BILANCIO 2020/2021 pt.2

L’esercizio di oggi consiste nel cercare di capire meglio i numeri dell’ultimo anno finanziario dell’Inter, concluso sul campo con la conquista dello scudetto dopo 11 anni, per la gioia di grandi e piccini, ma anche con una serie di problemi contingenti se non strutturali, di cui ho parlato nel precedente post.

Ora, prima di addentrarmi nel compitino, credo sia giusto fare un paio di precisazioni o, come direbbero quelli bravi, di assumptions.

Primo: i numeri sono quelli attualmente conoscibili, visto che l’assemblea che dovrà approvare il bilancio non si è ancora tenuta;
Secondo: la mia è un’interpretazione, figlia di questi numeri e delle mie competenze in materia, e quindi al netto di eventuali sviste che il mio dottissimo pubblico mi segnalerà: se mi vestissi di bianco e avessi un ego ancor più sviluppato del mio, potrei dire “se sbaglio, mi corriggerete!“.

Facendo un po’ di spoiler, la tesi che voglio portare avanti è che il bilancio 2020/2021 contenga tante poste non ricorrenti, quelle che sempre quelli bravi chiamano one-off.

Sul perché si sia preferito caricare questo bilancio di zavorre in alcuni casi evitabili si gioca il grosso del futuro dell’Inter. Come detto nella prima parte di questo trattatello, spostare tutte le sfighe su un unico anno è quel che si fa quando si decide di vendere la baracca: di solito il compratore dice “sì va beh, fammi vedere come stai in mutande e non col vestito buono. Togli tutti i rischi, le opportunità, le incertezze e vediamo cosa viene fuori“.

Nel caso dell’Inter, è venuto fuori -245 milioni, che non sono proprio bruscolini.

C’è poi l’altra campana, secondo cui Suning non avrebbe interesse a vendere ora, avendo chiuso il prestito con Oaktree ed essendo prossima a rifinanziare i 350 milioni di bond in scadenza con una nuova obbligazione da circa 400 milioni, e di fatto assicurandosi una certa tranquillità finanziaria nel breve termine. A ciò si aggiunga l’enorme opportunità dello stadio nuovo, tutto quel che ne consegue: il mio parere è che Zhang, prima di passare la mano, aspetterà di aver chiuso almeno sulla carta la questione del nuovo San Siro, ma non voglio ripetere quanto già detto nell’altro post.

Ora, basandoci sui numeri conosciuti, cercherò di capire quanto di quel passivo è dovuto a problemi strutturali (ad esempio, il peso degli stipendi, che pure è calato) o quanto a cause contingenti (toccando ferro: l’assenza di ricavi da stadio).

Tante fonti hanno fatto previsioni per la chiusura dell’esercizio 2021/2022 ipotizzando una perdita intorno ai 100 milioni, ancora pesante ma comunque in netto miglioramento. Per una volta mi sono scoperto ottimista, perché buttando giù due numeri mi pare che, a parità di altre condizioni, il passivo potrà essere saldamente a due cifre:

Ecco, a me il disegnino è venuto così

Il gioco è capire, a parità di altre condizioni, e quindi senza calcolare variabili importanti come il calciomercato di gennaio e le compravendite estive fino al 30 giugno, quale potrà essere l’impatto dei maggiori ricavi e dei minori costi rispetto all’anno precedente.

Cerco di andare con ordine:

Ricavi da stadio: come sappiamo, la stagione è partita con una capienza del 50%. Dalla prossima partita si passera al 75% e, se tutto va bene, il prossimo step sarà la piena occupazione. Sono stato prudente rispetto alle stime che parlavano di 60 o anche 70 milioni di euro di mancati ricavi da stadio, ed ho previsto che il prossimo bilancio vedrà San Siro generare i 50 milioni portati a casa nel 2018/2019, l’ultima stagione pre-Covid.

Plusvalenze: qui parliamo delle vendite di Lukaku e di Hakimi. Sappiamo che i loro cartellini sono stati ceduti rispettivamente per 115 e 68 milioni. Quel che non sappiamo sono i termini finanziari di pagamento, e cioè in quante rate e in quanto tempo l’Inter incasserà questi soldi. Altra cosa che non sappiamo nei dettagli è quanto l’Inter avesse ancora da pagare ai vecchi Club dei calciatori in questione, e cioè Manchester Utd e Real Madrid (Hakimi infatti era al Dortmund in prestito). I calcoli li hanno fatti altri, e pare che il netto che l’Inter si porta a casa dalle due vendite sia superiore agli 80 milioni. Se poi consideriamo i costi di competenza dell’esercizio 2021/2022 per i cartellini dei nuovi acquisti estivi – la maggior parte dei quali è arrivata a parametro zero – il guadagno complessivo si assesta sui 70 milioni.

