PAROLACCIA A PIACERE

MILAN-INTER 1-1

C’è una canzone di Elio le Le Storie Tese che si chiama “Nubi di ieri sul nostro domani odierno“. Sulla stessa solfa, questo pezzo avrebbe potuto chiamarsi “Partita che dovevi vincere facile, e che alla fine ringrazi il cielo di non aver perso, accogliendo il pareggio con un sorriso amaro“.

Alla fine ho optato per l’altro titolo per chiedere l’aiuto del lettore, dargli la colpa dell’eventuale turpiloquio suggerito e non stufarlo ancor prima di iniziare a leggere il post.
La manfrina però è quella: quattro occasioni clamorose, di cui il rigore è quella più difficile, oltre ad un altro paio di chances “normali” (ancora Martinez nella ripresa dopo una bella percussione e Calhanoglu a tirare a mille all’ora vanificando il tentativo di tap-in di Dzeko e del Toro). Loro nei 90′ combinano poco, è alquanto palese, eppure sono una squadra seria, che purtroppo fino ad ora merita di stare in testa alla classifica.
Spiaze ammetterlo e spero di essere smentito quanto prima, ma al momento la verità è quella.
Hanno una rosa che, a leggerla, fa rosina o poco più: quelli bravi-bravi a mio parere sono Hernandez (non Theo, Hernandez, diobono), Kessié, Tonali e Leao. Gli ultimi due trasformati rispetto all’anno scorso. Ibra è più un totem che altro, e non garantisce più di 10-15 partite all’anno. Il “problema” sono gli altri, i vari Calabria, Kjaer, Tomori, Rebic, Saelemakers, Diaz: tutta gente dignitosa o poco più, che però Pioli ha portato al massimo – e forse più – del loro potenziale.

La consolazione dovrebbe risiedere nel fatto che più di così non possono fare, ma è altrettanto vero che hanno avuto la loro dose di infortuni con Ibra, Giroud, Hernandez e Kessié. Ripeto: tolto il fisiologico amore che li circonda e l’onda lunga di buone vibrazioni, di Pioli is on fire e di simpatia mediatica, questi in Campionato stan facendo una stagione della Madonna.

Noi: abbiamo una rosa che, paragonata alla loro uomo vs uomo, è nettamente più forte, pur avendo perso i due pezzi migliori dell’11 dell’anno scorso. Mostriamo tanto, ma portiamo a casa poco. Così come con la Juve, e in parte con l’Atalanta, pareggiamo una partita che abbiamo dimostrato di poter vincere ma, come ricordiamo ogni anno agli juventini in Europa, andarci vicino conta solo a bocce.

E quindi, dopo gli incredibili errori di Martinez (due volte), Barella e Vidal, sono rimasto piacevolmente stupito della mancata beffa finale, col tiro di Saelemakers a baciare il palo (ottima la parata-laser di Handanovic) e Kessié a sparacchiare fuori la ribattuta: il sifulotto sembrava già bello apparecchiato come inevitabile epilogo.

Eravamo partiti bene, e avevamo anche avuto una sorprendente botta di culo, chè se un rigore del genere me lo fischiano contro finisco di bestemmiare tre giorni dopo. Calhanoglu è però bravo a crederci e soprattutto a farsi dare la palla da Lautaro per il tiro dal dischetto: sabongia ignorante in mezzo ai pali e 1-0.

A culo loro sono invece campioni consolidati, e quindi ecco la stupida punizione regalata da Barella e l’autogol di De Vrij a sancire la migliorabile fortuna dei nostri su calcio piazzato: dopo la Lazio, in Campionato abbiamo subito gol solo su palla inattiva. La cosa, per chi mi conosce, costituisce un aggravante e non la bonaria attenuante concessa negli anni al Milan di Ancelotti.

Passa un quarto d’ora e arriva il secondo rigore – questo sì solare – ai danni del sempre preziosissimo Darmian. Qui sinceramente mi sarei aspettato il rosso, visto che il dribbling a rientrare era fatto apposta per trovarsi solo davanti al portiere: se non è chiara occasione da gol quella…
Sappiamo com’è andata e, fatti i doverosi complimenti a Tatarusanu (con noi tutti fenomeni, checcazzo…), occorre salvare il soldato Martinez. Per la prima volta da quando è all’Inter si è preso anche i miei di insulti – e sai a lui che je frega – ma il periodo è veramente sfigato. Lo dimostra sul finale di tempo, quando Dzeko gli lascia una palla che l’argentino riesce perfino a controllare per accomodarsela sul destro: una scurreggia che finisce fuori ma lascia l’aria viziata.

La sosta potrebbe arrivare come un provvidenziale spariglio per lui e un’altra manciata di nerazzurri (Barella, Bastoni e Dzeko, tanto per dirne qualcuno, usciti tutti ammaccati prima del 90′). Il potenziale del Toro è immenso ed in buona parte già dimostrato: si trova in quello che tecnicamente è definito come “periodo del cazzo”, in cui non segnerebbe nemmeno da solo a porta vuota. E’ capitato a campioni ancor più forti di lui, quindi purtroppo non c’è da stupirsi; tocca semplicemente far passare ‘a nuttata e sperare di ritrovarlo al meglio al rientro dalla trasvolata intercontinentale.

Tornando alla partita di domenica sera, la cosa strana è che, nel primo tempo, loro hanno giocato meglio dal punto di vista del pressing e dell’aggressività, eppure le occasioni le abbiamo create solo noi (pure quella del loro gol, mannaggia al mio Fantacalcio…).
La ripresa ha visto i nostri più padroni anche nel gioco, ma non ditelo a Sacchi (ci torno, tranquilli…) e per almeno mezz’ora abbiamo comandato le operazioni, Al solito la cosa, più che tranquillizzarmi, mi ha messo in agitazione, perché a tanti passaggi non vedevo seguire la gragnuola di gol che avrebbe fatto funzione di salutare cardiotonico. E quando ti mangi l’impossibile, la beffa è in agguato: Ibra ha provato a replicare la punizia con cui ha segnato alla Roma settimana scorsa, ma una barriera sistemata in maniera sensata e un portiere che tra i pali continua ad essere di sicuro affidamento ha evitato a Zlatanasso di purgarci per l’ennesima volta.

E’ COMPLOTTO

Finisce con un pari, quindi, e il punteggio finale lascia spazio al più ritrito dei dibattiti post-cineforum. Come tanti Guidobaldo Maria Riccardelli, i commentatori sportivi si sono lanciati in commenti più o meno prevedibili, arrivando presto ad accomodarsi sulle consunte ma ospitali cadreghe del “Milan che ha fatto più gioco, mentre l’Inter ha creato più azioni“. Il che, detto senza illazioni e significati sottesi, sarebbe anche un parere condivisibile.

La mia opinione? Che dovevamo vincere con almeno due gol di scarto, e sarebbe stata una vittoria solare, meritata. Ma non l’abbiamo fatto, unicamente per colpa nostra. E quindi, in un certo senso, ben ci sta.

Poi, chiaro, c’è chi vuol strafare. E torniamo al nostro amatissimo Vate(r) calcistico, che da decenni continua a cantare la stessa canzone.

Il Milan ha cercato di promuovere calcio, l’Inter ha cercato di fregarlo“.

Un massimalista che nessuno riesce a far tacere, semplicemente perché il popolino ancora gli dà retta, dandogli modo di crivellarci i maroni con il bel giUoco e l’odio profondo per il calcio italiano. Strano poi che proprio football nostrano da lui così disprezzato, diventi invece un bene raro da preservare quando i suoi occhi puri e innocenti devono assistere a orde di barbari stranieri che lo popolano, facendolo gridare alla vergogna quando qualcuno addirittura osa vincere senza italiani in rosa.

Ribadisco qui tutta la mia antipatia per Sacchi e ancor più per il Sacchismo, che da trent’anni non fa che per prendere per oro colato quelle che sono opinioni personali, non di rado smentite dai fatti, di un figuro che è semplicemente ambasciatore del suo breve e gloriosissimo passato, prigioniero di una sua idea di calcio nel frattempo fortunatamente tramontata. Niente da fare: ogni settimana dobbiamo sorbirci i suoi anatemi contro l’Inter che è sempre – sempre cazzo, nel 1997 come nel 2006, nel 2010 come nel 2021 – espressione di un calcio timido e pavido, di ripartenza, che non fa divertire i tifosi. Tutto ciò fino al paradosso delle ultime 48 ore: in un dibattito che giustamente accusa l’Inter di essere incapace di portare a casa i frutti di quanto semina, ecco l’ineffabile omino di Fusignano che continua a dipingere l’Inter come una cinica orda di vecchi picari, avvizziti dalla vita ma esperti al punto da capitalizzare il più casuale degli episodi, in barba ai tanti bravi ragazzi che propongono giUoco e fanno divertire il pubblico.

Certo, non sarebbe giusto limitare il nostro sguardo sull’Arrigo nazionale. Come sappiamo, è l’intera stampa ad avere da sempre nel cuore l’universo rossonero, o meglio: i nostri scrivani sono particolarmente abili nell’associare a quei colori suggestioni di concordia, armonia, estetica, amore e amicizia.
Come spiegare altrimenti il commento di Pioli al coro a lui dedicato, e preso direttamente da una brutta canzone da discoteca (ne esistono di belle?) degli anni ’90? “Una delle emozioni più grandi della mia carriera“… Dài Pioli, fai il serio: se la tua carriera è così, mamma mia che tristezza…


Ma, come con Sacchi, la “colpa” non è sua, è del sistema. Lo stesso che riesce a lodare e incitare una squadra capace di fare un punto in quattro partite di Champions e incredibilmente ancora in corsa per una qualificazione che sarebbe un insulto a qualsiasi meritocrazia calcistica. La cronaca dell’ultima partita di Coppa, Milan-Porto, a firma del doppio diminutivo Piccinini-Ambrosini, sembrava uscita dai canali Mediaset degli anni ’90, quando Pellegatti faceva i servizi delle partite del Milan mal-travestito da commentatore neutrale. Lo stesso Ambrosini che, domenica, dopo l’esultanza di Calhanoglu al rigore dell’1-0, ha criticato il turco dicendo che se lo sarebbe potuto risparmiare.

Quindi fatemi capire: quando nel 2007 lo fece Ronaldo (in un Derby poi comunque vinto dall’Inter!) tutto bene e che bello, #propriolui #incredibile. Oggi invece è una cosa da evitare perché, insomma, non è bello. Detto dallo stesso che esultò così dopo aver vinto una Champions a cui il suo Club non avrebbe dovuto nemmeno partecipare, visto il troiaio di Calciopoli.

Ora, il fatto che io non stia scrivendo con la frequenza che la stagione meriterebbe potrebbe far pensare a qualcuno che abbia di meglio da fare, o che semplicemente certe storture della mia personalità stiano regredendo a livelli rassicuranti. Niente di tutto questo: semplicemente in questo periodo sto scrivendo di altro – e, incredibile a dirsi, più serio – ma non per questo le mie antenne si lasciano sfuggire le panzane della critica nostrana dedicate ai nostri amatissimi eroi in braghette.

Non scambiate quindi il mio silenzio per una passiva accettazione di tutto quel che viene disseminato nell’aere informatico.

Restando in tema di brutte canzoni, potrei chiosar che “al fin della licenza, io non perdono e tocco

Vi sèndo poco poco…

FAMOUS LAST WORDS

SASSUOLO-INTER 1-2

Essendo l’Inter squadra simpatttica per definizione, le mie sentenze post-Atalanta vengono in buona misura smentite nella partita di sabato sera, con Handanovic e Dzeko sugli scudi e Barella a perdere più palloni in 90′ che negli ultimi due anni.

Chissenefrega, mica voglio aver ragione, a me interessa che vinca l’Inter!

Andando con ordine, la trasferta nella mai troppo amata Sassuolo – che poi in realtà gioca a Reggio Emilia ma va beh,,, – non mi lasciava per nulla tranquillo. C’entra Squinzi e il suo passato di chimico pseudo difensore dei piccoli ma in realtà servo dei grandi, c’entra la sua proverbiale liaison con i colori rossoneri, c’entra la prona devozione alla Torino bianconera, senza dimenticare la retorica stantìa della favola calcistica, il bel giuoco e i bravi ragazzi italiani che negli anni mi ha fatto maledire Parma, Udinese e Chievo.

Il primo tempo del match rinforzava i miei grigi presagi, con i neroverdi a correre come pazzi, Boga nelle vesti di imprendibile Speedy Gonzales e Berardi a segnare per la centordicesima volta contro la squadra di cui è tifoso fin da bambino.

