PAROLACCIA A PIACERE

MILAN-INTER 1-1

C’è una canzone di Elio le Le Storie Tese che si chiama “Nubi di ieri sul nostro domani odierno“. Sulla stessa solfa, questo pezzo avrebbe potuto chiamarsi “Partita che dovevi vincere facile, e che alla fine ringrazi il cielo di non aver perso, accogliendo il pareggio con un sorriso amaro“.

Alla fine ho optato per l’altro titolo per chiedere l’aiuto del lettore, dargli la colpa dell’eventuale turpiloquio suggerito e non stufarlo ancor prima di iniziare a leggere il post.
La manfrina però è quella: quattro occasioni clamorose, di cui il rigore è quella più difficile, oltre ad un altro paio di chances “normali” (ancora Martinez nella ripresa dopo una bella percussione e Calhanoglu a tirare a mille all’ora vanificando il tentativo di tap-in di Dzeko e del Toro). Loro nei 90′ combinano poco, è alquanto palese, eppure sono una squadra seria, che purtroppo fino ad ora merita di stare in testa alla classifica.
Spiaze ammetterlo e spero di essere smentito quanto prima, ma al momento la verità è quella.
Hanno una rosa che, a leggerla, fa rosina o poco più: quelli bravi-bravi a mio parere sono Hernandez (non Theo, Hernandez, diobono), Kessié, Tonali e Leao. Gli ultimi due trasformati rispetto all’anno scorso. Ibra è più un totem che altro, e non garantisce più di 10-15 partite all’anno. Il “problema” sono gli altri, i vari Calabria, Kjaer, Tomori, Rebic, Saelemakers, Diaz: tutta gente dignitosa o poco più, che però Pioli ha portato al massimo – e forse più – del loro potenziale.

La consolazione dovrebbe risiedere nel fatto che più di così non possono fare, ma è altrettanto vero che hanno avuto la loro dose di infortuni con Ibra, Giroud, Hernandez e Kessié. Ripeto: tolto il fisiologico amore che li circonda e l’onda lunga di buone vibrazioni, di Pioli is on fire e di simpatia mediatica, questi in Campionato stan facendo una stagione della Madonna.

Noi: abbiamo una rosa che, paragonata alla loro uomo vs uomo, è nettamente più forte, pur avendo perso i due pezzi migliori dell’11 dell’anno scorso. Mostriamo tanto, ma portiamo a casa poco. Così come con la Juve, e in parte con l’Atalanta, pareggiamo una partita che abbiamo dimostrato di poter vincere ma, come ricordiamo ogni anno agli juventini in Europa, andarci vicino conta solo a bocce.

E quindi, dopo gli incredibili errori di Martinez (due volte), Barella e Vidal, sono rimasto piacevolmente stupito della mancata beffa finale, col tiro di Saelemakers a baciare il palo (ottima la parata-laser di Handanovic) e Kessié a sparacchiare fuori la ribattuta: il sifulotto sembrava già bello apparecchiato come inevitabile epilogo.

Eravamo partiti bene, e avevamo anche avuto una sorprendente botta di culo, chè se un rigore del genere me lo fischiano contro finisco di bestemmiare tre giorni dopo. Calhanoglu è però bravo a crederci e soprattutto a farsi dare la palla da Lautaro per il tiro dal dischetto: sabongia ignorante in mezzo ai pali e 1-0.

A culo loro sono invece campioni consolidati, e quindi ecco la stupida punizione regalata da Barella e l’autogol di De Vrij a sancire la migliorabile fortuna dei nostri su calcio piazzato: dopo la Lazio, in Campionato abbiamo subito gol solo su palla inattiva. La cosa, per chi mi conosce, costituisce un aggravante e non la bonaria attenuante concessa negli anni al Milan di Ancelotti.

Passa un quarto d’ora e arriva il secondo rigore – questo sì solare – ai danni del sempre preziosissimo Darmian. Qui sinceramente mi sarei aspettato il rosso, visto che il dribbling a rientrare era fatto apposta per trovarsi solo davanti al portiere: se non è chiara occasione da gol quella…
Sappiamo com’è andata e, fatti i doverosi complimenti a Tatarusanu (con noi tutti fenomeni, checcazzo…), occorre salvare il soldato Martinez. Per la prima volta da quando è all’Inter si è preso anche i miei di insulti – e sai a lui che je frega – ma il periodo è veramente sfigato. Lo dimostra sul finale di tempo, quando Dzeko gli lascia una palla che l’argentino riesce perfino a controllare per accomodarsela sul destro: una scurreggia che finisce fuori ma lascia l’aria viziata.

La sosta potrebbe arrivare come un provvidenziale spariglio per lui e un’altra manciata di nerazzurri (Barella, Bastoni e Dzeko, tanto per dirne qualcuno, usciti tutti ammaccati prima del 90′). Il potenziale del Toro è immenso ed in buona parte già dimostrato: si trova in quello che tecnicamente è definito come “periodo del cazzo”, in cui non segnerebbe nemmeno da solo a porta vuota. E’ capitato a campioni ancor più forti di lui, quindi purtroppo non c’è da stupirsi; tocca semplicemente far passare ‘a nuttata e sperare di ritrovarlo al meglio al rientro dalla trasvolata intercontinentale.

Tornando alla partita di domenica sera, la cosa strana è che, nel primo tempo, loro hanno giocato meglio dal punto di vista del pressing e dell’aggressività, eppure le occasioni le abbiamo create solo noi (pure quella del loro gol, mannaggia al mio Fantacalcio…).
La ripresa ha visto i nostri più padroni anche nel gioco, ma non ditelo a Sacchi (ci torno, tranquilli…) e per almeno mezz’ora abbiamo comandato le operazioni, Al solito la cosa, più che tranquillizzarmi, mi ha messo in agitazione, perché a tanti passaggi non vedevo seguire la gragnuola di gol che avrebbe fatto funzione di salutare cardiotonico. E quando ti mangi l’impossibile, la beffa è in agguato: Ibra ha provato a replicare la punizia con cui ha segnato alla Roma settimana scorsa, ma una barriera sistemata in maniera sensata e un portiere che tra i pali continua ad essere di sicuro affidamento ha evitato a Zlatanasso di purgarci per l’ennesima volta.

E’ COMPLOTTO

Finisce con un pari, quindi, e il punteggio finale lascia spazio al più ritrito dei dibattiti post-cineforum. Come tanti Guidobaldo Maria Riccardelli, i commentatori sportivi si sono lanciati in commenti più o meno prevedibili, arrivando presto ad accomodarsi sulle consunte ma ospitali cadreghe del “Milan che ha fatto più gioco, mentre l’Inter ha creato più azioni“. Il che, detto senza illazioni e significati sottesi, sarebbe anche un parere condivisibile.

La mia opinione? Che dovevamo vincere con almeno due gol di scarto, e sarebbe stata una vittoria solare, meritata. Ma non l’abbiamo fatto, unicamente per colpa nostra. E quindi, in un certo senso, ben ci sta.

Poi, chiaro, c’è chi vuol strafare. E torniamo al nostro amatissimo Vate(r) calcistico, che da decenni continua a cantare la stessa canzone.

Il Milan ha cercato di promuovere calcio, l’Inter ha cercato di fregarlo“.

Un massimalista che nessuno riesce a far tacere, semplicemente perché il popolino ancora gli dà retta, dandogli modo di crivellarci i maroni con il bel giUoco e l’odio profondo per il calcio italiano. Strano poi che proprio football nostrano da lui così disprezzato, diventi invece un bene raro da preservare quando i suoi occhi puri e innocenti devono assistere a orde di barbari stranieri che lo popolano, facendolo gridare alla vergogna quando qualcuno addirittura osa vincere senza italiani in rosa.

Ribadisco qui tutta la mia antipatia per Sacchi e ancor più per il Sacchismo, che da trent’anni non fa che per prendere per oro colato quelle che sono opinioni personali, non di rado smentite dai fatti, di un figuro che è semplicemente ambasciatore del suo breve e gloriosissimo passato, prigioniero di una sua idea di calcio nel frattempo fortunatamente tramontata. Niente da fare: ogni settimana dobbiamo sorbirci i suoi anatemi contro l’Inter che è sempre – sempre cazzo, nel 1997 come nel 2006, nel 2010 come nel 2021 – espressione di un calcio timido e pavido, di ripartenza, che non fa divertire i tifosi. Tutto ciò fino al paradosso delle ultime 48 ore: in un dibattito che giustamente accusa l’Inter di essere incapace di portare a casa i frutti di quanto semina, ecco l’ineffabile omino di Fusignano che continua a dipingere l’Inter come una cinica orda di vecchi picari, avvizziti dalla vita ma esperti al punto da capitalizzare il più casuale degli episodi, in barba ai tanti bravi ragazzi che propongono giUoco e fanno divertire il pubblico.

Certo, non sarebbe giusto limitare il nostro sguardo sull’Arrigo nazionale. Come sappiamo, è l’intera stampa ad avere da sempre nel cuore l’universo rossonero, o meglio: i nostri scrivani sono particolarmente abili nell’associare a quei colori suggestioni di concordia, armonia, estetica, amore e amicizia.
Come spiegare altrimenti il commento di Pioli al coro a lui dedicato, e preso direttamente da una brutta canzone da discoteca (ne esistono di belle?) degli anni ’90? “Una delle emozioni più grandi della mia carriera“… Dài Pioli, fai il serio: se la tua carriera è così, mamma mia che tristezza…


Ma, come con Sacchi, la “colpa” non è sua, è del sistema. Lo stesso che riesce a lodare e incitare una squadra capace di fare un punto in quattro partite di Champions e incredibilmente ancora in corsa per una qualificazione che sarebbe un insulto a qualsiasi meritocrazia calcistica. La cronaca dell’ultima partita di Coppa, Milan-Porto, a firma del doppio diminutivo Piccinini-Ambrosini, sembrava uscita dai canali Mediaset degli anni ’90, quando Pellegatti faceva i servizi delle partite del Milan mal-travestito da commentatore neutrale. Lo stesso Ambrosini che, domenica, dopo l’esultanza di Calhanoglu al rigore dell’1-0, ha criticato il turco dicendo che se lo sarebbe potuto risparmiare.

Quindi fatemi capire: quando nel 2007 lo fece Ronaldo (in un Derby poi comunque vinto dall’Inter!) tutto bene e che bello, #propriolui #incredibile. Oggi invece è una cosa da evitare perché, insomma, non è bello. Detto dallo stesso che esultò così dopo aver vinto una Champions a cui il suo Club non avrebbe dovuto nemmeno partecipare, visto il troiaio di Calciopoli.

Ora, il fatto che io non stia scrivendo con la frequenza che la stagione meriterebbe potrebbe far pensare a qualcuno che abbia di meglio da fare, o che semplicemente certe storture della mia personalità stiano regredendo a livelli rassicuranti. Niente di tutto questo: semplicemente in questo periodo sto scrivendo di altro – e, incredibile a dirsi, più serio – ma non per questo le mie antenne si lasciano sfuggire le panzane della critica nostrana dedicate ai nostri amatissimi eroi in braghette.

Non scambiate quindi il mio silenzio per una passiva accettazione di tutto quel che viene disseminato nell’aere informatico.

Restando in tema di brutte canzoni, potrei chiosar che “al fin della licenza, io non perdono e tocco

Vi sèndo poco poco…

I SHOT THE SHERIFF

INTER-SHERIFF 3-1

Oltre che per il ritardo, chiedo scusa per il titolo più banale che poteva uscire dalla penna di un vecchio rocker come me. E non fate i maestrini dicendo che il pezzo è reggae, chè io come tanti altri l’ho scoperto nella versione di Slowhand Clapton.

