IN CRISI A UN PUNTO DALLA VETTA

È forse il caso di iniziare a mettere ordine in questa strana stagione calcistica. Del resto, si avvicina il periodo di chiusura di bilancio.

Il punto di partenza, noto a tutti, è che siamo a un punto dalla testa della classifica (bene) ma già fuori dall’Europa (male, perdìo). La vittoria con lo Spezia in casa era quanto di più ovvio ci si potesse aspettare ma, trattandosi di Inter, non si è mai sicuri di niente.

Iniziando da una rapida analisi della rosa a disposizione, noto una sensibile differenza tra la apparente abbondanza di alternative e l’effettiva scarsità di reali alternative.

Da una rosa formale di 26 giocatori (compresi 4 portieri), notiamo come Ranocchia, Kolarov, Vecino, Nainggolan, Sensi, Eriksen e Pinamonti siano stati usati poco o nulla, per vari motivi. E se per i due difensori il mancato utilizzo è dovuto all’abbondanza di soluzioni migliori, per i centrocampisti e per l’unica punta il discorso è diverso.

La mediana, checché se ne dica, sta spremendo Barella e Brozovic come due limoni, con Gagliardini più di Vidal a completare il reparto. L’aggravante è che il bergamasco non sta sfigurando, se paragonato alla pochezza e alle scempiaggini messe insieme dal cileno finora.

Davanti, l’unica alternativa Lukaku e Martinez è Sanchez, con le ormai croniche criticità di tenuta fisica. Se – come leggo – a gennaio si vuole fare a meno anche del ragazzo Pinamonti (comunque al momento ai box pure lui), urge tornare al pennellone di riserva, che sia Giroud, Milik, Llorente o altri a scelta.

Non che a centrocampo la situazione sia migliore: con Eriksen siamo alla consensuale, spero che il matrimonio sia stato fatto in separazione dei beni, dopo Natale un caro saluto e buona fortuna. Sensi inizia solo adesso a deambulare, e pure al 40% della forma fa capire quanto possa essere utile a questa squadra.

Capito Piccinini? Inutile che fai il simpatico chiedendo “ah ma quindi alla fine tutta l’Inter gira intorno al recupero di Sensi?” Sono mesi che ci passeggiate sui testicoli con la mancanza del giocatore che salta l’uomo e crea superiorità numerica… Eccolo, fatelo star bene e poi vediamo.

Vecino è fuori dai radar da più di un anno, e non so quanto l’infortunio sia l’unica causa, visto che il rapporto con Conte pare non essere mai sbocciato. Per quel che mi riguarda, lo vorrei in campo al posto di Gagliardini, anche solo per riconoscenza di quei 4 o 5 gol fatti tra Derby e Champions, e soprattutto perché molto più forte, ma così non è. Stesso discorso per il Ninja, che da noi manco ci voleva tornare e che ha fatto dire a Conte “l’avete visto anche voi in che condizioni è…”. Ausilio deve lavorare di fantasia come il miglior piazzista da mercato rionale quando dice “si sta impegnando tantissimo in allenamento”, ma la verità è che cercheranno di rimandarlo a Cagliari per meno dei 10 milioni che non hanno ottenuto in agosto.

Quindi, ipotizzando che la Befana ci porti via tre o quattro giocatori, formalmente membri della rosa ma, come detto, di fatto mai utilizzati pienamente, si apre la fase del rimpiazzo.

Ho ormai smesso di illudermi di poter avere un terzino sinistro davvero forte – mi accontento di Ashley Young o di Darmian, con Perisic per i quarti d’ora disperati – così come vedo arduo arrivare al centravantone che possa far rifiatare Lukaku; a mio parere il mercato di gennaio deve avere un solo obiettivo: il Papu Gomez.

Non solo perché è forte (ma forte davvero), ma anche perché conosce la Serie A meglio di casa sua, può -lui sì- fare il trequarti dietro LuLa, ha intelligenza e dinamismo ad altissimi livelli nonostante l’età.

Sportivamente mi dispiace della frattura apparentemente insanabile con l’Atalanta. Detto ciò, da tifoso mi darebbe un certo gusto vederlo approdare da noi e, chissà, firmare il gol vittoria al ritorno in faccia a Gasperini.

Ancor più dell’argentino, spero che tutte le manovre del mercato -in uscita così come in entrata- vengano fatte in fretta, e non agli ultimi giorni di mercato. So che i soldi non sono i miei, ma storicamente non siamo bravi a giocare col tempo per far calare il prezzo. Per replicare la manfrina di 12 mesi fa con Eriksen, con i nostri a pensare “ok vogliono 20 milioni, aspettiamo gli ultimi giorni di mercato e vedrai che scendono” e poi dargliene comunque 20, tanto vale spendere ventimilalire in più subito ma dare al Mister la squadra completa il prima possibile.

Pìe intenzioni, credo. Se il mercato di inverno è storicamente difficile e avaro di colpi di qualità, a maggior ragione a ‘sto giro ci sarà ancor più penuria di soldi, e le occasioni saranno poche.

La squadra è stanca e gioca male, aldilà di schemi, moduli e disegnini sulla lavagna. Da anti-esteta del bel giUoco, mi porto a casa e mi tengo strette le vittorie messe in saccoccia dopo prestazioni ai limiti della decenza (vedi Spezia) o dopo tentativi di suicidio calcistico (vedi Napoli).

La ferita di Champions brucia e tanto, soprattutto vista la reale pochezza del nostro girone, Real Madrid compreso. Ma non possiamo incolpare nessun altro se non i nostri amatissimi eroi in braghette, comandante in primis. Ormai anche lui dovrebbe aver capito che, alle nostre latitudini, i colpi di sfiga sono assai più frequenti di quelli di culo.

A chi interessasse, avrei volentieri barattato l’1-0 contro il Napoli con una vittoria contro lo Shakhtar in Champions. Il mercato dei desideri però non è aperto. Tocca tenere la testa bassa sul Campionato e vedere quanta strada si riesce a fare.

LE ALTRE

Alla fin della fiera, credo che sarà ancora una volta la Juve la squadra da battere. Contrariamente al Milan che, pur in testa con merito, sta rendendo forse oltre i suoi limiti, i Gobbi iniziano solo adesso a carburare ed hanno un potenziale inespresso assai preoccupante: Dybala, tanto per fare un nome, non l’abbiamo ancora visto, Kulusevski e Chiesa poco di più.

Le altre mi paiono altalenanti: possono fare grandi partite ma difficilmente potranno rientrare in corsa per il titolo.

È COMPLOTTO

Come ogni maledetta domenica, chiudo la serata pascendomi della sagacia calcistica del Club di Caressa & Co. Tutti a celebrare il gol-lampo di Leao dopo 6 secondi, e tutti altrettanto attenti a ricordare alla perfezione il precedente record di Paolino Poggi. Lo Zio Bergomi tenta timidamente di ricordare il gol di Matteoli in Inter-Cesena segnato dopo 10’’ e non uno che se lo ricordasse: “Ah sì?” “Non ricordavo…

Certo, vuoi mettere il fascino di Paolino Poggi contro quello assai più trascurabile dell’Inter dei Record di Trapattoni?

Dài Mario, sei sempre il solito… Certo, come no. Passano due minuti e tutti i presenti constatano che, vista la velocità dell’azione, il record di Leao sarà difficilissimo da battere: giusto tirando in porta dal calcio d’inizio si potrebbe fare…

A Caressa non sembra vero e prende la palla al balzo “Una volta Totti ci provò, proprio al fischio d’inizio!

Lì nemmeno Bergomi ha avuto la prontezza di ricordare la traversa colpita da Icardi in Inter Napoli di due anni fa (mica 20…)

Ennesima conferma dello scarso appeal mediatico nerazzurro, e se leggete lo psicopatico che scrive, non vi serve nemmeno il Pistocchi di turno per convincervi.

CAZZO, GIA’ DIECI ANNI…

Ai tanti che oggi se lo fossero persi, di seguito il succo di quel che abbiamo detto oggi su Facebook.

Sono già passati dieci anni: a tratti sembrano trenta, altre volte invece sembrano due settimane…

Prima di abbandonarci ai ricordi inebrianti, un minimo di obiettività. Cerchiamo di capire quanto cazzo fosse forte quella squadra, quanto sia stato importante non quell’anno, ma quel ciclo dell’Inter.

Un ciclo durato 5 anni e iniziato come tutti sappiamo. È verosimile che senza Calciopoli l’Inter avrebbe fatto più fatica a costruire quello squadrone, Ibra e Vieira non sarebbero arrivati. Però Julio Cesar, Zanetti, Cuchu, Samuel e Cruz c’erano già. Maicon, Grosso e Crespo sarebbero arrivati comunque. E soprattutto, senza voler riaprire ferite che agli juventini fanno ancora male: il redde rationem di quell’associazione a delinquere che era la Juve è arrivata in ritardo. Io come tanti altri interisti ho sempre visto lo scudetto 2006, il 14°, come un segnale da parte del sistema calcio, un modo per dire “ah scusate, non avevamo capito un cazzo, ora vediamo di rimediare”. Poi in realtà hanno continuato a non capire un cazzo, visto non molto è cambiato, però…

Come sa chi ha letto il libro, il mio rancore l’ho espresso riscrivendo una manciata di campionati al netto delle famigerate sviste arbitrali. Tutti noi, non rancorosi complottisti, semplicemente tifosi dotati di occhi e intelletto, sappiamo che l’Inter avrebbe potuto e dovuto vincere almeno due campionati prima di quello 2005/2006 (parlo del 97/98 e del 01/02, io ci metto anche il 02/03).

Ad ogni modo, si vede che doveva andare così, inutile rimuginarci sopra.

Torniamo a bombazza: Quelle 5 stagioni sono finalmente state la rappresentazione di quel che ho sempre voluto dalla mia squadra: un piano strategico, una coerenza anno dopo anno, che mantenesse inalterati i punti di forza e andasse a migliorare gli aspetti ancora traballanti.

E quindi ecco arrivare Chivu, ecco crescere Ibra a livelli mai visti fin lì (chè nasino alla Juve faceva 10 gol all’anno…), ecco anche la sostituzione agrodolce in panchina. Sbagliata nei modi, sbagliatissima, ma tremendamente efficace.

Il Mancio inizia ad andarsene dopo la sua crisi mestruale post-Liverpool di marzo 2008: da lì inizia un imbarazzante tira e molla che per poco non ci costa uno scudetto, tra il gatto nero di Figo e il sarto di Appiano.

Vedo l’ultima partita di quella stagione (Parma Inter, due gol di Ibra sotto la pioggia) in una maniera solo apparentemente folle. Siamo in cinque: io, mio fratello, il Signor Carlo, Gio e il neonato Pancho.

I tre uomini presto inginocchiati per terra davanti alla tele, la mamma premurosa che si occupa del piccolo ed ha la provvidenziale idea di fare capolino in salotto col pupo in braccio a metà ripresa e chiedere “Come va?”