Pensa se gli stavamo sulle balle…

I nostri confermano una tendenza già palesata nelle ultime uscite, e cioè l’incapacità di palleggiare in tranquillità, soprattutto ad inizio azione. Tante volte ho maledetto i passaggi stitici dei nostri difensori che passavano pericolosamente vicino ai piedi avversari, ma nelle giornate di grazia il rischio è stato più volte ripagato. A Reggio Emilia, ancor più che con Atalanta e Shakhtar, i nostri hanno invece fornito una dimostrazione pratica di come non uscire palla al piede da dietro, con Barella a regalare l’azione da cui nasce il rigore – solare – su Boga e De Vrij –tu quoque– a ciabattare un retropassaggio che costringe Handanovic all’uscita disperata, su cui avrebbe potuto chiudersi la partita.

Nelle scorse settimane mi sono lamentato per rigori evidenti non fischiati a nostro favore; allo stesso modo non ho problemi a riconoscere che a maglie invertite mi sarei imbufalito se l’arbitro non avesse espulso un portiere che esce ostacolando l’avversario in quella maniera. Vero: Samir fa di tutto per non toccare Defrel, ma di fatto gli si piazza davanti e pare anche toccarlo in faccia col gomito. In un’epoca di “danno provocato”, “imperizia”, “eccessiva foga”, mi aspettavo il rosso per il nostro portiere e un secondo tempo da incubo.

Ho sentito Caressa e gli altri parlarne perplessi, soprattutto per la mancanza di spiegazioni da parte dell’arbitro. Musica per le mie orecchie, che vorrebbero sentire in vivavoce i colloqui tra arbitro di campo e VAR, all’insegna della massima chiarezza. Marchegiani butta lì una possibile motivazione, e cioè che l’intervento non sia considerato da “rosso”, essendoci Skriniar che sta rientrando e che potrebbe contrastare l’avversario. Caressa prova a fare il maestrino parlando di “cono di luce” e di palla che si sta dirigendo verso la porta e non verso l’esterno e quindi rigettando la tesi. Poi mandano il replay e la si vede la palla che rotola al di fuori dell’area piccola, altro che verso la porta…

Ad ogni modo, arbitri: parlate e spiegate, cazzo.

Invece, incassiamo la gradita botta di culo e, nella ripresa, ribaltiamo il match, non prima di aver reso merito a Handanovic per una parata sullo sgusciantissimo Boga, che spara un sinistro rasoterra sul palo lungo, neutralizzato con parata felina dal nostro portiere. Siamo ancora vivi, e proprio per questo togliamo dal campo un paio di moribondi: Correa e Calhanoglu (lui sì, confermatissimo nella lista dei cattivi) non la beccano mai ed escono dopo 55 minuti di nulla, sostituiti da Vidal e Dzeko. Fuori anche un insipido Bastoni per un Di Marco ancora una volta convincente, commento applicabile anche al cambio di esterno Darmian – Dumfries.

Quattro cambi insieme non li avevo mai visti se non nei Trofei Moretti estivi, ma erano tutti necessari. Poi ci si mette anche un po’ di culo, visto che bastano trenta secondi e un cross nemmeno così bello di Perisic per liberare Dzeko sul secondo palo per il comodo colpo di testa che vale il pari.

Punteggio e inerzia della partita totalmente cambiati, e partono dieci minuti a manetta: è la situazione ideale per Vidal, giocatore che con gli anni pare giocare molto più sull’entusiasmo del momento e non sulla solida regolarità che ne ha contraddistinto la carriera. Ma è un mio parere e, vista l’affidabilità delle mie previsioni, è probabile che ce lo ritroveremo in cabina di regia a giostrare come un moderno Matteoli.

Poco dopo è sempre Dzeko a seguire una palla in profondità di Brozovic, anticipando Chiriches e inserendosi tra lui e il portiere. Consigli, che sui miracoli contro l’Inter ci ha costruito una carriera, stavolta sbaglia i tempi dell’uscita e sbilancia Dzeko a cavallo dell’area, prima di prendere la palla con le mani. Rigore, e meno male che la rusada (spinta per i non meneghini) decisiva è già all’interno dei 16 metri, perché già mi aspettavo la beffa della punizia dal limite spedita in gradinata.

Dal dischetto va Martinez che spiazza il portiere e fa 2-1.

L’ultimo quarto di gara i nostri lo giocano con sapienza, senza rischiare granché e trovando anche il 3-1, giustamente annullato per fuorigioco.

Vittoria complicata e sofferta, con una considerevole dose di buona sorte nell’episodio di fine primo tempo: giocare in dieci la ripresa avrebbe dato tutt’altro gusto al match e aperto un sacrosanto processo alla tenuta mentale dei nostri difensori. Invece, andiamo alla sosta con tre punti in saccoccia, apprestandoci ai soliti rosarioni collettivi nella speranza che le trasvolate oceaniche dei nostri non abbiano conseguenze sul loro stato di salute.

Il ritorno vedrà un trittico di partite mica da ridere, con Lazio in trasferta, Sheriff e poi Juve in casa, tutte in una settimana. Inutile dire che saranno giorni cruciali per i nostri.

LE ALTRE

Continua il mio allarme per la risalita della Juve. Il Derby vinto col Toro è un altro pessimo presagio, visto che il pari sarebbe stato probabilmente la fotografia migliore per quanto fatto vedere dalle due squadre. Invece, il tanto vituperato colpo del singolo, l’azione improvvisa così deprecata perché non arriva dopo lunghi minuti di ruminamenti a tre all’ora, sposta l’equilibrio e porta i tre punti dalle parti di Allegri. Occhio, chè questi arrivano…

Napoli e Milan non hanno nemmeno il fattore novità, visto che continuano non solo a vincere ma a mostrare uno stato di forma difficilmente pronosticabile a inizio stagione. Ho visto i cugini sbarazzarsi dell’Atalanta con facilità, giocando una partita per me bellissima, fatta di continue accelerazioni, tutta in verticale, in culo al possesso e al giro palla manovrato. C’hai Theo Hernandez, Leao, e compagnia? Sfruttali, perdìo! E’ quel che fa Pioli, e Gasperini, per una volta, non ci capisce molto. Vero che le assenze di Gosens e di Pessina non aiutano, ma duole ammettere che la vittoria è meritata.

La certezza è che il Napoli non potrà andare avanti e vincerle tutte. La speranza è che il Milan non sia in grado di mantenere questo idillio di forma ed efficacia a lungo. Sarebbe bellissimo che il ritorno dello splendido quarantenne (auguri al vecchio cuore nerazzurro Zlatan) facesse saltare gli equilibri cesellati con tanto amore dagli artigiani di Milanello Bianco.

E’ COMPLOTTO

Non parlerò qui del bilancio presentato dall’Inter, con la perdita record di 245,6 milioni, se non per segnalare come un numero così abnorme, per quanto riferito ad una situazione già passata, sia sufficiente per soffiare sul fuoco del disfattismo, dell’inevitabile ed imminente cessione da parte di Suning. Del resto, come abbiamo imparato da un anno a questa parte, ogni settimana è quella decisiva per la vendita a BC Partners, Oaktree, PIF, Ciccillo ‘O Meccanico…

Sono invece curioso di sentire come verrà giudicata la vittoria del Milan dal punto di vista del gioco, visto che tutto si può dire dei rossoneri ma non che pratichino un calcio palleggiato e corale. Prevarranno insomma i Talebani Calcistici, secondo cui è ontologicamente necessario fare il Bel GiUoco (whatever that means) per poter vincere, oppure ancora una volta avrà la meglio la retorica di Milanello Bianco, che cosparge di miele tutto quanto arriva da quelle latitudini?

Probabile che Sacchi scriverà l’ennesimo pezzo che va riproponendo da decenni, snocciolando statistiche accomodate a proprio uso e consumo, ma quella ormai è una non-notizia. Per Arrighe, lo sappiamo, tutto ciò che non sia corto-umile-intenso non è nemmeno degno di essere chiamato calcio, e il problema non sarebbe nemmeno lui, che su quel credo ha basato il suo quadriennio magico (chè la sua carriera ha avuto successo per quattro anni, non di più, ricordiamolo). Il problema – l’ho detto altre volte e mi scuso per la ripetizione – è che lo sport italiano l’ha eletto a maestro inconfutabile e genio assoluto di un calcio che, spiace per lui, è in continua evoluzione. Il suo calcio fatto, tra altre nefandezze, di difese altissime, in tempi di VAR sarebbe probabilmente vittima di un paio di gol a partita, visto che già ai tempi di Franchino Baresi e del suo braccio alzato erano tante le volte in cui, al replay, si diceva “ah in effetti il fuorigioco non c’era…“. Ma erano, appunto, altri tempi, inutile rivangare. Utilissimo, invece, sarebbe svecchiare questi canoni e uscire una dannata volta dal manicheismo che vede un solo modo di giocare al calcio, a prescindere dai giocatori a disposizione, e che di risulta condanna all’inferno ogni eretico che lancia a campo aperto il Chiesa, il Lukaku o il Theo Hernandez di turno.

Ma vallo a dire a certa gente…

Entra e ribalta la partita. Poche volte così contento di aver avuto torto

DUE A DUE? NO, TRE A TRE

INTER-ATALANTA 2-2

Come finisce una partita che avresti potuto vincere ma che hai rischiato di perdere? Esatto, in un banale ma pirotecnico pareggio.

Il derby cromatico è finora la partita più bella giocata in Serie A quest’anno, dettaglio trascurabile per il tifoso parte in causa, ma che almeno offre uno spettacolo godibile agli osservatori non interessati.

Io, bilioso appartenente alla vecchia scuola, in casi del genere tendo sempre a guardare gli errori che hanno causato la girandola di gol prima di unirmi alle lodi del calcio champagne mostrato dalle due squadre. La premessa ci porta alla spiegazione del titolo.

Dalla partita di sabato ci portiamo a casa tre problemi, tutti già noti, e tre speranze per il prosieguo della stagione. Cominciamo con il libro nero dei cattivi.

Handanovic: tre o quattro parate con lo sguardo laser, un paio di parate della Madonna con le mani, ma anche un gol e mezzo sulla coscienza. Il mezzo si riferisce al 3-2 fortunatamente annullato, mentre il vantaggio bergamasco di Toloi beneficia della fattiva collaborazione del nostro. Il tiro di Malinosvkyi è senz’altro forte, ma tutt’altro che angolato; il movimento delle mani del nostro portiere vorrebbe respingere la palla lateralmente, ma l’effetto è drammaticamente diverso. Palletta centrale succulenta su cui arriva il terzino avversario per il comodo tap-in.

Non giudico tecnicamente la difficoltà dell’intervento, non ne ho le competenze. Quello che so è che da tempo io mi cago sotto ad ogni tiro che arriva in porta: spero che i compagni di squadra siano più coraggiosi di me, perché la prima qualità che deve avere un portiere è quella di trasmettere tranquillità e fiducia alla sua difesa.

Non c’è soluzione a breve, tocca (sos)tenerlo per i prossimi mesi, ma al contempo non ritardare ulteriormente l’avvicendamento a fine stagione che negli ultimi anni è passato dall’essere possibile a opportuno, fino a diventare ora necessario.

Calhanoglu: il turco sta facendo quel che sempre ha fatto in carriera, il talento purissimo ma scostante. Ha infiammato il popolo interista con un esordio da campione, mostrando un piedino mica da ridere. Col mese di settembre è invece entrato in letargo, dando sporadici segni di vita. Ora, ripeto: nulla che un buon osservatore non potesse aspettarsi, ma non per questo dobbiamo attendere sine die il ritorno della primavera nella valle dei castori.

I cugini milanisti si sono tolti un bel peso a sbolognarcelo, seppur a costo zero: la Gazza però si dimostra nell’occasione ancor più partigiana dei tifosi rossoneri, visto che, a commento del sacrosanto 5 in pagella, chiosa: “Un quarto d’ora d’illusione: sembrava il Calhanoglu milanista, poi scompare“.

Carinerie della stampa a parte, urge un cambio, che pare ci sarà già stasera in Champions: tenere in campo uno che gioca a tre all’ora ma è bravo a battere le punizioni mi pare uno spreco. Eriksen non è mai stato il mio preferito ma avrebbe garantito una maggior solidità, il che – poverino – è tutto dire… Che sia Vecino, che sia Vidal, il cambio si impone, così magari il ragazzo capisce che deve disciularsi.

Dzeko: qui sapete che ho un po’ il dente avvelenato. L’ho preso al Fantacalcio proprio pensando a quella cazzo di inerzia mediatica positiva di cui ho parlato nell’ultimo pezzo e che si è puntualmente riproposta dopo la partita contro l’Atalanta. 7 in pagella unicamente per aver segnato a porta vuota da due metri. Che, per carità, va benissimo e tanta grazia che almeno quella palla l’abbia messa dentro. Ho smesso di incazzarmi per i gol che si mangia (uno dopo tre minuti, nemmeno facilissimo, uno a tre secondi dalla fine, di testa da solo, una roba da non credere…). Sapevamo di aver preso il Cigno, quello che ha i piedi ricamati, quello che fa giUocare bene la squadra. Bene: 16 palloni persi durante la partita. Stop a inseguire, passaggi stitici che castrano tante possibili ripartenze. La stessa azione che porta all’iniziale vantaggio di Lautaro nasce da un rimpallo tra lui e un avversario che di culo fa arrivare la palla a Darmian e da lui a Barella per il cross, altro che intelligente apertura per il compagno.