Comunque, solida e meritata vittoria per i nostri, che segnano tre gol e ne sbagliano una decina di altri, riuscendo nell’impresa di non farmi stare tranquillo nemmeno stavolta.
Inzaghi fa la mossa che avrei fatto domenica prossima contro la Juve, e cioè schierare Dimarco al posto di Bastoni come “braccetto” di sinistra, in modo da sfruttarne la velocità insieme a quella di Perisic a tutta fascia. Il risultato è buono lo stesso, visto che l’italiano ha gamba reattiva e un sinistro che a quelle latitudini non si vedeva da tempo.
Vidal completa la mediana dietro a Brozo e #Baredovesei, e fa la sua porca figura con la ciliegina del gol.
Davanti Lautaro si dimena per 90 minuti senza riuscire a trovare il gol ma muovendosi bene, mentre Dzeko fa la sua miglior partita in maglia nerazzurra, che pure inizia mangiandosi un gol solo davanti al loro portiere, dopo acrobatico suggerimento del Toro.

La girata di sinistro che vale l’1-0 è un trattato plastico di tecnica e equilibrio tra forza e precisione che andrebbe mandato in loop alle scuole calcio di mezzo mondo. Non basta, chè il bosniaco ricama calcio a tutto campo, regala assist ai compagni (vedi Vidal per il secondo gol) e si esibisce in un recupero difensivo da applausi, condito da dribbling di classe in area e ripartenza sul compagno in uscita.
La responsabilità per la seconda e ultima palla sbagliata della partita è solo colpa mia, visto che dico a voce alta “Dzeko sta facendo una partita di un’intelligenza spaventosa” nell’esatto istante in cui toppa un passaggio orizzontale e fa scattare il loro contropiede. Mi perdonerete.

Le note dolenti arrivano da Dumfries, primo a mangiarsi un gol facile-facile e unico a non raggiungere la sufficienza: si riprende giusto nel finale con un paio di giuste imbucate e con l’assist di testa per De Vrij sul gol del 3-1. Per ora è uno splendido quattrocentista coi piedi fucilati. Speriamo che l’autunno lo faccia maturare senza bisogno di metterlo in botti di rovere.

Loro: poca cosa, e senza nemmeno il culo avuto nelle precedenti rocambolesche vittorie. Accettano senza il minimo problema il nostro gioco, rintanandosi e cercando di attivare un contropiede che non è nemmeno velocissimo, e che raramente ci crea problemi.
Handanovic è bravo nel primo tempo a fermare un tiro di sinistro sul suo palo; non altrettanto nella ripresa, quando arriva a fine slancio solo a toccare il pallone calciato su punizione da 30 metri da Thill. Il tiro è bellissimo, ma un gol così entra solo con la fattiva collaborazione del portiere.

Il pareggio poteva giocare brutti scherzi, conoscendo la labile psiche dei nostri, e invece la partita prosegue sulla stessa falsariga, con i ragazzi a ricercare subito il vantaggio e a trovarlo pochi minuti dopo con la già accennata combinazione Dzeko-Vidal. A quel punto sono loro ad accusare la botta, e i nostri trovano il terzo centro con una bella girata di De Vrij, ancora sugli sviluppi di corner, cosa di cui stranamente non ho ancora sentito blaterare. Forse le tante occasioni create – ne ho contate una decina, gol esclusi – hanno tappato sul nascere la bocca ai tanti Luoghi Comuni Maledetti legati alla sterilità della manovra nerazzurra o sull’imprescindibilità dei calci da fermo per sbloccare la partita.

Permalosità a parte, ci rimettiamo in carreggiata nel girone. Niente è ancora fatto, ma toppare mercoledì avrebbe voluto dire salutare la Coppa dopo sole tre partite. The King of Spannometric dice che con due vittorie contro Sheriff e Shakhtar potremmo essere tranquilli anche in caso di sconfitta contro il Real, ma dei miei mi fido ancor meno che degli avversari, quindi testa bassa e pedalare.

LE ALTRE

Non potendo dire che il Milan ha perso #atestaalta, la critica ha legittimamente attinto ai tanti infortunati nella rosa di Pioli, volando alto sull’inconsistenza di Giroud e Ibra e sulla misura della sconfitta, ben più ampia del risicato 1-0 finale, arrivato oltretutto su un’azione più che dubbia del Porto. Al solito, c’è che si spinge oltre, e dall’ottimismo oltrepassa le porte della percezione finendo per sconfinare in un affascinante visione fideistica: per il Milan aver perso tre partite può essere uno stimolo, una spinta. Insomma, meglio così.

La Juve replica le ultime partite fatte di solidità granitica, poche occasioni ed ennesimo 1-0 portato a casa, per la frustrazione dei tanti giochisti e col ghigno beffardo di Allegri. Ribadisco: mi preoccupano assai, e domenica sarebbe proprio i caso di far rifiorire i tanti dubbi che ultimamente hanno convertito in certezze.

Ho invece visto una splendida Atalanta mettere sotto il Manchester United all’Old Trafford per un tempo, e avere ancora un paio di occasioni per fare il terzo gol dopo il pari di Maguire. Poi, come spesso accade in questo mondo crudele, arrivano quelli forti e CR7 vince la partita. Ma la prestazione resta, e la fiducia nel poter passare il turno anche.

E’ COMPLOTTO

Premetto che la mia è una sensazione, non ancora suffragata da evidenze concrete, ma la preferenza attuale riservata all’Inter è a mio parere ancora figlia della “luna di miele” riservata ad Inzaghi in quanto nuovo allenatore. La sconfitta con la Lazio a mio parere era meritevole di maggiori critiche, che invece si sono limitate a bonarie ramanzine sull’importanza di mantenere la concentrazione alta per tutti i 90 minuti.
Pochi sottolineano le tante reti subite e le troppe occasioni non concretizzate: il tutto è coerente con la predilezione per un calcio d’attacco, spensierato e noncurante delle falle difensive, inevitabile lato B di un disco basato su pressing alto e manovre ariose.
E ancora: tutto è accompagnato dalla piacevole inoffensività dell’Inter. Ecco dove arriva il mio sofisticato teorema complottista: ci incitano a continuare così, ci spingono a rimanere inoffensivi, poco pericolosi, comprimari a un banchetto in cui gli ospiti d’onore sono gli altri.

I confronti con l’anno scorso sono volutamente parziali: rispetto a quella di Conte, l’Inter di Inzaghi ha segnato di più e subito di meno. Vero. Non uno però che ricordi la svolta dello scorso campionato, arrivata proprio di questi tempi, dopo la quale la difesa ha chiuso la porta a doppia mandata e Lukaku, Martinez e Hakimi hanno maramaldeggiato nelle aree avversarie.

L’auspicio è che anche l’attuale allenatore trovi il cacciavite giusto per serrare un paio di giunture e dare più equilibrio alla squadra. I punti da recuperare non sono pochi, ma la strada è lunga.
La partita con lo Sheriff potrebbe essere un inizio promettente, a patto di ribadire il concetto già nei prossimi giorni.

“Sempre allegro il Lolli eh?” (cit. dedicata a Brozo)

FAMOUS LAST WORDS

SASSUOLO-INTER 1-2

Essendo l’Inter squadra simpatttica per definizione, le mie sentenze post-Atalanta vengono in buona misura smentite nella partita di sabato sera, con Handanovic e Dzeko sugli scudi e Barella a perdere più palloni in 90′ che negli ultimi due anni.

Chissenefrega, mica voglio aver ragione, a me interessa che vinca l’Inter!

Andando con ordine, la trasferta nella mai troppo amata Sassuolo – che poi in realtà gioca a Reggio Emilia ma va beh,,, – non mi lasciava per nulla tranquillo. C’entra Squinzi e il suo passato di chimico pseudo difensore dei piccoli ma in realtà servo dei grandi, c’entra la sua proverbiale liaison con i colori rossoneri, c’entra la prona devozione alla Torino bianconera, senza dimenticare la retorica stantìa della favola calcistica, il bel giuoco e i bravi ragazzi italiani che negli anni mi ha fatto maledire Parma, Udinese e Chievo.

Il primo tempo del match rinforzava i miei grigi presagi, con i neroverdi a correre come pazzi, Boga nelle vesti di imprendibile Speedy Gonzales e Berardi a segnare per la centordicesima volta contro la squadra di cui è tifoso fin da bambino.

Pensa se gli stavamo sulle balle…

I nostri confermano una tendenza già palesata nelle ultime uscite, e cioè l’incapacità di palleggiare in tranquillità, soprattutto ad inizio azione. Tante volte ho maledetto i passaggi stitici dei nostri difensori che passavano pericolosamente vicino ai piedi avversari, ma nelle giornate di grazia il rischio è stato più volte ripagato. A Reggio Emilia, ancor più che con Atalanta e Shakhtar, i nostri hanno invece fornito una dimostrazione pratica di come non uscire palla al piede da dietro, con Barella a regalare l’azione da cui nasce il rigore – solare – su Boga e De Vrij –tu quoque– a ciabattare un retropassaggio che costringe Handanovic all’uscita disperata, su cui avrebbe potuto chiudersi la partita.

Nelle scorse settimane mi sono lamentato per rigori evidenti non fischiati a nostro favore; allo stesso modo non ho problemi a riconoscere che a maglie invertite mi sarei imbufalito se l’arbitro non avesse espulso un portiere che esce ostacolando l’avversario in quella maniera. Vero: Samir fa di tutto per non toccare Defrel, ma di fatto gli si piazza davanti e pare anche toccarlo in faccia col gomito. In un’epoca di “danno provocato”, “imperizia”, “eccessiva foga”, mi aspettavo il rosso per il nostro portiere e un secondo tempo da incubo.

Ho sentito Caressa e gli altri parlarne perplessi, soprattutto per la mancanza di spiegazioni da parte dell’arbitro. Musica per le mie orecchie, che vorrebbero sentire in vivavoce i colloqui tra arbitro di campo e VAR, all’insegna della massima chiarezza. Marchegiani butta lì una possibile motivazione, e cioè che l’intervento non sia considerato da “rosso”, essendoci Skriniar che sta rientrando e che potrebbe contrastare l’avversario. Caressa prova a fare il maestrino parlando di “cono di luce” e di palla che si sta dirigendo verso la porta e non verso l’esterno e quindi rigettando la tesi. Poi mandano il replay e la si vede la palla che rotola al di fuori dell’area piccola, altro che verso la porta…

Ad ogni modo, arbitri: parlate e spiegate, cazzo.

Invece, incassiamo la gradita botta di culo e, nella ripresa, ribaltiamo il match, non prima di aver reso merito a Handanovic per una parata sullo sgusciantissimo Boga, che spara un sinistro rasoterra sul palo lungo, neutralizzato con parata felina dal nostro portiere. Siamo ancora vivi, e proprio per questo togliamo dal campo un paio di moribondi: Correa e Calhanoglu (lui sì, confermatissimo nella lista dei cattivi) non la beccano mai ed escono dopo 55 minuti di nulla, sostituiti da Vidal e Dzeko. Fuori anche un insipido Bastoni per un Di Marco ancora una volta convincente, commento applicabile anche al cambio di esterno Darmian – Dumfries.

Quattro cambi insieme non li avevo mai visti se non nei Trofei Moretti estivi, ma erano tutti necessari. Poi ci si mette anche un po’ di culo, visto che bastano trenta secondi e un cross nemmeno così bello di Perisic per liberare Dzeko sul secondo palo per il comodo colpo di testa che vale il pari.

Punteggio e inerzia della partita totalmente cambiati, e partono dieci minuti a manetta: è la situazione ideale per Vidal, giocatore che con gli anni pare giocare molto più sull’entusiasmo del momento e non sulla solida regolarità che ne ha contraddistinto la carriera. Ma è un mio parere e, vista l’affidabilità delle mie previsioni, è probabile che ce lo ritroveremo in cabina di regia a giostrare come un moderno Matteoli.

Poco dopo è sempre Dzeko a seguire una palla in profondità di Brozovic, anticipando Chiriches e inserendosi tra lui e il portiere. Consigli, che sui miracoli contro l’Inter ci ha costruito una carriera, stavolta sbaglia i tempi dell’uscita e sbilancia Dzeko a cavallo dell’area, prima di prendere la palla con le mani. Rigore, e meno male che la rusada (spinta per i non meneghini) decisiva è già all’interno dei 16 metri, perché già mi aspettavo la beffa della punizia dal limite spedita in gradinata.

Dal dischetto va Martinez che spiazza il portiere e fa 2-1.