Sponsor maglia: come sappiamo Pirelli non è più lo sponsor principale e, aldilà dell’abitudine, se non affetto, maturata in venticinque anni di presenza sulle nostre maglie, il cambio di sponsor è vantaggioso per l’Inter.
Pirelli negli ultimi anni ha contribuito, tra sponsor principale e logo “Driver” posto sul retro della maglia, a circa 20 milioni annui. La cifra per l’anno 2020/2021 non è ancora nota; anche in questo caso, mi sono basato sul valore della sponsorizzazione dell’ultima stagione pre-Covid (19 milioni).
La nuova combo di sponsorizzazioni (Socios, Lenovo sul retro maglia e l’agenzia di criptovalute Digitalbits come sponsor di manica) porterà ad un totale di 30 milioni, con un delta positivo di 10 milioni rispetto all’anno precedente. Per la cronaca, l’accordo con Zytara/Digitalbits garantirà un totale di 85 milioni di ricavi per l’Inter, ma non è chiara la durata dell’accordo nè la “spalmanza” di questi 85 milioni negli anni. Il link precedente parla di 15 milioni a stagione garantiti da Zytara, ma in ogni caso non li ho considerati nei miei conticini.

Ricordo che questo specchietto vuole esaminare solo i ricavi in aggiunta a quelli già presenti nell’esercizio 2020/2021, motivo per cui non troverete introiti derivanti da diritti TV e merchandising.

Allo stesso modo, sui costi mi sono concentrato sulle spese che nell’esercizio 2021/2022 non dovrebbero esserci più. Vediamo nel dettaglio:

Svalutazione cartellini: non tutte le ciambelle riescono col buco, nemmeno alla premiata ditta Marotta&Ausilio. Joao Mario è stato uno dei peggiori affari portati a termine dall’Inter, e non tanto per le pur mediocri prestazioni del portoghese sul campo. L’acquisto per più di 40 milioni, ed il ricco contratto di 5 anni hanno rappresentato un fardello difficile da sopportare, seppur mitigato dai numerosi prestiti che hanno interessato il lusitano in questi anni. Ragionamento simile per Nainggolan, che pure ha reso più del collega di reparto (ci vuol poco, mi direte, e sono anche d’accordo), ma che è uscito dai radar nerazzurri con l’addio di Spalletti. L’ideale sarebbe stato trovare acquirenti disponibili a pagare il prezzo “giusto” per i due calciatori, in modo da scongiurare la temuta minusvalenza.
Non trovandosi compratori, l’Inter alla fine ha deciso di liberare i giocatori “a gratis”, chiedendo a lorsignori di cercarsi un’altra destinazione. La risultante di questa operazione è che il valore residuo dei loro cartellini viene azzerato, generando una perdita secca in bilancio pari a circa 15 milioni. La speranza è che operazione del genere non ce ne siano, ed è quindi ragionevole calcolare questi come costi non ripetibili.

Riduzione monte ingaggi: tra le gufate che, come ad ogni calciomercato, hanno accompagnato le manovre nerazzurre, non possiamo non ricordare l’accorato appello a “chiudere il mercato con un attivo di 100 milioni“, nonostante lo stesso Zhang ne avesse chiesti “solo” 70. Ma vuoi mettere che bello abbaiare “servono 100 milioni!”. Come visto, a conti fatti avrebbe potuto bastare la sola cessione di Hakimi, a cui si è aggiunto Lukaku nelle modalità che sappiamo.
Dal punto di vista degli ingaggi, l’altro anatema è stato l’assoluto bisogno di ridurre il costo della rosa di almeno il 15% rispetto all’anno precedente. Con grande scorno dei tanti gufi, anche questo è stato fatto, anche se comunicato a bassa voce e con colpi di tosse imbarazzati. Tra stipendi lordi e quote di ammortamento annuali, il risparmio dovrebbe essere intorno ai 31 milioni.

Messi insieme extra ricavi e minori costi, ed opportunamente shakerati, l’effetto dovrebbe portare a un beneficio di 176 milioni. Se il baratro di quest’anno è l’ormai tristemente noto -245,6, l’aritmetica dice che a giugno 2022 i numeri di chiusura potrebbero recitare -69,6 milioni.

Cosa non c’è dentro la tabellina?
Non ci sono i rinnovi contrattuali e gli aumenti di stipendio dei vari Martinez, Brozovic e Barella, che verosimilmente andranno a regime durante la stagione e porteranno ad appesantire nuovamente il costo della rosa.
Non c’è la svalutazione dei crediti con le sponsorizzazioni cinesi, di cui pure avevo parlato nella prima puntata: che sia pulizia contabile, o che siano effettivamente sponsorizzazioni legate all’hospitality di San Siro, un certo effetto positivo dovrebbe esserci in questa stagione, ma non sapendolo quantificare (Antonello parla di una cinquantina di milioni, mica bruscolini) non è stato considerato.
Da buon tifoso scaramantico, non è stato considerato l’impatto derivante dalla eventuale qualificazione alla fase successiva della Champions League, obiettivo sempre fallito negli ultimi anni e che, aldilà dell’importanza sportiva, porterebbe nelle casse dell’Inter una decina di milioni in più dall’UEFA e qualche altro di diritti TV. Il tutto limitando le nostre ambizioni al “solo” raggiungimento degli ottavi di finale.