L’ho lodato dopo Firenze per il gol bello, cazzuto e decisivo, ma sabato le palle (non solo quelle in campo) sono tornate a strisciare per terra. Excuse my french.

Quindi siamo tutti nella merda?

Non esattamente. Siccome pareggio è stato, ho pensato a tre cose buone da portarci via dal pari di sabato.

Di Marco: inizio proprio da quel che sembrerebbe il principale indiziato, avendo sbagliato un rigore che nessun altro ha avuto il fegato di tirare. Inciso rancoroso: si è mai visto un centravanti che non tira i rigori? Non un analfabeta dei fondamentali come Pippo Inzaghi, uno che giUoca bene, che ha i piedi da centrocampista, che ha l’esperienza internazionale. Chiudo la polemica contro il Cigno di Sarajevo.

Dicevo di Di Marco: bravo il Mister a metterlo dentro al posto di Bastoni, guadagnando in inserimenti e presidio della fascia mancina. Cross, tiri, pressing nella loro trequarti: ottima partita. Non so se sia già in grado di prendere possesso della fascia e panchinare definitivamente Perisic, ma è bravo e va fatto giocare spesso.

Lungi da me fare lo sproloquio del ragazzo cresciuto nelle giovanili, a cui come forse saprete sono allergico, ma l’attaccamento alla maglia e la serietà del calciatore si è vista anche nel presentarsi ai microfoni dopo aver spedito sulla traversa il possibile 3-2. Bravo.

Barella: la prestazione sontuosa sta diventando quasi una non-notizia. In condizioni di forma strepitose, dopo un Europeo giocato comprensibilmente non al massimo. Ce lo godiamo tra sgroppate da quattrocentista e assist al bacio (cinque in altrettante partite di campionato, scusate se è poco), il prossimo capitano è già oggi un tassello imprescindibile del centrocampo di Inzaghi. In tanti parlano dell’insostituibilità di Brozovic, e concordo se guardiamo alla penuria di possibili sostituti in rosa, ma come calciatore, Barella oggi è più forte.

Dopo il rinnovo di Martinez, il suo è il prossimo nome da cerchiare in rosso in agenda, seguito a ruota da Skriniar e dallo stesso Brozovic. Sempre per non scadere nel mieloso qualunquismo, non li dilungherò sulla comprovata fede nerazzurra del ragazzo di Sardegna.

Difesa: un apparente controsenso, visto che in sei partite giocate finora l’Inter ha subito ben 7 reti. Il ragionamento parte dall’anno scorso, quando la squadra di Conte aveva avuto un inizio sbarazzino, tutto votato all’attacco, per poi darsi una regolata e chiudere con la miglior difesa (oltre che col secondo attacco, ma questo fa più fatica dirlo…). il mio è quindi un auspicio: che non solo Handanovic ma tutta la fase difensiva serri le giunture dei serramenti e chiuda la porta a doppia mandata, in modo da soffrire un po’ meno.

Dei tre centrali di difesa, mi pare che solo Skriniar abbia iniziato da par suo, per quanto anche lui contro l’Atalanta ne abbia combinata qualcuna. De Vrij incredibilmente ha sbagliato un paio di mezzi tempi, mentre Bastoni alterna ancora grandi giocate ad attimi di distrazione. Niente di drammatico, stanno carburando ed è fisiologico un periodo di rodaggio.

Si conoscono e sanno di poter fare di più: che lo dimostrino a breve e ci divertiremo anche quest’anno.

LE ALTRE

Il Napoli continua il suo percorso netto, fatto di sole vittorie. Chapeau a Spalletti e ai suoi, che gli vuoi dire? Lucianino anche con noi era partito alla grande, per poi smarrirsi e ritrovarsi nel girone di ritorno. Vedremo cosa farà all’ombra del Vesuvio, ricordando che a Gennaio Koulibaly e Osihmen partiranno per la Coppa d’Africa.

Lo riconosco: gliela sto gufando.

La Juve vince. Male, ma vince. La cosa mi dispiace ma non mi sorprende. Piuttosto, sarà interessante capire come faranno fronte alla doppia assenza di Dybala e Morata, che salteranno almeno un paio di partite. Le alternative, dopo l’addio di CR7, non sono infinite.

Il Milan continua il periodo aureo e batte lo Spezia in maniera simile a quanto fatto in casa col Venezia, e cioè soffrendo forse più del dovuto e sbrigando la pratica nel finale. Tutto ciò però perde di qualsiasi rilevanza, visto che abbiamo assistito al primo gol di Daniel Maldini. Ho volutamente girato al largo da trasmissioni sportive e siti internet per non compromettere la mia salute glicemica, che ha comunque vacillato nell’unica rapida incursione sul sito Gazzetta nella serata di domenica. Cinque pezzi che parlavano del gol, della dinastia, dello sguardo di papà Paolo… Insomma questa roba qui:

Ah, dimenticavo: c’era anche il paragone tra l’esultanza del giovane virgulto e quella di cotanto padre:

Tutto giusto per carità, e Paolo Maldini è probabilmente il milanista che stimo di più al mondo. Ecco quel che può fare la stampa quando può dare libero sfogo alle proprie pulsioni.

Non che la Gazza cartacea sia stata da meno, ma non tanto per il prevedibile titolone dedicato al ragazzo, rossonero fin da bambino (per una volta che lo è davvero…). Lì il tocco da fuoriclasse l’hanno riservato ai nostri amatissimi: l’Inter torna pazza. Al solito: si poteva decidere di dare risalto allo spettacolo offerto dalle due squadre, siccome quelli bravi dicono di andare oltre al risultato, di guardare il giUoco, alle emozioni regalate alla gente. Oppure si poteva stare sul sicuro e puntare sul rimpianto e le occasioni sprecate dall’Inter (chè ovviamente nel frattempo “Gasp si gode Malinovskyi“).

Indovinate per cosa hanno optato…

MELIUS ABUNDARE

INTER-BOLOGNA 6-1

La facile citazione dal mio altrimenti migliorabile latinorum mi serve per infiocchettare un’ovvietà degna di Catalano: meglio vincere con tanti gol di scarto che con uno striminzito 1-0.

La considerazione diventa già meno ovvia se arriva dalla mia penna, come noto allergica a qualsiasi retorica di bel giUoco e calcio spettacolo: “se voglio divertirmi vado al circo” per me continua ad essere una massima da sottoscrivere col sangue. Però, dopo le due partite contro Samp e Real, culminate in una ventina di tiri in porta che hanno fruttato un pari e una sconfitta, era importante agire sul morale della truppa, lucidando l’argenteria di casa o, se si preferisce la metafora idraulica, sturando il lavandino e assicurando il giusto afflusso di acqua ed il relativo scarico.

Chiaro che la filosofia del Sciur Ambroeus che sorseggia un grigio-verde di prima mattina gli farà dire “orcodighel l’era mej farne duma dü e tenèss gli alter per duman” (dài che si capisce anche per i diversamente lombardi…), ma da queste parti siamo allergici ai luoghi comuni (maledetti per definizione).

Mi vesto da tènnico per raccontare di un Dumfries che continua ad accumulare prove a suo carico, mostrandosi veloce e potente, bravo a trovare subito Lautaro per l’1-0 e offrire un costante sfogo sulla fascia. Da migliorare quando ripiega sul sinistro per accentrarsi, ma ci sarà tempo e modo.

Sull’altra fascia, Di Marco fa riposare Perisic e dà ragione al Fantallenatore che scrive, piazzando un corner al bacio su cui Skriniar incorna il raddoppio e giocando 90′ di personalità, in attesa di banchi di prova più impegnativi.

Contento per Vecino e per il gol che di fatto chiude la partita già dopo mezz’ora: guardando avanti, è importante che almeno uno tra lui e Vidal siano sempre disponibili per dare alternative al terzo di centrocampo. Tolti gli inamovibili Barella e Brozovic – in gol il primo, insostituibile il secondo – Calhanoglu non offre la continuità necessaria a farne un titolare inamovibile. Stante la cronica fragilità di Sensi e purtroppo la indisponibilità sine die di Eriksen, Inzaghi dovrà utilizzare spesso uno dei due sudamericani come versione discount di Milinkovic-Savic, in modo da assicurare kili e centimetri là dove assist felpati e dribbling ubriacanti non sono disponibili.

La partita di Correa dura troppo poco perché si possa dare un giudizio del suo feeling con il Toro: c’è da sperare che la botta al fianco che lo costringe a uscire si riassorba presto, visto che Dzeko non ha goduto del giorno di ferie concordato col capoufficio. Poco male, perché il bosniaco timbra una doppietta che mi strappa applausi convinti soprattutto per il primo dei due gol: intelligentissimo il velo di Martinez, finalmente opportunista e cattivo il Cigno di Sarajevo nel tirare la puntaccia come il miglior rapace d’area. Poco dopo ricorda a tutti di avere un piedino mica da ridere, e quasi dalla linea di fondo beffa il portiere per il 6-0.

Tutto bene quindi? Quasi.

La mia dose quotidiana di sacramenti prorompe anche in una serata di apparente tranquillità, quando vedo il carneade Theate colpire di testa e battere un incolpevole Handanovic per l’inevitabile Primo Gol in Serie A, che torna a romperci le balle dopo qualche mese di salvifica assenza.

Volendo essere petulanti e rancorosi (specialità della casa!) dedico un pensiero all’arbitro Ayroldi, che chiude il primo tempo con qualche secondo di anticipo e i nostri lanciatissimi sulla trequarti, tanto per non dover rischiare che l’Inter segni magari uno o due secondi dopo la fine del recupero (non sia mai, non è mai successo…). Si rifà dopo il 90′, quando Dumfries viene palesemente cianghettato in area. Siamo a fine partita sul 6-1 ma, amico, se c’è un rigore lo devi fischiare. Eccheccazzo.

LE ALTRE

Decido scientemente di non guardare la partita del male, scelta oltretutto agevolata dalla contemporanea finale degli Europei di volley. Esce fuori l’esaltato nostalgico che è in me, e i miei trascorsi pallavolistici, più che trascurabili, mi portano ad azzardare paragoni tra il sottoscritto e il giovane Michieletto, mancino eppure schiacciatore da posto 4. Va beh, vi risparmio i deliri di onnipotenza, praticamente l’Europeo è merito mio…

Tornando a Juve-Milan, leggo di un Allegri incazzato con se stesso e con gli altri, forse consapevole di essersi cacciato in una pozza marroncina e maleodorante, e non posso che concordare e gongolare. Due punti dopo 4 partite sono proprio pochi, la distanza sulla testa della classifica rimane di 8 punti, in attesa del Napoli: la bella novità è che quella distanza adesso la devono recuperare anche a noi. Non mi fido dei gobbi, e soprattutto non mi fido dei miei, quindi piano col de profundis. Si ripiglieranno, questo è certo; la speranza è che lo facciano quando ormai è troppo tardi.

Se i cugini riescono a ottenere elogi anche quando vengono presi a pallate per 80 minuti su 90, figuriamoci quando escono con un pari da una trasferta a Torino. Anzi, potevano vincerla, la manovra scorre fluida e spettacolare, tant’è che becchi un gol in contropiede dopo 5 minuti, ma vuoi mettere? Erano tutti avanti per vincere, per imporre il loro giUoco…

FOCUS

Da buon bastian contrario, faccio sommessamente presente un aspetto che troppo spesso viene ignorato, figlio della totale assenza di senso critico dei media nazionali, cui ha contribuito il trentennio berlusconiano che tant…. scusate, mi è partito l’embolo, ma insomma ci siamo capiti.

Il tema è Milan Lab, primo esempio in Italia di settore medico sportivo integrato, che nei suoi intenti voleva minimizzare se non annullare ogni tipo di problematica psico-fisica dei giocatori rossoneri, grazie a database personalizzati e analisi di dati biometrici per ogni singolo giocatore. È attivo da ormai vent’anni, è forse stato il primo esempio del genere in Italia, anche se la profilazione dell’atleta e la sua gestione su misura sono ormai uno standard per tutto lo sport professionistico mondiale. Soprattutto, al nostro occhio disattento, numero e tipologia di infortuni dei milanisti negli anni sono sembrati del tutto analoghi a quelli di altre squadre, in alcuni casi addirittura peggio.