L’ultimo quarto di gara i nostri lo giocano con sapienza, senza rischiare granché e trovando anche il 3-1, giustamente annullato per fuorigioco.

Vittoria complicata e sofferta, con una considerevole dose di buona sorte nell’episodio di fine primo tempo: giocare in dieci la ripresa avrebbe dato tutt’altro gusto al match e aperto un sacrosanto processo alla tenuta mentale dei nostri difensori. Invece, andiamo alla sosta con tre punti in saccoccia, apprestandoci ai soliti rosarioni collettivi nella speranza che le trasvolate oceaniche dei nostri non abbiano conseguenze sul loro stato di salute.

Il ritorno vedrà un trittico di partite mica da ridere, con Lazio in trasferta, Sheriff e poi Juve in casa, tutte in una settimana. Inutile dire che saranno giorni cruciali per i nostri.

LE ALTRE

Continua il mio allarme per la risalita della Juve. Il Derby vinto col Toro è un altro pessimo presagio, visto che il pari sarebbe stato probabilmente la fotografia migliore per quanto fatto vedere dalle due squadre. Invece, il tanto vituperato colpo del singolo, l’azione improvvisa così deprecata perché non arriva dopo lunghi minuti di ruminamenti a tre all’ora, sposta l’equilibrio e porta i tre punti dalle parti di Allegri. Occhio, chè questi arrivano…

Napoli e Milan non hanno nemmeno il fattore novità, visto che continuano non solo a vincere ma a mostrare uno stato di forma difficilmente pronosticabile a inizio stagione. Ho visto i cugini sbarazzarsi dell’Atalanta con facilità, giocando una partita per me bellissima, fatta di continue accelerazioni, tutta in verticale, in culo al possesso e al giro palla manovrato. C’hai Theo Hernandez, Leao, e compagnia? Sfruttali, perdìo! E’ quel che fa Pioli, e Gasperini, per una volta, non ci capisce molto. Vero che le assenze di Gosens e di Pessina non aiutano, ma duole ammettere che la vittoria è meritata.

La certezza è che il Napoli non potrà andare avanti e vincerle tutte. La speranza è che il Milan non sia in grado di mantenere questo idillio di forma ed efficacia a lungo. Sarebbe bellissimo che il ritorno dello splendido quarantenne (auguri al vecchio cuore nerazzurro Zlatan) facesse saltare gli equilibri cesellati con tanto amore dagli artigiani di Milanello Bianco.

E’ COMPLOTTO

Non parlerò qui del bilancio presentato dall’Inter, con la perdita record di 245,6 milioni, se non per segnalare come un numero così abnorme, per quanto riferito ad una situazione già passata, sia sufficiente per soffiare sul fuoco del disfattismo, dell’inevitabile ed imminente cessione da parte di Suning. Del resto, come abbiamo imparato da un anno a questa parte, ogni settimana è quella decisiva per la vendita a BC Partners, Oaktree, PIF, Ciccillo ‘O Meccanico…

Sono invece curioso di sentire come verrà giudicata la vittoria del Milan dal punto di vista del gioco, visto che tutto si può dire dei rossoneri ma non che pratichino un calcio palleggiato e corale. Prevarranno insomma i Talebani Calcistici, secondo cui è ontologicamente necessario fare il Bel GiUoco (whatever that means) per poter vincere, oppure ancora una volta avrà la meglio la retorica di Milanello Bianco, che cosparge di miele tutto quanto arriva da quelle latitudini?

Probabile che Sacchi scriverà l’ennesimo pezzo che va riproponendo da decenni, snocciolando statistiche accomodate a proprio uso e consumo, ma quella ormai è una non-notizia. Per Arrighe, lo sappiamo, tutto ciò che non sia corto-umile-intenso non è nemmeno degno di essere chiamato calcio, e il problema non sarebbe nemmeno lui, che su quel credo ha basato il suo quadriennio magico (chè la sua carriera ha avuto successo per quattro anni, non di più, ricordiamolo). Il problema – l’ho detto altre volte e mi scuso per la ripetizione – è che lo sport italiano l’ha eletto a maestro inconfutabile e genio assoluto di un calcio che, spiace per lui, è in continua evoluzione. Il suo calcio fatto, tra altre nefandezze, di difese altissime, in tempi di VAR sarebbe probabilmente vittima di un paio di gol a partita, visto che già ai tempi di Franchino Baresi e del suo braccio alzato erano tante le volte in cui, al replay, si diceva “ah in effetti il fuorigioco non c’era…“. Ma erano, appunto, altri tempi, inutile rivangare. Utilissimo, invece, sarebbe svecchiare questi canoni e uscire una dannata volta dal manicheismo che vede un solo modo di giocare al calcio, a prescindere dai giocatori a disposizione, e che di risulta condanna all’inferno ogni eretico che lancia a campo aperto il Chiesa, il Lukaku o il Theo Hernandez di turno.

Ma vallo a dire a certa gente…

Entra e ribalta la partita. Poche volte così contento di aver avuto torto

FASTIDIO

SAMPDORIA-INTER 2-2

Partita difficile da digerire, nonostante le 48 ore fatte passare. E le criticità gastriche non sono dovute solo alle contemporanee vittorie di Roma e Milan; è proprio l’andamento dei nostri 90 minuti a lasciarmi l’amaro in bocca.

Sia chiaro: a questo punto del campionato non sono i due punti lasciati a Genova a preoccuparmi, quanto piuttosto l’incapacità di essere brutti e cattivi quando serve. Il pragmatico catenacciaro che è in me potrà perdonare la giornataccia della squadra che fatica a creare occasioni da gol, che – usando gergo tecnico – gioca demmerda, ma mai gli errori sotto porta che ti fanno venire l’acquolina in bocca, mentre pregusti la pizza che vedi arrivare da lontano passarti di fianco e fermarsi al tavolo dietro di te.

Mentre tratteggio la delicata metafora culinaria, mi passano davanti agli occhi le tre occasioni mariane sciupate dai nostri in meno di cinque minuti a inizio secondo tempo. Tutto ciò è bastato per far seguire alle canoniche Madonne alcune considerazioni ancestrali del tipo “con tutto quel che ci siamo mangiati va bene se non la perdiamo ‘sta partita qua…“. San D’Ambrosio per fortuna mi viene in soccorso, visto che alla mezz’ora salva sulla linea un diagonale velenosissimo a portiere battuto.

Fatemi ora abbandonare l’obiettività che faccio finta di avere quando parlo di Inter e concedetemi qualche riga di sfogo su tre nostri giocatori, che ovviamente sarò pronto a idolatrare alla prossima partita giocata come Cristo comanda.

Handanovic: incolpevole sui due tiri che portano ai gol. Il primo oltretutto subisce la deviazione probabilmente decisiva di Dzeko, ma su quel troiaio che precede la pesciada di Yoshida rimane per la millesima volta in carriera col guinzaglio agganciato al palo e non esce su una palla lenta, stupida, fatta apposta per essere presa in volo, probabilmente subendo anche fallo.

Non riesco nemmeno a finire gli improperi a supporto del “Non esce mai questo…” ed ecco la prossemica che ben conosciamo: posa ieratica, braccia penzolanti, sguardo rassegnato e palla nel sacco. So benissimo che la mia è una critica eccessiva per quel che è (stato) un grande portiere, ma mi tengo lontano dal buonismo integralista che accusa noi critici di disprezzare un portiere che per dieci anni ci ha tenuto a galla. O meglio: non ho problemi a dire che Samir per anni è stato tra i migliori al mondo, ma se la gratitudine fosse l’unico parametro di giudizio, allora Walter Zenga o Julio Cesar dovrebbero giocare una domenica a testa per i prossimi vent’anni.

Morale: posto che il suo sostituto doveva arrivare due anni fa, e poi ancora l’anno scorso, vediamo di fare una ricerca seria e di non farci trovare impreparati alla fine di questa stagione.

Dzeko: già ho scritto circa le mie riserve sul concetto filosofico del centravanti di manovra (“può piacere o non piacere, su questo non discuto” (cit.)). La cosa che tollero ancor meno – e qui ormai dovreste conoscermi a sufficienza da non esserne stupiti – sono i pregiudizi, positivi o negativi che siano. Esattamente come anche il più banale appoggio di piatto di Pirlo al portiere era un lancio illuminante del Maestro, ogni corsa all’indietro del bosniaco è intelligentissima, fatta per aiutare i compagni, a servizio della manovra. Fernando Orsi, che commenta la partita su Sky insieme a Compagnoni (poi ne avrò anche per lui), addirittura vede un velo – ovviamente geniale – del bosniaco che libererebbe Lautaro per il gol del momentaneo 2-1. Se non avete visto la partita: Dzeko si limita a fare – per una volta! – quel che deve fare l’attaccante, e cioè dividersi gli spazi in area col compagno. E quindi, essendo Lautaro sul palo lungo, taglia sul primo. Niente di più. Ma la palla di Barella è precisa di suo, e sarebbe arrivata a destinazione indipendentemente dal lavoro di Dzeko.

Tanti i ripieghi a centrocampo del bosniaco, che sale a cucire la manovra facendo andare in sollucchero gli esteti del bel giUoco. Io da grezzo osservatore finisco presto le dita per contare le volte in cui invece la sua presenza latita là davanti, con il solo Martinez a doversi smazzare tutto il fronte d’attacco.

Quando poi, subìto il pareggio di Augello, Perisic entra in area dalla sinistra, il croato non tira in porta ma preferisce mettere palla lunga sul secondo palo per il tap-in del compagno: troppo poco elegante la scivolata, l’allungo a ruzzolare sull’erba. No: meglio non accelerare nemmeno il passo, e voltarsi verso il compagno chiedendo un passaggio più facile. Vedrai che la prossima volta, Perisic, da quella posizione tira, e magari segna anche.

Sensi: qui si rischia veramente di essere politically incorrect, perché non è né bello né giusto arrabbiarsi con un ragazzo che ha problemi fisici purtroppo sempre più evidenti. Fatta la doverosa premessa, a livello medico e societario è però giunto il momento di fare un discorso chiaro: che cosa può dare un giocatore che da quasi due anni gioca nei ritagli di tempo tra un infortunio e l’altro, e che, da ultimo, rimedia una distrazione del collaterale andando a contendere palla come tutti noi facciamo ad ogni fottutissima partita di calcetto con gli amici? Si parla spesso di profondità di rosa, facendo l’elenco delle figurine ma tralasciando un importante dettaglio: quanto sono affidabili i cosiddetti rincalzi? Detto che uno come Sensi sano per me è titolare fisso nell’Inter e forse anche in Nazionale, cosa me ne faccio di una riserva che, quando chiamato in causa, marca visita otto volte su dieci?

Abbiamo avuto lo stesso problema l’anno scorso con Vecino, Vidal e Sanchez: tre alternative mica da ridere sulla carta, tutti infortunati cronici per più di metà stagione. Hai voglia a raccontare la favola della panchina lunga: ti giri e ti ritrovi con Ranocchia, D’Ambrosio, Gagliardini e due Primavera…

LE ALTRE

Ringraziato il Napoli per la godibilissima partita vinta contro i Gobbi, tocca rendere i giusti meriti al Milan, che non ne avrebbe bisogno viste le lodi sperticate ai ragazzi di Pioli. I cugini vincono facile con la Lazio, ancora lontana dall’essere una squadra, e mostrano un Tonali davvero trasformato rispetto al modesto gregario visto l’anno scorso. Ricordo che sul bresciano pende la benedizione di Totti che di lui disse “dei tanti bravi giovani centrocampisti che abbiamo, per me lui è il migliore“. Che dire? Da interista spero che queste prime partite siano un brillo estemporaneo e che torni a galleggiare senza costrutto tra campo e panchina, ma per quanto fatto vedere fin qui tanto di cappello.

E’ COMPLOTTO

La stampa come detto è lestissima a riattivare la mielosa retorica dei bravi ragazzi rossoneri, facendo passare come un recupero lampo i 4 mesi di Ibrahimovic e tralasciando il fatto che la terapia conservativa inizialmente scelta si fosse dimostrata la strada sbagliata.