Infine, visto che tutti si sono affrettati a fare i complimenti all’Inter per il rosso più rosso della storia del calcio, dopo che la Juve pochi giorni prima aveva comunicato il suo passivo di “soli” 209 milioni, è doveroso mettere qualche puntino sulle “i” e comparare i criteri con cui hanno lavorato Inter, Milan e Juve.

Marco Iaria sul Corriere è chiaro in merito: gobbi e cugini hanno sfruttato qualche “jolly” contabile, che ha contribuito a mitigare le perdite dell’esercizio 2020/2021.
E se per il Milan si tratta di pochi milioni, “la Juventus ha beneficiato di un risparmio di 90 milioni derivante da un accordo con la squadra sottoscritto durante il primo lockdown della primavera 2020, che ha consentito di alleggerire il conto economico ma che appesantirà l’esercizio 2021-22 perché gran parte di quei 90 milioni andranno conteggiati“.

Questo a proposito dell’Inter che non paga gli stipendi e son tutti brutti e cattivi e insomma è uno scandalo e alla fine non dovevano darglielo lo Scudetto…

Perché va bene giocare a fare i revisori contabili di ‘sto par de ciufoli e fingersi fini analisti, ma sotto sotto rimango il rancoroso complottista che si incazza come una bestia quando vede la stampa fare figli e figliastri.

BALLIAMO IL TUCU-TUCU

HELLAS VERONA – INTER 1-3

Nella migliore tradizione della cronaca sportiva italiana, commento una partita che non ho visto, ma di cui ho appreso abbastanza per poter esprimere un’opinione.

Nei giorni in cui la Serie A deciderà se quello di Cristiano Ronaldo sia stato un periodo aureo o un fallimento per il calcio italiano, l’Inter completa l’ennesima operazione di mercato improntata al buon senso, ricongiungendo la coppia Inzaghi-Correa e potenziando l’attacco con una seconda punta che sembra perfetta per poter dialogare con entrambi i titolari di reparto.

Dando un occhio alle statistiche del periodo laziale del Tucu, il mio intuito femminile mi fa dire “Va beh, una cosa è chiara: questo non segna mai…”: puntuale il ragazzo entra per il quarto d’ora finale e ne mette due. Poche volte così contento di aver sbagliato il vaticinio. Per me non ce ne sono di problemi, vorrei essere smentito ogni settimana se il risultato è la testa della classifica! Scherzi a parte, attingo a piene mani ai luoghi comuni pensando che una rondine non fa primavera, che il campionato è ancora lungo e la cinquecento la parcheggi dove vuoi: anche Recoba esordì con una doppietta salvifica in quel lontano scampolo di fine estate del 1997, eppure poche altre volte ci ha tolto le castagne dal fuoco nel decennio successivo.

Ma non voglio iniziare una sterile polemica con gli amici groupies del Chino. Concentriamoci su Correa e sulla partita che, andata com’è andata, è andata bene (cit. al minuto 2.00).

Estremizzando ma nemmeno tanto, possiamo dire che l’unica palla toccata da Handanovic nei 90 minuti causa il vantaggio scaligero, visto che dopo dieci anni di appoggi col piattone a due all’ora in verticale, e che tanto ruolo hanno avuto nel mio prematuro incanutimento, il nostro combina il puttanaio dando una pallaccia a Brozovic che non la controlla, lasciando l’incredulo Ilic a tu per tu col portiere: beffardo pallonetto e frittatona servita.

Rimandando ad altri momenti la lectio magistralis contro la costruzione dal basso sempre e per quantunque (altra cit. diretta dagli anni ’90), resta un’ora abbondante da giocare. Non resta che sperare in un disciulamento generale, stante il prevedibile ritorno all’inaffidabilità di Calhanoglu e la serata un po’ così di Dzeko. Del turco era stato detto tutto il bene possibile dopo l’esordio convincente contro il Genoa, nello stupore di molti ma non del sottoscritto: le madonne rivoltegli dai tifosi milanisti non erano mai state dirette al suo talento, quanto alla continuità con cui veniva messo in mostra. Temo che anche noi dovremo abituarci a questi chiaroscuri…

Alla fine ci pensa il Toro a rimetterci in carreggiata, sfruttando alla perfezione un’azione che, in più di quarant’anni di Inter, penso di non aver mai visto: un gol sugli sviluppi di rimessa laterale! Noi, la squadra che butta nel cesso manciate di “fuori nostro” nell’arco di una partita, mandiamo Perisic ad esercitare i suoi tricipiti con una rimessa in piena area, dove Dzeko spizza sapientemente e il Toro incorna facile-facile. Pur vedendolo solo in differita, e con una connessione che il mio prof di greco avrebbe definito scazonte, devo rivedere l’azione un paio di volte per crederci.