Per dire, ieri sera Ibra non era disponibile, visto l’ultimo fastidio al tendine d’Achille che già gli aveva fatto saltare la trasferta di Liverpool. Un altro modo di raccontarla potrebbe portare a dire che Ibra ha giocato mezz’ora negli ultimi 130 giorni, ma mi rendo conto che sarebbe una interpretazione faziosa, mica stiamo parlando di Sensi, per cui si rispolvera il pallottoliere ad ogni nuovo stop.

Ma amen, almeno il nuovo acquisto Giroud sarà stato disponibile. Macchè: lombalgia. E non vorrete mica mettere fretta al neo-arrivato Messias -rossonero fin da bambino- e al giovane Pellegri. Morale, oltre alla pattuglia degli attaccanti, tutta ai box tranne Rebic (e tanta grazia per i rossoneri!), danno forfeit anche Calabria, Krunic e Bakayoko, con Kjaer ad alzare bandiera bianca dopo nemmeno un tempo di gioco.

È quindi strano che situazioni del genere non facciano sorgere spontanee domande che, in altre piazze, periodicamente vengono poste con cipiglio e intransigenza: ma tutti questi infortuni? La preparazione è stata sbagliata? Chi ne è responsabile? Si ha come la sensazione (cit.) di un disallineamento tra allenatore e staff medico? Tutte domande che, a maglie diverse, più e più volte sono state fatte da giornalisti che si ergevano a ortopedici e fisiatri improvvisati. Qui invece va tutto bene, avanti tutta e soprattutto #atestaalta.

È COMPLOTTO

Tornando dalla parte giusta del Naviglio, vi segnalo un paio di chicche che forse vi sono sfuggite. Luca Taidelli sulla Gazza riesce a definire “cinica come un cobra” una squadra (toh, l’Inter!) che fa sei gol in 90 minuti. Chiaro e perfino condivisibile il ragionamento: stavolta è riuscita a concretizzare quasi tutto quel che ha creato, cosa che contro Samp e Real non è riuscita a fare, ma al solito, est modus in rebus (così facciamo il paio con la citazione iniziale): nel gergo calcistico, definire una squadra cinica vuol dire fingere di farle un complimento, intendendo che ha vinto di culo con l’unico tiro in porta della partita. Non esattamente una fedele fotografia del sabato appena trascorso a San Siro.

Spostandoci su temi economici, apprendiamo che anche questa settimana l’Inter è in vendita, anche se non si sa a chi, per quanti soldi e quando sia previsto il closing.

Mo’ me lo segno (cit.)

Per chi si fosse distratto, e pensasse che le difficoltà dell’Inter siano un unicum in tutto il mondo del pallone, vale la pena ricordare che in settimana la Juve ha presentato il consuntivo dell’ultimo bilancio, chiuso a giugno 2021 con un passivo di oltre 200 milioni e debiti per quasi 400, da coprire con un imminente aumento di capitale.

Lo stesso Manchester United ha chiuso l’ultimo esercizio con 100 euro di perdita e circa 500 di debiti. Diciamola meglio: tolto il solito inarrivabile Bayern Monaco – non a caso preso come esempio dal progetto Interspac di Cottarelli – tutti i top club d’Europa hanno i conti che piangono, in particolare debiti finanziari che fanno bruciare cassa.

Niente di cui rallegrarsi, nessun tentativo di “mal comune mezzo gaudio”, anzi: consapevole che la situazione di Suning sia appesantita dai problemi con la madrepatria, ma qui pare che solo l’Inter bruci cassa ad ogni mese ed abbia una bomba sotto il culo pronta a esplodere.

L’importante è dire questo. Per spiegazioni, approfondimenti, confronti con altre realtà, ripassare domani.

Foto di spalle così non si vede quella vomitata di gatto della terza maglia

A TESTA ALTA

INTER-REAL MADRID 0-1

Per i pochi che non ci arrivassero di loro, il titolo ha una corposa dose di sarcasmo, chè certe definizioni a me, come dicono a Roma, me rimbalzano. Sai chemmefrega di perdere così (cosa alla quale sono invece interessatissimi i nostri cugini).

Perdiamo una partita che meritavamo di pareggiare ma non di vincere, visto che la mezza dozzina di palle gol non sfruttate è colpa nostra ben più che merito di Courtois, che deve superarsi solo sul colpo di testa di Dzeko nel secondo tempo. Le altre parate, almeno tra di noi diciamocelo, sono di ordinaria amministrazione: spettacolari perchè l’occasione era ghiotta, ma i nostri sembravano avere il goniometro e mirare al centro della porta. Non a caso l’urlaccio più forte l’ho tirato sul destro di Brozovic che, lemme lemme, è finito a fil di palo a portiere battuto.

La mia analisi della partita non è diversa da quella che si legge sui giornali: buona Inter nel primo tempo, decisamente migliore di un Real lento e compassato, musica diversa nella ripresa. I cambi sorridono a Ancelotti (non Carletto, nemmeno Carlo, mannaggia a tutti i giornalisti che continuano a chiamarlo manco fosse loro cugino): lui fa entrare due giovanotti che guarda caso confezioneranno il sifulotto finale (Camavinga e Rodrygo), noi cambiamo gli esterni senza grossi effetti, se non quello di liberare il velocissimo Vinicius che solo un monumentale Skriniar riesce a fermare appena prima che le sue serpentine diventino fatali.

Dumfries dimostra di avere la velocità di Hakimi, che non è poco, ma di dover lavorare ancora tanto quanto a tattica e intelligenza calcistica. E Hakimi stesso, calcisticamente parlando, è un cavallone, non un filosofo della fascia come Brehme, quindi addavenì baffone… Darmian al momento è da preferire per l’affidabilità che anche ieri sera ha dimostrato. Niente picchi verso l’alto, ma nemmeno svarioni difensivi.

Mi sono piaciuti molto sia Barella che Brozovic, che assommano alle qualità tecniche anche una costanza di rendimento che invece manca totalmente a Calhanoglu, impalpabile anche ieri sera: secondo me è rimasto in campo unicamente nella speranza di una punizione dal limite che la difesa del Real si è guardata bene dal concedere.

Correa -che di suo ha combinato poco o nulla – è entrato ancora al posto di Martinez e non di un Dzeko che, aldilà del paio di occasioni avute, è parso in versione spaventapasseri piantato sulla loro trequarti, senza nemmeno il lodatissimo lavoro di cucitura col centrocampo che tanti applausi gli ha portato (non da me, come sapete). Era da togliere lui? Secondo me sì, giusto per vedere l’effetto che fa, anche perché questo c’ha 35 anni, se basiamo la nostra stagione sul fatto che lui giochi sempre 90 minuti abbiamo un problema.

Ad ogni modo: la Champions è dura e lo sappiamo. La situazione è la stessa degli ultimi tre anni: la qualificazione ce la giochiamo contro le altre due, ma ieri sera un punto avrebbe fatto comodo proprio per la classifica, oltre che per il morale. Aver perso contro un Real comunque rimaneggiato (non c’erano Bale, Marcelo e Kross, Hazard è rimasto seduto 90 minuti) fa male pensando al ritorno al Bernabeu, dove portar via punti sarà ancora più difficile.

Per una volta, insomma, sono più pessimista dei media che parlano di rammarico e dell’inevitabile beffa per la sconfitta finale. Per me non aver sfruttato le occasioni avute (come già a Genova domenica scorsa) è peccato mortale, e più ancora del monumentale Lukaku (facile da rimpiangere) ieri sera mi sarei accontentato del cinico ed essenziale Icardi. Per rispetto delle semidivinità, non arrivo a tirare in ballo la visione celestiale che è apparsa sugli schermi di Amazon nel prepartita, con Milito in compagnia di Julio Cesar e Seedorf a commentare le gesta terrene dei nostri eroi in braghette.

A TESTA ALTISSIMA

Ecco, se allarghiamo il discorso ai cugini un po’ di cose non mi tornano. Stante la contemporaneità non ho visto la partita, se non in forma di sintesi e di commenti post-gara. Se però asciughiamo i commenti dalla saliva dei soliti lecca…piedi, vedo numericamente un dominio del Liverpool interrotto dagli ultimi minuti del primo tempo in cui il Milan riesce a sorprendere i Reds e ribaltare il risultato. Per carità: alla fine abbiamo perso entrambi, quindi ha anche poco senso stare a filosofeggiare sul “come” ma, ancora una volta, la tendenza di certi media a metter tutto insieme parlando di Doppia Beffa, quando non di Orgoglio Milan – Beffa Inter mi fa girare le balle.

Se si vuole fare un’analisi aldilà del risultato (che resta ahimè la cosa più importante) l’esercizio è semplice: l’Inter meritava il pari, al Milan è già andata bene così.

Ma poi chi glielo dice a Theo, Franck, Piolisonfaiar e tutti gli altri?

Infine: applausi a scena aperta a Simone Inzaghi e più probabilmente al suo addetto stampa, vista la varietà di locuzioni usate per non incorrere nel mitologico Spiaze: da Zè ramarico siamo passati a il dispiazere rimane. Chapeau, anzi: Sapò.

Lui era fisso che scrutava nella notte (cit.)

FASTIDIO

SAMPDORIA-INTER 2-2

Partita difficile da digerire, nonostante le 48 ore fatte passare. E le criticità gastriche non sono dovute solo alle contemporanee vittorie di Roma e Milan; è proprio l’andamento dei nostri 90 minuti a lasciarmi l’amaro in bocca.

Sia chiaro: a questo punto del campionato non sono i due punti lasciati a Genova a preoccuparmi, quanto piuttosto l’incapacità di essere brutti e cattivi quando serve. Il pragmatico catenacciaro che è in me potrà perdonare la giornataccia della squadra che fatica a creare occasioni da gol, che – usando gergo tecnico – gioca demmerda, ma mai gli errori sotto porta che ti fanno venire l’acquolina in bocca, mentre pregusti la pizza che vedi arrivare da lontano passarti di fianco e fermarsi al tavolo dietro di te.

Mentre tratteggio la delicata metafora culinaria, mi passano davanti agli occhi le tre occasioni mariane sciupate dai nostri in meno di cinque minuti a inizio secondo tempo. Tutto ciò è bastato per far seguire alle canoniche Madonne alcune considerazioni ancestrali del tipo “con tutto quel che ci siamo mangiati va bene se non la perdiamo ‘sta partita qua…“. San D’Ambrosio per fortuna mi viene in soccorso, visto che alla mezz’ora salva sulla linea un diagonale velenosissimo a portiere battuto.

Fatemi ora abbandonare l’obiettività che faccio finta di avere quando parlo di Inter e concedetemi qualche riga di sfogo su tre nostri giocatori, che ovviamente sarò pronto a idolatrare alla prossima partita giocata come Cristo comanda.

Handanovic: incolpevole sui due tiri che portano ai gol. Il primo oltretutto subisce la deviazione probabilmente decisiva di Dzeko, ma su quel troiaio che precede la pesciada di Yoshida rimane per la millesima volta in carriera col guinzaglio agganciato al palo e non esce su una palla lenta, stupida, fatta apposta per essere presa in volo, probabilmente subendo anche fallo.

Non riesco nemmeno a finire gli improperi a supporto del “Non esce mai questo…” ed ecco la prossemica che ben conosciamo: posa ieratica, braccia penzolanti, sguardo rassegnato e palla nel sacco. So benissimo che la mia è una critica eccessiva per quel che è (stato) un grande portiere, ma mi tengo lontano dal buonismo integralista che accusa noi critici di disprezzare un portiere che per dieci anni ci ha tenuto a galla. O meglio: non ho problemi a dire che Samir per anni è stato tra i migliori al mondo, ma se la gratitudine fosse l’unico parametro di giudizio, allora Walter Zenga o Julio Cesar dovrebbero giocare una domenica a testa per i prossimi vent’anni.

Morale: posto che il suo sostituto doveva arrivare due anni fa, e poi ancora l’anno scorso, vediamo di fare una ricerca seria e di non farci trovare impreparati alla fine di questa stagione.

Dzeko: già ho scritto circa le mie riserve sul concetto filosofico del centravanti di manovra (“può piacere o non piacere, su questo non discuto” (cit.)). La cosa che tollero ancor meno – e qui ormai dovreste conoscermi a sufficienza da non esserne stupiti – sono i pregiudizi, positivi o negativi che siano. Esattamente come anche il più banale appoggio di piatto di Pirlo al portiere era un lancio illuminante del Maestro, ogni corsa all’indietro del bosniaco è intelligentissima, fatta per aiutare i compagni, a servizio della manovra. Fernando Orsi, che commenta la partita su Sky insieme a Compagnoni (poi ne avrò anche per lui), addirittura vede un velo – ovviamente geniale – del bosniaco che libererebbe Lautaro per il gol del momentaneo 2-1. Se non avete visto la partita: Dzeko si limita a fare – per una volta! – quel che deve fare l’attaccante, e cioè dividersi gli spazi in area col compagno. E quindi, essendo Lautaro sul palo lungo, taglia sul primo. Niente di più. Ma la palla di Barella è precisa di suo, e sarebbe arrivata a destinazione indipendentemente dal lavoro di Dzeko.

