggiore…

Dzeko? E dovrei portarmi in casa un 34enne che, per quanto elegante e che fa giocar bene la squadra, segna meno della metà di Icardi?

Lukaku? Forte, senz’altro lo strapaghi -ammesso che il Man Utd voglia venderlo- sia in termini di cartellino che di ingaggio, e poi non sai in che modo può ambientarsi in Italia.

Zapata? Sta facendo la stagione della vita, ma se andiamo su di lui gettiamo la maschera e dichiariamo che vogliamo vivacchiare e basta.

Quindi come la si risolve?

Il film che mi sono fatto -non ci vuole un genio per capirlo- è che vedo impossibile la contemporanea permanenza sua e di Spalletti. E, posto che nessuno dei due al momento gode del massimo della mia considerazione, mi tengo l’argentino e sacrifico il toscano.

Spalletti sente da mesi aria malsana intorno a sè, con la Società ancora una volta incapace di far quadrato intorno al proprio Mister e a lasciare passare spifferi e voci senza che nessuno senta il dovere di smentire.

Non è nemmeno escluso che Lucianino, capita l’antifona, abbia detto “beh se me ne devo andare allora mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa”: nessuno ha capito e probabilmente non sapremo mai la esatta genesi di tutto il putanoire legato alla fascia. Chi dice che il fastidio sia partito dallo spogliatoio, chi dal Mister, chi da Marotta.

Quel che è certo è che subito dopo Parma-Inter, vinta con gol di Martinez su bel movimento di Icardi, Spalletti ha abbaiato contro tutti senza nemmeno essere interrogato sull’argomento dicendo “è ora dibbbasta con ‘sta manfrina del contratto, ora la devono chiudere!” mostrando insofferenza tanto verso il giocatore quanto verso la dirigenza.

Ora: facciamo l’ultimo ricorso ai se e ai ma, e ipotizziamo che effettivamente Spalletti venga giubilato a fine stagione. Il nuovo Mister (agghiacciante o meno) arriverà in una situazione per lui nuova, e potrebbe tranquillamente dire “io non so cosa sia successo e non me ne frega niente: io so che qui c’è un numero 9 che la butta dentro come un cecchino e questo io me lo tengo!”.

Se invece è proprio la Società a voler far fuori Icardi, allora vedremo il nuovo allenatore districarsi tra frasi fatte del tipo “ho accettato perchè l’Inter ha una storia e un progetto, che va aldilà dei singoli giocatori”.

So di essere incoerente con quel che blatero di solito: sono di norma uno strenuo difensore del Mister di turno, perchè come sapete vedo nella scelta di quel tassello l’architrave della strategia societaria.

Faccio però molta fatica a preferire un addio di Icardi affinchè possa rimanere Spalletti, per un semplice motivo: la Società dà l’idea di essersi rotta le balle di entrambi. Tenere Spalletti vuol dire che non si è riusciti a prendere Conte (che piaccia o no), quindi per Spalletti vuol dire vivere una stagione da “sopportato”. Al primo pareggio stupido in casa parte la canea, matematico.

Posto che al momento l’epilogo più probabile è l’addio di entrambi (esemplificazione plastica del bambino e dell’acqua sporca buttati via, e proprio per quello paragone assai applicabile a latitudini interiste), almeno fatemi sperare di poter conservare una garanzia di gol per la prossima stagione.

SPECCHIO RIFLESSO

MILAN-INTER 2-3

Se già il Derby di andata, giocato in condizioni di morale e classifica assai diverse, era stato presentato come uno scontro tra il bel giUoco dei rossoneri e la cinica fisicità dei nerazzurri, potete ben immaginare -anzi, già lo sapete come me- come la critica abbia introdotto la partita di domenica. Da una parte una grande famiglia, capace di stringersi intorno al proprio allenatore e di valorizzare al meglio gli ultimi acquisti, in grado di far dimenticare la star viziata che ha chiesto e ottenuto di migrare oltremanica. Dall’altra parte, un’accozzaglia di craniolesi in crisi di astinenza da fenotiazine, con un Mister pronto a svuotare l’armadietto e uno spogliatoio pronto più del solito a #guèradebbande.