Ibra nello stesso istante arma il destro e tira lo scaldabagno da fuori area: gol e delirio collettivo. Bandiere che escono dalle tasche e che fin lì erano state scaramanticamente nascoste e noi tre che torniamo i dodicenni che in fondo siamo da sempre.

La donna di casa contempla la regressione pre-adolescenziale che le si para davanti agli occhi, lascia calare il livello dei decibel e sussurra “va beh, io torno di là, così magari il bimbo dorme un po’”.

La risposta all’unisono “Ferma lì! Tu adesso non ti muovi per la prossima mezz’ora!”.

So che i veri tifosi capiranno. Ma non solo loro, anche i campioni ragionano così. Non ci credete?

Facciamo un salto di due anni circa e da Monza ci trasferiamo in un lussuoso appartamento milanese in cui due giovani uomini argentini stanno assistendo -abbastanza interessati- a Roma-Samp:

La Sampdoria attacca e attacca. La bambina, malgrado il volume della telecronaca a palla e il nostro tifo da ultras, si addormenta placida in braccio al papà, e allora la mamma mormora: “Diego, la bambina dorme. Dammela, la metto a letto…”.

Serissimo, Diego Milito, il padre più sollecito e amorevole che ci sia, un uomo serio e intelligente, un cattolico praticante, stringe al petto la figlioletta dicendo: “Neanche per sogno, Sofi. Appena l’ho presa in braccio la partita è cambiata. La pupa sta qui, in braccio al papà”.

J. Zanetti, Giocare da Uomo, Strade Blu Mondadori, 2013

Non serve che vi dica com’è finita quella partita.

Chiaro quindi: io non ho mai avuto dubbi sulla mia stabilità mentale, figuriamoci dopo aver letto che anche il Principe Milito la pensa come me.

Finita la parte aneddotica, il passaggio dal Mancio a Mourinho fa continuare la crescita, che per carità, passa anche da qualche scelta toppata: Amantino Mancini e Trivela Quaresma sono lì a dimostrarlo, ma perfino questi errori andrebbero visti sotto la giusta luce.

Ai tanti che si riempiono la bocca col “Mourinho grande motivatore e comunicatore” e basta, farei vedere in ginocchio sui ceci la varietà di moduli utilizzati da José in due anni. L’uomo con l’ego più smisurato che c’è arriva convinto di usare il 4-3-3, con i due succitati ai lati di Ibra. Quando capisce che non è cosa, si adegua e cambia. Coi giocatori che ho come posso farli giocare? Rombo di centrocampo e due punte. Ah! Come giocava il Mancio! E ‘sti cazzi? Vinco il campionato in carrozza, pure senza dover giocare l’ultima di campionato.

Certo, serve un altro passaggio per arrivare alla perfezione. Ed ecco l’estate del 2009, il colpo da maestro Ibra/Eto’o più una paccata di milioni, Milito e Motta, Cavallo pazzo Lucio e Sneijder giusto in tempo per le 4 pere nel Derby, fino alla conclusione trionfale che tutti conosciamo, vecchia giusto di 10 anni.

Ecco: in tutte le celebrazioni che, grazie a Dio, stanno facendo, io al solito faccio la parte del rancoroso petulante. Occhio, quell’Inter non è “solo” la notte leggendaria di Madrid, quello è un “cazzo” di ciclo di quattro anni, che avrà una bonus track nella stagione successiva.

Ma, esattamente come per il bel giuoco o per il regista, ciclo è un’altra di quelle parole che per la stampa italiana non è applicabile all’universo interista. Noi siamo sempre quelli estemporanei, da una botta e via, ma questo ormai ve l’ho “imparato”!

Quindi: viva l’Inter viva il Triplete, viva quelle stagioni.

Ora, ognuno di noi immagino ricordi dove si trovava in quel Maggio 2010, io sempre in prima fila divanata nel salotto di casa, col rampollo semicosciente (aveva 2 anni, gridava quando gridavo io ma non ricorda nulla…). Per la finale di Champions mi ero scientemente dotato della compagnia di un amico infermiere di cardiochirurgia, all’insegna del “una cazzo di tracheotomia con la penna BIC me la saprà fare!”. La Giò rigorosamente fuori, computer e balcone, che a Maggio va ancora bene. Il problema, povera, è che si è fatta tutta la stagione così.

Ognuno poi si costruisce i ricordi secondo i propri comodi, o forse inconsciamente si va di memoria selettiva.

Ricordo la rabbia quasi maggiore alla gioia dopo la vittoria in Coppa Italia, con quell’orrenda caccia all’uomo che è stata Roma Inter, ennesima dimostrazione del fatto che l’Inter fosse sola contro tutti. Tutta la stampa a tifare Roma. Totti, Perrotta, Mexes, Taddei, Burdisso tutti da cacciare nel giro di mezz’ora, tutti liberi di menare come fabbri ferrai sotto gli occhi bonari di Rizzoli.

Lo Scudetto aveva portato con sé lo stesso sapore, forse perché lo stesso Siena era una sorta di succursale giallorossa, con Curci e Rosi in campo, Sella come vice di Malesani e lo stesso presidente che si chiamava Mezzaroma.

Ho rivisto una sintesi della partita l’altro giorno, fingendo di inciamparci per caso, e i miei ricordi al solito funzionano alla grande, quando si parla di Inter.

Compagnoni a fine partita fa passare meno di 10 secondi prima di aggiungere “L’Inter ha avuto la meglio su un avversario fortissimo: la Roma di Claudio Ranieri!

La notte di Madrid invece, aldilà dell’emozione inevitabile, è passata relativamente liscia -se mi passate il termine-. Come tanti altri interisti, vivevo una strana sensazione di ottimismo, proprio io che ho temuto di uscire contro i coreani al Mondiale per Club del Dicembre 2010.

Si è completato quel parallelo che avevo iniziato a intravedere già nella fase a gironi: la nostra Champions 2010 come l’Italia del Mundial 1982. Un girone complicato, che sfanghiamo non senza fatica.

Subito un ostacolo mica da ridere: il Chelsea per l’Inter, l’Argentina per l’Italia. E in entrambi i casi, con le partite forse migliori di tutto il torneo. Tanti ricordano comprensibilmente la tripletta di Rossi contro il Brasile o la doppia sfida con il Barcellona, ma personalmente il controllo totale del gioco che ho visto a Stamford Bridge non l’ho più visto: 4 volte l’uomo davanti al portiere in meno di un’ora di gioco. Segna Eto’o e partita incartata, loro inebetiti davanti al nostro dominio.

Brasile e Barcellona sono i picchi spettacolari dei due tornei, con Polonia e Spartak Mosca tappe intermedie prima della finale contro i tedeschi, in entrambi i casi quasi una formalità prima di alzare la Coppa.

Forse è la distanza temporale a farmi fare questi romantici paragoni tra tornei diversi, forse sto solo invecchiando… Spero solo di non dover aspettare così tanto prima di rivedere qualcosa di simile!

Ora sono curioso di sapere dove eravate voi dieci anni fa, dove e con chi avete visto le “finali” di quell’anno, come avete vissuto tutto il Lustro d’Oro. Un paio di impavidi si sono già confessati, tra generatori che finiscono la benzina spegnendo la TV e blasfemie pronunciate di fronte all’alta diplomazia internazionale.

APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO – pt. 3)

I numeri superiori al 20 sono apparentemente di minor fascino ed importanza, se non fosse che molti degli eroi della storia recente dell’Inter hanno indossato casacche con cifre poco consone al calcio ortodosso. Una delle tante metamorfosi del calcio del terzo millennio, di cui -nostalgici o meno- non si può che prendere atto.

E quindi, saltando il numero 21 che non annovera grandi nomi (la scelta di cuore andrebbe a premiare il terzo portiere Orlandoni, persona splendida e autore di un gesto solo all’apparenza formale di cedere il numero di maglia al giocatore che segue, vedi al min 3.30, senza piangere se riuscite), spariamo subito i fuochi d’artificio con il successivo in ordine di apparizione.

Con il numero 22: Diego… Milito

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Un giocatore di classe, talento, intelligenza siderali, che solo i distratti o i prevenuti (o le due cose insieme) possono considerare una meteora nel calcio degli anni 2000. Perfino banale ricordare che tutti i gol delle tre “finali” del Triplete sono stati segnati da lui, mi concentro invece su un aspetto da molti non considerato: è uno dei giocatori a cui ho visto commettere meno errori “concettuali”, Certo, ha sbagliato tiri, gol facili, persino rigori, ma l’idea che aveva in testa era sempre quella giusta. Quante volte abbiamo visto giocatori tirare nonostante ci fosse il compagno smarcato, o avanzare per schiantarsi contro tre difensori invece di tirare da fuori?

Ecco, il Principe l’ho sempre visto lucidissimo, spietato, essenziale in qualsiasi sua azione: devo dribblare? Lo faccio. Devo tirare? Ecco la minella. C’è il compagno libero da servire? Pronti con l’assist. Ogni giorno mi ricavo un minuto di indignazione per la mancata assegnazione del Pallone d’Oro 2010, ed altri due per il mancato inserimento nella shortlist finale, prova palese di complotto istituzionale.

Poi, ragionando col cuore e quindi spogliandomi di quell’imparzialità che faccio fatica a mantenere per più di un minuto, in Milito ho sempre visto un uomo, una persona seria, senza fronzoli (“zero tatuaggi e trenta gol“, per citare una delle mie primissime sbrodole), umile ma cazzutissimo. Insomma, un Campione. E non si ammettono repliche.

Con il numero 23: Marco… Materazzi

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Vince a mani basse la “gara” di colleghi di numero di maglia; è un giocatore troppo sopra le righe per non causare reazioni manichee. O lo ami o lo odi (calcisticamente, s’intende…). Ecco, per me Matrix nel biennio 2005-2007 è stato il difensore più forte in circolazione. Sì, molto più di “sorrisofisso” Cannavaro e del bravo ma fragile (e a mio parere sopravvalutato) Nesta.

Materazzi è stato un giocatore impulsivo, fumantino, poco calcolatore, tutte caratteristiche pericolose, specie per un difensore. Eppure, per tanti dei 10 anni passati in nerazzurro ha saputo far sfruttare il suo fisico, il suo sinistro e la sua personalità per chiudere tanti pericoli e segnare una gragnuola di gol. Ha avuto anche lui il suo quarto d’ora di madonne da parte del sottoscritto nell’Inter-Siena del 2008, quando ha voluto tirare a tutti i costi il rigore che ci avrebbe dato lo scudetto senza dover aspettare la pioggia di Parma. Ricordo El Jardinero Cruz convinto di tirare e Matrix che piglia il pallone e va sul dischetto, con Maicon che spiega all’argentino “lo fa per la sua mamma”. Allucinante…

Chiudo con un ricordo positivo: Italia-Rep. Ceca del Mondiale 2006. In fabbrica col Direttore di stabilimento avevamo detto “non pigliamoci per il culo: chi non è di turno in reparto e può staccare viene in mensa a guardare la partita, e poi recupera a fine giornata”. Io ero lì da poche settimane. Quando Matrix entra al posto di Nesta esce il tifoso che è in me “Vai Marco che entri e segni di testa”. Sguardi perplessi quando non ostili dalla massa di colleghi bianco-rossoneri. Parte il corner di Totti e ribadisco “Vai che adesso la mette”. Tre secondi dopo ce li ho tutti addosso: “Cazzo sei un grande!”. No, è che lo conosco: e ‘ste cose, Matrix, le fa.