Tanti i ripieghi a centrocampo del bosniaco, che sale a cucire la manovra facendo andare in sollucchero gli esteti del bel giUoco. Io da grezzo osservatore finisco presto le dita per contare le volte in cui invece la sua presenza latita là davanti, con il solo Martinez a doversi smazzare tutto il fronte d’attacco.

Quando poi, subìto il pareggio di Augello, Perisic entra in area dalla sinistra, il croato non tira in porta ma preferisce mettere palla lunga sul secondo palo per il tap-in del compagno: troppo poco elegante la scivolata, l’allungo a ruzzolare sull’erba. No: meglio non accelerare nemmeno il passo, e voltarsi verso il compagno chiedendo un passaggio più facile. Vedrai che la prossima volta, Perisic, da quella posizione tira, e magari segna anche.

Sensi: qui si rischia veramente di essere politically incorrect, perché non è né bello né giusto arrabbiarsi con un ragazzo che ha problemi fisici purtroppo sempre più evidenti. Fatta la doverosa premessa, a livello medico e societario è però giunto il momento di fare un discorso chiaro: che cosa può dare un giocatore che da quasi due anni gioca nei ritagli di tempo tra un infortunio e l’altro, e che, da ultimo, rimedia una distrazione del collaterale andando a contendere palla come tutti noi facciamo ad ogni fottutissima partita di calcetto con gli amici? Si parla spesso di profondità di rosa, facendo l’elenco delle figurine ma tralasciando un importante dettaglio: quanto sono affidabili i cosiddetti rincalzi? Detto che uno come Sensi sano per me è titolare fisso nell’Inter e forse anche in Nazionale, cosa me ne faccio di una riserva che, quando chiamato in causa, marca visita otto volte su dieci?

Abbiamo avuto lo stesso problema l’anno scorso con Vecino, Vidal e Sanchez: tre alternative mica da ridere sulla carta, tutti infortunati cronici per più di metà stagione. Hai voglia a raccontare la favola della panchina lunga: ti giri e ti ritrovi con Ranocchia, D’Ambrosio, Gagliardini e due Primavera…

LE ALTRE

Ringraziato il Napoli per la godibilissima partita vinta contro i Gobbi, tocca rendere i giusti meriti al Milan, che non ne avrebbe bisogno viste le lodi sperticate ai ragazzi di Pioli. I cugini vincono facile con la Lazio, ancora lontana dall’essere una squadra, e mostrano un Tonali davvero trasformato rispetto al modesto gregario visto l’anno scorso. Ricordo che sul bresciano pende la benedizione di Totti che di lui disse “dei tanti bravi giovani centrocampisti che abbiamo, per me lui è il migliore“. Che dire? Da interista spero che queste prime partite siano un brillo estemporaneo e che torni a galleggiare senza costrutto tra campo e panchina, ma per quanto fatto vedere fin qui tanto di cappello.

E’ COMPLOTTO

La stampa come detto è lestissima a riattivare la mielosa retorica dei bravi ragazzi rossoneri, facendo passare come un recupero lampo i 4 mesi di Ibrahimovic e tralasciando il fatto che la terapia conservativa inizialmente scelta si fosse dimostrata la strada sbagliata.

La combo MilanLab+Milanello Bianco può questo ed altro (e non sfugga la citazione “Silviesca” nel titolo)

Ma si riesce a fare di più: si torna al gol di Augello, blucerchiato suo malgrado ma ovviamente tifoso del Milan fin da bambino e – probabilmente per quello – ragazzo splendido cresciuto con sani valori. Per i puristi: il titolo della Gazza ha anche l’esclamativo, una sorta di +1 al Fantacalcio per l’assist.

Avevo promesso una nota di demerito per Compagnoni che, come tanti altri telecronisti, ha innegabili qualità, ma che non ho mai particolarmente amato. Noto in lui più che in altri la tendenza alquanto paracula di abusare della locuzione “si ha come la sensazione…“, nella sua variante “l’impressione è che…“. Niente di male, per carità, ma un telecronista dovrebbe raccontare quel che avviene, o al limite dare il suo parere su quanto sta accadendo, non raccontare di sensazioni epidermiche che non danno alcun valore aggiunto alla narrazione, e che oltretutto non di rado – come domenica – vengono sbugiardate dai fatti in tempo zero.

Andiamo nello specifico. Su entrambi i recuperi di primo e secondo tempo, la sua “sensazione” è che l’arbitro possa far giocare oltre quanto inizialmente stabilito. Nel primo tempo toppa in pieno, con Orsato che anzi fischia due secondi prima della fine dell’ultimo minuto. Nella ripresa inizialmente gli dice bene, visto che i sei minuti diventano effettivamente sette, ma il ragazzo non è contento e insiste “si potrebbe arrivare a 7:30, forse anche 8:00“. Niente, al 97:01 arriva il triplice fischio.

Domanda da cacacazzi: ma non sarebbe meglio, se proprio si vuol fare i saputelli, dare il beneficio del dubbio e dire “vediamo se l’arbitro vorrà dare un supplemento di recupero“? Un inguaribile illuminista come me sarebbe più contento: almeno lì poni un dubbio, avanzi una possibilità, non ti fai guidare da non meglio precisate impressioni, inconfutabili proprio perché impalpabili e quindi nemmeno degne di essere catalogate come opinioni.

Bah, potenza dello storytelling…

Chiudo con l’ultimo prurito di giornata provocato, guarda caso, da Arrigo Sacchi, che non perde occasione per tornare in cattedra denigrando lo spettacolo offerto da Napoli e Juventus nell’anticipo di sabato: “mi sembrava una partita degli anni ’70“. Sempre simpatico e per nulla autoreferenziale il nostro quando ci passeggia sui testicoli parlando di gioco offensivo e spettacolare in contrapposizione all’italico vizio della difesa ad oltranza e del guizzo del singolo…

Sono stato sollevato dal vedere realizzata la mia profezia in tempo zero, quando l’ho sentito innalzare lodi al calcio spettacolo del Sassuolo e denigrare Mourinho e la Roma, in quella che invece è stata una partita divertentissima da guardare per un appassionato di calcio (il tifoso probabilmente avrà perso qualche anno di vita…).

Niente di più prevedibile. Mi raccomando, ancora avanti così: i buoni tutti da una parte, i cattivi tutti dall’altra, e tutti a battere le mani al Venerabile Maestro.

APERITIFSPIEL – ALT. VERSION

Fin dall’inizio sapevo che sarebbe finita così…

I ballottaggi strappacuore sul centravanti da inserire sono niente rispetto all’assortimento sconfinato di bidoni, promesse mancate, casi psichiatrici, piedi fucilati e compagnia cantante che in questi 25 anni ha indegnamente indossato la casacca nerazzurra.

Un minimo di condizioni di esistenza.

Cercherò di spiegare di volta in volta se il prescelto si è guadagnato il posto in questa blacklist per mancanza dei requisiti minimi di sussistenza (fuori di metafora: sei scarso!) o perché avrebbe potuto ma non ha fatto, o perché si è macchiato di uno o più comportamenti (sia dentro che fuori dal campo) incompatibili con qualsiasi galateo calcistico degno di tal nome.

Posto che l’obiettivo ultimo di questa seduta di autocoscienza è la damnatio memoriae, non metterò foto di questi figuri, nella vana speranza di potermene scordare il prima possibile. Forza, allora, cominiciamo:

Col numero 1 facendo lo schizzinoso avrei potuto inserire Cinghialone Peruzzi o Sebastien Frey ma, pur avendo lasciato un retrogusto agrodolce nel loro breve trascorso nerazzurro, non sono certo stati cattivi portieri. Quindi saltiamo il portiere e cominciamo dal terzino.

Con il numero 2: Il Divino… Jonathan

Aldilà degli aspetti mitologici associati al personaggio, arrivato come primo di tanti “nuovi Maicon”, Jonathan ha avuto 30 secondi di gloria contornati da stagioni di assoluto anonimato, quando non di induzione alla blasfemia calcistica. Semplicemente non da Inter, non da Serie A. Full stop. Ben vengano le parodie e i meme che fanno SEO e muovono l’algoritmo, ma nulla più di questo.

Con il numero 3: Fabio… Macellari

Come forse sapete, ho un debole per il ruolo, che mi rende assai suscettibile ed esigente in materia. Avrei quindi potuto inserire quasi a caso un qualunque affittuario del numero magico, e sarebbe comunque stato indegno di tanta gloria. Macellari però va oltre, pur pagando colpe non sue (che già di sue, poveretto, ha dovuto scontarne abbastanza…). Succede che ogniqualvolta negli anni ho dovuto sentire la manfrina dei troppi stranieri in squadra e dei pochi italiani in rosa, rispondevo quasi in automatico: “Ricordo che l’ultima volta che abbiamo avuto una difesa di ragazzi italiani avevamo Bruno Cirillo sulla destra, Matteo Ferrari in mezzo e Fabio Macellari sulla sinistra”.

Ovviamente saltiamo il 4, per arrivare a…

Con il numero 5: Francesco… Dell’Anno

Una delusione immensa. L’avevo accolto come il regista illuminato che ci mancava dai tempi di Matteoli, si è trascinato per una stagione ciabattando in campo con la lena di un condannato ai lavori forzati. Primo caso (il secondo è stato Balotelli) di giocatore fischiato da San Siro sulla fiducia già al momento del suo ingresso in campo dalla panchina.

Una nota di colore: nello stesso anno in cui Felice Centofanti firmava i suoi autografi “100fanti“, lui iniziò a firmarsi “Dell’365”. Fine.

Con il numero 6: Roberto… Carlos

Sì, sì… lo so. Sono un senza Dio, è stato il più forte terzino del mondo, tutto quello che volete. L’ho adorato per il primo mese di Inter, ma ora di Ottobre mi aveva già rotto i coglioni. Ritorno su una storia già raccontata in passato. La stagione 95/96 è stata la prima ad introdurre le statistiche applicate al calcio: c’era la curiosa figura di Adriano Bacconi ad introdurci ai rudimenti di medie, mediane, trend, eccetera.

Tutta roba se volgiamo ancora abbastanza spartana, ma sufficiente ad evidenziare un dato preoccupante. Nella speciale classifica dei tiri in porta tentati, a fine stagione in testa c’era Batistuta (ovvio, essendo il classico centravantone-della-Madonna): ecco, il secondo in classifica era Roberto Carlos. Quattro, cinque, sei volte a partita prendeva palla e sparava in porta da 30 metri o più. Le prime volte, sfruttando il piacevole fattore-novità, segnava con una certa frequenza (tre dei suoi 5 gol in campionato arrivano prima del 1° Ottobre, uno degli altri due è un rigore) ma, capito il giochino, i portieri lo aspettavano e neutralizzavano i suoi tentativi sempre più velleitari.

Poi, se mi dite che bisognava tenerlo e farlo crescere per sfruttarne le indubbie doti offensive, col senno di poi posso anche essere d’accordo. Ricordo però, come già fatto altre volte, che al momento della cessione nè Milan nè Juve si fecero avanti per sfruttare l’apparente abbaglio dell’Inter.

La verità, come vedremo per altri numeri di questa lista, è che con i giovani è sempre una lotteria, e ti può capitare di dar via quello che altrove diventa un fenomeno. Ma non rimpiangiamo quella stagione di Roberto Carlos all’Inter come un campionario di magie e finezze.

Chiudo con l’ennesimo Luogo Comune Maledetto: Hodgson gli preferiva Pistone, smentita proprio dal diretto interessato ma talmente “bella” da essere tramandata di anno in anno.

Con il numero 7: Sergio… Conceiçao

Quel che l’immortale Ezio Luzzi una volta chiamò “Cosenzao” è stata una delusione, anche se “nasata” da lontano. Ho sempre pensato che quello visto alla Lazio fosse un positivo effetto collaterale di un centrocampo che poteva schierare, tra gli altri, Veron, Simeone e Nedved. Come a dire che lì in mezzo in tanti avrebbero potuto dire la loro.

Se non altro il ruolo era perfetto per il granitico 4-4-2 di Cuper, ma di dribbling e cross vincenti in due anni ne abbiamo visti pochi. Molte di più le palle perse, spesso seguite da braccia levate al cielo in segno di disappunto, e un’espressione scazzata pure quando segnava.