Fatta la cordiale premessa, il sifulotto torna turgido a intrudersi tra le terga rossonere, sconfitte come all’andata e come in 3 delle ultime 6 sfide (le altre tre sono pareggi di cui uno acchiappato al 97′ e da loro festeggiato manco fosse stato uno Scudetto…).

Se volete l’illuminato punto di vista dello scrivente, mi sono apprustato alla poltrona di casa pronunciando le seguenti parole: “poche volte sono stato così rassegnato all’inizio di un Derby“. Cazzo, datemi torto! Dopo aver visto dal vivo lo scempio di giovedì scorso in Europa League, circondato da un gruppo di toscani che apostrofavano quasiasi giocatore, interista o tedesco, al grido di “sudicio!! vagabondo!!“, chi se l’aspettava un’Inter coi controcazzi a martellare dal primo minuto?

E invece, Vecino pesta giù la partita dell’anno e non a caso apre le marcature dopo 3 minuti. L’azione è bella dall’inizio, con Lautaro bravissimo a fare da sponda sul cross di Perisic, dopodichè… la prende Vecino.

Il Milan non ci capisce molto, e la partita continua con un quasi monologo dei nostri: solo Paquetà e Çalhanoghlu impensieriscono Handanovic, mentre nell’altra area prima Vecino e poi Skriniar di testa si divorano il raddoppio. Vantaggio meritatissimo all’intervallo e paura fottuta che, come già tante altre volte, i nostri pensino “beh il nostro per oggi l’abbiamo fatto“.

Invece no! Anzi, sul corner a inizio ripresa non faccio nemmeno in tempo a sacramentare per lo stucchevole scambio corto dalla lunetta, che il sinistro a giro di Politano arriva bel-bello sulla capoccia di De Vrij: parabola arcuata (cit. Brunone Pizzul) e Donnarumma uccellato. A me ha ricordato il gol di Cruz in un Juve-Inter del 2005, ma qui so di essere malato grave…

Da notare, visto che non lo fa nessuno, l’ottimo “Alessietto” Romagnoli colpevole su entrambi i gol.

Morale, siamo 2-0 con 40′ da giocare. Appena prima del cambio della disperazione, Bakayoko pensa bene di festeggiare l’inevitabile Primo Gol in Serie A contro l’Inter, timbrando di testa il 2-1 con una bella girata che beffa prima Gagliardini e poi Handanovic.

Nemmeno il tempo di cacarci sotto, che Castillejo (ricordiamo: “Samu” per gli amici e Peppe Di Stefano) la combina grossissima, sgambettando Politano che usciva dall’area per preparare la conclusione mancina. L’arbitro rischia i legamenti e cade, ma fischia il rigore sacrosanto. Il Toro non trema e fa 3-1 “sotto la Nord festante” (questa invece arriva dritta dritta da Giorgio Bubba).

Non è ovviamente finita, perchè il gollonzo è in agguato sottoforma di Musacchio, lo stopper del cacchio, che prima segna e poi si guarda intorno incredulo. Smadonno reclamando un fuorigioco di Piatek che in effetti non è fischiabile, ma a mia discolpa credevo che la palla l’avesse presa lui e non D’Ambrosio.

I nostri però tengono, ed è proprio il ceruleo napoletano a immolarsi al 96′ respingendo la botta ignorante dell’ignorantissimo Cutrone, che si trova l’urlo da invasato ricacciato in gola (e mi limito alla gola…).

Gran Derby, vinto in maniera tanto netta quanto insperata. Siamo e restiamo una manica di psicolabili, ma siamo ontologicamente migliori di quelli là.

LE ALTRE

Ora che non conta più nulla, la Juve perde una partita. La vedo come la concessione fintamente bonaria del dittatore di turno. Il popolo se non altro passa una piacevole domenica. Il Napoli batte l’Udinese non senza patemi, mentre la Roma perde a Ferrara facendo un favore a entrambe le milanesi.

E’ COMPLOTTO

Tante piccole perle che ci ricordano quanto, a prescindere dal risultato, ci sia una parte di Milano nella quale il sole splende sempre, ed un’altra condannata a ripararsi dalle intemperie anche quando vince.