Liquidato il successivo numero 24, passiamo oltre.

Con il numero 25: Walter… Samuel

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L’uomo dagli occhi di ghiaccio, il Muro, Mister “stecca sulla caviglia al secondo minuto“. In un certo senso, l’esatto opposto di Materazzi: strade opposte per arrivare però agli stessi livelli di eccellenza. Samuel aggiunge ai tanti trofei vinti due legamenti lasciati sul campo ed una professionalità che ha visto pochi pari, non solo in maglia nerazzurra. Vincente anche in Patria col Boca, in Italia con la Roma e, nel crepuscolo della carriera, perfino in Svizzera con il Basilea, per un totale di 10 campionati vinti (per tacer di coppe varie…)

Anche qui aneddoto personale, vecchio giusto di un anno: A Londra per trasferta lavorativa in giornata, finiamo il nostro appuntamento ben prima del volo di ritorno e ne approfittiamo per una passeggiata in zona Westminster. Sono con una collega, totalmente digiuna di calcio. Camminiamo e mentre lei parla scorgo quelli che negli anni ’50 sarebbero stati definiti “Angeles con la cara sucia“: tre ceffi splendidamente argentini nei lineamenti e nel portamento (eufemismo per dire: tre tamarri). I miei occhi si specchiano nell’azzurro di uno dei tre e mi scappa tutto d’un fiato “Cazzo-Walter-Grande-Scusa-Ti-Rompo-Solo-Due-Secondi-Facciamo-Una-Foto-Insieme!”. Lui acconsente, incredibilmente docile e disponibile. Io emozionato smadonno col cellulare e la mia collega dice “Dai ve la faccio io”: Io lo abbraccio e lei gli fa “Su dai però, un bel sorriso!”. A foto fatta mi dice “Mario, ma non mi presenti il tuo amico?” “Lo parli un po’ d’italiano?” E io da dietro “No, Elena, no, basta, questo mi mena!”. E niente, ho passato le due ore successive a istruirla su chi fosse “il mio amico”. “Ah cacchio, è uno famoso!”. Eh sì…

Con il numero 26: Christian…Chivu

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Una intera carriera di sofferenza e spirito di adattamento. Un terzino sinistro per tutti, tranne che per il diretto interessato. Più volte dirà di aver bonariamente “maledetto” i fortissimi centrali difensivi con cui ha giocato: se non fossero stati a livelli così alti, in mezzo ci avrebbe giocato lui. Invece il suo sinistro, educatissimo, faceva comodo in fascia, dove però servivano anche corsa e resistenza fisica, tutte doti che il povero “Cristal” Chivu o Swarovski non ha mai ricevuto da madre natura.

Forse non un campione assoluto all’altezza dei compagni di reparto dell’Inter del Triplete, ma uno che lì in mezzo ha recitato la sua parte con pieno merito. Il caschetto è una sorta di premio alla carriera, crudele sublimazione di una carriera alle prese tra fratture, lussazioni e altri divertimenti in serie.

Non manca il lato umano, in quella che probabilmente è l’unico caso di pazzia calcistica della sua carriera. il fallo è insensato, cattivo e stupido. Questa è la reazione nel dopo partita. Un campione – di più: un uomo – si vede anche quando sbaglia.

Non me ne vorrà Goran Pandev, ma da Chivu facciamo un balzo in avanti fino all’inevitabile…

Con il numero 32: Bobo… Vieri

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Il centravanti italiano più forte che abbia mai visto giocare (quindi non comprendo Gigi Riva né Bonimba). Personaggio controverso, a metà tra il cazzaro svogliato e il mulo da soma che si allena quanto e più degli altri, Bobone per chi scrive è stato un appiglio in anni di magre calcistiche e non solo. Un vero peccato che i suoi cento e passa gol non abbiano portato a tituli, anche se per un paio di campionati le spiegazioni ci sarebbero anche…

Un sinistro potente, implacabile di testa, àncora di salvataggio per tutte quelle partite in cui la spari lunga in avanti e che ci pensi lui, in culo ai quattromila tocchetti e al “giuoco che deve partire da dietro”. La tenuta fisica è sempre stata il suo tallone d’Achille, non ricordo una stagione nella quale non abbia saltato una decina di partite per infortunio. Per quel motivo si è perso gli Europei del 2000 ed i Mondiali 2006.

Alla prima in nerazzurro sono a San Siro col signor padre e ci stropicciamo gli occhi a vicenda a vederlo segnare i primi tre gol interisti.

Bobone, sempre e comunque Bobone. Nonostante la brutta parentesi rossonera (altro che “il Milan dagli scambi con l’Inter ci guadagna sempre”), nonostante gli scazzi con la Curva dei quali poco mi cale. Non è stata senz’altro colpa sua se quella Inter non ha vinto quel che avrebbe potuto, e dovuto.

Non ce ne sono altri, di numeri leggendari. Ci sono giocatori che avrebbero meritato di esserci, da Berti a Matthaeus, da Baggio a Spillo Altobelli, ma il giochino è spietato.

Il giochino ha anche un rovescio della medaglia, e cioè l’elenco dei cattivi. Vedremo prossimamente quali sono stati i calciatori, sempre presi per numero di maglia, più ricordati nei turpiloqui della sera di chi scrive.

– Continua

APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO – pt. 2)

Dopo aver rischiato dissoluzioni coniugali, e messo a serio repentaglio amicizie pluriennali, mi armo di coraggio a due mani e proseguo con lo stillicidio iniziato l’altro giorno.

Oggi mi dedicherò ai numeri dall’11 al 20, prendenomi qualche pausa e quindi “risparmiando” un paio di numeri che utilizzerò più avanti.

Iniziamo da uno dei primi veri campioni visti a San Siro.

Con il numero 11: Kalle… Rummenigge

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Come detto, la prima stella internazionale vista all’opera a San Siro. Come Figo, è arrivato avendo già dato il meglio, ma i primi due anni del suo triennio sono comunque stati sufficienti a farci capire che razza di attaccante fosse. Potentissimo, acrobatico (la bagassa dell’arbitro di Inter-Rangers!), un vero mito per il sottoscritto, forse anche perché il formaggino d’oro Grunland era tra i miei preferiti!.

Inizia oltretutto una felicissima parentesi di acquisti dalla Germania che, escluso forse il solo Hansi Muller (simpatico quanto acciaccato) ha portato all’Inter una serie di campioni che lui stesso aveva “benedetto”, e che tanto ci hanno fatto godere a cavallo tra gli anni 80 e 90.

Con il numero 12: Julio… Cesar

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So che nel post-Toldo è passato ad indossare la 1, ma qui fa gioco schierarlo con l’amata 12, tanto per non scontentare nessuno. Ancora oggi non so decidermi nello scegliere tra lui e Zenga quale più migliormente preferito, ma il brasiliano è stato un portiere fantastico per tutto il periodo di permanenza in nerazzurro.

Completo, bravo tra i pali e nelle uscite, buono come para-rigori, notevole anche coi piedi, qualche iniziale problema sul posizionamento sui calci di punizioni (vero Mancio?) aveva come unica pecca un paio di distrazioni all’anno, compensate però ampiamente da tanti sogni acchiappati. Continuo a preferirlo ad altri grandi portieri del recente passato (Toldone, Pagliuca) o del presente (Handanovic), ma onestà impone di riconoscere l’ovvio: l’Inter, di portieri scarsi, negli ultimi 50 anni non ne ha mai avuti.

Salutiamo Seba Rossi con simpatia.

Con il numero 13: Douglas… Maicon

Ecco, con il Maicone ero partito prevenuto, come del resto con molti brasiliani. Atteggiamento uggeggé-uggeggé-alegria-do-Brasil, scarso acume tattico, attitudine difensiva tendente a zero. E questo dovrebbe togliere il posto a Zanetti? Ha ha ha…

Invece, Maicon si è rivelato il miglior terzino destro della storia di questo sport per tutta la sua parentesi nerazzurra. Che Cafù o Dani Alves vengano ricordati ben più spesso di lui è la prova provata del Negazionismo che serpeggia presso la stampa sportiva italiana. Il fatto che i due “rivali” siano stati sulla cresta dell’onda per più anni rispetto al “nostro” non ne fa ipso facto giocatori migliori. Sarebbe come dire che i Beatles sono durati solo otto anni e quindi i Pooh sono più bravi perché son durati quarant’anni. Andate tutti a quel paese: nessuno ha fatto vedere quel che Maicon ha messo in mostra nei 7 anni di Inter (non 10 partite, 7 anni). Corsa, fisico, cross, gol e, col tempo, giusta presenza in difesa (certo, aiutata da Lucio, Samuel e uno dei centrocampisti ma –hey– il sacrificio è ampiamente compensato dai risultati). Il difetto? Una eccessiva tendenza a ridere, specie dopo un errore marchiano, e la sublimazione di uno dei difetti ancestrali dell’Inter: regalare le rimesse laterali all’avversario.

Ma, come dicono a Rio grande do Sul, inscì avèghen

Con il numero 14: Diego… Simeone

Qui urge premessa metodologica. Come sapete, il nostro gioco ha come unico criterio quello del numero di maglia. Tra tutti i coinquilini della stessa casacca, la preferenza poi va data non necessariamente al calciatore più forte tout court, ma a quello che nella parentesi nerazzurra ha fatto meglio. Ecco perché qui non trovate né Patrick Vieira né Clarence Seedorf, probabilmente giocatori più forti del pur valido Simeone, ma che nei loro trascorsi interisti non hanno lasciato il segno indelebile dell’argentino.

Cholo quindi. Altra tessera di quel mosaico di fine anni ’90 che con una maggior legalità e certezza del diritto ci avrebbe visti campioni d’Italia. I primi mesi sono accidentati, con Simoni stesso che gli dice “Diego, San Siro ti fischia, per qualche giornata ti faccio giocare solo in trasferta”. Poi al primo derby la butta dentro e scoppia l’amore. Piedi forse non raffinatissimi, ma grinta, intelligenza calcistica di primissimo livello, ottima propensione all’inserimento – specie di testa -. Come tanti altri nerazzurri paga lo stigma della stampa, che in questo caso ha ingigantito lo scarso feeling tra lui e Ronaldo. Come ho scritto nel libro (compratelo perdìo!), a chi gliene chiedeva conto, rispose “Brutto clima in spogliatoio? Cambiate i condizionatori, tutto il resto è a posto”. Senza contare che il primo a soccorrerlo dopo l’orrendo infortunio dell’Olimpico è proprio lui.

Con i numeri 15 e 16: Nessuno (chi devo mettere: Cauet e Taribo West?)

Con il numero 17: Francesco… Moriero

Torniamo all’applicazione pedissequa del manuale, adattamento calcistico del mitologico Chitarrella per lo scopone scientifico: non può che esserci “il fruttarolo del Salento” a far brillare la maglia 17 (non certo l’immondo Cannavaro), ancora una volta vendemmia 97/98.