Con il numero 8: David… Pizarro

Aveva tutto per entrare nelle mie simpatie: regista (udite udite, proprio di ruolo, non uno dei tanti “non è il suo ma può adattarsi), cileno (e dopo Zamorano ero pronto anche ad invaghirmi di un capomastro di Vina del Mar), intelligenza calcistica superiore. Invece, è arrivato un trottolino tabbozzo e dribblomane, che anzichè far partire l’azione velocemente insisteva a dribblarne due o tre prima di perder palla sulla nostra trequarti. Da speranza a destinatario dei miei “dalla via ‘sta palla!” in meno di un girone, è migrato a Roma per vederci vincere scudetti e coppe in sequenza.

Pingue consolazione e magra vendetta verso El Pek.

Con il numero 9: Darko… Pancev

Anche se molti interisti avrebbero inserito qui Icardi, per me “ball don’t lie” come dicono in NBA, e quindi faccio il ragionamento valido per Bobo Vieri: uno che segna più di 100 gol con l’Inter meriterà sempre e solo il mio grazie, indipendentemente da mogli, procuratori, rapporti con la Curva, compagni e allenatore. E’ invece un altro malcapitato nella storia nerazzurra ad aggiudicarsi l’ambita maglia da (would to be) centravanti: Il Cobra, o il Ramarro, a seconda delle preferenze etologiche.

Perfino superfluo ricordare il tanto che ci si aspettava da lui e il poco che ha dato. Rimane il fascino dello zingaraccio maledetto, e indolente, sorriso beffardo da Ligabue dei Balcani, pieno di soldi e già nella storia per la Coppa Campioni conquistata a Bari nel 1991.

Il Signor Carlo capirà e non potrà che convenire.

Con il numero 10: Domenico… Morfeo

Come già sunteggiato per Roberto Carlos, e come poi vedremo per un altro giocatore compreso nella lista, anche per Morfeo possiamo tornare sul concetto di grande talento inespresso.

Per il potenziale che aveva a disposizione, ha reso forse al 50% di quel che avrebbe potuto. Sinistro sapiente, ottima visione di gioco, furbo e cattivo quanto basta, alternava però tutto questo a tante, troppe esibizioni fatte di indolenza, superficialità e supponenza. Le Madonne che ho tirato a lui (ma ancor di più a Cuper che l’aveva messo in campo sul 3-1 per noi) in un lontano Inter-Roma in cui c’era solo da gestire gli ultimi 20 minuti hanno risuonato al primo verde di San Siro per mesi e mesi.

Al min. 5.45 il capolavoro del nostro, vecchio di quasi vent’anni ma ancora impresso a fuoco nella mente di chi scrive. Da lì è entrato con un biglietto di sola entrata nella lista nera.

A tutto ciò associa l’aggravante di essere involontariamente inciampato (come tutto il Milan) in uno scudetto conquistato con più culo che anima, nell’anno di (dis)grazia 1999.

Con il numero 13: Fabio… Cannavaro

Non voglio essere scurrile e screanzato. Mi limito a questo: self explaining.

Con il numero 14: Fredy… Guarin

Emblema dell’Inter di quegli anni: brilli estemporanei alternati a nefandezze perpetue (cit.). Avesse avuto anche solo metà del cervello calcistico di uno a scelta tra Cambiasso, Stankovic o Matthaeus, avremmo avuto in casa un campione. Fisico, tiro, quando in buona anche doti di leadership, ma una incostanza degna della peggior nobildonna capricciosa. Per intenderci, capace di risolvere un Derby da solo e di buttare in vacca una partita con un retropassaggio di questo tipo (min. 3,30). In mezzo, tante buone mezze partite, tanti tiri al terzo anello, fino alla salvifica cessione in Cina. Assolutamente non rimpianto.

Con il numero 15: Fabian… Carini

Il terzo portiere della Juve è vittima innocente di queste righe, ma è parte integrante della sceneggiata messa in piedi dal succitato Cannavaro, con la cortese collaborazione dell’altrettanto summenzionato Moggi e di Paco Casal, traffichino sempre presente quando le acque non sono limpide.

Nulla di personale, ma non poteva non essere inserito nella blacklist.

Con il numero 16: Nicolas… Burdisso

Nutro un’ammirazione notevole per la persona, a partire dai problemi familiari fortunatamente risolti all’inizio della sua parentesi nerazzurra (e anche in quel caso chapeau al Sig. Massimo), per arrivare a coscienza sociale extra-calcistica.

Dentro il campo, è stato un buon difensore, ovviamente criticato più ed oltre dei propri demeriti finché tesserato nerazzurro, e invece celebrato negli anni di Roma, quando il ritornello polemico era “Burdisso a cui l’Inter non riusciva a trovare un posto in squadra, alla Roma invece sta facendo faville“. Nessuno ovviamente si sognava di dire le cose come stavano, e cioè che per essere bravo era bravo, ma che i vari Lucio, Samuel, Materazzi, Cordoba lo erano di più. Fine della storia.

Trova posto in questa lista dei cattivi per un errore troppo grave per passare nel dimenticatoio, e che ricordo distintamente essendo stato commesso in un Inter-Juve di fine Marzo 2008, a soli pochi giorni dalla nascita del rampollo di famiglia. Accomodo il poppante in culla a fianco del divano e non posso nemmeno sacramentare come l’occasione avrebbe richiesto per non turbare la quiete familiare. Non mi è mai andata giù…

Con il numero 17: Zdravko… Kuzmanovic

Centrocampista legnoso, ruvido e macchinoso, comprato in tempi di magrissima economica. Sono gli anni più duri del nostro recente passato, in cui pochi mesi bastarono a veder sparire dalla rosa giocatori come Julio Cesar, Sneijder, Maicon e comparire carneadi quali Ruben Botta, Laxalt e, per l’appunto, il Kuz.

Avere pochi soldi da spendere fa parte dei corsi e ricorsi storici. Spenderli male in quei momenti però è ancor più grave…

Essere calciatori mediocri non è una colpa in sè, mica possono essere tutti fenomeni. Quel che non ho mai tollerato del serbo-svizzero è stato il voler sembrare quel che non era. Se vuoi essere un vero “tuttocampista”, o ti chiami Stankovic, o Yaya Touré, o roba simile… Lui non era un regista, non era un incontrista, non era un incursore. Faceva un po’ di tutto ma non era abbastanza.

Come dice Giacomino Poretti in “Chiedimi se sono felice”… “…insomma fu un po’ tutto, e non fu niente”. (min. 4.55).

Con il numero 19: Bernardo… Corradi

Altro caso di giocatore “poco colpevole” per quanto fugace è stata la sua parentesi nerazzurra, e che però assomma in sé un paio di caratteristiche mal tollerate dal sottoscritto: caso tipico di centravanti che segna poco ma si muove bene per i compagni (davano del “generoso” a Graziani, che però di gol in carriera ne ha fatti quasi 200, questo qua in Serie A non supera gli 80), ma comunque celebratissimo dalla critica, forse perchè ci segna contro in quell’Inter-Chievo del dicembre 2001, quando il mondo si accorge dei “mussi volanti” di Clouseau Delneri; infine, in maglia Lazio e con il maledettissimo Piojo Lopez, si esibì in balletti a ripetizione, poi zittiti da una delle migliori esibizioni di Emre Belozoglu (a.k.a. il Maradona del Bosforo).

Ecco, nella mia deontologia calcistica, il balletto post-gol equivale ad aprire la caccia all’uomo. Intollerabile, peggio di scartarli tutti e segnare di testa a porta vuota dopo essersi inginocchiati sulla linea di porta.

Con il numero 20: Sulley… Muntari

Uno dei calciatori che, nella sua parentesi interista, mi ha fatto incazzare di più. Devo dargli il merito di un paio di gol pesanti (anche se quello con la Juve a momenti lo sbaglia…) ma i due minuti di Catania a inizio 2010 sono sufficienti a farlo inserire nelle primissime posizioni della blacklist. Come tanti altri centrocampisti “non pensanti” (Felipe Melo altro esempio) era un pericolo sempre in agguato, con il fallo inutile o la crisi di nervi a livelli altissimi di esondazione.

Per i precisètti: Sulley ha vestito anche l’11 ed il 77, ma nella prima apparizione in nerazzurro aveva il 20. Oh, poi se non vale posso sempre mettere Recoba!

Con il numero 21: Andrea… Pirlo

Altro caso che per molti di voi equivarrà a bestemmia calcistica, ma chi mi conosce sa quel che penso di lui. E aldilà di questo, qui parliamo di quel che i calciatori hanno fatto nella loro parentesi nerazzurra. E lui, all’Inter ha fatto poco al cazzo.

Torno a quanto detto a proposito del numero 6 e del numero 10 di questo nefasto elenco: a vent’anni è ancor oggi molto difficile capire chi sarà il “crack” e chi invece rimarrà il bel giocatorino ma nulla più di quello. Chi ha un minimo di onestà intellettuale converrà con me che Pirlo ha iniziato ad essere il giocatore che è poi stato solo a partire dal 2001, quando Mazzone (e non Ancelotti!) lo sposta regista anche per lasciare Baggio a pennellare calcio in posizione da “10” classico. Quindi, prima di quell’invenzione, il bresciano era uno dei tanti talentuosi trequartisti, con piedi fatati ma senza il fisico nè tantomeno la velocità per giocare sotto la punta, un fantasista che evidentemente non riusciva a convincere gli allenatori dell’epoca -e cazzo, ne cambiavamo una manciata a stagione in quegli anni- a giocare al posto dei vari Baggio, Recoba and Co.

Sacrilegio? Forse. O forse no.

Ricordo per i soliti amanti dei Luoghi Comuni Maledetti che dalla cessione di Pirlo al Milan l’Inter ricavò comunque 35 miliardi di lire. Niente scambio alla pari con Guglielminpietro, quindi.

Con il numero 22: Adem… Ljajic

Giocatore stilisticamente splendido, talento da vendere. L’anno in cui arriva fa la scelta avventata di scegliere quel popò di numero, facendo storcere il naso a tanti di noi. Arriva oltretutto in coppia con Jovetic, altro diamante di classe ma come lui dotato della solidità e della grinta di un lombrico.

Non ha particolari colpe, lo riconosco, ma che una punta scelga il numero di Milito a così poca distanza dall’addio al Principe è un peccato di ubris che non gli si può perdonare. Vero, il numero l’anno prima l’aveva già scelto Dodo, altro mascariato dalla maledizione della fascia sinistra nerazzurra, ma quello lì almeno era un difensore!

Con il numero 23: Christian…Brocchi

Antipatia allo stato puro, devo essere sincero, già nella trascurabile stagione interista. Ennesimo giocatore medio (non mediocre) che i casi della vita, e l’inevitabile culo che da sempre circonda tutto ciò che è rossonero, hanno fatto assurgere a grande campione in quanto panchinaro del Milan di Ancelotti. Godibilissimo nel ruolo di pupillo della premiata ditta Silvio&Adriano, dopo il fallimento da Mister rossonero (come i colleghi “cuori rossoneri” Pippo e Clarenzio) negli ultimi tempi sta mostrando mirabilie sulla panca del Monza. A chi potesse interessare, il combinato disposto tra proprietà, dirigenza e allenatore ha fatto allontanare chi scrive da ogni simpatia biancorossa (peraltro da sempre alquanto blanda), spingendomi nel contempo a supportare l’arcirivale Como.

Un divertissement e nulla più, ma quando leggi stronzate simili, come fai a resistere…

Con il numero 24: Vratislav… Gresko

So che le cose non accadono per effetto di una sola causa. So che, nella vita così come nel calcio, saltare a facili conclusioni è spesso fuorviante. So che non è giusto ridurre il tutto ad un singolo episodio, ma… è tutta colpa sua.

Passi Moggi, passi l’arbitro De Santis, passi l’Udinese in versione zerbino, ma nulla mi toglie dalla testa che se fossimo andati al riposo sul 2-1 per noi, quel 5 maggio lo scudetto sarebbe stato nostro.

Invece, il minchione pensò bene di fare quel cazzo di retropassaggio di testa, dando il via ad un effetto valanga che ha rovinato tutto. Non metto i link. Fa ancora troppo male…

Non l’avrei perdonato nemmeno fosse stato Ronaldo o Vieri, figuriamoci questo slovacco scaleno che, notizia degli ultimi giorni, nel dopo-partita addirittura si chiedeva come mai tutti fossero così tristi e incazzati, e che insomma a lui di perdere uno scudetto all’ultima giornata era già capitato tre volte. Non mi capacito di come Materazzi, che ha riportato la notizia un questi giorni, non l’abbia terminato seduta stante…

Con il numero 25: Vampeta

La storia la sappiamo tutti, quella del giocatore un po’ Vampiro e un po’ Capeta (Diavolo), da cui l’accattivante soprannome. Il baffetto alla Clark Gable ed una certa metrosexualità hanno contribuito a celebrare la portata di questo “pacco”. Camminava per il campo come il peggiore Andrade dei tempi di Roma anni ’80 (non a caso soprannominato “Er Moviola”), venne presto spedito al PSG dopo che era stato compagno di Ronaldo ad Eindhoven. Del resto il Fenomeno, campione assoluto sul campo, è sempre stato rivedibile nel ruolo di talent scout: oltre a Vampeta, suggerì il terzino sinistro Gilberto

Lapidario il commento di Brunone Pizzul dopo la finale del Mondiale 2002: “E va beh… anche Vampeta è campione del Mondo…”. Sipario.