Come già detto: loro sono una grande famiglia, noi è CrisiInter.

Esagero? Vediamo:

Lungi da me voler difendere l’essere umano Icardi, poco si può dire delle abilità calcistiche del soggetto.
Siamo alle solite: il fatto che abbia 4 in matematica non dovrebbe autorizzare nessuno a darmi automaticamente anche l’esame di latino. Ma, se la cosa non valeva per il “me” liceale, evidentemente non vale nemmeno quando si parla di Inter.
Non c’è una logica, è così e basta. E’ complotto.
Quindi, tornando alla partita, bravo Martinez a fare da sponda sull’1-0 di Vecino, resistendo alla tentazione di capocciare in porta. Lapidaria la conclusione: Icardi non l’avrebbe passata. L’ho letto sulla Gazza cartacea di ieri, non lo trovo on line, fidatevi.

Se è per questo il Corriere non è da meno, solerte a confermare che nemmeno il derby salverà Spalletti. Grazie, correvamo il rischio di rilassarci un attimo…

Il meglio però arriva da Repubblica, sotto forma di sgub di Marco Mensurati, a sentir lui informato da anonima fonte interna. Ci dice -guarda caso a poche ore dal Derby, tanto per non agitare ulteriormente le acque- che la ricostruzione del caso-Icardi è in realtà assai più vicina alla versione propugnata da Mauro e Wanda: la fascia gli è stata tolta su richiesta di Spalletti dopo che, da Capitano, era insorto contro l’allenatore colpevole di rimproverare i compagni. Insomma, tutto il contrario di quel che l’Inter fa trapelare da settimane. Del resto, perchè accontentarsi della versione ufficiale, se possiamo tirare un po’ di merda nel ventilatore?

Non ci si ferma certo qui: si narra, once more with feeling, dell’immancabile spogliatoio spaccato, con una significativa novità di giornata: ci sono tre “bande”.
Non gruppi, nemmeno fazioni. Proprio “bande”.
Potevano scrivere “gang” o “mandamenti” già che c’erano. Ma non divaghiamo: ci sono i sudamericani (belli i tempi del Triplete in cui gli argentini litigavano coi brasiliani…), ci sono gli slavi (quantomeno non ha scritto”gli zingari”) e ci sono gli italiani.
Eccola qui, la primizia! Dopo anni a passeggiarci sui testicoli sull’Inter vergogna d’Italia per mancanza di autoctoni, eccolo finalmente, lo zoccolo duro di connazionali, panacea di tutti i malanni di stagione e garanzia di virtù e rettitudine in qualsivoglia luogo di lavoro: 7 nostrani in rosa, sufficienti a creare una delle tre bande e viziare ancor di più il già mefitico “clima in spogliatoio”.

Un giorno qualcuno mi spiegherà perchè la redazione sportiva di Repubblica ha questa atavica antipatia per l’Inter: so’ lupacchiotti, si sa, ma per lo meno in contrapposizione al Berlusconismo era lecito aspettarsi non un occhio di riguardo (quello mai), magari solo l’onestà intellettuale.

Gianni Mura è ovviamente oltre l’empireo e poco ha a che fare con i vari Crosetti, Bocca e Vocalelli (sì, quel Vocalelli), ma davvero un astio così non lo vedo nemmeno dalle parti della gazzetta del balengo torinese.

Ce ne faremo una ragione eh? La cosa non mi toglie certo il sonno.

E comunque, apparecchiato il piattino demmerda per i nerazzurri, ecco come, in netta contrapposizione, viene raccontato il pre- e il post-derby rossonero.
Anzitutto, il caro buon Silvio non si trattiene e consiglia da lontano come fare a vincere la stracittadina. Punta tutto su Suso, Berlusca, con lo spagnolo che di contro è unanimemente definito il peggiore in campo.

La chicca, per chi ha fatto del concetto di “gruppo affiatato come una famiglia” un mantra leggerissimamente ridondante negli ultimi trent’anni, è gentimente offerta al momento del cambio di Franck Kessie, con l’ivoriano braccato da tre coraggiosi compagni di squadra, pronti a scongiurare l’eliminazione fisica di Lucas Biglia.