La combo MilanLab+Milanello Bianco può questo ed altro (e non sfugga la citazione “Silviesca” nel titolo)

Ma si riesce a fare di più: si torna al gol di Augello, blucerchiato suo malgrado ma ovviamente tifoso del Milan fin da bambino e – probabilmente per quello – ragazzo splendido cresciuto con sani valori. Per i puristi: il titolo della Gazza ha anche l’esclamativo, una sorta di +1 al Fantacalcio per l’assist.

Avevo promesso una nota di demerito per Compagnoni che, come tanti altri telecronisti, ha innegabili qualità, ma che non ho mai particolarmente amato. Noto in lui più che in altri la tendenza alquanto paracula di abusare della locuzione “si ha come la sensazione…“, nella sua variante “l’impressione è che…“. Niente di male, per carità, ma un telecronista dovrebbe raccontare quel che avviene, o al limite dare il suo parere su quanto sta accadendo, non raccontare di sensazioni epidermiche che non danno alcun valore aggiunto alla narrazione, e che oltretutto non di rado – come domenica – vengono sbugiardate dai fatti in tempo zero.

Andiamo nello specifico. Su entrambi i recuperi di primo e secondo tempo, la sua “sensazione” è che l’arbitro possa far giocare oltre quanto inizialmente stabilito. Nel primo tempo toppa in pieno, con Orsato che anzi fischia due secondi prima della fine dell’ultimo minuto. Nella ripresa inizialmente gli dice bene, visto che i sei minuti diventano effettivamente sette, ma il ragazzo non è contento e insiste “si potrebbe arrivare a 7:30, forse anche 8:00“. Niente, al 97:01 arriva il triplice fischio.

Domanda da cacacazzi: ma non sarebbe meglio, se proprio si vuol fare i saputelli, dare il beneficio del dubbio e dire “vediamo se l’arbitro vorrà dare un supplemento di recupero“? Un inguaribile illuminista come me sarebbe più contento: almeno lì poni un dubbio, avanzi una possibilità, non ti fai guidare da non meglio precisate impressioni, inconfutabili proprio perché impalpabili e quindi nemmeno degne di essere catalogate come opinioni.

Bah, potenza dello storytelling…

Chiudo con l’ultimo prurito di giornata provocato, guarda caso, da Arrigo Sacchi, che non perde occasione per tornare in cattedra denigrando lo spettacolo offerto da Napoli e Juventus nell’anticipo di sabato: “mi sembrava una partita degli anni ’70“. Sempre simpatico e per nulla autoreferenziale il nostro quando ci passeggia sui testicoli parlando di gioco offensivo e spettacolare in contrapposizione all’italico vizio della difesa ad oltranza e del guizzo del singolo…

Sono stato sollevato dal vedere realizzata la mia profezia in tempo zero, quando l’ho sentito innalzare lodi al calcio spettacolo del Sassuolo e denigrare Mourinho e la Roma, in quella che invece è stata una partita divertentissima da guardare per un appassionato di calcio (il tifoso probabilmente avrà perso qualche anno di vita…).

Niente di più prevedibile. Mi raccomando, ancora avanti così: i buoni tutti da una parte, i cattivi tutti dall’altra, e tutti a battere le mani al Venerabile Maestro.

RICOMINCIAMO

INTER-GENOA 4-0

La bella sensazione della pagina bianca da riempire. L’aria, ancora estiva eppure fresca, che ti accarezza la faccia e ti fa respirare un vento nuovo.

La prima di Campionato assomiglia alle sirene di Ulisse: bellissima da vedere, tentatrice nelle sue mille possibilità, ma da maneggiare con assoluta cautela. Un po’ come a capodanno, questo è periodo di propositi ambiziosi, comunicati in pompa magna e spesso rinfoderati poco dopo nel taschino fidando nella distrazione degli astanti. Tornare a vergare le mie bagatelle informatiche a strisce neroblù mi provoca sensazioni simili, come una vecchia cicatrice che torna a prudere e che quasi inconsapevolmente ti trovi a massaggiare di continuo.

Via quindi: insieme al pubblico di San Siro anche queste pagine riprendono vita, nella speranza di divertire me stesso in primis – non ho mai fatto mistero della autoreferenzialità di questo blog – e magari qualcun altro.

Il match

La sintesi estrema, anche se poco raffinata, è che gli abbiamo fatto un buciodiculo così.

Inzaghi sceglie Dzeko unica punta più per mancanza di alternative che per reale convinzione, alternando Sensi, Calhanoglu e Perisic a supporto. Se a questo aggiungiamo che lo stesso bosniaco tende a uscire spesso dall’area di rigore per fraseggiare coi compagni, siamo in una di quelle situazioni che personalmente accrescono la mia percentuale di sacramenti, all’insegna del “a questo gioco qui bisogna tirare in porta!” solitamente seguito da un rafforzativo volgare a piacere.

Le cose per fortuna si mettono bene fin dall’inizio, con il turco ex Milan che pennella un cross bello quanto banale – leggasi: forte, teso a rientrare poco oltre il dischetto del rigore – che Skriniar capoccia in rete dopo appena cinque minuti di partita. Strada in discesa e largo alla fantasia lì davanti. Il raddoppio arriva poco dopo con un bel destro dal limite del nuovo numero 20, preceduto e seguito da una manciata di altre occasioni dei nostri.

Piccola nota polemica e rancorosa: devo essermi perso i commenti del tipo “Da caso irrisolto al Milan a campione nell’Inter!

Il Genoa è – almeno in questa prima versione – poca cosa, e nemmeno la coppia Pandev-Kallon crea grossi problemi. Il giovane africano non può non suscitare la mia personale simpatia visto il Paese di provenienza, che per fortuna non viene macchiata dal gol all’esordio che l’avrebbe resa più indigesta.

Tatticamente, Ballardini continua a difendere a tre, o meglio a cinque, nonostante l’area genoana sia poco popolata, visto il continuo entra-ed-esci di Dzeko che non dà punti di riferimento. La cosa non può che farci piacere e agevolare la manovra dei nostri, che arrivano pressoché indisturbati alla trequarti avversaria.

La ripresa vede qualche cambio nei liguri che però non alterano la solfa della partita: ci sono solo una decina di minuti nei quali i nostri sembrano accontentarsi del doppio vantaggio e che solleticano la mia pazienza. Ma è roba minima, chè Inzaghi inizia a sbraitare dalla panchina e i ragazzi rimettono il muso sul libro e vanno avanti con la lezione. I cambi danno linfa a qualche titolare in riserva e portano al gol di Vidal, dopo geniale assist di tacco di Barella. Nel finale, sempre il cileno pennella un bel cross su cui anche Dzeko si iscrive a referto.

Commento tènnico

Bene, bravi, bis.

Ribadita la pochezza dell’avversario e con tutte le attenuanti della prima di Campionato, mi pare di poter dire (cit. Pizzuliana) che la spina è ben inserita e la corrente arriva senza sbalzi. La cosa che mi è piaciuta di più è stata proprio la costanza, il non accontentarsi, il gestire la partita cercando di trovare altri goals. E questo non perché improvvisamente sia diventato amante del bel giuoco. Se sei in vantaggio e tieni palla, vinci la partita. E siccome non siamo ancora – e forse non lo saremo mai – la squadra capace di fare torello per mezz’ora e addormentare la partita, tanto meglio approfittare dei cinque cambi e continuare a schisciare il piede sull’acceleratore.

Finché ce n’hai, stai lì.

Detto questo, mi dichiaro colpevole in anticipo e non mi accoderò ai peana per Edin Dzeko. Gusto personale, niente di specifico contro il calciatore, che è molto bravo e, con le dovute differenze e senza voler essere blasfemo, come tipologia di attaccante può essere accostato a Van Basten: pennellone, forte fisicamente, molto intelligente e sempre pronto a dialogare coi compagni. Detto ciò, l’olandese rimane di due o tre categorie superiori e quindi dimenticate il paragone azzardato. Mi serviva solo per far capire che non lo sto paragonando a Petagna o Pennellone Silenzi.

E’ un gran giocatore, ma segna poco, aldilà della fredda contabilità che gli assegna 200 gol (in più di 500 partite). Nei sei Campionati giocati alla Roma ha avuto una stagione della Madonna in cui ha fatto 29 gol, ma in tre degli altri cinque non è arrivato in doppia cifra.

Certo, grazie a lui in tanti hanno segnato tanti gol perché è molto bravo a far segnare gli altri ma, come dire, il mio gusto personale preferisce un numero 9 bello ignorante, che prima segna e poi pensa a come servire il compagno. Tra lui e Lukaku, anche se avessero la stessa età, non c’è paragone per me. Dico di più: se devo scegliere, tra lui e Icardi, prendo sempre l’argentino.

Però Lukaku non c’è più, Icardi da mo’ che se n’è andato, Dzeko l’Inter lo cercava da anni, e alla fine è arrivato. Viva Dzeko, quindi. Spero che la decina di gol in meno di quelli a cui ci aveva abituato il belga, e prima di lui l’argentino, possano essere distribuiti tra Martinez e gli altri compagni d’attacco, in modo che il risultato finale non cambi.

E’ Complotto

Attenzione perché qui il ragionamento è sottile.

Nei commenti alla partita troverete tanti paragoni tra la prima Inter di Conte e la prima di Inzaghi, fatto inevitabile dovendo riempire pagine di giornale. Prevedibile che gli applausi siano tutti per lo Spiazel One e per la sua manovra più ariosa e meno essenziale rispetto a quella del tecnico salentino.

Dico “prevedibile” non perché il giudizio tecnico sia corretto, ma semplicemente perché così si comporta la stampa con l’Inter: se c’è da lodare qualcuno, è sempre quello meno “organico” al mondo Inter. Il nuovo arrivato, giocatore o Mister, è sempre quello che può portare novità e miglioramenti in un sistema fallato per definizione.

Altre volte ho fatto cenno ad una sorta di luna di miele di cui beneficia il nuovo allenatore dell’Inter, chiunque esso sia, per il solo fatto di arrivare da altre realtà ed essere in un certo senso “immacolato”. Dategli qualche partita e anche Inzaghi diventerà l’allenatore che privilegia il risultato allo spettacolo, che non fa divertire il pubblico, che si aggrappa a Dzeko per vincere le partite.

La mia previsione – faziosa, paranoica e con altre qualità che lascio a voi definire – è che contemporaneamente monterà la corrente revanchista e nostalgica di Conte, all’insegna del “va beh, ma se deve giocare male tanto valeva tenere Conte che almeno il Campionato l’ha vinto“.

Una hit estiva di fine anni ’80 si intitolava “Sit and Wait“. è quel che faremo noi, inflessibili censori di ogni commento inopportuno sui nostri eroi in braghette.

Bentornati! (a loro e a voi)

Bravi, bravi. Certo che la maglia nuova non si può vedere…

BENVENUTO MISTER

E finalmente, dopo qualche mese, anche Conte ha capito cosa voglia dire essere l’allenatore dell’Inter.

Non vinci? Sei un incapace, e ancor di più la Società che ti ha scelto.

Vinci? sì ma sfruttando cinicamente gli errori degli avversari e speculando sul contropiede.

Per fortuna, il Mister Agghiaggiande non le manda a dire e, dopo aver risposto per le rime a Zazzaroni ed altri nelle scorse settimane, l’altra sera ha riservato lo stesso trattamento a Fabio&Fabio (Caressa e Capello).

Capello ha testualmente detto che l’Inter gioca con la difesa bassa e sfruttando in contropiede gli uno-contro-uno concessi dalle difese avversarie.

Quando Conte ha replicato stizzito, ecco che i due in studio hanno messo una toppa che era peggio del buco, affrettandosi a dire al Mister “no no, non hai sentito tutto il discorso” e aggiungendo di aver fatto riferimento anche al pressing alto che consentiva all’Inter di recuperare palla vicino all’area avversaria. Balle, questo l’ha detto solo Conte, e a ben vedere è l’esatto contrario di quanto sostenuto da Capello (altro che “sto dicendo le stesse cose che dici tu”).