Con il numero 31: Jérémie… Brechet

Ennesimo tentativo di pescare il jolly per colmare l’annosa lacuna del terzino sinistro. Uno dei pochi casi in cui la parola “fallimento” può essere usata senza tema di smentita. Talmente scarso da risparmiare il giro di gogna mediatica al collega di ruolo e di maglia Alvaro Pereira.

Con il numero 34: Martin… Rivas

Confesso che ho dovuto ricorre alla rete per ricordarmi il nome. Del resto, questa è la sua pagina di Wikipedia. Il trascorso nerazzurro è pressocchè nullo, ma è la prova vivente di quel che potremmo definire l’indotto Recoba. Non solo 10 anni del Chino, con splendidi gol del 3-0 e lunghi mesi di apatia calcistica, ma anche una pletora di compagni di asado e di mate, tutti gentilmente forniti dalla scuderia di Paco Casal. Colpisco quindi il quasi innocente stopper quale monito indiretto alla gestione dell’epoca (per una volta non molto simpatttica).

Con il numero 45: Mario… Balotelli

Eh… Mario, Mario… cosa devo fare con te? Ti ho difeso per tanto, troppo tempo, prima di cedere ai ragionamenti da bar, ma non privi di una certa dose di verità: “il gran culo di quello lì è stato di essere nero, ché se era bianco non se lo cagava nessuno”. Fatte un paio di correzioni sulla consecutio temporum, e sgrezzata da una generosa dose di politically incorrect, l’affermazione non è così campata per aria: la carriera di Mario nostro è stata un’eterna promessa non mantenuta.

Continuo a ritenerlo il talento migliore della sua generazione (e non solo), capace di grandi gol… ma purtroppo solo di quelli, e nemmeno poi così frequenti. Intelligenza calcistica a livelli mediocri, un naturale istinto nell’infilarsi in qualsiasi casino, polemica, atteggiamento sconveniente, un’indolenza forse solo apparente ma che ha l’immediato effetto di indisporre chi ti viene a vedere “ué fioeu! se te gh’et minga voeuja de giuga’ vegni giò mi… per la metà dei danée che te dànn”. Ero lì la sera in cui ha sfanculato un intero stadio, da cui credo sia uscito indenne solo perché ha coinciso con la miglior serata di calcio vista a latitudini interiste da decenni. CI pensò comunque Matrix a rimetterlo in riga, seppur per poco. Potevi essere, non sei stato. Ciao.

Con il numero 54: Hakan… Sukur

Altro mito del Signor Carlo che, come avrete capito, ha gusti calcistici questionabili, e da me invece subito “nasato” come bidone. Ha segnato un golazo in un Derby: la cosa è stata sufficiente a farmi entrar nel cuore gente come Minaudo o Schelotto per cui figuriamoci… Niente a che vedere con bomber degli anni del Galatasaray, quando fece fuori il Milan dalla Coppa. Le ultime vicende politiche e umane hanno contribuito a rendermelo più simpatico, ma per il resto N.C.S. (Non Ci Siamo).

Lascio a voi ogni chiosa sull’elenco di malfattori calcistici appena scorso.

RIECCOLI

Urca… stavolta quello là chi lo tiene!

Lo so che lo state pensando. In effetti quanto successo nel weekend è benzina sufficiente a farmi borbottare per settimane, ma non posso dire di essere meravigliato di quanto successo.

Arrivo tardi, quando tanti hanno già detto molto, e spesso in maniera tanto estrema quanto corretta. Da parte mia aggiungo che la cosa non è nuova, che da sempre la Lega Calcio, lungi dall’essere portatrice di interessi della Serie A nel suo insieme, è in realtà prona agli interessi di pochi, (pochissimi, praticamente uno solo) anche quando questi vanno a scapito di quelli di molti.

La sola cosa che voglio rimarcare è questa: il rinvio di Juve-Inter da giocarsi domenica sera a porte chiuse è stato solo marginalmente spiegato con motivazioni relative alla situazione sanitaria. In realtà l’obiettivo principale -e arrivo a dire legittimo- della Juventus era non perdere un incasso plurimilionario. Sapendo che non sarebbe stato possibile far disputare il match a porte aperte, vista la situazione generale del Paese, ha fatto leva sul casino generale per procrastinare un incontro che avrebbe dovuto giocare in un momento di forma assai migliorabile: Sarri mai così in discussione, oltretutto autore di una gaffe involontaria ma gustosissima (“in Italia quei due episodi sarebbero stati due rigori per noi“), giocatori alquanto annebbiati, CR7 che mica può risolvere sempre da solo ogni partita, addirittura inediti “casi” in spogliatoio, come la più mestruata delle Inter degli ultimi anni.

Agnelli già nei giorni precedenti ha fatto di tutto per buttare la palla in avanti, avendo come unico obiettivo quello di non giocare. Non potendo motivarla così, ecco bella pronta la scusa ufficiale: non sarebbe stato bello per il calcio italiano trasmettere la partita più importante del campionato senza pubblico.

Tutto vero: la Serie A avrebbe offerto una versione migliore di sé con uno stadio pieno e festante.

Però, non potendo essere così per cause di forza maggiore, la sola risposta possibile da parte della Lega in un Paese civile avrebbe dovuto essere:

Mi spiace ragazzi, non è bello ma è il minore dei mali: si gioca domenica sera a porte chiuse“.

Del resto, e non occorrerebbe nemmeno doverlo ricordare, l’obiettivo principale della Lega è quello di garantire il regolare svolgimento delle partite e, conseguenza diretta, avere un campionato avvincente e attrattivo per tutti gli spettatori in Italia e all’estero.

Come reagisce l’Inter? Nemmeno malissimo, visto il pedigree dei soggetti coinvolti (Marotta e Conte erano a libro paga di quelli là fino a non molto tempo fa, che cacchio vuoi che ne sappiano di trovarsi dalla parte sbagliata della storia?).

Marotta in particolare definisce irricevibile e quasi provocatoria la proposta bianconera di giocare lunedì sera a porte aperte, ma solo con pubblico piemontese. Parla apertamente di Campionato falsato (come non citare Elio ed il suo capolavoro). Per una volta mi ha ricordato una delle poche uscite da applausi di Paolillo (mi pare fosse lui, purtroppo non trovo il link), vecchio dirigente nerazzurro di epoca morattiana:

Se non ricordo male c’era stata una richiesta da parte juventina di cambiare il campo per un turno di Coppa Italia (doveva giocarsi a Milano, chiesero di giocarla a Torino) e, quando comprensibilmente l’Inter aveva rifiutato, si erano inventati una soluzione del tipo “beh facciamo un sorteggio per stabilire dove si gioca”. A quel punto Paolillo -o chi per lui- aveva fatto un paragone azzeccato: È come se ti occupassero casa quando sei fuori, e al ritorno ti dicessero “tiriamo a sorte per vedere chi può rimanere”.

Battute a parte, fa bene Marotta a respingere qualsiasi ipotesi che possa rimediare a tale pasticcio, anche se proprio in queste ore sembra aprire all’ipotesi di un recupero da giocarsi lunedì prossimo a porte aperte.

Il mio sogno è banale e già auspicato da altre menti elette dell’interismo borbottante: schierare la Primavera contro quelli là, che si giochi domani, tra una settimana, tra due mesi. Che vincessero l’ennesimo scudetto da mani zozze, e chissenefrega.

Guarda caso, perfino in una situazione fuori da qualsiasi prevedibilità si è trovata la maniera di avvantaggiare qualcuno a scapito di tutti gli altri, in particolare di qualcun altro. Ma, al solito, a farlo presente passi per il solito rancoroso complottista. Ribadisco che anche 15 anni fa (non 150) ci dicevano così, e poi abbiamo visto quel che è successo.

Ma queste ultime giornate non ci hanno regalato solo le polemiche qui succintamente richiamate.

CR7 ad esempio ha colto al volo il rinvio della partita per precipitarsi al capezzale dei suoi ex compagni del Real ed assistere alla vittoria nel Clasico contro il Barcellona.

Devo essermi perso lo stracciamento di vesti della stampa che sindacava sulla professionalità del giocatore, che si reca a Madrid per una partita non appena saputo del rinvio della sua ed a pochi giorni dal ritorno di Coppa Italia col Milan.

Sì, il rimuginatore con memoria elefantiaca si riferisce al Superclasico River-Boca giocato a Madrid l’anno scorso e ad Icardi presente -insieme ad un’altra decina di giocatori di Serie A, CR7 compreso!– in tribuna a pochi giorni dal match contro il PSV, finito in pareggio nonostante un suo gol e valso la “retrocessione” dalla Champions all’Europa League.

Al solito: Maurito e signora insultati quali i peggiori terroristi, colpevoli a priori della possibile eliminazione dell’Inter dalla Champions (ce l’avete gufata voi, maledetti, chè lui aveva pure segnato!) silenzio assoluto per gli altri colleghi presenti al Bernabeu.

CR7 invece ha lasciato tanti amici che corre a salutare non appena ne ha la possibilità, e con cui magari un domani potrebbe anche riunirsi. Ah che bello l’amore…

Quasi meglio dell’aria frizzantina che si respira a Milanello Bianco.

Zorro Boban al solito non si tiene e spara dritto nei denti quel che pensa: difficile digerire certi affronti per uno come lui. Al solito: si può parteggiare per lui o per Gazidis se si è tifosi, non se si è giornalisti. Eppure, ancora una volta, il caso pare fatto apposta per l’ennesima suddivisione manichea. Da una parte i rimasugli della squadra dell’amore (Boban, Maldini, Ibra-che-vuole-solo-il-Milan), dall’altra i cattivoni che non rispettano il sarcofago di quel che fu una grande squadra (Gadizis il freddo contabile, Raiola lo stupratore di sogni).

In mezzo, la scomoda verità, che però nessuno sembra voler ricordare: che il Milan è messo male, ma male davvero, come Inter e Roma non sono mai state. Ha per ora accettato (senza in realtà poter far molto per evitarlo) un anno fuori dalle coppe, nella speranza di un piano di rientro più morbido, ma ancora non alle viste. Se nerazzurri e giallorossi hanno stretto i denti all’interno di un percorso tanto tortuoso quanto se non altro definito, i rossoneri continuano a tenere la testa sotto la sabbia, sperando in un indulto -forse formati al divino insegnamento del loro ex Presidente- o in una riforma pro domo loro del Fair Play Finanziario. Quello stesso complesso di regole salutato come unica medicina possibile per i Club spendaccioni a inizio anni ’10, è invece adesso -non senza ragioni- additata come il male assoluto. Guarda caso, proprio adesso che la sua mannaia dovrebbe abbattersi sulle verdi vallate (ma con conti rosso sangue) di Via Aldo Rossi.

Ribadisco: che sia il tifoso medio a bestemmiare contro la UEFA ci sta. Che la stampa faccia il coro, arrivando ad accusare velatamente Gazidis ed Elliott di avere il braccino corto, ci sta un pochino meno.

Ma saremmo bugiardi a dirci sorpresi…

Risultato immagini per juve inter rinviata

ALLA FINE C’È SEMPRE SOTTO IL MILAN

Uno normale di mente dedicherebbe una ventina di righe a commentare la recente pronuncia dell’UEFA che, quantomeno al momento, esclude il Manchester City dalle coppe europee per i prossimi due anni. Volendo fare il raffinato, accompagnerebbe il link della Gazza a quello più tecnico del sempre valido Marco Bellinazzo.

Io, fazioso, tendenzioso, rancoroso ed altri aggettivi in rima a scelta, decido invece di allargare l’inquadratura e fare un ardito -ma neanche tanto- parallelismo.

Ma andiamo con ordine. Tanti se non tutti sono comprensibilmente soddisfatti della sanzione inflitta al City: non tanto per antipatia calcistica -mica siamo tutti tifosi dello United- quanto perché con questo gesto la UEFA pare dimostrare per una buona volta che il Financial Fair Play non colpisce solo i “figli di nessuno”, bensì anche quelli che fino a poco tempo fa erano unanimemente considerati intoccabili mammasantissima.