L’unico a uscirne bene, come al solito, è Gattuso, splendido quando dice “potrò anche non capire niente di calcio, ma su concetti come rispetto di regole e gerarchie ci ho costruito una carriera” e ancor più da applausi quando si lascia scappare “mo’ l’importante è che parlino loro, io ci parlo in settimana”, e “meno male che non ho visto tutto il cinema se no mi buttavo pure io nella mischia“. Un grande.

Tutti gli altri sono da oggi le comiche: i due pierini, presi da Leo e Maldini e mandati in favor di telecamere a darsi la mano e giurarsi amore eterno. Ancor di più la stampa, sempre pronta a gridare alla crisi e alle tensioni interne da un lato del Naviglio, ed altrettanto solerte sull’altra riva a minimizzare, contestualizzare e ridurre il tutto a “cose che succedono ma che rientrano subito”.

E poi, se ci pensate bene, probabilmente Kessie era scosso per i buu razzisti ricevuti durante la partita. Insomma, colpa dell’Inter anche qui.

Infine, un pizzico di goduria in più al fischio finale, avendo intravisto in tribuna Pippo Inzaghi ancora stipendiato dal Bologna ma accorso a vedere la squadra del cuore pigliarla ancora una volta inder posto!

Rappresentazione plastica di spogliatoio spaccato: ecco il classico Royal Rumble, il tutti contro tutti degno del peggior Wrestling anni ‘80


L’INCUBO, IL SOGNO E LA FOTTUTISSIMA REALTA’

INTER-BOLOGNA 0-1

Dividiamola in tre, la mappazza, perchè così è pesante da digerire (cit.).

L’incubo è quello che, a occhi apertissimi, abbiamo dovuto vivere nei 90’ di non-gioco contro il Bologna, che poi altro non sono se non l’ideale proseguimento del nulla cosmico già mostrato nel trittico Sassuolo-Torino-Lazio.

Icardi ha un attacco cardiaco che gli impedisce di comprendere il clamoroso errore di Poli, che lo serve solissimo davanti al portiere dopo un minuto di gioco. Solo una grave paralisi dei suoi organi vitali può spiegare quel che combina nei tre secondi successivi.

Esattamente come successo dopo il tiro fuori di Martinez a Torino, i nostri fanno di tutto per sembrare quelli che dicono “beh il mio per oggi l’ho fatto, possiamo andare a casa”.

Conoscendo i miei polli, avevo appreso con un mix di goduria e timore l’avvicendamento sulla panchina del Bulègna: Superpippo aveva esaurito la dose di deretano che l’ha accompagnato per l’intera carriera, ma al suo posto era arrivato il temibilissimo Sinisone, che forse non a caso aveva usmato puzza di figuraccia in casa Inter.

Loro fanno la loro onesta partita, trovando (dopo Izzo, dopo Immobile…) un gol casuale quanto meritato. Male De Vrij nell’occasione, con Handanovic forse colpevole di non avere riflessi da centometrista, ma che su una capocciata così bislacca può davvero fare poco.

Come col Toro, ci sarebbe un’ora di partita a disposizione per rimediare al troiaio combinato, se solo i nostri si togliessero la cispa dagli occhi e le pedùle dai piedi.

Macchè.

L’unico schema è il giro palla da dietro, probabilmente nella speranza di addormentare gli avversari. Palle in avanti non ne arrivano se non per gentili omaggi dei rossoblù, che la nostra buona creanza ci fa guardar bene dall’accettare.

In un contesto simile, è chiaro che gente che già di suo non ha un buon feeling con San Siro venga fischiata ancor prima di ricevere palla. Candreva, Nainggolan, Perisic, lo stesso Icardi, si beccano vagonate di fischi fin dal quarto d’ora del primo tempo. Fatta la tara al quoziente di intelligenza del tifoso medio (e anche medio-basso, chè i geni mica ce li facciamo mancare con tanto di striscioni alla rovescia), non mi sento nemmeno di biasimarlo più di tanto. E’ vero che il tifoso illuminato dovrebbe essere capace di sostenere la squadra fino al 90’ e semmai di subissarla di fischi a fine partita, ma come dice la canzonetta I’m only human after all, don’t put the blame on me.