Per essere ancora più chiari: difendi basso? Non fai pressing nella metacampo avversaria ma aspetti sulla tua trequarti, una volta che hai la palla lanci lungo sul centravanti e speri che la butti dentro.

Fai pressing alto? I tuoi centrocampisti vanno alla caccia del pallone fino alla trequarti avversaria, cercando di costringere gli altri all’errore, in modo da recuperare la bocca a trenta metri dalla porta, non a ottanta. In questo caso, peraltro, si inserisce in maniera coerente la critica avanzata da Bergomi e Costacurta, che hanno chiesto a Conte se potessero esserci margini di miglioramento in un paio di transizioni del Napoli che per poco non hanno causato problemi all’Inter. Ecco, Conte in quello è stato chiaro: pressando alti, il rischio che si corre è quello. Se l’avversario riesce a superare la prima linea, ecco che alle spalle c’è un sacco di campo che resta sguarnito, mettendo a rischio la difesa. È il vecchio concetto della coperta corta, che alla fine è anche abbastanza facile da capire.

Ma no, si continua sul vecchio canovaccio: vinci? sì, ma sei solo un’Inter cinica che sfrutta con pochi lampi le prodezze dei suoi campioni.

Ci si mette ancora una volta il Corriere dello Sport a fare la finta vergine, portando l’ipocrisia a nuovi livelli di sofisticazione.

Un pezzo del genere trasuda tutta la malafede di chi lo scrive. Perchè è noto a tutti che la critica è pressocchè unanime nel condannare chiunque giochi in contropiede e osi ritornare al mittente le proposte di bel giUoco e mille passaggetti a tre all’ora. Ma quando, guarda caso, tali critiche sono rivolte all’Inter sotto forma di falso complimento -oltretutto prendendo una cantonata proprio nel merito tecnico della questione- ecco che ci si meraviglia del perchè ci si debba vergognare di un sistema di gioco che tanto ha fatto vincere al calcio italiano.

In altre parole, Conte non si incazza per l’accusa di essere un contropiedista. Si incazza perchè così dicendo si sceglie di ignorare il modo in cui fa giocare la squdra, limitandosi a vedere una parte del quadro e pigliando una cantonata che non fa onore al passato dell’allenatore Capello.

Furbo Zazzaroni a chiamare i mostri sacri a difendere quella che -ribadisco- è una posa posticcia. Che l’immenso Gianni Mura “parteggi” per un calcio essenziale e senza troppi ghirigori è noto, oltre che da me condiviso. Che proprio lui si presti a dar manforte a questa manovra di dissimulazione mi lascia un po’ così, allo stesso modo della sua critica al VAR ed all’eccessivo uso della tecnologia nel calcio.

Ma lui è Gianni Mura e può dire quel che vuole.

Gli altri pure, anche se hanno una credibilità ed un’onestà intellettuale nemmeno paragonabile.

Ad ogni modo, caro Conte, ora hai finalmente capito di cosa noi interisti ci lamentiamo da anni. Ci dai una mano tu a iniziare a rispondere come si deve?

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A DISPETTO DEI SANTI

LAZIO-INTER 2-3

Ci siamo, ‘ngul’attuttiquanti. Ci siamo!

Dopo sei anni vestiamo i panni (divertenti per una notte ma preoccupanti per la nostra reputazione) dell’amico che si presenta alla festa non invitato e già brillo.

Mi ricollego solo un attimo ad una delle mie ultime sbrodole per sottolineare come la strada da percorrere sia lunga, in salita e piena di curve. Nessuno regala un cazzo, a gente come noi, e quindi l’assenza dalla cèmpions per ben sei anni fa passare la nostra qualificazione come un evento, qualcosa di eccezionale e difficilmente ripetibile.

Non siamo mica quelli che hanno il DNA europeo.

E però, con grande scuorno di dotti, medici e sapienti, nell‘Europa che conta ci andiamo noi.

Non ho alcun problema nell’affermare che sui 9 mesi di Campionato, la Lazio avrebbe meritato almeno quanto l’Inter di arrivare quarti, e che ieri sera probabilmente non avrebbe meritato di perdere.

Qualcuno però mi deve spiegare perchè i nostri sostanzialmente si devono scusare per avere impedito all’odioso ma bravissimo Inzaghino di giocare in Champions, mentre tutti concordano sul fatto che la Juve ha meritato perchè pratica e cinica e ha fatto vedere al Napoli che non basta essere belli se non si è anche efficaci.

Potere delle strisce verticali giuste…

Comunque, facendo finta di voler analizzare la partita dell’Olimpico, ho trovato molte similitudini con l’altra trasferta capitolina dei nostri, alla seconda di Campionato. Si era ancora a fine estate e dopo un’ora di dominio giallorosso, i nostri zitti zitti avevano incartato avversario e partita, tornando a casa con tre gol fatti e tre punti in saccoccia.

L’inizio con la Lazio -parlo proprio dei primi 5 minuti- è addirittura incoraggiante, perchè la palla ce l’hanno sempre i nostri. Succede però che dopo la pigliano loro, e cominciano a tirare in porta di continuo e per un po’ ci mettono lì. Icardi ne cicca un paio mica da ridere, Handanovic fa la paratona su Milinkovic-Slavic, ma poco dopo capitoliamo sul gollonzo dell’anno, con Perisic a deviare all’angolino de fazza un tiro che di suo sarebbe terminato dalle parti della bandierina del corner.

”La solita sfiga…i soliti coglionazzi…”

L’ho pensato io, l’abbiamo pensato in tanti.

Però in qualche maniera la rimettiamo in piedi: D’Ambrosio il più bello del reame si inventa una girata da serpentone e timbra il pari dopo la mezz’ora del primo tempo.

Meno male, mi dico, perchè Maurito stasera sembra lì di passaggio…

Il pari ci ingolosisce, e sugli sviluppi di un corner Brozo sbaglia l’anticipo su Lulic e Andrerson che vanno via in esemplare contropiede. L’azione è rapida, ficcante, letale per i nostri, ma talmente spettacolare da sperare di vederla proiettata ad un pubblico di pallettari zonaroli maledetti, accomodati in ginocchio sui ceci al grido di “per me il Tiki Taka è una cagata pazzesca!”.

Magra consolazione, aver incassato quel popo’ di gol… Siamo sotto di uno e tocca farne due. In 45 minuti. Con i nostri che sembrano giocare in ciabatte e con la cispa negli occhi.

Quelli là però han giocato un primo tempo da urlo, e perdipiù non hanno nella gestione la loro miglior qualità. Ecco che quindi nella ripresa finiscono presto la benzina e di fatto Handanovic non deve compiere interventi significativi.

Davanti continuiamo a combinare pochino, e Spalletti cerca di porre rimedio piazzando prima Eder e poi Karamoh, procedendo a passi sempre più convinti allo schema “avanti tutta che ormai non c’è più niente da perdere”.

Milinkovic-Savic rischia il “mani” in area e Rocchi difatti in un primo tempo lo fischia anche, corretto poi dal VAR, con Sky a credergli sulla fiducia, visto che si guardano bene dal farci rivedere l’azione con la solita quarantina di camere esclusive di ‘sta minchia.

L’ingresso di Eder porta almeno un po’ di vivacità dalle parti di Icardi, e l’italo brasiliano è bravo e veloce a servire il compagno in piena area. Ottimo il controllo di prima di Maurito che viene falciato in piena area da De Vrij, sulla cui partita tornerò a breve.

Se già avevo pregato i miei santi di non far tirare il rigore al nostro Capitano nei 30 secondi del rigore-non rigore di Milinkovic-Savic, a maggior ragione incrocio l’incrociabile nel vedere Icardi sul dischetto.

Il ragazzo però ha sangue freddo e, dopo essercelo conquistato, il rigore lo trasforma anche.

2-2 e una manciata di minuti da giocare. Che probabilmente sarebbero trascorsi invano -chi può dirlo- ma che il capitano laziale Lulic decide di rendere assai più frizzanti beccandosi un secondo giallo tanto palese quanto insensato.

In due minuti la Lazio prende un gol e perde un uomo. I nostri capiscono che “it’s now or never”.

E sul corner che Brozo batte pochi minuti dopo Vecino è lesto a svettare sul primo palo e girare sul palo lungo, finendo biotto sotto la curva a esultare come l’occasione richiede.

La mia stabilità mentale riesce solo a farmi pensare “Non dirmi che era già ammonito che adesso lo sbattono fuori e ci pigliamo il cetriolo nel recupero…”.

Invece il ragazzo era incensurato, e il giallo da spogliarello post-gol non ha ulteriori conseguenze.

I minuti che mancano passano addirittura senza grossi patemi, con i laziali comprensibilmente stato shock per quanto accaduto.

E’ finita. Abbiamo vinto. Siamo in Champions.

Tutto il resto è un unico mormorìo di sottofondo, fatto di “però tre gol su calcio piazzato, però la Lazio, però l’Inter”.

Ma ci siamo abituati, da sempre, e sotto sotto ci fa anche piacere.

Oltretutto, siamo tornati a farci criticare quando vinciamo, che è leggermente meglio di pigliare mazzate dalla critica quando già le hai prese in campo.

E’ COMPLOTTO

Come detto, assisto tra il divertito e lo schifato allo schieramento dei rosiconi che dichiarano apertamente e senza farsi alcun problema “di aver tifato Lazio perchè giuoca meglio”. Caro Arrigo Sacchi dei miei coglioni: i danni che hai fatto al calcio non saranno mai abbastanza riconosciuti. Dovrei perdonarti, specie in serate come queste, eppure il tuo ottuso oltranzismo lo trovo intollerabile come ogni altro giorno.  E ti va bene che a sentire i tuoi sproloqui ci fosse Handanovic e non il nostro Mister, altrimenti sì che mi sarei messo comodo a sentire la sua replica.

Ma il Mister corto umile intenso non è certo il solo a mostrare il suo disappunto.

Al Club, su Sky, tutti più o meno riconoscono i meriti degli aquilotti romani, con punte di logica e di prevedibile faziosità (ogni riferimento a Massimo Mauro è puramente voluto). Poi è il turno del Cuchu, che come al solito sale in cattedra e ammutolisce i presenti.

Certe volte le vittorie come questa, ottenute con il cuore, per i giocatori sono più importanti di altre vittorie magari conquistate con il gioco. L’auspicio per l’Inter è che questo possa essere un punto di partenza e non di arrivo”.

Sipario.

Di lì a poco Caressa informa che Spalletti non parlerà, ma che avranno ospite Mauro Icardi, chiosando con un “va bene lo stesso”. Il calabrese cantilenante non ce la fa a non esprimere il suo parere illuminato e dice “no non va bene io volevo Spalletti”.

E guarda caso, la sola cosa che la sua mente semplice riesce a fare nel corso dell’intervista al neo capocannoniere della Serie A e Capitano della squadra che ha appena conquistato l’accesso alla Champions dopo sei anni, è chiedere “ma allora è vero che te ne vai?”.

Come dico spesso, il problema non è lui in sè: lui è così, se fosse un po’ più intelligente direi che recita una parte, ma credo che ci sia, non ci faccia. Il problema è rovinare una trasmissione che -nonostante Caressa- spesso ha ospiti e spunti interessanti con un soggetto che è lì per fare una cosa sola (parlar male del VAR e di tutti quelli che -chissà come mai- vogliono un controllo maggiore sulle decisioni arbitrali), senza nemmeno avere l’onestà di dire “oh io tifo Juve, e da tifoso voglio che la mia squadra vinca il più possibile, e questo è più facile se gli arbitri non sono aiutati dall’esterno”.

Tornando al post Lazio Inter, curioso come da parte di tanti si voglia cercare a tutti i costi un “caso De Vrij” (benvenuto in nerazzurro ragazzo, dovrai farci l’abitudine) per quello che è stato l’unico errore della sua partita, e soprattutto un intervento che qualsiasi difensore al suo posto avrebbe fatto.

No. La vulgata popolare è che l’Inter l’ha sfangata solo per colpa del difensore olandese, non ad esempio perchè il suo Capitano ha avuto la brillante idea di falciare Brozovic a metà campo sotto il naso dell’arbitro.