In questa storia c’è una discreta dose di culo, evento più unico che raro a latitudini nerazzurre: Moriero in estate è già del Milan, mentre l’Inter ha acquistato il brasiliano André Cruz. Poi, i due si scambiano le destinazioni, per non meglio appurati magheggi contabili al solo costo di un milione… di lire, nemmeno di euro.

Insomma, arriva un’aletta destra tutta riccioli e fantasia che fin lì ha fatto vedere qualche scampolo di classe tra Lecce e Roma. Invece quella stagione sembra Garrincha: dribbla tutti, sforna assist a garganella, segna gol stupendi, pure in rovesciata. Guadagna la Nazionale (“se hace da vuelta estilo Enzo Francescoli” pure lì) e partecipa a Francia ’98 come titolare fisso. Le stagioni successive sono buone ma non all’altezza di quel lampo accecante. Si guadagna il posto per mancanza di alternative credibili e per il copyright di “Sciuscià” ad imperitura memoria.

Con il numero 18: Hernan… Crespo

Non che oggi sia messo male, ma in quegli anni l’attacco argentino poteva pescare a occhi chiusi e schierare Batistuta, Crespo o Cruz come centravanti, e mi limito a quelli che ai tempi giocavano in Italia. Il mio preferito è stato Batigol, che però ha avuto una parentesi alquanto triste e solitaria all’Inter.

Crespo invece è stato, senza tanti giri di parole, un centravanti della Madonna. Forte, completo, giusto mix di classe e tecnica, persona splendida (è a tutt’oggi uno dei pochissimi casi di ex di Inter e Milan ad essere amato da entrambe le sponde del Naviglio), nei suoi anni nerazzurri ha avuto il pregio ed il talento di farsi vedere sia come riferimento principale dell’attacco, sia come utilissima sponda di campioni quali Vieri e Ibrahimovic. Indimenticabile il suo fiuto per il gol, in particolare per alcuni di testa (questo, o questi, per non parlar di questo). Talmente grande da far emozionare anche un cuore di pietra come me quando festeggia così uno dei tanti gol segnati alla Roma, una delle sue ultime realizzazioni in maglia Inter.

Con il numero 1+8, fuori concorso: Ivan… Zamorano

Piccolo artifizio numerico per inserire uno dei miei giocatori preferiti di tutti i tempi. Il Cileno passa alla storia per la scelta del numero di maglia, barba-trucco per ovviare alla cessione della “9” a Ronaldo. Centravanti di altri tempi, con un cuore e due huevos imparagonabili e capaci di supplire a piedi discreti ma nulla più, Zamorano è stato l’esemplificazione della “boglia di bincere” (come l’avrebbe pronunciata lui nel suo splendido accento andino) e probabilmente il miglior colpitore di della storia del calcio. 178 cm di esplosività che lo rendevano capace di saltare in testa a perticoni più alti di lui di 15-20 cm.

Tra i tanti fotogrammi che restano in mente, l’immortale gol con cui apre le marcature a Parigi nella finale di Coppa Uefa, un paio di gol nel Derby, e la marea di insulti in castigliano stretto vomitati contro l’arbitro Ceccarini in quel putrido fine Aprile del 1998. Non c’è interista che non lo porti nel cuore. Ce l’avesse avuta il Chino metà della grinta di questo qua…

Con il numero 19: Esteban… Cambiasso

Euclide applicato al calcio, il giocatore più intelligente mai visto in maglia nerazzurra. Colpo assoluto -anche con un quid di culo, diciamocelo- di calciomercato, il Cuchu arriva nel 2004 a parametro zero dal Real teoricamente come riserva di Davids. In realtà dopo un paio di partite entra in squadra e non esce per i successivi 10 anni.

Regia, contrasto, inserimenti, gol: capelli a parte, tutto quel che volete. Non aveva i piedi di Veron, non aveva il fisico di Nicolino Berti, ma nessuno è stato pietra angolare del centrocampo interista quanto lui. Come e più di tanti altri compagni di squadra, chi scrive nota come il nostro abbia sempre sommato alle qualità calcistiche una sagacia non comune fuori dal campo, perfetto nel rispondere a domande prevenute dei giornalisti così come a esprimere la sua opinione su fatti extra-calcistici. Esempio plastico di kalokagathìa a strisce nerazzurre,

Se fossi una madre americana e lui fosse mio figlio, direi “è lui il prossimo presidente degli Stati Uniti”.

Con il numero 20: Alvaro… Recoba

Eccezione alle regole del gioco per non vedermi tolto il saluto da quei malati mentali del Sig. Carlo e di Sergio. La mia disistima per il Chino non ha ovviamente nulla a che fare con il piede sinistro che madre natura gli ha dato: non ho visto giocare Corso, ma credo sarebbe stato l’unico nerazzurro a poter rivaleggiare per qualità tecnica con quello di Recoba.

Si aggiudica la maglia per carenza di alternative all’altezza (per quanto, a me Angloma non era dispiaciuto!) e perché rappresenta quel che l’Inter è stata per tanto, troppo tempo: un potenziale incredibile spesso buttato alle ortiche per mancanza di costanza. “Ha le potenzialità ma non si applica”, dicevano i miei professori a mia madre (che già lo sapeva, e anzi li inzigava a mazzularmi ancor di più, ma questa è un’altra storia…), quindi nella ramanzina al Chino c’è anche una dose di autocritica.

Ultima nota per il Sig. Carlo, anche per ricordare degnamente uno dei nostri maestri di vita: se noti ho scelto la foto in cui ha “quei capelli da vecchio mignottone no?!”

Continua

OTTOBRATA RANCOROSA

PUNTO TENNICO

Il momento che speravo di vedere il più tardi possibile, si è invece palesato nell’ultima settimana giocata: pur facendo due figure più che dignitose, l’Inter esce dagli incroci con Barcelona e Juventus con zero punti.

Hai voglia a smargheritare con i pronostici della vigilia chiedendoti “ma se dovessi vincerne solo una, quale preferiresti?”.

Siamo quindi alla pausa nazionali con una classifica che continua ad essere di tutto rispetto ma con morale e giunture un po’ cigolanti.

Se pensiamo alla partita con la Juve, è parsa diretta la correlazione tra uscita di Sensi e fine del gioco: troppo importante il piccoletto nel centrocampo nerazzurro. Non solo lo trovi ovunque a far la cosa giusta, ha anche il piacevole effetto collaterale di sgravare Brozovic di un po’ di lavoro. Sono in due a smazzarsi la costruzione della manovra, chè ormai tutti hanno capito che con uno schermo sul croato blocchi il grosso del traffico e riduci il possesso palla al ti-tic ti-toc tra i centrali di difesa.

Lunga vita agli adduttori di Sensi, quindi, che se non altro si risparmia la convocazione in Nazionale -che in compenso ci ha già omaggiati di una caviglia di Sanchez ed un dito di D’Ambrosio- ma che verosimilmente non vedremo alla ripresa del Campionato. Il calendario mette in programma la trasferta di Sassuolo, già indigesta ai nostri per definizione, e ancor più scomoda del solito vista la recente scomparsa del patron Squinzi.

Quale miglior occasione per i suoi giocatori di ricordare il loro presidente di note simpatie rossonere“. Già me la sento la canea mediatica…

Ecco: giocarsi quella trasferta senza (tra gli altri) il piccolo-grande ex sarà ancora più complicato, e sarà il primo vero banco di prova per gli uomini di Conte. Come ben sappiamo, già altre volte negli ultimi anni l’Inter aveva infilato una bella serie di vittorie, (Pioli e Spalletti arrivarono a sette), ma ai primi tentennamenti il castello di carte era crollato facendoci ricominiciare ogni volta dalle fondamenta o quasi.

Di più: ad ogni filotto di risultati nel passato si era puntualmente alzata la gufata massima “quel che è evidente è che l’Inter di (…inserire nome del Mister di turno) non ha più le amnesie di una volta e non ci saranno più blocchi mentali e montagne russe”.

E’ quel che dicono anche adesso e, se fossi un osservatore esterno, potrei anche essere d’accordo. Conosco però troppo bene le strisce nerazzurre per dormire sonni tranquilli, e vedo quindi nella ripresa post-Nazionali un ciclo di paratite solo apparentemente morbido.

Il tour emiliano (Sassuolo, Parma, Bologna), con incursioni sul Garda (Brescia, Verona) pare fatto apposta per fare filotto pieno e mantenersi ai piani altissimi della classifica. Vuole però anche dire zero margine di errore e tutto da perdere: basta un pari e torniamo alla solita Inter che butta tutto alle ortiche. Senza contare che in questo bel giretto autunnale c’è anche -se non soprattutto- il doppio incrocio col Borussia per giocarci le poche chances rimaste in Champions.

Andonio e il Gatto Pancrazio che si porta in testa non avranno bisogno di suggerimenti, ma quel che direi io ai ragazzi è “calma: non abbiamo fatto un cazzo. Anzi… testa bassa e pedalare“.

PUNTO COMPLOTTO

Ci sono alcune cose che non cambiano mai, ed altre invece che sono nuove ma che vanno nella stessa direzione. Cerco di spiegarmi partendo dalle certezze granitiche.

Zlatan Ibrahimovic ha giocato due stagioni con la Juve, tre con l’Inter e due col Milan. Questo vuol dire che, volendolo proprio tirare per la giacchetta, il Club italiano in cui è stato per più tempo è stata l’Inter.

Ciononostante, il suo triennio nerazzurro è costantemente lasciato in disparte, quando non ignorato in toto, ogniqualvolta i giornali parlano di lui. Foto di archivio in maglia gobba o rossonera, dichiarazioni relative al calcio italiano sempre rivolte alle altre due strisciate, condite da amarcord all’insegna di “quanto stava bene Ibra alla Juve e al Milan”.

L’ultima conferma in questo senso si è avuta nell’intervista rilasciata a margine dell’inaugurazione della statua a lui dedicata a Rosengard, in Svezia. Queste le sue parole:

Se posso venire in Italia non vedo il problema, faccio meglio di quanto facciano quelli che ci sono ora. Secondo me la Juventus sta facendo grandi cose, è il simbolo del calcio italiano per la squadra e i calciatori che hanno. Anche l’Inter sta facendo grandi cose con un grande allenatore, stanno spingendo molto. Le altre squadre stanno provando qualcosa ma non sono ancora a livello della Juve e più staccata c’è l’Inter secondo me. Mi dispiace tanto per il Milan, per me deve essere un top club per risultati e per investimenti, con i migliori giocatori del mondo. Ma al momento non è così.

Il grassetto l’ho aggiunto io di bellezza. Questo invece il modo in cui sono state riassunte sui giornali italiani:

Onore alla Juve, carezze malinconiche all’amatissimo Milan. Fine delle trasmissioni. Chi l’avrebbe mai detto? Del resto, la damnatio memoriae del periodo nerazzurro non è certo una novità: tra i millemila esempi, ecco come veniva descritto Zlatanasso in estate dall’ineffabile redazione sportiva di Repubblica:

Passiamo invece alle novità: la stampa plaude agli acquisti nerazzurri e riconosce il valore di alcuni di loro: nello specifico parliamo di Lautaro, Sensi, Barella e Bastoni.