Il tutto è così bello che poco dopo la riprovano, ma la girata di Lautaro è fuori di poco.

Dando a Spiaze quel che è di Spiaze, è probabile che lo schema sia farina del suo sacco, e quindi applausi scroscianti per il colpo di genio.

Messo a verbale il solito problema di feeling con gli arbitri italiani (leggo di un gol giustamente annullato e di un possibile rigore su cui si è sorvolato… lo so, riesco a far polemica senza nemmeno aver visto le immagini), si arriva all’ultimo spezzone di partita. Il cambio Toro-Tucu era quanto di più scontato ci fosse, anzi: temevo che Martinez, dato come titolare per tutta la settimana, iniziasse dalla panchina come tante altre volte successo per i convalescenti nerazzurri. Morale, l’argentino subentrante ci mette una decina di minuti per capocciare in porta un cross di Darmian in maniera esemplare, nato a sua volta da apertura “Veroniana” di Vidal. Vero, il Tucu è alto 188 centimetri, ma stacco imperiale e torsione scopadea non erano tra le caratteristiche note a chi scrive. È proprio il caso di dire beata ignoranza!

Più nelle sue corde la sterzata nello stretto e il sinistro preciso che regala il terzo gol e chiude la partita, lasciandoci tranquilli in vetta ad aspettare disgrazie altrui.

SIAMO A POSTO COSI’

Quante volte questa frase ha nascosto ben altri messaggi, riassumibili nel classico “vorrei ma non posso”. Invece, aldilà di qualche inserimento dell’ultimo minuto, magari in attacco, pare che la rosa a disposizione del Mister sarà questa e – sapete che c’è? – non è niente male!

Partiamo con un concetto facile: sostituire Lukaku e Hakimi è un gioco pressoché impossibile. Fatta questa premessa, inserire Dzeko, Correa e Dumfries – peraltro ancora in rodaggio – vuol dire prendere il meglio di quanto potesse offrire il mercato.

Diamo un po’ di numeri: 185 milioni per il cartellino dei due partenti, una quarantina per l’arrivo dei tre succitati. Si parlava della necessità di un saldo positivo di mercato di 70 milioni, siamo dalle parti del doppio. Certo, l’aspetto finanziario (il quando arrivano ed escono i soldi) ha un’importanza fondamentale, e non sappiamo con esattezza quanto Chelsea e PSG abbiano pagato finora. Sappiamo però che Correa per quest’anno peserà solo 5 milioni di prestito oneroso più un probabile altro milione di bonus, e che gli altri 25 saranno pagabili in tre annualità. L’esborso lordo per i tre nuovi stipendi è di 19 milioni, contro i 17,5 dei soli Lukaku e Hakimi.

Non è coi bilanci che si vincono i campionati, su questo siamo tutti d’accordo, ma avendo dovuto sentire tante scimmie urlatrici ripetere che l’Inter ha vinto lo Scudetto perché non ha pagato gli stipendi, è meglio chiarire anche gli aspetti contabili, soprattutto in un momento storico difficile per tutti i Club e per l’Inter in particolare, stante la non facile situazione di Suning.

Del quadretto abbozzato qui sopra fanno ancora parte i due cileni Vidal e Sanchez, accomunati da stipendi decisamente fuori scala (6-7 milioni netti a testa), che è poi il prezzo da pagare quando si ingaggia un calciatore a parametro zero: risparmi sullo stato patrimoniale, paghi sul conto economico.

I due vivono momenti diversi nella loro storia nerazzurra: l’attaccante è alle prese con l’ultimo dei problemi fisici con cui deve convivere da qualche anno e che di fatto pone grossi punti interrogativi sulla sostenibilità di un investimento del genere: ha senso pagare così tanto un bravo giocatore che però garantisce se va bene una ventina di partite all’anno?

Il centrocampista, d’altra parte, ha passato l’intera stagione passata tra panchina e tribuna, non riuscendo ad inserirsi negli schemi di Conte che pur avrebbe dovuto conoscere a menadito, visti i comuni trascorsi bianconeri. Nei due spezzoni di partita giocati in questo inizio di stagione ha invece fatto vedere quel che potrebbe dare da qui in avanti: mezze ore di qualità e intensità, pur profumatamente retribuite.