Ma mentirei se dicessi di essere sorpreso.

Per il resto, il Milan centra il sesto posto (come l’anno scorso) avendo conquistato ben un punto in più della scorsa stagione, nonostante i 230 milioni spesi in estate che dovevano garantire la zona Champions saggiamente abbandonata da Gattuso ben prima che dalla stampa di regime, irriducibile nel coro “dai che li prendete!”.

L’ultimo esempio è lo screenshot seguente, accompagnato dalle ultime righe di Garlando sull’edizione cartacea di oggi.

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E’ l’Inter ad essere in Champions, ma siccome il Milan è in Europa League facciamo un pacchetto unico e diciamo che Milano è di nuovo in Europa e in città si sentirà ancora la amata musichetta.

Chissene se la Champions la faremo noi, e che i cugini si accomoderanno nuovamente nell’Europa di Serie B.

NON HO CAMBIATO IDEA

Ho scritto il pezzo avendo in sottofondo la partita di addio di Pirlo, su cui mi ero dilungato ultimamente.

Ad un certo punto sento distintamente il trisillabo “Zanetti” riverberare in salotto dalla tele, e la mugliera inizia a pungolare il mio irriducibile complottiamo.

Ah quindi Zanetti l’ha invitato… tu che dicevi che non aveva invitato nessuno dell’Inter. Invece c’è lui, c’è Materazzi, e poi scusa ci sono anche altri che hanno giocato nell’Inter…”.

No, cara. No. Ho ragione io. Qui c’era la lista degli invitati e -cazzo- il nome di Zanna qui non c’era. E poi non recriminavo sull’assenza di giocatori che avessero vestito la maglia interista. Rivendicavo (tra polemica rimostranza ed orgogliosa constatazione) l’ assenza di “interisti”, che se permetti è una cosa diversa. Vieri (che pure ho amato) ha giocato 6 anni e fatto 100 gol in nerazzurro, ma non è “interista”. Non lo è cubetto d’oro Ventola, non lo è Seedorf nè Favalli nè Simic nè Cassano. Con tutto il rispetto. E’ un’altra cosa.

Non c’erano i miei idoli e di ciò davvero son contento.

Tornando a Zanetti: il fatto che sia andato, non solo non mi ha fatto piacere in sè (vederlo in mezzo alla pletorica grande famiglia rossobianconera mi ha dato problemi di digestione), ma è anche offensivo per l’argentino.

Ma come: viene strombazzata ai quattro venti la presenza di campionissimi quali Kakhaber Kaladze, Daniele Bonera o Serginho dei miei coglioni, e Zanetti non lo nomini nemmeno, facendolo arrivare alla fin come un imbucato?

Disgusto puro, superato solo da due passaggi della trascurabile passerella di campioni o pseudo tali.

Infantile ai limiti dell’imbarazzante Pippo Inzaghi che, avendo segnato una tripletta nel 7-7 finale, al fischio di chiusura insegue i raccattapalle per farsi consegnare il pallone, come è uso fare nelle partite di campionato per chi segna tre gol.

Un minorato mentale, non ci sono altre definizioni.

Da buon ultimo, mancava da un po’ di tempo il riferimento a Dida (o Gigia, come lo chiamava Caressa). Il prode Marco Cattaneo riesce quasi -quasi- a far imbarazzare anche i colleghi allorquando dice “possiamo dire che per un paio d’anni Dida è stato tra i migliori portieri….” e tutti “Sì sì in quei due anni sì…” e lui “della storia del calcio?” con gli altri a chiedere, tra l’incredulo e l’imbarazzato per interposta persona “Ah addirittura della storia del calcio???”.

Parliamo di quel Dida lì. Proprio lui.

Disgusto e raccapriccio. Un‘infornata di Milan berlusconiano che in un attimo mi ha fatto risalire l’orticaria a livelli non più percepiti da una decina d’anni a questa parte.

Il ribrezzo nel vedere mezzi giocatori come Brocchi, Serginho, Kaladze, Dida, forse è addirittura superiore a quella che provo quando in tele passano i vari Sheva, Inzaghi, Pirlo etc. Questi li ho maltollerati, ma almeno erano forti. Gli altri erano dei pipponi inverecondi, ma bastava indossare la divisa giusta per essere glorificati ben oltre i propri meriti.

Vi rendete conto che il popolino è convinto che Cafù sia stato più forte di Maicon e Dida migliore di Julio Cesar?

Ah già, loro hanno il DNA della Champions, ma bontà loro faranno l’Europa League.

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ABBASTA

INTER-LAZIO 0-0

Il titolo fa il verso alla voce del verbo abbastare, nella sua terza singolare presente indicativo assai usata nell’entroterra laziale, feudo di aquilotti.

La locuzione -ritengo- fotografa alla perfezione lo stato psico-fisico dell’amata squadretta e saluta con favore l’imminente pausa natalizia che in realtà non ci sarà, stante l’incombenza del prossimo turno previsto per il fine settimana.

Morale, per come siamo messi, e per come la Lazio arrivava a questo scontro, è andata bene così.

Non ho visto una sola immagine, essendo stato vittima di un viaggio fantozziano che ci ha visto arrivare stremati a destinazione dopo 10 ore di viaggio (necessarie per coprire meno di 400 km, ma questa ve la racconto un’altra volta) eppure, pur senza essere confortato dai riflessi filmati, mi sono fatto il mio cinema sulla partita.

Una squadra -noi- in chiara difficoltà sia fisica che tattica. L’altra -loro- che continua a macinare calcio e si presenta giustamente convinta di poter portare a casa la vittoria.

Quindi: abbasta. Accontentiamoci e scavalliamo l’anno solare ancora terzi, stante il graditissimo pari interno della Roma contro quel Sassuolo che solo pochi giorni fa ci aveva beffato.

Ho letto (ma non visto, ripeto) di gol mangiati da Felipe Anderson e forse Immobile, così come di grandi parate di Strakosha su Perisic e Borja Valero.

Ho altresì letto del rigore prima dato e poi tolto alla Lazio, su cui ovviamente non posso esimermi dal soffermarmi. Non prima di aver fatto un breve

QUADRO DELLA SITUAZIONE

Lo Zio Bergomi, aldilà di un atteggiamento eccessivamente assertivo nei confronti del suo compare (#sìfabio #certofabio), ha spesso ragione quando parla di calcio, non solo di Inter. Molti, soprattutto tra noi nerazzurri, lo criticano perchè sostanzialmente non fa il tifoso. Io invece lo apprezzo. Avendo sempre disprezzato l’apparente imparzialità dei vari Caressa, Mauro, Cerqueti, Piccinini e via dicendo, l’ultima cosa che mi auguro è di avere un analogo finto neutrale che dissimuli imparzialità facendo in realtà il tifo per i nostri.

Lo Zio non si nasconde dietro un dito: c’ha giocato 20 anni con quella maglia, non potrà mai essere imparziale. Ma onesto intellettualmente, quello sempre.

Ecco perchè ho particolarmente apprezzato un suo commento post Derby di Coppa Italia, in cui ha tirato fuori uno dei pochi luoghi comuni del mondo del calcio che mi sento di sottoscrivere: “le idee, nel calcio, invecchiano presto”. Questo, applicato ai cazzacci di casa nostra, vuol dire che l’Inter, finchè sorretta da una buona forma psico-fisica, ha goduto i frutti di quegli stessi schemi che ora ne costituiscono la principale zavorra. Il giro palla a liberare Candreva o Perisic che a loro volta cercano Icardi in del mezz non è giusta o sbagliata in sè; ha però bisogno di essere usata insieme ad altri strumenti, pena diventare prevedibile e quindi inefficace.

Largo quindi ai piani B, C, D, chi più ne ha più ne metta. E’ possibile che non ci sia uno dei centrocampisti che voglia provare il tiro da fuori? Perchè non usare Icardi come vero centroboa e provare il triangolo e la percussione centrale che porta un cazzo dí Brozovic qualunque in area palla al piede? E’ ipotizzabile l’impiego di Cancelo nel ruolo di Candreva, col romano ad agire più centrale? Cristo, ha fatto 10 gol all’anno nella Lazio, da noi non lo fanno mai tirare…

Boh, sono idee buttate lì dall’ultimo pirla che passa per strada, mi auguro bene che Spalletti e la società affrontino l’argomento con un pocolino di professionalità in più.

Vi svelo ciò che dovrebbe essere ovvio: posto che nessuno dei nostri tira da fuori o cerca l’imbucata centrale per il semplice motivo che l’è no il so’ meste’, urge volontario che cacci il grano per comprare uno-due giocatori al mercato di Gennaio.

Io da tempo ho dato la mia preferenza a Verdi del Bologna, capace di giocare in qualunque dei tre ruoli dietro a Icardi. Ma a ‘sto punto anche un Pastore o un Mikhitarian o come cacchio si scrive mi vanno bene: il primo non lo vedo giocare dai tempi del Palermo, il secondo non ho la minima idea di chi cazzo sia, ma vado sulla fiducia: non possono essere peggio della situazione attuale del nostro centrocampo.

Anche dietro siamo messi malaccio, con Miranda e D’Ambrosio ai box per qualche settimana. Skriniar e Ranocchia al momento reggono l’urto ma la coperta dietro, già corta di suo, rischia ora di lasciare fuori i piedi perfino al nano Tatu di Fantasilandia.

Tutto ciò premesso, chiudiamo il girone d’andata terzi e con 41 punti, avendo sostanzialmente smesso di fare il nostro calcio da un mesetto. Con ciò intendo dire, se mi si passa il paradosso, che c’è quasi da essere più contenti di un terzo posto in queste condizioni che del primo posto di fine Novembre con l’allineamento dei pianeti che ci girava a favore. Torno a ribadire che Juve e Napoli si giocheranno lo scudetto e che il nostro Campionato sarà segnato da un imperativo che tanto piacerebbe ai leghisti d’antan: noi prima di Roma.

DERBY DI COPPA

Mi son girati i coglioni a uscire contro i cuginastri. Mi gira perdere in amichevole con quelli là, figuriamoci una pur bistrattata Coppa Italia.

Come spesso accade quando si parla di quelli là, ci sono però cose che mi danno ancor più fastidio del risultato.  Anzitutto, come abbonato RAI vorrei partisse una cazzo di class action per avere un ricambio generazionale di commentatori.

Settore l’ha riassunta bene e merita 7 minuti del vostro tempo.

Cerqueti è uno dei tanti che ho fieramente disprezzato, alfiere del mantra “Inter cinica” e sempre pronto a minimizzare i meriti e ingigantire i difetti. Curioso poi che sia l’unico in Italia a pronunciare Perisic “Periscic”. Immagino sia la pronuncia corretta ma, come dire, la accetto se parla uno slavo, mica uno del Quadraro (con tutto il rispetto). Se mi dava sul belino Caressa che diceva “SSSanetti e SSSamorano”, immaginate le Madonne che gli ho tirato quando l’ho sentito pronunciare Rodríguez con la U ben udibile.

In bonza totale poi quando, ricordando i precedenti di Gattuso nei derby di quest’anno, ha informato che quello giocato da allenatore della Primavera rossonera l’aveva visto vincitore per 3-0. “Ah no, scusate, era finita 3-0 per l’Inter”. Oppure quando ha tessuto le lodi di Antonio Donnarumma in occasione di una bella e spettacolare parata di Handanovic. Qui non è questione di complotto, di malafede o altro. E’ semplicemente che il ragazzo è cotto, e ogni volta che sento le telecronache sulla RAI mi sembra di esser fermi a Gianni Vasino e Franco Zuccalà…

Ma si può usare ancora oggi una frase del tipo “a beneficio di quanti si siano messi solo ora alla visione, vi informiamo che l’Inter attacca da sinistra a destra”?

Intollerabile, così come da orticaria pura, e figlia in linea diretta del puro berlusconismo mediatico, è stata l’elegia di Donnarumma Antonio, chiaramente assurto ad eroe della partita.