La ripresa si differenzia dal primo tempo solo per l’ingresso di Martinez che, come col Toro, come con la Lazio in Coppa Italia, si mangia un gol che il mio cane (passato a miglior vita un decennio fa) anche oggi non avrebbe avuto problemi a insaccare.

In tutto questo tragicomico psicodramma, la cosa più allucinante è stata la totale mancanza di spunto, di cambio di passo, al limite di casino organizzato. Niente di tutto ciò: è dovuto entrare il povero Ranocchia gli ultimi 10 minuti a fare il centravanti alla Vierchowod per vedere se non altro un po’ di cuore (culo mai, per definizione, chè la girata al volo di sinistro meritava se non altro per l’impegno).

Come detto correttamente da più parti oggi:

Il problema non è quando metti Ranocchia centravanti; il problema è quando Ranocchia centravanti è il migliore dei tuoi…

Passiamo al sogno. Niente di che in realtà: mica possiamo svegliarci domani con Cambiasso Stankovic e Milito con 10 anni di meno…

Il sogno è semplicemente un segno di discontinuità rispetto al passato. Posto che in otto anni abbiamo cambiato 11 allenatori, non sarebbe bello che la Società riunisse giocatori e Mister per un bel discorsetto?

Potrei arrivare ad invaghirmi di Marotta se avesse i coglioni per dire ai giocatori, con intonazione degna del Duca Conte Piermatteo Barambani:

Cari inferiori (cit.), questo signore qui (indicando Spalletti) è l’allenatore di questa squadra e sarà qui fino a Maggio e poi per tutto l’anno venturo. Lui. Voi avete quattro mesi di tempo per convincerci che meritate la maglia che state indegnamente indossando.


E poi quella che sarebbe la parte migliore:

E se a qualcuno venisse in mente di giocar contro il Mister, o di giocare a convincerci che non siete degni della maglia, ricordatevi che io sono Marotta e ho ottimi contatti con le squadre di tutta Europa. Non ci metto un cazzo a farvi terra bruciata intorno: se volete cercare un’altra squadra, probabile che in Cina qualcuno lo troviate. Accomodatevi pure.

Muuuahahahah!!!!…..

Aldilà dei sogni, e tornando alla fottutissima realtà, vorrei che dalla Società arrivasse un segnale chiaro. Non perchè stimi particolarmente Spalletti, ma perchè esonerando lui si darebbe l’ennesimo alibi a una mandria di smidollati che terrebbero botta per un quadrimestre col nuovo venuto, prima di tornare a dare segni di invornimento.

Per una volta, eccheccazzo, che si pigliassero le loro responsabilità anzichè scaricarle sul Mister di turno.

Eh sì, perchè lasciando stare sogni o incubi e parlando da svegli (più o meno, insomma…) siamo all’ennesimo inverno del nostro scontento. Non so se c’entri il richiamino di preparazione atletica, non so se siano finiti gli psicofarmaci, ma è incredibile vedere la ciclicità di questi andamenti.

Non ho nè il tempo nè la voglia di un’analisi tassonomica e non nozionistica degli ultimi cinque o sei anni, ma non mi sorprenderebbe vedere una certa familiarità con crisi di gioco e risultati a cavallo tra i due gironi (a memoria ricordo il periodo dell’anno scorso e quello susseguente al primato in classifica con Mancini, figlio di tanti 1-0 cinici e speculativi).

Come se non bastasse, la prossima è a Parma, campaccio per definizione per i nostri, che in quasi trent’anni di scontri al Tardini hanno vinto solo 4 volte (ne ricordavo tre, mi mancava il 2-0 corsaro con gol di Rolando, non Ronaldo, e Guarin).