Mettiamola così: se guardiamo l’undici titolare, questa squadra non è all’altezza di quella di Conte. Lukaku e Hakimi sono stati i principali artefici dello Scudetto, con tutto il rispetto per Martinez, Barella e tutti gli altri.

Se invece allarghiamo il ragionamento e guardiamo alla rosa nel suo complesso, scopriamo -increduli – una profondità che l’anno scorso ci sognavamo. Certo, molto dipende dalla tenuta fisica di Vidal, Vecino, Sanchez e Sensi: tre di loro l’anno scorso praticamente non ci sono mai stati, e del quarto – el Nino Maravilla – fortunatamente c’è stato poco bisogno vista la continuità mostrata dai due attaccanti titolari.

Basterà questa manciata di novelli Enrico Toti a dare consistenza e ricambi all’altezza della squadra titolare?

Un primo banco di prova è stato apparecchiato nei giorni scorsi: il girone di Champions ha due avversarie su tre copincollate dalla stagione scorsa. L’occasione è propizia per capire come cacchio stiamo messi…

GRAZZIE AI TIFFOSI

L’addio di CR7 è un argomento che merita analisi e sragionamenti dedicati. Non ho un’opinione in merito, se non la semplice constatazione che la Juve, aldilà di chi sarà il sostituto, con questo scambio ci perde.

Spero non arrivi Icardi, che darebbe meno talento ma più ordine ad una squadra che ha in Allegri il miglior acquisto del calciomercato.

Aldilà di quello, noto che la specialità italica di salto sul carro viene affiancata dalla speculare disciplina del salto dal carro, e quindi tanti di quelli che – nemmeno a torto – avevano salutato l’arrivo di Cristiano come provvidenziale non solo per la Juve ma per l’intero calcio italiano, adesso lo accompagnano all’uscita senza tante cerimonie e, anzi, dicendo a mezza voce che in fondo a loro lui non era mai piaciuto. E poi dopo tre anni scrive “Grazzie” con due zeta.

Io, al solito, la penso a modo mio: lo strafalcione ortografico lo vedo come prova dell’autenticità del suo messaggio di addio al mondo bianconero. Detta male: l’ha scritto lui, non il suo Social Media Manager.

Aggiungo anche un pizzico di romanticismo, visto che alla fine ha fatto una scelta di cuore, tornando allo United e non al City o al PSG, dove le probabilità di vincere sarebbero state maggiori.

Sul successo della sua campagna italiana, il giudizio a mio parere è positivo per lui e negativo per la Juve. Lui ha vinto due scudetti in tre anni, e la (poca) strada fatta dalla squadra in Champions non è senz’altro attribuibile a lui, che per due anni è stato l’unico a tirare la carretta in Europa e che ha sostanzialmente ciccato solo il doppio confronto col Porto nell’ultima stagione. Oltretutto, pochi di noi (senz’altro non io) pensavano che avrebbe segnato così tanto in Italia, da sempre campionato ultra-tattico e con difese che lasciano poco spazio alle punte. La Serie A vive un periodo storico di magra, ma continua ad essere l’università per gli attaccanti: se segni in Italia, segni in tutti i campionati del mondo.

Certo, il nostro movimento ha individuato nella singola mossa, nel colpo a sorpresa, ancora una volta nella logica dell’ ”uomo forte” la soluzione a un problema che è invece tutto di sistema e che, come tale, necessita di soluzioni generali, condivise da tutti. Solo un campionato più interessante, strutturato e sostenibile può risultare appetibile per i CR7 di domani. Solo così l’Italia può pensare di tornare nel salotto buono del calcio europeo.

Ma sono cose che ci diciamo da trent’anni. Nel frattempo Inghilterra, Germania e Spagna hanno messo la freccia lasciandoci indietro con i nostri stadi vecchi, le nostre conventicole mai risolte, plusvalenze acrobatiche e pagherò carpiati, che buttano la palla avanti di un giro ma non risolvono il problema.

Fine dello scazzo saccente e retorico.

Tifa Inter fin da bambino 😉

IN CRISI A UN PUNTO DALLA VETTA

È forse il caso di iniziare a mettere ordine in questa strana stagione calcistica. Del resto, si avvicina il periodo di chiusura di bilancio.

Il punto di partenza, noto a tutti, è che siamo a un punto dalla testa della classifica (bene) ma già fuori dall’Europa (male, perdìo). La vittoria con lo Spezia in casa era quanto di più ovvio ci si potesse aspettare ma, trattandosi di Inter, non si è mai sicuri di niente.

Iniziando da una rapida analisi della rosa a disposizione, noto una sensibile differenza tra la apparente abbondanza di alternative e l’effettiva scarsità di reali alternative.