Non sarebbe cambiato niente: il Milan ha vinto senza rubare nulla un Derby contro una squadra che, quest’anno, è decisamente più forte, e quindi va elogiato ancor di più per questo. Che bisogno c’è di inventarsi il fatto che il terzo portiere più pagato del West sia stato il migliore in campo? Gli ha detto culo che Ranocchia fosse in fuorigioco, perchè un autogol di tacco nel Derby non si era mai visto e lo avrebbe perseguitato per il resto dei suoi giorni ben più del milione all’anno che guadagna a sbafo. Per non parlare poi della parata involontaria sull’esecrando Joao Mario che da due metri lo centra in pieno: mi scuso con tutti voi per il turpiloquio che sarà giunto anche nelle vostre case, proveniente dritto-dritto dal salotto di casa mia, ma onestamente parlando vedo tutti i torti del nostro in quella giocata e tutto il culo del fortunato che passava di lì per caso ed è stato centrato in pieno dalla fortuna.

Nossignore: Antonio esce abbracciato al fratello, uniti come una famiglia, entrambi tifosi rossoneri fin da bambino, disposti a ridurs…. ah no, questa no.

A contorno, 7+ a Cutrone per aver imparato a memoria la filastrocca di cui sopra nell’intervista del dopo gara.

Bravi, siete una squadra senza capo nè coda e ciononostante ci avete battuti. Bravi, lo dico davvero.

Ma continuate a meritarvi tutto il mio disprezzo.

E’ COMPLOTTO

Se vi fa sentire meglio, non siete i soli, a meritarlo.

Leggete questo e saprete come la penso su Simone Inzaghi come persona.

Anzi, non ho bisogno del pur inappuntabile pezzo de IlMalpensante per avere un opinione sul suddetto personaggio, che ricordo nelle mie preghiere della sera fin dalla stagione 1999/2000.

Linko il video, visto che l’immagine -che pure ho stampata in testa in maniera indelebile- su Google non l’ho trovata. Vi do una mano, voi lavorate di fantasia: siamo agli ultimi secondi del filmato, quelli che precedono il 2-2 finale di Pancaro (Dio bono, quanto odio pure per il nasone calabro…): Inzaghino sostanzialmente corre fino a centrare in pieno Peruzzi (Dio bono, avevamo Peruzzi in porta voluto da “Carta Bianca” Lippi al posto di Pagliuca…): il cinghialone resta a terra e Inzaghino protende le due braccia davanti a sé con lo sguardo da invasato che solo i fratelli Inzaghi sanno avere, come a dire al compagno “va’ che bello, ti ho pure steso il portiere, tira cazzo che la porta è vuota!!”.

Ora, uno così, che ha passato la vita come il fratello a speculare su centimetri di fuorigioco, con piedi se possibile ancor più scarsi di quelli di Superpippa senza averne nemmeno la metà del senso del gol, uno che -come il fratello- ha simulato in lungo e in largo su tutti i campi d’Europa (ask Jaap Stam for references), che senso dell’etica sportiva volete che abbia?

Poi, per carità, come allenatore sta facendo meraviglie, ma lamentarsi del fatto che il VAR ha cancellato un evidente errore di Rocchi (il figlio di un cane, nel dubbio il rigore contro ce l’aveva fischiato…) è davvero il massimo dell’antisportività.

Sintomatico che perfino la Gazza abbia sentito l’esigenza di dedicare questa chiamata del VAR a tutti quelli che rimpiangono i vecchi tempi, la poesia dell’errore arbitrale e cagate del genere.

Noi rimaniamo nel nostro e ricompattiamo le truppe. La battaglia -sportiva e mediatica- è arrivata solo alla metà del suo svolgimento.

WEST HAM

Il periodo è quello che è: dopo aver perso in casa col Newcastle e preso un punto a Bournemouth, frutto di un rocambolesco 3-3, la classifica brilla in tutta la sua pericolosità, lasciandoci con la melma -per non dir di peggio- fino al mento.

Inevitabile la citazione che chiudeva la simpatica barzelletta: “Oh mi raccomando, non fate l’onda”.

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SCUSATE, RIDO TROPPO: NON MI VIENE IL TITOLO

INTER-CHIEVO 5-0

Una dimostrazione di forza come da tempo non se ne vedevano in casa nerazzurra.

Di culo, ho anche la fortuna di goderne dal vivo: primo anello verde con il Signor Padre, come non succedeva da tempo, e la coppia del gol -un poco arrugginita ma rodata negli anni- non delude!

La squadra è come previsto alquanto rivista, con il redivivo Ranocchia in difesa e la coppia Brozo-Joao Mario a completare con Borja il trio di centrocampisti pensanti o supposti tali.

Iniziamo col caso-Ranocchia: il ragazzo non può non suscitare simpatia, grande talento alla perenne ricerca di continuità, con l’ulteriore aggravante di non poter nemmeno incolpare il carattere bizzoso e la testa calda: il nostro è semplicemente un bravo ragazzo, senza la grinta e l’ignoranza necessaria per esserer un grande calciatore.

Beh, detto questo la prima palla che tocca scheggia la traversa su corner, e San Siro ruggisce manco avesse segnato in rovesciata.

Bravo Andrea! Grande Ranocchia! Nazionale! Mica quel pirla di Bonucci! Pallone d’Oro!

Il tutto -ne sono sicuro- dalle stesse menti illuminate che gli bestemmiavano i cugini fino a ieri.

Ad ogni modo, l’andazzo ieri era tipo Gabigol: piglia palla, fa un passaggetto di tre metri col piattone e vien giù lo stadio dagli applausi.

Stessa cosa o quasi anche per Santon, e tutta la mia acrimonia ha dovuto cedere davanti ad una partita gagliarda, addirittura impreziosita da un paio di tocchi col sinistro, forse proprio per smentirmi.

Intendiamoci: non sarò mai uno di quelli che, pur di sentirsi dar ragione, si augura di veder sbagliare il calciatore da lui criticato. Se Santon da domani si svegliasse Andy Brehme con 25 anni di meno sarei strafelice di essermi sbagliato fino ad oggi.

Detto ciò, non posso che augurare la stessa cosa a Joao Mario (scelga lui in chi reincarnarsi). In realtà non l’ho mai disprezzato più di tanto, ma vederlo prendersi i meritati fischi in una giornata di assoluta gloria per tutti non è roba da poco. Preoccupante la sufficienza, la lentezza e l’imprecisione al tiro mostrate lungo tutti i 90 minuti, ancor di più se messo a confronto con un Brozovic grintoso e concreto come nei giorni belli.

Il Club dei filosofi sulle gradinate ne ha anche per lui, chè non c’è cosa più bella che insultare un tuo giocatore proprio quando gioca bene:

“Uééé Brooozooo! Vadavialcù! Incoeu t’e ghet voeuja de giugà eh? Malnatt!”*

 * “Heylà Signor Brozovic, vada a vendere il suo deretano, oggi pare ella abbia desiderio di giUocare eh? Maledetto!

Saltabeccando sui 90 minuti di partita (recupero escluso, il pericolo tangenziale mi ha fatto perdere il quinto gol) posso dire che Handanovic si è comunque guadagnato la pagnotta con una parata non da poco sullo 0-0, che il Chievo ha fatto ben poco, regalando almeno due gol su palle insensate perse a metacampo, che finalmente Sorrentino ha evitato di fare la partita della vita contro i nostri, uscendo dal campo con almeno un gol sulla coscienza (il primo), che Icardi per una volta ne fa uno solo (vediamo se saranno contenti quelli del “eh segna tanto ma sono mal distribuiti“) e che Perisic si merita tutti gli applausi presi per i tre gol segnati, ed un tributo in più per la foto del giorno (v. infra).

Aggiungo due note, entrambe assai liete: la prima è l’azione del gol di Skriniar, di una bellezza epocale che, se il paragone non è blasfemo, ricorda per certi versi il 2-0 di Del Piero contro la Germania nel 2006 (mancava solo il paradigmatico insulto alla bambina al minuto 0.25 di questo imprescindibile link). La differenza è che qui Skriniar fa le veci tanto del Pinturicchio che finalizza quanto del Cànnavaro (l’accento è cit.) che interrompe l’attacco avversario e fa ripartire l’azione.

Il gol più bello della giornata, altro che balle.

La seconda nota lieta è per Candreva, che già avevo avuto modo di apprezzare in settimana tramite le sapienti parole di Settore. Non è così frequente trovare una brava persona che sia anche un ottimo calciatore, ma in questo caso abbiamo il caso emblematico.

Dopo la succitata azione mariana (indovinate chi fa il cross per la capoccia di Skriniar?), VotAntonio vuole segnare a tutti i costi: inizia a tirare non appena ne ha la possibilità, lasciando qualche volta Icardi e Perisic a bocca asciutta.

Fa poi ridere mezza tribuna quando, nasando aria di sostituzione, fa battere in fretta e furia una rimessa laterale ritardando l’ingresso di Karamoh e sgraffignando qualche altro attimo di partita. Il cambio peraltro arriva puntuale un minuto dopo col nostro in procinto di battere l’ennesimo angolo. Lui sa di dover uscire ma va comunque verso la bandierina e tutto il settore lì sopra si alza per tributargli il giusto plauso. A mio parere tra i migliori, e per una volta spero che il filosofo della fila dietro abbia ragione: “Vài Candreva che il gol lo fai contro la Juve orcod….!!” (il porcone a supporto ha ovviamente pura funzione semantica rafforzativa).

Sabato infatti c’è la Juve, e sono cazzi (cit.) (Se non la cogliete vi mando a Erfoud “col camion, col pullman…” ). Però intanto siamo in testa. Da soli. E non è poco.

Spalletti dice che l’unica sua certezza è che non tornerà più l’Inter stenterella e tentennina degli anni scorsi. Forse è ancora nuovo di queste parti e non sa quali e quante risorse abbia l’universo interista per farsi male da solo.

Però più passa il tempo più mi fido di questo strano personaggio.

LE ALTRE

Il problema grosso è che la Juve ha vinto a Napoli. Speravo in Insigne e compagni, per spedire la Juve tre punti più giù, anche in vista del nostro prossimo scontro diretto. Invece Allegri -diciamolo- ha impartito una gran lezione a Sarri, imprigionato nei suoi stessi pregi, impossibilitato a cambiare spartito stante la oggettiva assenza di alternative in panca. Chapeau a Barzagli, Chiellini e compagni per aver neutralizato i frizzi e lazzi dei tre nanerottoli napoletani.

Complimenti a Higuain, che decide la partita e risponde in maniera più che comprensibile a tutti i fischi e gli insulti subiti da due anni a questa parte.

Arrivo quasi (quasi) a compiacermi nell’ascoltare il silenzio tombale di tutte le groupies del bel giUoco, attonite nel vedere ancora una volta come non esista IL modo di giocare a calcio e quanto sia importante poter variare sistema di gioco in funzione dell’avversario.

La Roma non fatica a regolare la SPAL, beneficiando oltretutto di 80 minuti giocati in 11 contro 10. Più ostica -e quindi meritevole di complimenti- la vittoria della Lazio, che nel finale ribalta il risultato e costringe la Samp al primo stop interno stagionale.

L’ho presa larga, perchè ora arriviamo al dolce, ma indugio ancora un po’ raccontando del tragitto dalla macchina all’ingresso di San Siro.

La trasumanza ci vede preceduti da un energumeno che indossa la maglia dell’anno santo 2009/2010 sopra la giacca a vento (l’avrà presa di tre taglie più della sua…). Il tipo sta ascoltando la radiolina, come ai bei tempi, e pascola verso lo stadio col compagno di ventura.

Il nostro bofonchia a mezza voce, forse ripetendo quel che dicono alla radio:

(immaginate il soliloquio che segue disseminato di parolacce e improperi a piacere):

“…Ultimo pallone, è il 95’…

…Bri…gno…sale anche Bru…gnoli… ah beh cazzo sale anche Brignoli.. a posto siamo…

…Ma chi cazzo è Brignoli? parte il cross… Brignoli? Ma chi cazz… BRIGNOOOOLIIII!”