LE ALTRE

Riusciamo nell’impresa di sfruttare il calendario a noi favorevole non già per accumulare vantaggio sugli inseguitori, bensì per minimizzare le perdite. Milan e Roma difatti pareggiano il loro scontro diretto, mentre la Lazio, che pur stasera ha vinto a Frosinone, settimana scorsa non era riuscita ad evitare la sconfitta contro i Gobbi.

Siamo alle solite: se ad Agosto mi avessero catapultato ad oggi, leggendo la classifica sarei più che soddisfatto, ma solo noi siamo capaci di complicarci la vita in questo modo e, vi assicuro, non c’è alcun masochistico compiacimento nella mia affermazione, porca di quella puttana!

E’ COMPLOTTO

Dovrei probabilmente aggiungere una nuova categoria, “Gli onesti del giorno dopo”. E’ ai limiti del vomitevole il modo in cui Sky ha cercato di smarcarsi dalla fake news di Conte che passeggiava in centro reduce dall’incontro con Marotta. Come ho già detto, bene ha fatto Spalletti a incazzarsi con la stampa, e meglio ancora ha fatto nella conferenza stampa del pre-partita, quando ha formalmente ribadito il concetto, buttando lì anche un discreto siluro alla Società, della serie:  se siete così ingenui da averlo fatto siete davvero dei dilettanti.

Ebbene, ieri sera ho sentito prima Barzaghi e poi Caressa in maniera ancor più sguaiata definire poco professionali (eufemismo) i colleghi che avevano montato quella notizia.

Grazie al cazzo, signori miei: se ne avete la voglia, le palle o semplicemente l’onestà sufficiente, ‘sta cosa ditela 5 minuti dopo che la notizia vi arriva, non a quattro giorni di distanza, quando la tanfa della fialetta puzzolente ha già impestato l’aria nella stanza.

WEST HAM

Qui facciamo una bella figura, bloccando 1-1 in casa il Liverpool capolista.

L’han fatta tutti, la faccio anch’io la battutaccia: Hanno scritto i nomi in cinese per non farsi riconoscere!

VINCERE E FAR SCHIFO: DIMOSTRAZIONE EMPIRICA

INTER-BENEVENTO 2-0

Come se non fosse già abbastanza squallida da vedere in tele, ho deciso di verificare dal vivo se la mia Inter fosse così brutta come sembra.

Risposta: pure di più.

Il rampollo di casa, seppur ancora in tenera età, aveva già capito tutto, e a Babbo Natale aveva chiesto due biglietti per una partita facile-facile.

Vero che anch’io avevo ragionato così per il suo esordio a San Siro, e le cose non erano andate come sperato…

Stavolta almeno i tre punti li portiamo a casa, contro un Benevento che fraseggia ordinato e ci tiene in scacco per un’ora buona, rischiando in un paio di volte di rifilarci il proditorio (e ahimè meritato) cetriolo calcistico.

Strano non trovare ancora in rete la GIF del calcio di inizio della partita: palla a Vecino che smista sulla fascia destra, dove Cancelo rincula e Candreva scatta in avanti. La palla rotola tragicomicamente in fallo laterale nel nulla dopo tre secondi di gioco.

Gli sguardi sugli spalti sono eloquenti…

I nostri giocano con una paura addosso che è difficile descrivere: la palla scotta e i pantaloncini, ancorchè neri, faticano a nascondere l’evidenza dellincontinentia deretanae (cit.) dei nostri.

D’Ambrosio è riproposto a sinistra, stante l’impresentabilità di Santon su qualsiasi rettangolo verde di categoria superiore all’Eccellenza, e vista l’inapplicabilità sulla fascia mancina di Cancelo, promosso titolare del binario destro. Mai avrei pensato di rimpiangere così tanto la partenza di Nagatomo (avessi detto Brehme). Ovviamente, il loro terzino sinistro (Letizia) si è dimostrato a confronto assai più intraprendente, oltre che velocissimo nel non farsi superare da nessuno nei 90 minuti di gioco, compreso Karamoh nelle ultime fasi della partita.

Morale, complice anche la panchina riservata a Borja Valero, latitano drammaticamente piedi pensanti, e la calma piatta resto l’unico schema valido.