Bene, direte voi, vedi che fanno complimenti anche all’Inter? Vedi che sei paranoico? Sì, certo, aspettate un attimo.

Di Sensi si riesce a dire testualmente che il suo rendimento altissimo per l’Inter è un limite. Non basta: altrove si parla dell’ottima accoppiata Sensi-Barella, aggiungendo prontamente che però mancano le alternative.

Ancor più interessante la disamina sul giovane difensore Bastoni: tutti entusiasti per l’esordio del ragazzo a Genova contro la Samp, ma altrettanto pronti a spegnere facili entusiasmi: occhio che col ragazzino che vien su bene, potrebbe anche partire Skriniar!

Concetto simile per il Toro Martinez: bravo, bene, tutto quel che volete… Certo che adesso la clausola è da ritoccare, c’è pur sempre il Barcellona che lo corteggia.

Concludendo: la novità è che si parla bene di molti giocatori interisti (a mio parere è un modo indiretto per fare i complimenti a Conte, ma ammetto che il mio è un processo alle intenzioni). La conferma è che il mercato è quella cosa che per ogni altra squadra rappresenta un’opportunità, e per l’Inter sempre e solo una minaccia.

PUNTO ORGOGLIONE

E’ di qualche giorno fa la notizia che l’Uefa ha premiato l’Inter quale miglior settor giovanile europeo. Mi piace anche in questo caso riportare il testo ufficiale perchè dice molto, soprattutto a chi vuol sentire:

“La Commissione Esecutiva della Uefa ha scelto di premiare FC Internazionale Milano per la categoria ‘Miglior Club Professionista’. Questo premio viene assegnato alle società che, oltre alla propria attività professionistica, si impegnano in un’agenda ricca di specifiche iniziative sociali a dimostrazione dell’impegno del club per le comunità locali e l’attività di base. La Commissione Esecutiva ha ritenuto che l’Inter meritasse di vincere questo premio.”

Questo in risposta ai tanti Arrighi Sacchi che hanno sempre sputato veleno su un Settore capace nell’ultima quindicina di anni di vincere campionati in quantità, di far esordire tanti giocatori nella massima Serie, e soprattutto di accompagnarne la crescita sportiva a quella umana, culturale e professionale (anche qui, tra i tanti esempi, prendo quello del giovane Natalino).

Tanto per essere chiari, e tornando alla motivazione: quelle poche righe dovrebbero tappar la bocca e far arrossire tanto i critici del “cosa conta vincere il Campionato Allievi, è più importante preparare questi ragazzi allo sport e alla vita in generale” quanto i cinici del “Bella la manfrina di Inter Campus e Inter Academy, ma l’Inter è una squadra di calcio e di tanti ragazzi non ce n’è uno che poi arriva ad alti livelli”.

Come contrappunto di puro dispetto ricordo ai più distratti che i nostri cugini, quelli che propongono giUoco (cit.), sono attualmente nella Serie B del Campionato Primavera.

Come si dice in questi casi: me so’ sfogato.

SMOKE GETS IN YOUR EYES

Al solito, quando facciamo cagare, non ci sarebbe bisogno di calcare la mano: basterebbe affidarsi alla fredda cronaca.

Eppure, come finalmente qualche mente onesta del giornalismo italiano ha iniziato a notare, c’è sempre bisogno di ingigantire, di esagerare, quando non di inventare di sana pianta.

Vado in rigoroso ordine sparso, restando ligio all’intento di non commentare i match di Coppe minori (Italia o Europa League che siano), tantomeno quando le prestazioni offerte sono da turpiloquio spinto.

Faccio solo un piccolo accenno alla copertura mediatica della RAI, che organizza un salottino di commento popolato dalla vecchia gloria laziale Giordano, accompagnato dal romano (e aquilotto?) Jacopo Volpi. Evidentemente chiamare un Pierino Fanna di turno pareva brutto.

La telecronaca, come se non fosse abbastanza, riesce a veicolare notizie false e tendenziose, facendo ripetuti riferimenti alla passeggiata di Antonio Conte in centro Milano (ma davvero secondo voi Spalletti durante i rigori pensava all’allenatore agghiaggiande???), o correggendosi da solo allorquando dice “in tribuna alcuni eroi del Triplete, ultimo trofeo alzato dai nerazzurri“. Il tacon però è peggio del buso, come direbbero in Veneto, perchè a quel punto si sente dire “ah no, dopo l’Inter ha vinto anche la Coppa Italia nel 2011“. La Supercoppa italiana e il Mondiale per Club, ottenuti tra la Champions di Madrid e la succitata Coppa Italia, evidentemente non meritavano di essere menzionati

Ma non è che la carta stampata del giorno dopo faccia di meglio.

Che Milinkovic Savic abbia fatto una minchiata mostruosa -per sua fortuna alla fine senza conseguenze- abbattendo D’Ambrosio al 122′ minuto della partita è fuor di dubbio. Però non fa abbastanza notizia: diciamo che Icardi segna al 125′, cioè quando il gioco riprende dopo il cinema di VAR, proteste e balle varie. Così sa ancor più di scandalo.

E la solfa non cambia tornando indietro di qualche giorno, alla simpaticissima parentesi di Calciominchiata.

Bene ha fatto Spalletti a dire che il solo Perisic aveva espressamente chiesto la cessione al Club. Gli altri può darsi fossero (o siano tuttora) scontenti, ma nessuno di loro ha detto di volersene andare.

Faniente. Tutti convinti e testardi nel dire che Candreva, Vecino, Miranda, Gagliardini, Ranocchia e Dalbert hanno apertamente chiesto di andar via.

Il fatto che poi nessuno si sia mosso a mio parere è stato un atto di forza della Società, che ha fatto capire ai propri tesserati che nessuno è indispensabile, ma che certe cose si possono fare solo se tutti ci guadagnano. E Perisic in questo senso ha pagato per tutti.

Più comodo però cavalcare l’onda con articoli senza senso tipo questo, grattando le briciole della rosa e arrivando ad inserire il secondo e terzo portiere tra i sicuri partenti a fine stagione pur di far tornare i conti della serva.

Come se non fosse che ogni anno le squadre si trovassero con una decina di uscite, tra fine contratto, prestiti, cessioni varie. Ma qui no: qui è un caso. Vedere per credere:

Bad photo. I took it 🙂

Seriamente, e con tutto il rispetto: se a Giugno l’Inter dovesse cedere i vari Padelli, Berni e Ranocchia, gli unici delusi sarebbero i fieri sostenitori della fantomatica “quota di italiani” (quorum NON ego).

Spalletti ha le sue colpe, ma mi piace quando fa la guerra (seppur da solo) contro i pennivendoli. Non so chi sia il “te” a cui si rivolge, ma appoggio sulla fiducia l’intemerata del compagno Luciano da Certaldo, soprattutto nella parte da me evidenziata in grassetto:


Quest’anno l’obiettivo era di passare…
“L’obiettivo lo inventi te per fare lo stesso gioco di creare attenzione. L’obiettivo è andare avanti e fare delle buone partite, non vinco questo o quell’altro. Se fai delle buone partite puoi riuscire. Ma creare tensione, il pubblico poi se va male ci fischia. Crei tensione con quello che dici. Se racconti prima della partita che a fine anno ci saranno 12 giocatori che vanno via è una scorrettezza, perché non è così. Poi se nessuno viene a dirtelo, è un problema di chi non te lo dice. Io te lo dico: è una scorrettezza perché è un martellamento nella testa dei giocatori che non sono buoni e devono andare via prima della partita. Non si fa il giorno prima. Chiaro che se non faccio risultati sono il prima a subirne le conseguenze, ma difendiamo l’Inter.

Ribadisco: siamo in un periodo pessimo e non vedo luce in fondo al tunnel. Questo per sgombrare il campo. Nessuno cerca di indorare la pillola.

Ma questo non giustifica la cronica tendenza dei media ad aggiungere vangate di letame “a sentimento“.

SQUADRONE?

LAZIO-INTER 0-3

Un partitone mariano, di quelli che a queste latitudini non si vedevano da anni, il poeta direbbe da aaaanni.

Spalletti si gioca il triplo filotto reale ritornato con pallino (cit., altro che candelone operaio…) piazzando Joao Mario in mediana e facendo restare seduto De Vrij per Miranda.

Avendo sentito l’eco del “ma è scemo?” esclamato più o meno all’unisono da tutti gli interisti alla lettura delle formazioni, mi apprusto allo SkyGo corretto Ipad (chè  veniva giù l’ira di Dio e le millemilalire di abbonamento Sky non consentono la visione tramite padella condominiale quando piove…) nel tinello di casa anzichè sulla poltronissima vista TV.

I nostri iniziano ben presto a disporre della Lazio come meglio credono, lasciando qualche scorribanda a un Immobile decisamente non in serata e imbastendo di contro svariate trame offensive. Bello il cross basso di Perisic su cui Icardi non arriva, puntando il piede per terra in stirata rischiando un comico capottamento. Velenoso as usual Vecino in un paio di incursioni, anche prima di arrivare allo spesso cruciale minuto 28 (vero Andrea?).

Quella che a strisce diversamente colorate verrebbe descritta come un’azione corale a conferma della bontà della manovra collettiva, qui viene liquidata col sempre meno sopportabile cliché della “palla che va verso Icardi e non viceversa”.

Ve possino…

Al min. 0.45 la parte “ciccia” dell’azione, dalla quale sono esclusi una decina di passaggetti iniziali (che se li fa il Barça è poetico tiki taka): i nostri vanno “dritto per dritto” fino a un rimpallo conteso e vinto da Icardi -anche con fortuna, non nego, ma pur sempre da quello che “non si muove e sta lì a aspettar palla”- e piazzano poi quattro diconsi quattro tocchi di prima in area di rigore, con esterno destro vincente del nostro numero 9.

Ve possino, n’artra vorta.

Marchegiani minimizza subito il ruolo di Vecino dicendo che la palla arriva a Icardi solo grazie alla deviazione del difensore: io come detto ci vedo un’intesa dei nostri che ricaccia in bocca ai critici la litanìa di un Mauro troppo solo in area e di una manovra che sa solo andare sul fondo e buttare il cross alla spesa in Dio.

La cosa ancor più bella e rassicurante è il quarto d’ora seguente, in cui i nostri si mettono lì e non mollano l’osso: il raddoppio di Brozo (sinistro forte all’angolo calciato da fermo al limite dell’area) arriva sugli sviluppi di un corner che, a sua volta, segue una bella azione chiusa da tiro di Vecino parato da Strakosha.

Sta diluviando anche a Roma, nel frattempo, e viene quasi da implorare pietà a Giove Pluvio per scacciare ogni rischio di sospensione di cotanta bellezza calcistica.

A mio parere gli aquilotti sono alle corde al punto da cercare il terzo gol già in chiusura di tempo, ma i nostri preferiscono non infierire.