La cosa bella è che lo guardiamo tutti credendo che sia un mitomane: i più ottimisti (quorum ego) semplicemente spolliciano un “refresh” su gazzetta.it, come puro atto di fede.

E invece è proprio l’imponente San Siro davanti a noi a confermare la lieta novella, esplodendo in un boato ben più forte di tanti altri sentiti nei 90 minuti successivi.

Non è un caso se uno dei cori della domenica nerazzurra sia stato, sulla soave musica de La Stangata,Gennarino Gattuso Alé“.

Siamo gente semplice, ci accontentiamo di poco.

 

PIERCRISI MILAN

Cominciamo con quel briciolo di onestà intellettuale che mi è rimasta, dicendo che –minchia– quando deve andare storta va proprio storta!

Ovvio che al pareggio dell’ex Primavera nerazzurro Puskas la mia schiena sia stata attraversata da un fremito di goduria, ma nemmeno il più catastrofista dei gufi poteva immaginare una tempesta perfetta di tal genere. A colori invertiti, mi sono passati davanti agli occhi le facce di Goitom, Simone Del Nero ed Ennyinnaya che tante volte ho maledetto.

Se non altro non erano portieri.

Curioso come i cugini, guardando in casa nostra quasi come degli stalker e attingendo al nostro organigramma a piene mani, non abbiano fatto tesoro di uno dei più gravi difetti mostrati dalle varie dirigenze nerazzurre nel corso dei decenni: il cambiare le cose in corsa, alternando coperchi sempre nuovi per pentole sempre uguali.

Detto che Ringhio mi sta assai più simpatico del sorridente e supponente Montella, mi chiedo quale sia la ratio di un cambio del genere, oltretutto alla vigilia di un filotto di partite sulla carta abbordabili (poi chiaro, c’è sempre l’incognita Brignoli he he he…).

Per una volta anche la stampa è stata meno benevola del solito. Sentendo la radio, i commenti sul 2-1 per il Milan erano quelli di una partita già finita, all’insegna del “bene i tre punti ma Gattuso avrà tanto da lavorare… Il Benevento poverino è davvero troppo poco per questa Serie A“.

Mettiamola così: c’è voluto Brignoli per restituire alla sua oggettiva realtà di cagata sesquipedale il cambio in panchina rossonero. Soprattutto, c’è voluto il bislacco pareggio per far capire quanto raffazzonata e qualunquista sia la strategia di Fassone e Mirabelli (altro che manager 4.0 de noantri…). E sì che questa dovrebbe essere la parte “pensante” e “esperta”, che guida la proprietà cinese, a digiuno di football, nei meandri del calcio italico.

Sit back and enjoy the show, ladies and gentelmen.

E’ COMPLOTTO

Qualche pillola di simpatia all’insegna del Same but Different.

Partiamo dal buon Caressa, sempre pronto a vaticinare di sfighe in vista per l’Inter prima di domenica, e in buona compagnia nell’ammonire di un Chievo tutt’altro che ostacolo agevole per l’Inter. Ieri sera mancava poco che dicesse “vabbeh così son buoni tutti, Sorrentino ne ha combinate de ogni e il centrocampo del Chievo era inesistente“.

Curioso poi come, a fronte di un atteggiamento così accorto e prudente quando le partite da giocare sono dell’Inter, si faccia a gara a chi fa prima ad assegnare tre punti a Roma e Lazio per le due partite che devono recuperare.

La butto lì: l’Inter è prima da sola, dopo due anni (da sola dopo due anni, chè in testa, seppur in cattiva compagnia, ci siamo stati più volte in questo inizio di campionato), e quindi l’hashtag è #sonotutteinduepunti. Roma e Lazio devono recuperare la loro partita ormai da mesi, epperò proprio ieri si è tornati a fare questo insulso giochino.

Ma va bene così, anzi…

Potrei citare il topos letterario del rumore dei nemici, ma la verità è che preferisco citare mio padre quando, anno del Signore 1988/1989, sentiva parlare i vari Pistocchi e Pellegatti di 4-4-2, corti-umili-intensi e calciospettacolo dicendo “falli parlare, falli parlare, che noi zitti zitti…” e non vado oltre, in un mix di scaramanzia e buona creanza.

 

WEST HAM

Nel giorno in cui segna Brignoli, non era lecito chiedere agli dei del calcio una vittoria corsara in casa del Manchester City.

Angelino Ogbonna ci illude, ma Guardiola non è d’accordo e i nostri escono con tanti applausi ma zero punti: 2-1 nel finale. Come si dice in questi casi: non sono queste le partite che dobbiamo vincere.

Cercasi esperto che ci sappia dire quali siano…

Dobro Brignoli!

USQUE TANDEM

VERONA-INTER 1-2

E record sia…

Vado leggermente controcorrente e parto da uno stato d’animo insolito a queste latitudini. Quarto d’ora della ripresa: dopo aver esaurito il calendario dei Santi contro D’Ambrosio per l’improvvido rinvio, e constatato il pareggio del vecchio Pazzo ai danni di Handanovic, il mio occhio è caduto sul cronometro.

“Dài, manca ancora mezz’ora: questa la vinciamo”

Non sono uso a questi slanci di ottimismo, eppure è a questo che ho pensato in quel momento. Che sia merito di Spalletti, dei “ragazzi” o della mia migliorata stabilità mentale poco importa. Quel che pesa è il destro di Perisic a mille all’ora che pochi minuti dopo gonfia la rete veronese.

Giusto tre paróle (cit.) di cronaca per dire di un’Inter tutt’altro che trascendentale, in cui le migliori cose le fanno vedere Candreva (altro splendido cross per l’1-0 di Borja), Skriniar (di lì non passa un cazzo) e la coppia violacea Vecino-Valero (fosforo e muscoli in quantità). Per il resto, piccolo cabotaggio, anche se la sezioncina simpatttica si soffermerà su qualche dettaglio…

Il nostro vantaggio arriva in occasione della prima azione “seria” della partita e, se fossimo una squadra coi controcazzi, si potrebbe pensare che i nostri abbiamo pensato “va beh, basta cincischiare, andiamo a fare gol!”. Ho però smesso da tempo di credere alle favole e la prendo quindi come frutto del caso.

Poco altro da segnalare prima dell’inguacchio di D’Ambrosio già blasfemamente ricordato. Da lì, altri cinque minuti “seri” per ripristinare il vantaggio con Perisic, anonimo fino a quel punto.

L’ultimo quarto di gara scorre senza pericoli concreti per Handanovic, ma al tempo stesso con una costante tensione nella nostra metacampo, figlia dell’incapacità dei nostri di gestire il match e dell’immancabile manciata di giocatori onesti che contro di noi fanno la partita della vita (vero Fossati e maledettissimo Romulo?).

Arriviamo quindi all’amletico dubbio a strisce neroblù: questa squadra sta facendo benissimo, non bene, in rapporto a capacità tecniche dei giocatori e profondità della rosa. Il record di punti ottenuto nelle prime 11 partite ne è degna testimonianza. Inevitabile ascrivere i maggiori meriti di ciò a chi gestisce quotidianamente quest’accozzaglia di atleti. Lucianone nostro ha fatto senz’altro un ottimo lavoro fino ad oggi e la domanda che ogni tifoso si fa è: quanto durerà ‘sta solfa? E ancora: come ci si rialzerà dopo il primo schiaffone?

La prendo larga ma non troppo. Ai tempi del Mancio e di José, ho sempre notato nella Roma di Spalletti questo grande limite: aveva cioè bisogno di giocare il suo calcio per vincere, era sostanzialmente incapace di sfruttare le circostanze del momento e di adattarsi al contesto della singola partita.

Il contrario del “calcio speculativo e cinico” dell’Inter. Il fatto che poi quei campionati li abbia sempre vinti la succitata squadra cinica e concreta dovrebbe infilarsi tra le terga dei cantori del bel giUoco, ma il punto è un altro. Ho già detto che Spalletti, lodato per il giUoco che imprime alle sue squadre, a tinte nerazzurre è già diventato il Mister tutto praticità e intensità che non gioca bene ma porta a casa il risultato.

A me, come sapete, importa sega. Quel che mi frega è: riuscirà il nostro eroe a mantenere questa concentrazione, questa intensità, questa cazzimma, chiamatela come volete, per tutta la stagione?

Questa è la domanda delle cento pistole, e onestamente non credo sarà possibile.

Arriviamo quindi al prossimo scenario. Quando -speriamo il più tardi possibile- i nostri topperanno una o due partite in fila, si scioglieranno come neve al sole, per la gioia degli scribacchini che potranno ululare “ecco, come l’Inter di Mancini che vinceva sempre 1-0!!!” oppure manterranno la testa lucida e gireranno pagina ricominciando da dove si erano fermati?

Chi vivrà vedrà.

LE ALTRE

Il solco tra le prime 5 e le altre va ampliandosi sempre più: i gobbi vincono la partita del male assoluto -con merito e in maniera evidente, checchè ne dica un Montella sempre più in versione “chiagne e fotti”– il Napoli ritorna alla regola del tre rifilando altrettanti fischioni al Sassuolo, la Lazio si sbarazza del Benevento con una cinquina e la Roma infila l’ennesimo solido 1-0 che la conferma miglior difesa del torneo.

Siamo di fronte a un privé di queste cinque e a uno sconfinato limbo per tutti gli altri? Al momento il campionato dice questo. La velocità di crociera è altissima, se pensiamo che il Napoli, lasciando per strada solo 2 punti su 33 disponibili, ha comunque una squadra a due punti di distacco e altre due subito dietro. Non c’è una lepre solitaria, insomma. Ci sono cinque corridori che stanno tirando come dei maledetti. La domanda che dà il titolo a ‘sta sbrodola è valida anche qui: fino a quando dureranno?

 

E’ COMPLOTTO

Ogni promessa è debito, e quindi svelo subito il segreto di Pulcinella a cui mi riferivo supra. In una partita come detto modesta, Icardi si è fatto vedere molto di più in un lavoro di raccordo con il centrocampo e recuperi difensivi. Poche le conclusioni a rete -ne ricordo una per tempo: destro “masticato” su suggerimento dalla destra nel primo tempo, dopo che lui stesso aveva conquistato palla 50 metri più indietro, sinistro calciato alto dal limite dell’area nella ripresa.

Unanime la stampa a bocciare la prestazione del Capitano: “non si è mai visto!”, “è sempre defilato sul secondo palo!” (nell’azione dell’1-0, Borja può segnare solo-soletto proprio grazie al movimento di Maurito sul primo palo, raddoppiato dalla rivedibile coppia di centrali veronesi), “se non segna è come non averlo!”.

Ora, brutti generatori semiautomatici di minchiate, mettetevi d’accordo: quando segna lo criticate perchè non gioca per la squadra, perchè resta là davanti ad aspettare, etc etc.

Quando, per una volta, fa il cosiddetto “lavoro oscuro” restando a secco forse proprio perchè meno lucido a causa dei rientri a centrocampo, non va bene perchè non attacca come dovrebbe.

Morale: comunque vada è una merdaccia.

Eggiàlosapevo! direbbe il vecchio Prof. Scipione Petruzzi. Nihil sub sole novi (e con questo esauriamo la quota parte annua di citazioni latine).

Essendo un orgoglioso non utente di Mediaset Premium, ho appreso solo di seconda mano della simpatia del loro conduttore: chiosando su un ragionamento di Soldatino Di Livio, riassumibile in “occhio che questi potrebbero anche arrivare fino in fondo”, il merda ha concluso laconicamente dicendo “Beh del resto in Inghilterra due anni fa ha vinto il Leicester”.  Questa continua ad essere la considerazione di cui i nostri godono presso una mandria di prezzolati incompetenti. Che Fozza Inda venga informato all’istante e che la sua mannaia possa calare il prima possibile su tutti loro. Una roba alla Samuel L Jackson di Pulp Fiction, ma in salsa di soia.

WEST HAM

I nostri amati martelli buttano nel cesso una comoda e facile vittoria sul campo del Crystal Palace, facendosi rimontare due gol nel finale, con un insipido pareggio che ci lascia nelle acque salmastre del quasi fondo classifica.

Uottaffàc

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