Da una rosa formale di 26 giocatori (compresi 4 portieri), notiamo come Ranocchia, Kolarov, Vecino, Nainggolan, Sensi, Eriksen e Pinamonti siano stati usati poco o nulla, per vari motivi. E se per i due difensori il mancato utilizzo è dovuto all’abbondanza di soluzioni migliori, per i centrocampisti e per l’unica punta il discorso è diverso.

La mediana, checché se ne dica, sta spremendo Barella e Brozovic come due limoni, con Gagliardini più di Vidal a completare il reparto. L’aggravante è che il bergamasco non sta sfigurando, se paragonato alla pochezza e alle scempiaggini messe insieme dal cileno finora.

Davanti, l’unica alternativa Lukaku e Martinez è Sanchez, con le ormai croniche criticità di tenuta fisica. Se – come leggo – a gennaio si vuole fare a meno anche del ragazzo Pinamonti (comunque al momento ai box pure lui), urge tornare al pennellone di riserva, che sia Giroud, Milik, Llorente o altri a scelta.

Non che a centrocampo la situazione sia migliore: con Eriksen siamo alla consensuale, spero che il matrimonio sia stato fatto in separazione dei beni, dopo Natale un caro saluto e buona fortuna. Sensi inizia solo adesso a deambulare, e pure al 40% della forma fa capire quanto possa essere utile a questa squadra.

Capito Piccinini? Inutile che fai il simpatico chiedendo “ah ma quindi alla fine tutta l’Inter gira intorno al recupero di Sensi?” Sono mesi che ci passeggiate sui testicoli con la mancanza del giocatore che salta l’uomo e crea superiorità numerica… Eccolo, fatelo star bene e poi vediamo.

Vecino è fuori dai radar da più di un anno, e non so quanto l’infortunio sia l’unica causa, visto che il rapporto con Conte pare non essere mai sbocciato. Per quel che mi riguarda, lo vorrei in campo al posto di Gagliardini, anche solo per riconoscenza di quei 4 o 5 gol fatti tra Derby e Champions, e soprattutto perché molto più forte, ma così non è. Stesso discorso per il Ninja, che da noi manco ci voleva tornare e che ha fatto dire a Conte “l’avete visto anche voi in che condizioni è…”. Ausilio deve lavorare di fantasia come il miglior piazzista da mercato rionale quando dice “si sta impegnando tantissimo in allenamento”, ma la verità è che cercheranno di rimandarlo a Cagliari per meno dei 10 milioni che non hanno ottenuto in agosto.

Quindi, ipotizzando che la Befana ci porti via tre o quattro giocatori, formalmente membri della rosa ma, come detto, di fatto mai utilizzati pienamente, si apre la fase del rimpiazzo.

Ho ormai smesso di illudermi di poter avere un terzino sinistro davvero forte – mi accontento di Ashley Young o di Darmian, con Perisic per i quarti d’ora disperati – così come vedo arduo arrivare al centravantone che possa far rifiatare Lukaku; a mio parere il mercato di gennaio deve avere un solo obiettivo: il Papu Gomez.

Non solo perché è forte (ma forte davvero), ma anche perché conosce la Serie A meglio di casa sua, può -lui sì- fare il trequarti dietro LuLa, ha intelligenza e dinamismo ad altissimi livelli nonostante l’età.

Sportivamente mi dispiace della frattura apparentemente insanabile con l’Atalanta. Detto ciò, da tifoso mi darebbe un certo gusto vederlo approdare da noi e, chissà, firmare il gol vittoria al ritorno in faccia a Gasperini.

Ancor più dell’argentino, spero che tutte le manovre del mercato -in uscita così come in entrata- vengano fatte in fretta, e non agli ultimi giorni di mercato. So che i soldi non sono i miei, ma storicamente non siamo bravi a giocare col tempo per far calare il prezzo. Per replicare la manfrina di 12 mesi fa con Eriksen, con i nostri a pensare “ok vogliono 20 milioni, aspettiamo gli ultimi giorni di mercato e vedrai che scendono” e poi dargliene comunque 20, tanto vale spendere ventimilalire in più subito ma dare al Mister la squadra completa il prima possibile.

Pìe intenzioni, credo. Se il mercato di inverno è storicamente difficile e avaro di colpi di qualità, a maggior ragione a ‘sto giro ci sarà ancor più penuria di soldi, e le occasioni saranno poche.

La squadra è stanca e gioca male, aldilà di schemi, moduli e disegnini sulla lavagna. Da anti-esteta del bel giUoco, mi porto a casa e mi tengo strette le vittorie messe in saccoccia dopo prestazioni ai limiti della decenza (vedi Spezia) o dopo tentativi di suicidio calcistico (vedi Napoli).