Il Benevento riesce al primo tentativo (inizio ripresa) nella giocata che i nostri hanno invano ruminato per 50 minuti: ti-tic ti-toc per un minuto buono e palla lunga dietro alla difesa sullo scatto della punta. Noi: zero tentativi riusciti su 10 provati. Loro: uno su uno. Grazie a Dio il piede del loro centravanti è impreciso e la lecca di destro finisce alta.

Ancor maggiore la dose di buciodiculo pochi minuti dopo, allorquando Cataldi va a sbattere contro un incolpevole quanto statuario Ranocchia. L’arbitro (il figlio di Pairetto! Che sia senso di colpa  transgenerazionale accumulato?) non fischia, e il VAR non torna sulla decisione del collega di campo.

Possiamo definirlo un errore a nostro favore. Segniamocelo!

Poco dopo, la partita si risolve grazie a due capocciate su altrettanti cross di Cancelo che, a parte le 20 palle perse tra tocchi di suola e doppi passi, ha il merito di saper crossare come Cristo comanda. D’Ambrosio, tanto per tirare in ballo sempre i soliti, dopo aver toppato il primo, si guarda bene dal replicare il tentativo per tutta la durata del match.

Ma lui può fare entrambe le fasce (cit.).

(spazio per parolaccia a piacere)

Morale: sui due cross del portoghese, prima Skriniar e poi Ranocchia girano in rete portando in salvo una partita di rara pochezza calcistica.

L’effetto più visibile dell’uno-due è la maggior tranquillità mostrata dai nostri: quantomeno osano la giocata, provano qualche passaggio che sia concettualmente più elevato del palla-dietro-a-tre-metri-e-giro-palla-in-difesa.

Poi si sbaglia, (le incrollabili certezze di una vita), ma almeno ci si prova perdìo!

Quindi: il fattore mentale è assolutamente centrale e discriminante. Basta guardare all’altra parte del Naviglio e pensare alle condizioni alle quali noi e loro arriviamo a questo Derby, paragonandole a quello di metà Ottobre.

A voi giudicare se questo sia un bene o un male.

Torniamo al vecchio dilemma: meglio essere genitori del bravo figliolo che si impegna ma più di così non può fare, o di quello che “ha le capacità ma non si applica”?

La risposta, prima ancora che essere “Boh“, è “che tristezza…“.

E sorvolo volutamente su casi di spogliatoio, clan di argentini contro croati e cloaca assortita.

LE ALTRE

Inizia il turbiglione degli scontri diretti, e ‘sti maledetti di milanisti vincono alla grande contro la Roma all’Olimpico. Ne fanno due ma potevano essere serenamente il doppio. Uno come me non può esultare per una vittoria del Milan, nemmeno se a questa consegue la sconfitta di una diretta rivale per il posto Champions.

Il già richiamato Derby alle viste quantomeno giustifica il mio scetticismo: Gattuso ha purtroppo fatto un grandissimo lavoro tattico e motivazionale. Splendido Ringhio quando ammette candidamente di non considerarsi un inventore di calcio, bensì un lavoratore alle prime armi che attinge senza vergogna ai maestri in giro per l’Europa. In culo al giUoco e alle stronzate con cui Zio Silvio e Zio Fester ci hanno ammorbato per anni.

Piuttosto, occhio a Cutrone: intollerabile nella totale mancanza di grazia e tecnica calcistica, ferale per il tempismo con cui piomba a impattare con tibia, calcagno, polpaccio, o altre appendici assortite.

Per il resto, il Napoli regola senza problemi il Cagliari, portandosi al momento a +4 sui Gobbi, fermati dalla neve prima della sfida contro l’Atalanta del cockerino Gasperini, che nel dubbio aveva messo in campo una squadra da ufficio indagine.

Chissà come si dice #scansiamoci in dialetto bergamasco.

Nella giornata di sospiri per i terzini sinistri delle altre squadre, menzione per Biraghi della Viola (ex Inter, come sa l’amico “Presi”) e non solo per la borda di sinistro che decide la partita di Firenze. Il parallelo che mi viene con questo ruolo è quello con l’operaio specializzato, che le PMI fanno una fatica cane a trovare. Saldatori, fresatori, serramentisti… Raramente dei premi Nobel -così come raramente tra i terzini trovi fuoriclasse- ma solidi, affidabili, di quelli che li hai e non ci pensi più perchè il problema specifico te lo risolvono.