La domanda che tanti di noi si sono fatti leggendo la notizia è stata: “E il PSG invece?” La risposta pare stare in un diverso atteggiamento dei soggetti inquirenti nel caso dei francesi, oltre ad una difesa basata su elementi di pura natura procedurale. Questo, più una sorta di buona condotta da parte del Club di Parigi negli ultimi esercizi contabili, avrebbe portato la squadra di Neymar e Mbappé a sfangarla, quantomeno per il momento: nello specifico, la percentuale dei ricavi derivanti da società riconducibili al fondo proprietario del PSG sono scesi grazie ad accordi siglati con aziende esterne alla proprietà, quali Nike e Accor, ma sono in tanti a pensare che i francesi siano “i prossimi della lista”.

Il punto a mio parere non sufficientemente sottolineato, tanto nel caso del CIty quanto in quello del PSG, è quello che tecnicamente è definito “fair value” di una sponsorizzazione: nel caso dei Citizens, la UEFA pare aver dimostrato che i ricavi ottenuti da alcune sponsorizzazioni del City fossero eccessivi rispetto ad un valore “normale”. Non solo: buona parte degli introiti derivanti dalla sponsorizzazione di Etihad in realtà paiono essere conferimenti in conto capitale del padrone (della squadra e della compagnia aerea), come tali in palese violazione dei principi cardine del FPF, secondo i quali la proprietà può finanziare il Club solo entro certi limiti, dal momento che il Club stesso deve potersi sostenere da solo.

Ecco: se fossi una persona normale il pezzo sarebbe completo così (cit.)

Invece, viviamo in un Paese che da anni celebra una realtà di provincia (il Sassuolo) nata unicamente come emanazione di un imprenditore (il compianto Commendator Squinzi) che ha perpetuato proprio quel mecenatismo che il FPF si proponeva di debellare.

Ecco il complottista che arriva al punto: Moratti era un annoiato miliardario che buttava i soldi dalla finestra per la sua Inter. Scandalo! Indegno! Immorale e antistorico.

Squinzi ha per anni piazzato lo sponsor della sua Mapei sulle maglie neroverdi versando al Sassuolo cifre degne di ben altri colori e palcoscenici, ma tutti ne hanno sistematicamente lodato lo spirito imprenditoriale e l’amore per la squadra, oltre alle sempre applaudite simpatie rossonere. Se ci pensate, la manfrina non è molto lontana da quella per cui oggi il City viene punito, e la mia sensazione da profano è che il Sassuolo non sia finito sotto la lente di osservazione dell’UEFA unicamente per non essere mai arrivato a disputare le Coppe Europee.

Ma se parliamo di Sassuolo, non possiamo non parlare di Milan.

Come sappiamo, anche i cugini sono alquanto impelagati con sanzioni UEFA, tetti di spesa e vincoli di mercato. Detta in termini prosaici: non c’è una lira da spendere, soprattutto dopo l’ingaggio di Ibra.

Potrà essere dura da accettare, ma non mi pare difficile da capire.

Eh, ditelo alla solita stampa italiana. Gli ultimi giorni sono stati costellati di notizie, che sarebbe più corretto chiamare speranze se non utopie, che tratteggiavano colpi mirabolanti e strategie espansionistiche per il club di Milanello Bianco, come se i meravigliosi anno ’90 fossero ancora tra noi.

Pronti? Via!

Il mio caffè del mattino di mercoledì scorso mi è quasi andato di traverso leggendo queste zuccherose righe dedicate a Boban e Maldini:

Tutto il pezzo era una contrapposizione manichea tra Gazidis il cattivone ed i due ex campioni che vogliono tanto bene al Milan e si fanno in quattro per portare avanti trattative all’altezza della nomea rossonera. Il fatto che, per l’appunto, non ci sia un soldo da spendere a leggere la Gazza è secondario, anzi, testuale:

“il duo Boban Maldini è stato stoppato su molte cose. Da Modric in poi, molte iniziative sono finite sotto la scure di Gazidis, direttamente autorizzato dal fondo Elliott”.

Fino alla speranza finale: il possibile ritorno in rossonero di Allegri che, Gazza dixit “vuole allenare in Serie A ma con un grande progetto“, definizione che ipso facto dovrebbe escludere il Milan dall’orizzonte.

Macché. I nostri arrivano anche a vette inesplorate, e con questo chiudiamo il cerchio. Il City rischia due anni senza Europa? Se il TAS confermerà, è presumibile una diaspora dalla sponda azzurra di Manchester verso altri lidi di giocatori e managers, Guardiola compreso.

La Juve parrebbe farci un pensierino: vero? Falso? Boh, quantomeno plausibile.

Ma perché limitarsi alla Juve? Ecco l’azzardo, buttato lì per vedere l’effetto che fa.

E comunque si lancia il sasso e si nasconde la mano: “Nonostante le tante difficoltà, in Inghilterra puntano anche sul Milan“.

Oh lo dicono gli inglesi eh, mica noi: però intanto…

A Milano dicono: se la va, la g’ha i gamb…

PIU’ BELLO COSI’?

…Boh, non lo so. Da buon trapattoniano, preferirò sempre un 2-0 ad un 4-2. Aggiungiamoci anche che, per quanto allenate, le mie valvole cardiache hanno subìto un duro colpo nei novanta minuti di domenica sera.

Però… vedere quelli là prima sfotterci anche simpaticamente (cit. per i soli soci del circolo culturale di Piazza Aspromonte), poi tirare fuori tutto il loro livore di donna che dopo anni riconquista il proprio uomo conteso alla rivale, e infine vederli sprofondare dove meritano sotto i colpi dei nostri, è senz’altro un bel modo di concludere il weekend.

Facciamo ordine: formazione sbagliata nel primo tempo. No, Conte non c’entra. C’entriamo io e mio figlio, e sinceramente mi stupisco della leggerezza di entrambi, solitamente così attenti alle scaramanzie domestiche. Io allungato sul divano, il rampollo poltronizzato in pole position. Inizia il match e -cazzo- quelli là giocan bene. È palese la loro dipendenza da Ibra, giocatore immenso (si sapeva) ed anche saggio (questo si sapeva meno) nel capitalizzare i suoi punti di forza a vantaggio della scarsa mobilità data dai 38 anni suonati.

La cosa -interessante da un punto di vista sociologico e comportamentale- è come anche altri compagni trovino giovamento dalla sola presenza dello svedese in campo. Sembrano veramente bambini sperduti a cui serve il cuggino gruosso per farsi coraggio e giocar bene.

Merito di Zlatanasso o colpa del nostro invornimento, il primo tempo del Milan è nettamente il migliore delle ultime stagioni, palese rimprovero all’atteggiamento nerazzurro.

E dire che, per una volta, ai nostri avevo dato fiducia: la sconfitta della Juve e la vittoria della Lazio sembravano fatte apposte per spingere i nostri all’ “oggi o si vince o si vince“, e sappiamo bene come tante altre volte una situazione simile si sia tramutata nella classica tafazzata sotto forma di sconfitta in casa con l’Udinese di turno o pareggio insipido con l’ultima in classifica. Ecco: uno dei meriti di Conte è stato quello di farmi uscire questi pensieracci dalla testa, al punto da fregarmene perfino delle scaramanzie da divano.

In altre parole: chi scrive pensava: stasera li massacriamo!

Ecco, ben ti sta! mi sono detto da solo nell’intervallo, dopo aver visto Ibra segnare di fatto due gol da solo (con Padelli ben più determinante di Rebic) e i nostri non capirci il resto di un cazzo per buona parte del tempo. Certo, avremmo potuto confermare le litanìe di squadra cinica e bla bla bla con l’unica bella azione dei primo tempo: Lukaku scatta sulla destra e lascia indietro Alessietto Romagnoli, la mette in mezzo dove Vecino spara un rigore in movimento tra le braccia di Donnarumma.

Stomachevole il bordocampista rossonero che subito dopo frignava allertando gli spettatori che “Gigio non ce la fa! Gigio si è fatto male!” e apostrofando Romagnoli nell’intervista a fine tempo “Ale“, manco fosse suo fratello. Potere della grande famiglia rossonera

Con le squadre negli spogliatoi, espletiamo le funzioni alimentari in men che non si dica e cambiamo formazione in salotto: io in poltrona presidenziale col rampollo di casa ai distinti divanati a mugugnare a mezza voce “qui bisogna fare subito il 2-1 e poi vediamo“.

Detto fatto: nemmeno il tempo per maledire il solito tiro del cacchio di Candreva che Brozo pensa bene di piazzare un sinistro al volo che esaudisce il desiderio di Jimmy Wikipetula (uno dei mille modi in cui chiamo mio figlio: sto già mettendo da parte i soldi per lo psicologo). Il tappo della bottiglia è saltato, e tempo due minuti Vecino la prende ancora, capitalizzando al meglio l’imbucata di Godin e l’assistenza di Sanchez. Lunghi secondi di suspence per il giusto controllo del VAR (il cileno da una prima immagine a me sembrava in drammatico fuorigioco), e quando l’arbitro fischia, Sky allunga il dramma per qualche altro secondo, indugiando su un primissimo piano del sorriso di Lukaku che poteva sembrare tanto sincero nella gioia quanto amaro nella beffa per un ipotetico annullamento. Una finezza tecnica degna di mamma RAI.

Si riparte dal 2-2 e, contrariamente a quel che pensavo, passa del tempo prima del nostro vantaggio. Loro sono appassiti in concomitanza con Ibra, ma noi abbiamo impiegato più di quanto lecito per incartare la partita e portarla a casa.

Ci pensa il miglior difensore della Serie A, Stefan De Vrij (arrivato a parametro zero, lo ricordo per quelli che “l’Inter non azzecca un acquisto dai tempi di Ronaldo“) con quella che Pellegatti ai tempi chiamava torsione scopadea. Gol della Madonna con il buon Alessietto a guardare. Ibra dà un ultimo segnale di esistenza tentando di brutalizzare il pur robusto Skriniar e colpendo un palo de capoccia (ma sarebbe stato fallo in attacco), Barella si mangia il 4-2 arrivando esausto dopo 60 metri lanciati, e quando tutti implorano Vecino di tener palla e guadagnare l’angolo, il Charrùa pesca invece Moses che a sua volta la mette in mezzo per Lukaku che timbra il cartellino in coda ad una partita di grande sacrificio.

La goduria è massima, e prosegue in una ragionata rassegna del pre e post Derby alla quale non posso sottrarmi.

PRIMA

Se ben ricordate l’anno scorso la Gazza nel presentare il Derby si era esibita in una supercazzola che riusciva a lodare l’Inter per un valore della rosa maggiore di quello dei cugini, e al contempo salutare con entusiasmo il maggior monte ingaggi dei milanisti rispetto ai colleghi bauscia. Stavolta qualcuno dà numeri e commenti più ragionati (siamo i più forti, la nostra rosa vale di più e conseguentemente “costa” di più). Siccome però occorre comunque trovare qualcosa in cui il Milan sia superiore all’Inter, ecco gli emuli del Geometra Galliani: se consideriamo la media punti da Gennaio ad oggi (facciamo l’altro ieri va…) il Milan ha una media punti più alta di quella dell’Inter.

DOPO

Del -19 prima della partita, fatalmente diventati -22 al 90′, tutti zitti o quasi. Resta fondamentale ricordare di un primo tempo in cui i 19 punti in più sembravano a favore del Milan, e ripetere che con Ibra la media punti è raddoppiata.

Quando però era all’Inter, pur con l’Inter che vinceva a mani basse, si parlava di Ibradipendenza.

Interessante poi leggere come la gloriosa rimonta sia partita da un “tiro sbagliato” di Brozovic. Giudizio tecnico nientemeno che Mario Sconcerti, forse noto per le gragnuole di gol da trenta metri nei tornei di redazione negli anni ’70 ed endemicamente incapace di fare un complimento all’Inter che sia netto, perentorio. No: ci vuole sempre il “però” il ridimensionare, il non eccedere in facili entusiasmi. È pur sempre quello che riuscì a definire mediocri o giù di lì l’ultimo scudetto di Mancini e i due di Mourinho perché conquistati con meno punti rispetto ai 97 dell’anno di grazia 2006/2007.

Del resto il giochino, da me anticipato ma assai prevedibile, è ormai chiaro: l’Inter va male? Che ci vuoi fare? È fatta così. L’Inter vince? Quanto conta Conte (cit.)

Infine, il pensiero della buonanotte che ci fa sentire tutti persone migliori: sempre consolatorio, anche quando non ce ne sarebbe motivo, ricordare che il mondo è un brutto posto unicamente per colpa di Mauro Icardi, che spaccava gli spogliatoi. La battuta è perfino banale: facile far danni in quello dell’Inter, “spaccato” per definizione.

Anche un innocuo commento di Perisic all’amico Brozovic, capitano nel Derby complice l’infortunio di Handanovic, diventa un buon gancio per ricordare che lui e l’altro non si sono mai amati.

Grazie, rischiavamo di dimenticarcene.

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