La ferita di Champions brucia e tanto, soprattutto vista la reale pochezza del nostro girone, Real Madrid compreso. Ma non possiamo incolpare nessun altro se non i nostri amatissimi eroi in braghette, comandante in primis. Ormai anche lui dovrebbe aver capito che, alle nostre latitudini, i colpi di sfiga sono assai più frequenti di quelli di culo.

A chi interessasse, avrei volentieri barattato l’1-0 contro il Napoli con una vittoria contro lo Shakhtar in Champions. Il mercato dei desideri però non è aperto. Tocca tenere la testa bassa sul Campionato e vedere quanta strada si riesce a fare.

LE ALTRE

Alla fin della fiera, credo che sarà ancora una volta la Juve la squadra da battere. Contrariamente al Milan che, pur in testa con merito, sta rendendo forse oltre i suoi limiti, i Gobbi iniziano solo adesso a carburare ed hanno un potenziale inespresso assai preoccupante: Dybala, tanto per fare un nome, non l’abbiamo ancora visto, Kulusevski e Chiesa poco di più.

Le altre mi paiono altalenanti: possono fare grandi partite ma difficilmente potranno rientrare in corsa per il titolo.

È COMPLOTTO

Come ogni maledetta domenica, chiudo la serata pascendomi della sagacia calcistica del Club di Caressa & Co. Tutti a celebrare il gol-lampo di Leao dopo 6 secondi, e tutti altrettanto attenti a ricordare alla perfezione il precedente record di Paolino Poggi. Lo Zio Bergomi tenta timidamente di ricordare il gol di Matteoli in Inter-Cesena segnato dopo 10’’ e non uno che se lo ricordasse: “Ah sì?” “Non ricordavo…

Certo, vuoi mettere il fascino di Paolino Poggi contro quello assai più trascurabile dell’Inter dei Record di Trapattoni?

Dài Mario, sei sempre il solito… Certo, come no. Passano due minuti e tutti i presenti constatano che, vista la velocità dell’azione, il record di Leao sarà difficilissimo da battere: giusto tirando in porta dal calcio d’inizio si potrebbe fare…

A Caressa non sembra vero e prende la palla al balzo “Una volta Totti ci provò, proprio al fischio d’inizio!

Lì nemmeno Bergomi ha avuto la prontezza di ricordare la traversa colpita da Icardi in Inter Napoli di due anni fa (mica 20…)

Ennesima conferma dello scarso appeal mediatico nerazzurro, e se leggete lo psicopatico che scrive, non vi serve nemmeno il Pistocchi di turno per convincervi.

L’ANGOLO DEL TÈNNICO

Da persona responsabile e al tempo stesso controcorrente, mi freno dall’aggiungere i miei microbi all’inquinamento informatico di neo-virologi ed esperti di sanità pubblica, e continuo a coltivare il mio orticello, del quale, se non proprio esperto, sono quantomeno titolato a parlare.

Quindi, l’argomento di giornata è il possibile cambio di modulo di Conte e tutto ciò che gira intorno a questa novità tattica.

Anzitutto, chi scrive è sempre fautore della necessità di una certa apertura mentale da parte degli allenatori. Ho negli anni sviluppato un’intolleranza istantanea a qualsivoglia frase che contenga le parole “il mio calcio”. Il calcio non è tuo, ciccio, esiste da 150 anni ed esisterà anche dopo di te. Quindi, calma e gesso: qui nessuno inventa un cazzo.

Secondo: posto che a certi livelli tutti hanno ormai le stesse competenze tattiche e teoriche, a far la differenza sono i giocatori e, ancor di più, la capacità dell’allenatore di convincerli a fare quel che chiede.

Quindi, e a costo di sembrare pedante e ripetitivo: non esiste lo schema migliore di tutti gli altri in assoluto. Esiste quel che è meglio usare in un certo tempo e con certi giocatori.

Ora, per dire, la “moda” calcistica sembra aver abbandonato le ammalianti trame da tiki-taka per abbracciare il gegen-pressing di Klopp e il calcio turbo-orobico di Gasperini (pur con pochissimi italiani in campo, ma era l’Inter zeppa di stranieri ad essere una vergogna, loro sono un esempio per il nostro calcio, chiusa parentesi polemica). Che dire? Sono tipologie di gioco che incontrano il mio gusto in misura maggiore della fitta ragnatela di passaggi in orizzontale ma, ripeto, sono gusti personali. Nulla che abbia a che fare con l’efficacia in sé dello stile di gioco adottato.

In altre parole: con Xavi, Iniesta e Busquets anch’io avrei cercato di tener palla per il 70% del tempo. Con dei “cavalloni” che corrono a mille per 90’, anch’io me la giocherei uomo contro uomo a tutto campo.