Non mi pare così difficile andare a trovarne uno che abbia un sinistro sufficientemente educato, che sia veloce quanto basta, dotato di una normale intelligenza calcistica, necessaria a immagazzinare i 4 o 5 schemi che lo riguardano.

Eppure, i nostri continuano a toppare in quel ruolo, con Dalbert e i suoi venti milioni a poltrire in panchina. Non aprirò il faldone delle querimonie calcistiche in quel ruolo nell’Inter degli ultimi decenni. Finirei dopodomani.

 

E’ COMPLOTTO

Non c’è molto da dire, lo riconosco.

C’è la leggenda metropolitana dei flirt di Wanda Nara con i compagni di squadra del marito, non tanto incredibile in sè (la ragazza “il danno” l’ha già fatto ai tempi di Maxi Lopez) quanto per l’ipotetico terzo incomodo. Brozovic, oltre ad incarnare il concetto stesso di inedia calcistica (fischiato da tutto San Siro al suo ingresso negli ultimi 10 minuti di sabato) per quel che capisco di uomini è quel che definirei un cesso a pedali, e onestamente non me lo vedo nel ruolo di bel tenebroso che si chiava la moglie del Capitano. Pigro com’è, poi… che sbattimento…

Al solito, il mio disprezzo non va ai tanti popolatori dei Bar di Italia, delle tribune di San Siro (“son stato giù al Baretto coi ragazzi della Curva, me l’han detto loro…”), quanto ai supposti giornalisti che danno spazio a queste cagate vecchie come il cucco.

Sul figlio di Baresi tutti noi abbiamo cantato e riso per anni, ma pochi a parte il malato mentale che scrive hanno davvero pensato che il padre fosse il compagno di squadra colored (io ho sempre optato per Rijkaard, ma era nutrita anche la fazione Gullit). Cosa dite? Lui il figlio nero ce l’aveva davvero? Già, eppure giustamente (ripeto: giustamente) nemmeno un rigo in cronaca.

Qui, cito testualmente “al momento è impossibile stabilire la veridicità del documento”, ma nel dubbio cominciamo a scriverlo.

Tanto è l’Inter.

Tanto è Icardi.

Tanto è Wanda Nara.

Interessante l’articolo de IlMalpensante su Ausilio e il suo credito presso i giornalisti, effettivamente illimitato. Incredibile (ma più nella misura che nel concetto) quanto il fare i conti in tasca alla Società faccia capire che l’Inter in questi anni di soldi ne ha spesi eccome. Il concetto -che ritengo importante e che infatti avevo già espresso in passato- è che in tempi di crisi, i soldi che hai a disposizione devi farli fruttare.

Questo, nel calcio, vuol dire che non devi sbagliare gli acquisti. E invece, di tutti i calciatori comprati negli ultimi 5 anni, gli unici a non essersi rivelati “sbagliati” fino ad oggi sono stati Icardi, Skriniar, Perisic e un altro paio a scelta (le mie scelte sarebbero Hernanes e Medel, ma non ha molta importanza).

Invece, ad ogni sessione, iniziata al grido di “non c’è una lira, arrangiatevi, anzi dovremo vendere Icardi”, vediamo cadere dalle tasche della proprietà decine di milioni sperperati.

Onesatamente non sono rammaricato della buona stampa di cui gode Ausilio. E’ talmente raro che un tesserato interista riceva critiche benevole, a maggior ragione aldilà dei propri meriti, che mi godo l’anomalìa senza recriminare.

Io me la spiego col vedovismo morattiano che attanaglia tanti cronisti sportivi italiani: ah, i bei tempi andati in cui potevi usare i nerazzurri a tuo uso e consumo per accomodare le pagine del tuo giornale giorno dopo giorno…

 

WEST HAM

Quattro schiaffoni dal Liverpool. Niente da aggiungere.

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I gemelli del gol 🙂