La ripresa ha ritmi senz’altro più compassati, con Joao Mario a lasciare presto spazio a Borja Valero. Buona l’ora giocata dal portoghese, che sconta un po’ di disabitudine al campo ma che fa capire come le sue qualità, in una rosa del genere, possano starci eccome.

Con lo spagnolo andiamo a comandare, nel senso che, almeno nelle intenzioni, mettiamo la partita in ghiaccio aspettando il momento buono per maramaldeggiare.

Volando alto potremmo dire che va così, anche se un paio di Madonne i nostri riescono a meritarsele anche ieri. Il corner concesso dopo cervellotico scambio Handanovic-Miranda sulla linea di fondo campo mi è costato più di qualche punto Paradiso, lo ammetto…

Per fortuna è proprio il nuovo entrato a porre fine alle ostilità, servendo alla perfezione Icardi, che si allarga in area giusto-giusto per ricevere la boccia, rietrare sul sinistro e incenerire il portiere.

3-0, il mio risultato preferito. Di più non potevo chiedere, grazie ragazzi.

L’attesa per le interviste del dopopartita inizia a diventare spasmodica quasi quanto la partita in sè, e anche in questa circostanza Spalletti non delude.

Prosegue sulla falsariga del “vaffanculo a prescindere” riuscendo a polemizzare con lo Zio che pure gli fa i complimenti per il partitone ben giocato. Ma aldilà di quello, mi convince quando giustamente fa la parte dell’insoddisfatto parlando di una ripresa da gestire meglio e con meno errori. La tensione, che piaccia o no, deve rimanere a livelli massimali, pena l’implosione del gradevole soufflé in una chiavichetta informe e nauseabonda. Che poi questo porti con sè il rischio di un crollo nervoso da qui a fine stagione è possibile, ma nel caso toccherà al neo Presidente Steven garantire adeguato supporto psichiatrico.

LE ALTRE

La Juve torna a vincere, pur in maniera non limpidissima, sia nel gioco che nei modi. Napoli e Roma invece pareggiano facendoci doppiamente contenti: due punti guadagnati su entrambi e soprattutto secondo posto agguantato in condivisione con Insigne & Co.

Alla faccia dei tanti che hanno descritto Lazio-Inter come “scontro valido per il terzo posto”, forse perchè non era nemmeno concepibile prevedere una vittoria dei nostri.

E invece, sorry, la partita è diventata buona per il secondo di posto.

Ora, ricalco qui il discorso già fatto per il girone di Champions: lottiamo serenamente per la seconda piazza, non avendo -ancora- la struttura e la forza per competere con la Juve nel lungo periodo. Gobbi a parte, però, possiamo e dobbiamo giocarcela con chiunque. Diffido da una Roma attualmente in difficoltà (si ripiglieranno), mentre gufo preventivamente i cugini dando per assodati i tre punti in palio contro il Genoa nel recupero infrasettimanale: pur nella loro mediocrità saranno quarti a parimerito con la Lazio, segno del livellamento dei valori dopo il primo quarto di stagione.

 

E’ COMPLOTTO

Partiamo da quanto successo in settimana, con il cambio al vertice dell’Inter. Citando il vecchio speaker di San Siro potrei dire che

“l’Inter sostituise (lo speaker doveva essere di San Giovanni in Persiceto) il zocatore Thohir col zocatore Steven Zhang”.

Ora, posto che al primo giorno di scuola i propositi sono sempre lodevolissimi e siamo tutti primi della classe, vedremo quanto del tanto promesso il giovane Zhang riuscirà a mantenere.

Il punto, al solito, non è questo, bensì quest’altro:

corsport zhanghete

Un titolo del genere, nemmeno da Tuttosport, ma dal Corriere dello Sport, denota ancora una volta la scarsa considerazione dell’Inter presso l’universo mediatico italiano.

Senz’altro i passi avanti da fare in questo campo sono enormi. Che il ragazzo ne sia consapevole e prosegua sulla strada già intrapresa con Inter Media House.

Passiamo a un altro Luogo Comune Maledetto: i giUovani (possibilmente italiani e senza tatuaggi), il settore giUovanile, unica strada verso il successo per qualunque squadra del globo terracqueo.

Qualche ulteriore dato per spiegare ai duri di comprendonio chi fa settore giovanile in Italia e quale sia (se c’è) la diretta correlazione con i risultati della prima squadra.

Il CIES ci mostra una tabella che dice quel che noi, per una volta alunni diligenti e attenti in classe, già sappiamo: è l’Inter, in Italia, ad aver formato il maggior numero di giocatori militanti nei primi 5 campionati europei.

Siamo indietro con il resto dell’Europa, ma questo è noto.

Quel che vorrei far presente, ancora una volta, è che non necessariamente chi lavora bene a livello di vivaio poi raccoglie in automatico successi a raffica con le prime squadre.

l’Ajax è primatista in Europa nel formare giovani calciatori ma, Olanda a parte, in ambito UEFA fatica da ormai vent’anni a proporre una squadra competitiva.

Della Dynamo Kiev e del Partizan Belgrado non sto nemmeno a parlarne. Fanno un altro mestiere, in un certo senso: sono bravissimi a formare giovani calciatori, a venderli al miglior offerente incassando quanto gli serve per andare avanti e scoprire un altro giovane talento. Bravissimi. Ma non essendo un mondo di favole, purtroppo non è così che si vincono campionati competitivi e coppe europee.

Già più interessante che il Real Madrid abbia lanciato più giocatori del Barcelona, anche se tutti ci ricordiamo la Masia e le eiaculazioni giornalettistiche del tiki taka de stoca.

La Juve, per restare in casa nostra, è quinta in Italia e 37° in Europa in questa speciale graduatoria, ma ciò non le ha impedito di vincere gli ultimi centordici scudetti ed arrivare due volte in finale di Champions.

Morale: C’è chi vince in un modo, chi in un altro.

E basta.

Per dire: ieri sera l’Inter ha vinto col palleggio insistito, il City di Guardiola con un gol su rinvio del portiere.

Il mondo è bello perchè è vario. Rassegnatevi.

Noli rumpere pallas, dicevano i latini.

 

WEST HAM

I nostri non fanno in tempo a rammaricarsi per il pareggio concesso al Leicester al 90′ su autogol nella trasferta di sabato, visto quanto successo pochi minuti dopo.

Davvero da lasciare senza parole. RIP.

 

CRIBIO

Monza torna ad essere il luogo dell’Amore e dell’amicizia, se è vero che Brocchi porta a Zio Silvio e Zio Fester la prima vittoria della gestione del cuore. Anche se i gol li segnano il tatuatissimo Ceccarelli e il tamarrissimo Iocolano.

Lo so che sono stronzate, ma sono un bambino immaturo: hanno cominciato loro, Maestra, e io gli vado dietro, pappappero!

laz int 2018 2019

Giro-Giro-Tondo

VOGLIO MORIRE ADESSO (CIT.)

INTER-MILAN 1-0

Immaginate di leggere queste quattro righe in un perdurante stato di semicoscienza, ma con parametri vitali ancora incoraggianti (evidentemente gli auspici del titolo tardano a fare effetto!).

Ebbene, mi vedreste con il sorriso ebete dei giorni belli, con i cugini giustamente battuti e gustosamente puniti all’ultimo minuto, con papera di Donnarumma, con sentenza di Icardi, con Spalletti spumeggiante e incazzoso in conferenza stampa.

Tutto molto bello, avrebbe detto il buon Bruno.

I nostri devono rinunciare presto a Nainggolan, che riesce nell’incredibile esercizio di commettere fallo per evitare di subirlo, riuscendo nel contempo a infortunarsi e a dover abbandonare il campo dieci minuti dopo.

Dentro Borja Valero, meno gamba, più cabeza.

Per il resto, Vrsaljko e non D’Ambrosio, Vecino e non Gagliardini, Politano e non Candreva: Inter in campo con un solo italiano (who gives a fuckin’ fuck!?) e -o ma, scegliete voi la congiunzione- a menare le danze per la quasi totalità dei 90′ giocati.

Il primo tempo vede, in ordine sparso, un gol annullato a Icardi per capocciata malandrina di Vecino a spizzare lo spiovente, un palo di De Vrij sugli sviluppi di un corner, un bel colpo di testa di Perisic deviato dal loro purté, un tiro-cross di Vrsaljko su cui Icardi in allungo arriva un decimo in ritardo, un assist al bacio di Borja sempre per Icardi contrato da Romagnoli e un sinistro di Vecino che spara alle stelle un rigore in movimento dopo sapiente assist rasoterra di Perisic.

A tutto ciò il Milan, col proverbiale culo che li accompagna da lustri, trova anche la zampata di Musacchio sul (primo?) corner battuto da Suso: per fortuna, anche in questo caso la bandierina sale senza nemmeno bisogno del VAR.

Visto che l’Inter è quella muscolare e il Milan quello del bel giUoco, i cugini picchiano come fabbri ferrai. Ajeje e Beavis a fine primo tempo hanno le cosce martoriate dalle “vecchiette” degli avversari e, in altro contesto, sarebbero probabilmente sostituiti nell’intervallo.

Lucianino invece, avendo come detto già dovuto rinunciare al Ninja, dice “m’importa sega” e lascia in campo entrambi incerottati; si ricomincia.

Meno occasioni rispetto al primo tempo, con Politano a sparacchiare largo un destro al volo, e Vecino a cercare Icardi anzichè provare il sinistro sul palo lungo. Oltre a ciò continua la serata complicata di Asamoah, che se da un lato annulla Suso, dall’altro si esclude dalle sovrapposizioni con Perisic e dalle combinazioni centrali con Brozo e Vecino.

Ma soprattutto, perdiamo più di un paio di palloni velenosi in ripartenza, dando a quelli là l’occasione di pescare il jolly sotto forma di uno-tiro-uno-gol.

Se non altro, la Dea Eupalla stasera non ci volta le spalle e lascia i cugini a inciapmare nelle primule, con Higuain lasciato solo al suo destino (lui, quello che aiuta la squadra, quello che partecipa alla manovra…) e anche Cutrone a galleggiare inoffensivo sulla fascia.

Meno male, perchè l’insopportabile ragazzino è tanto simpatico quanto pericoloso, degna radice quadrata di Pippo Inzaghi: cintura marrone (non ancora nera) di palla strumpallazza e rischio di gollonzo a livelli altissimi.

E’ vero, come dice Marchegiani, che negli ultimi minuti entrambe le squadre paiono accontentarsi del pareggio, ma Gattuso risveglia le mie speranze con l’ultimo cambio. Non solo esce Calabria, diligente a limitare Perisic per buona parte del match, ma al suo posto entra la sentenza Abate, ‘Gnazio per gli amici.

Apprendo di aver fatto la stessa battuta di Scarpini (adesso entra Milito e segniamo), ma non stiamo a quisquiliare su diritti di primigenitura.

Dopo nemmeno due minuti dal suo ingresso Candreva rovescia e fa proseguire Vecino in posizione di ala destra. Romagnoli gli si mette davanti ma più per senso del dovere che altro, e il cross a voragine esce come un arcobaleno dal destro dell’uruguagio.

Siamo al meta humour: Donnarumma fa capire a tutti cosa vuol dire “non capirci un cazzo”, roba che nemmeno Handanovic nelle uscite peggiori,  si fa la finta da solo uscendo ma non troppo, per poi rientrare ma non del tutto.

Icardi, quello che sta fermo e viene colpito dalla palla, quello che non fa i movimenti giusti, quello indegno di portare la fascia di Capitano, scherza bellamente il connazionale Musacchio facendo la mossa del biscione scivolandogli dietro le spalle e inchiappettandolo a porta vuota.

Da far vedere in loop nelle scuole calcio, altro che balle…

Il tutto -ovviamente- sotto lo sguardo rassicurante di Abate, entrato giusto in tempo.

La goduria pare senza limiti, ma c’è di meglio.

LE ALTRE

La Juve perde i primi due punti del suo campionato dopo il pari casalingo contro il Genoa. Magra soddisfazione, visto che la distanza dagli altri rimane considerevole, ma quanto meno non è più siderale.

Il Napoli non si fa sorprendere e regola l’Udinese per 3-0, portandosi a -4 dai gobbi. Altrettanto fa la Lazio, che nel finale passa a Parma. Tutto il contrario della Roma, sconfitta in casa dalla Spal e tornata a perdere punti con un’altra piccola.

I cugini, chettelodicoaffà, stazionano saldamente nella colonna di destra, pur avendo ancora una partita da recuperare.

E’ COMPLOTTO

Inizio con il ribadire il mio personalissimo voto per Esteban Matìas “Cuchu” Cambiasso a ruolo di capo del mondo.

Ogni volta che parla dice verità inconfutabili. Ieri sera mi ha fatto alzare in piedi sulla poltrona ed applaudire mentre gli altri lo guardavano quasi increduli.

Il Milan ha capito di essere inferiore; anche a livello di storia societaria, i nerazzurri sono più avanti“.

E gli altri, quasi scandalizzati: ma tu pensi che il Milan si senta inferiore?

Oh cicci, sono i numeri a parlare, e mica da quest’anno. Poche balle (questo lo dico io, ma lo pensa anche il Cuchu, che però è troppo nobile di spirito per scadere nel triviale).

Avendo capito che giocarsela alla pari sarebbe stato un suicidio, i Ringhio boys hanno ripiegato sul caro e vecchio catenaccio, sperando di portare a casa il punticino.

Ma tutto ciò non si applica all’ex Club più titolato al mondo (a dire minchiate…): loro, dài che ormai l’avete capito, #propongonogiuoco.

Oltre alla vomitevole e già richiamata litanìa dell’Inter cinica e fisica contrapposta al Milan di squisiti orchestrali, e sbugiardata con 90′ minuti di comportamenti concludenti, raggiungo il successivo livello di estasi con la prima domanda fatta da Alciato a Spalletti, e soprattutto con la seconda risposta di Spalletti al pinocchietto di turno.

“Ha vinto la squadra che ci ha provato di più?”

Ha vinto la squadra che se l’è meritato, che ha giocato meglio… Se eri di quelli che diceva che giocava meglio i’ Milan… ora va detta in un’altra maniera“.

Ripeto qui quanto detto nel lontano Novembre 2012 dopo la prima vittoria allo Juventus Stadium, allorquando Marotta parlò di un’Inter “spensierata” volendo in realtà dire “spregiudicata”.

La polemica, allora di Stramaccioni, ieri di Spalletti, è forzata, e lo riconosco. Arrivo addirittura ad ammettere che il biondino di Sky per una volta non volesse nemmeno sminuire la vittoria dei nostri, ma sono talmente tante le volte in cui si è subìto mediaticamente senza controbattere, che ho esultato quasi come al gol di Maurito.

Mi dispiace unire al mazzo dei luogocomunisti anche Luigi Garlando, eroe letterario del rampollo di famiglia grazie all’interminabile collana “Gol“, ma anche un pezzo come questo fa capire quanto fallace e tentatrice sia la strada che obnubila le sinapsi e fa gracchiare insieme agli altri in un coro stonato e calante.

Posto che a me, del giocar bene, interessa il giusto (per millemila motivi che ormai dovreste conoscere), la partita di ieri ha fatto capire che il Milan, tolti Biglia, Suso, il turco e Higuain, di piedi buoni non ne ha, punto e basta. Dipende dall’estro dello spagnolo come e più di quanto i nostri dipendono da Icardi, ma lì -Cristo solo sa perchè- non si può dire. Ieri è bastato che Asamoah facesse il mediano di fascia sul succitato Suso perchè Higuain girasse come un bimbo sperso ai giardinetti, con Bonaventura incapace perfino di simulare falli subìti e Biglia bravo solo a randellare chiunque passasse dalle sue parti. Taccio per umana decenza sulla difesa.

I nostri avevano un centrocampo con Vecino (vedi il cross e taci), Brozo, Borja dopo Ninja, con Politano, Perisic e Icardi. Dietro Skriniar e De Vrij sono la coppia più bella del mondo (e manco mi dispiace per gli altri). Però ci basiamo sugli spunti dei singoli, però siamo cinici, però la manovra è asfittica.

La verità è che vi rode il culo.

E io godo.

Quasi così.

 

CRIBIO

Solo un aggiornamento sulla squadra di giUovani italiani coi capelli corti, senza barba nè tatuaggi.

Quell’erotomane, pluricondannato, disastro politico-mediatico italiano del neo Presidente, insieme al fido Geometra, ha preso la squadra brillantemente issata in cima alla classifica del proprio girone a punteggio pieno, e nelle prime cinque partite ha conquistato la bellezza di due punti (leggasi: 2 pari e 3 sconfitte).

Gustosissimo il 3-0 rimediato a Vicenza con due gol di tal Giacomelli (un gol per ogni dozzina di tatuaggi, impresentabile splendido tamarro barbuto!) e un terzo segnato dall’extracomunitario Rachid Arma.

La sconfitta interna di ieri col Teramo, sotto gli occhi, tra gli altri, anche di Fabio Capello, pare essere costata la panchina al Mister brianzolo, prontamente sostituito da un fedelissimo di casa Milan, quel Brocchi che pure a eleganza non è il massimo della vita.

E adesso come la mettiamo?

Calcio: Serie A; Inter Milan-AC Milan

Purtroppo non ne ho trovata una con Abate…

ASPETTANDO IL DERBY

La settimana di avvicinamento al Derby è, per chi scrive ma non solo, una settimana di passione, serpentoni nello stomaco e attesa febbrile.

Immaginate tutto ciò e moltiplicatelo per due, stante la pausa Campionato e il weekend dedicato alle Nazionali.

In questo lasso di tempo i nostri prodi giornalettisti devono necessariamente raschiare il barile per compitare quotidianamente quattro cacate da mandare in pasto al popolo bue.

Ovvio che -in questi casi ancor più del solito- l’uso libero ed indiscriminato del Luogo Comune Maledetto assurga a sport nazionale.

Vado in ordine sparso e segnalo quanto visto in rete e letto sui giornali, sportivi e non solo, negli ultimi dieci giorni.

Riccardo Signori è quel bislacco figuro che una decina di anni fa arrivò a proporre il DASPO per Balotelli, dopo che quello -permalosone!- rispondeva con linguacce e gesti provocatori ai tifosi che gli gridavano “non esistono negri italiani” a cadenza settimanale.

Volete che un siffatto cervello si faccia scappare l’occasione di attingere a piene mani dalla più ritrita tra le caratteristiche in salsa nerazzurra?

Appunto. Cito testualmente:

“L’Inter non migliora mai nel gioco, dimostra la debolezza del centrocampo come reparto, ma conta sulla potenza da fuoco di Icardi e sulla qualità individuale che risolve parte dei problemi“.

Ripeto: non-migliora-mai. Non c’è speranza alcuna. La sentenza è definitiva. Moriremo tutti.

Non è il solo, visto che non si contano i coristi del ritornello “L’Inter gioca coi singoli, il Milan è più tecnico“.

Caressa non è da meno e lavora di memoria selettiva, dimenticando la cattiva sorte (in italiano si chiamerebbero errori arbitrali, ma va beh…) avuta nelle due sconfitte con Sassuolo e Parma, e riferendosi solo al recente 2-1 corsaro a Ferrara. All’Inter sta girando bene, al Milan -ovviamente- male, chè loro propongono giUoco.

Ci sono poi le dediche dell’amore e dell’amicizia, con i vari Pirlo, Bonucci e Capello ad esprimere preferenza per il lato sbagliato del Naviglio.

Tanto per citare le frasi fondanti dell’interismo: Fieri di non essere quella roba lì.

Non mancano nemmeno i riesumati dall’oltretomba calcistico a risuonare il vecchio refrain dell’Inter che ha tutti stranieri e incolpare i soliti noti per la morìa di risultati della Nazionale. No sul serio: Simone Braglia da dove è uscito? Non lo ricordavo nemmeno io…

Buffo e beffardo che il meritatissimo gol che al 93′ ha dato il successo azzurro in Polonia l’abbia segnato un ex Primavera dell’Inter. Chissà se Braglia avrà ragliato…

Dopo queste minchiatelle di antipasto, passiamo però al piatto principale.

Passiamo alla Gazza, per l’occasione nella sua versione cartacea odierna: non si smentisce l’atteggiamento che tiene ormai da anni, diciamo da quando l’Inter, pur non andando quasi mai oltre una risicata sufficienza, fa statisticamente meglio dei cugini.

[Per i malati mentali come me: in quattro delle ultime cinque stagioni l’Inter è finita davanti al Milan]

L’atteggiamento della Rosea negli anni è sempre stato di totale negazionismo rispetto a questa situazione. Già altre volte l’avevo fatto notare, segnalando a puro titolo di esempio i record di presenze nerazzurre a San Siro contrabbandate invece come un panteistico “Milano riempie il Meazza” e cagate simili.

Torniamo a bombazza: le prime tre pagine dell’edizione del 16 ottobre ricascano nell’antico vizio.

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Il Derby vale oltre un miliardo: così dicono, visto che, prendendo per buoni i numeri sulla valutazione delle rose -dati sempre assai opinabili- l’Inter varrebbe circa 640 milioni, con il Milan fermo a 530. Ora, un tifoso paranoico come me vi ammorberebbe fino a domani sottolineando come i nostri giocatori siano talmente migliori di quelli dei cugini, da trovarne conforto anche nei numeri.

Mi limito invece a leggere attentamente il sottotitolo in prima pagina:

 

“più ricca quella dell’inter, MA il monte ingaggi dice Milan”

 

Il “MA” l’ho messo io in maiuscolo e grassetto, e qui casca l’asino.

Magari ci siete già arrivati (perchè -come me- le capacità le avete, è solo che non vi applicate…), ma il ragionamento è questo: la rosa dell’Inter vale 110 milioni di più, e il Milan, per una rosa che ne vale altrettanti di meno, spende 20 milioni in più di stipendi.

Ora, è tutta una cagata perchè i numeri stanno a zero e domenica non sarà certo questo a decidere il Derby ma, volendo andare dietro a queste pippe mentali, il commento dovrebbe essere: “Milan, ma che cazzo fai? Paghi di più per giocatori che valgono meno? Bravo ciula!“.

Questo è quel che sarebbe successo a numeri invertiti: è un processo alle intenzioni, ma c’ho ragione e lo sapete anche voi.

Qui no, qui pattiniamo sul filo dell’analisi logica.

dogui

Torniamo al sottotitolo. Quel “MA” fa il suo mestiere di congiunzione avversativa e grammaticalmente dovrebbe stare a unire due aspetti tra loro antitetici: in questo è meglio l’Inter, in quest’altro è meglio il Milan.

Messa in termini più semplici, è come se dicessero: l’Inter ha più punti in classifica; in compenso, il Milan ha subito più gol.

Contenti voi…

BRAND AWARENESS

Chiedo scusa per il turpiloquio.

PREMESSA

So di avere già scritto un pezzo del genere in passato, ma credo sia opportuno attirare la vostra attenzione su alcune certezze granitiche ed immutabili della stampa sportiva (e non solo) italiana.

Lungi da essere cani da guardia del potere, sono invece per buona parte cortigiani del messere di turno.

Juve e Milan sono quindi soggetti da trattare con benemerenza, rispetto, subalternità, mettendosi sull’attenti anche quando si scrive.

L’Inter di contro è la palestra perfetta in cui far finta di essere il cronista coraggioso che non guarda in faccia nessuno e che non ha paura a criticare anche “i grandi nomi”, rassicurato dal fatto che nessuno ha mai pagato per le bugìe e le esagerazioni scritte sull’Inter.

Le ultime civilissime e -forse per quello­- sterili dichiarazioni dell’AD Antonello dopo l’ultimo Inter-Juve sono una muta conferma di quanto vado berciando.

GIGIO SI’, IL NEGRETTO NO

Ma andiamo in rigoroso ordine sparso a disseminare prove ed indizi di questo mio inconfutabile postulato. Partiamo da Gianluigi Donnarumma, dal suo attuale momento di forma e da un paragone con un caso assimilabile di circa 10 anni antecedente.

Non potendo la cronaca glissare sulla compilation di papere del nostro, noto che la gara tra i cronisti è quella -per l’appunto- di dare la notizia di cronaca, astenendosi però da qualsiasi giudizio di merito (Sopravvalutato? Pacco? In confusione?). E’ invece tutto un contestualizzare, ridimensionare, compensare con frasi del tipo “con l’errore passano in secondo piano le ottime parate fatte in precedenza”.

Ma ancor più di quello, è notevole la differenza tra l’atteggiamento dei media nei suoi confronti e quello tenuto nei confronti dell’ultimo grande talento (in)espresso dal calcio italiano prima di lui: parlo di Mario Balotelli.

Non sto qui a dire se Balotelli stia raccogliendo quanto il suo potenziale prometteva (no, è ovvio). Ne sto facendo un puro discorso mediatico.

Balotelli esordisce in A a 17 anni, con le stimmate del campione e in maglia nerazzurra, ma quasi da subito  -e forse per quello- inizia ad essere additato dalla stampa come bambino viziato, immaturo, provocatore. C’è gente che ne chiede il Daspo e che lo deferisce perché risponde con applausi ironici e linguacce a chi settimanalmente gli grida “non esistono negri italiani”. Si minimizzano i gesti da ragazzo normale quali i campi vacanza con il WWF o i gesti di generosità o disponibilità con i bambini.

Tutto ciò ovviamente finché è con la maglia nerazzurra, perché non appena il rosso si sostituisce all’azzurro, il ragazzo (“che-tifa-Milan-fin-da-bambino”) #èmaturatotantissimo.

Tornando ai giorni nostri, ed in contrapposizione, abbiamo un portierone la cui famiglia ha pensato bene di rimangiarsi la parola già data all’Inter per soddisfare l’altra squadra di Milano ancora con il ragazzo adolescente, per mettersi subito dopo nelle mani del procuratore più chiacchierato d’Italia e non solo. Il talento del giovanotto è indubbio, e come tale è stato prontamente messo in vetrina manco fosse una donnina di Amsterdam, in pieno stile MilanelloBianco.

E se le vette di tragicomicità erano già arrivate nell’estate scorsa, tra fratello badante assunto a un milione al mese ed esame di Maturità saltato “ma lui lo voleva fare ed è stato Raiola a dirgli di non farlo”, in queste settimane il circo prosegue, con i tifosi a rifiutarne la maglia e la Società che a parole lo difende ma nei fatti prende le dovute precauzioni (leggasi Pepe Reina).

Il giornalettismo italico si conferma crocerossina dei Meravigliuosi, contrappuntando le inevitabili critiche con abbondanti dosi di “però è giovane”, “le critiche vanno fatte in maniera costruttiva”, “la crescita passa anche da queste cose”, “alla sua età Toldo non era così forte” (e te pareva…).

CIAO NE’

Non che il lavoro di lingua sia meno pervicace sulle rive del Po. Del resto la lingua batte dove il potente siede, quindi avanti Savoia e madama la Marchesa.

Che una squadra che vince 7 scudetti di fila venga coperta di complimenti mi pare il minimo della vita. Che uno solo tra la schiera di commentatori adoranti abbia la schiena dritta per ricacciare in bocca al Chiellini di turno la minchiata dei “36 scudetti” è francamente imbarazzante. Non mi pronuncio sul colpo di genio di Tardelli che dice “va beh ormai li hai vinti, chissenefrega”

Ma se nemmeno la FIGC ritiene necessario intervenire, permettendo la perpetuazione di quel che è un falso storico da ormai un decennio buono, tornando di contro inflessibile censore di cori da stadio indirizzati contro un losco personaggio, perché mai dovrebbero essere i giornalisti ad ergersi a novelli Ceghevaradenoantri?

Chiellini, ne sono certo e ne ho anche le prove, è una brava persona, ma sentirlo dire che la Juve ha vinto contro tutto e tutti francamente non si può sentire. Anche qui: mutismo e rassegnazione su tutta la linea. Tutti impegnatissimi a negare l’esistenza dell’elefante nella stanza.

Sentire Adani (che pur apprezzo) rallegrarsi per il fatto che in Serie A nessuno si scansa e tutti se la giocano, fare i complimenti al Sassuolo per il bel percorso fatto dal 7-0 rimediato con la Juve fino alla bella vittoria a San Siro con l’Inter, è una cosa che offende l’intelligenza dei telespettatori e davvero mi fa venir voglia di disdire l’abbonamento.

Vedere come Mediaset sunteggia sulla carriera di Buffon, che finalmente pare essersi rassegnato a smettere, arrivando a parlare di “onore” e “obbligo di venerazione” e volando altissimo sulle inchieste UEFA dopo la figuraccia contro l’arbitro Oliver, ci dà ulteriore conferma della subalternità degli scrivani di corte nei confronti dei falsi rivali biancorossoneri.

FIND THE DIFFERENCES (IF ANY)

Altri esempi? Avanti, c’è posto. La finale di Coppa Italia, guadagnata dai cugini grazie al solito buciodiculo eliminando i nostri nel Derby e sconfiggendo la Lazio al 48° rigore, viene presentata dalla Gazzetta con 15 pagine (!!!) di giornale, più altre due dedicate all’addio al calcio di Pirlo, il che vuol dire 17 pagine di coma iperglicemico con storielle sullo “Stile Juve” e “Stile Milan”, su tanti doppi ex (che caso eh?) a raccontare di quanto sia stato bello giocare per entrambe, sulle relazioni tra i due Club.

L’elenco degli invitati alla festa trasuda inevitabilmente juvemilanismo da tutti i pori, ma ancora una volta fa impressione vedere quanta poca Inter sia rappresentata anche qui.

Per carità: fieri di non essere quella roba lì. Questo sempre. Però fa davvero specie, per l’addio al calcio di un giocatore che ha attraversato il lustro d’oro nerazzurro, non vedere nemmeno uno dei campioni interisti di quel periodo. L’eccezione è Materazzi, verosimilmente chiamato per la comune e felice militanza azzurra.

Per il resto, zero al quoto. Niente Zanetti (che con Pirlo ci ha anche giocato nella sua trascurabile parentesi nerazzurra), niente Milito, niente Stankovic. Niente. Il Triplete non è mai esistito. Damnatio memoriae. Meglio Storari, Pato e er Chiacchiera Pepe.

Bene così. Anzi, benissimo.

Il bipolarismo bianco-rossonero investe anche la memoria storico-fotografica, con queste due squadre ad essere citate ben oltre i loro effettivi meriti, e di risulta l’Inter ad essere ignorata ogniqualvolta non sia proprio impossibile farlo.

L’esempio principe (e l’orrendo gioco di parole per una volta non è voluto) è il mancato Pallone d’Oro a Milito nel 2010, la cui maglia evidentemente non era così trendy da meritare l’attenzione della stampa sportiva europea.

L’ultimo in ordine di tempo -senz’altro assai meno importante ma comunque sintomatico- è l’elenco di paragoni con la beffarda punizione di Politano di sabato sera.

Tutti pronti a lavorare di memoria selettiva: “Come Pirlo! Come Ronaldinho!”.

E io che, mesto mesto, mi rivedevo la pelata di Snejder a Mosca in un quarto di finale di Champions del 2010… Ma si vede che alcune punizioni, come i maiali di Orwelliana memoria, sono più uguali di altre…

L’Inter vien buona solo per rimpiangere i vecchi tempi andati, per millantare di quando Moratti si faceva sentire in Lega (questa fa già abbastanza ridere così), con le vedove si rammaricano non dell’assenza del Sig. Massimo in quanto tale, ma del Morattismo applicato alla stampa. Vero caro Bruno Longhi millantato interista?

Bello quando si poteva scrivere tutto e il contrario di tutto sull’Inter, per far vendere qualche giornale in più, fare infuriare i tifosi nerazzurri (bene o male purchè se ne parli, diceva quel tale) e far sogghignare i lettori tifosi delle altre strisciate.

Chissà, qualcosa alla lunga potrebbe cambiare, qualche avvisaglia c’è. Ma, al solito, non vi aspettate gli araldi e le trombe ad annunciarlo urbi et orbi.

NOVUS ORDO SAECLORUM

Occorre da parte nerazzurra un impegno mediatico gigantesco, la restaurazione (o meglio la costruzione da zero) di una memoria storica condivisa da tutti i tifosi di calcio, non solo interisti.

Nella scala di priorità della cosa più importante tra le cose non importanti, il primo posto dovrebbe essere occupato da quello che l’orrendo gergo aziendale definisce Brand Awareness: ricordare al mondo perché l’Inter è importante, quanto sia stata grande negli anni, quanto importanti siano state le sue vittorie.

Se poi avanzasse tempo e spazio, sarei disponibile a precisare quali ostacoli abbia dovuto affrontare per raggiungere le succitate vittorie e quanto spesso le sia stato impedito di farlo.

Ma qui torno ad essere il solito rompicoglioni, quindi mi taccio…

INTER.110