E qui arriviamo a parlare di Conte. Lui stesso ultimissimamente ha ricordato di aver iniziato la sua carriera con un arrembante 4-2-4, per poi passare ad un altrettanto intenso 3-5-2. Con “la difesa a tre” ha vinto a Torino e pure al Chelsea, dove pure aveva alternato vari moduli. Con lo stresso schema ha preso l’Inter portandola in testa alla classifica ed a battersela punto a punto fino ad oggi con Juve e Lazio.

Però…

Però le idee, specie nel calcio, invecchiano presto. L’usura è addirittura maggiore del pur notevole dispendio psico-fisico richiesto ai giocatori, spesso “svuotati” dopo un paio di stagioni con Conte.

Il calcio italiano è ancora quello più tattico al mondo, quello in cui gli allenatori sono più bravi in assoluto a “giocarti addosso”. Da noi quasi nessuno è supponente al punto da non considerare l’avversario e giocare il proprio calcio in fotocopia a prescindere da chi si trova di fronte. Anche chi “fa il figo” facendo dichiarazioni simili, poi alla fine ha ben presente punti di forza e di debolezza della squadra che deve affrontare.

Quindi? Quindi i nostri avversari per i primi mesi della stagione hanno fatto fatica a contrastare un centrocampo finalmente pensante con Brozovic e Sensi ad alternarsi nella costruzione e Barella o Vecino a iniettare muscoli e pressing utili a servire il prima possibile Lautaro e Lukaku.

Dopo un po’, complici anche gli infortuni, le varianti allo spartito sono emerse in tutta la loro pochezza e agli avversari è stato facile capire che, fermato Brozovic, la nostra manovra faceva fatica a trovare un’alternativa al cazzo-di-giro-palla-tra-i-centrali-di-difesa.

L’avevamo già sperimentato negli ultimi anni con Spalletti: se il medianaccio di turno, quando non la punta che si sacrifica, va a pestare i piedi ad Ajeje Brozo, la luce si spegne e davanti il pallone arriva con una fatica tremenda.

La cosa si è palesata in tutta la sua evidenza già prima di Natale, accompagnata dalla scritta luminosa Piano “B” cercasi con urgenza, (già che ci siamo pure “C”).

Per fortuna, il calendario era dalla nostra parte, con la pausa natalizia e le strenne del mercato di Gennaio a disposizione.

Ora, sappiamo che il primo mese dell’anno è stato buttato nel cesso come in tante delle ultime stagioni, e che lo stesso calciomercato invernale ha visto i rinforzi arrivare in maniera forse inutilmente stitica (torno alla domanda polemica: perché prendere il pezzo pregiato a fine mese con la speranza di risparmiare qualche soldo, se poi l’hai pagato pure più di quanto ti avevano chiesto ad inizio mese?).

Ad ogni modo, cosa fatta capo ha: Eriksen è arrivato ed ora Conte pare avergli fatto terminare il rodaggio. La partita in Bulgaria di settimana scorsa, ben più che la pur importante vittoria e il si spera benaugurante primo gol del danese, ci ha portato in dono una bella mezz’ora giocata con un inedito 4-3-1-2, che pare cucito su misura proprio per il nuovo arrivato, posizionato nell’ideale posizione di trequartista libero di tirare in porta e servire le due punte, senza dover pensare troppo ai movimenti dei compagni di reparto.

Il cambio è salutato con favore dal sottoscritto (sono fin troppo diplomatico: mi piace davvero un bel po’), anche perché lascia impregiudicato il potenziale della coppia di attacco, portando al tempo stesso Skriniar e Godin a poter giocare nel loro ruolo preferito (De Vrij forse leggermente sacrificato, ma comunque in grado di contendere il posto ad entrambi: in sostanza tre titolarissimi per due maglie). Sulle fasce D’Ambrosio e Young parrebbero i migliori a disposizione, con Candreva alternativa spregiudicata (un’ala a giocare da esterno basso, come Cuadrado, come Cancelo, per la gioia di Adani), mentre a centrocampo Barella e Vecino ne giocherebbero tante, lasciando l’ultimo posto disponibile in palio tra Brozovic e Sensi.

In altre parole, il summenzionato “piano B” lo vedrei così:

C’è anche un “piano C”, forse meno di rottura rispetto al 3-5-2, che tuttavia permetterebbe come si dice in gergo di “rovesciare il triangolo di centrocampo” e lasciare Eriksen a ridosso delle punte, con Barella a spalleggiare Brozovic in mediana, avendo Sensi quale validissima alternativa ad entrambi, a seconda del match.

Una roba del genere:

Nulla di definitivo, ancora una volta: semplicemente un’alternativa che possa far salire il numero di frecce al nostro arco, che possa ampliare il repertorio e servire a scardinare partite che non vogliono sbloccarsi, che possa diminuire la nostra prevedibilità.

Che ne dite? Che ne dici Mister? Si può provare…

TEMPI DA VALUTARE

Un po’ di robe che avevo “nasato” e puntualmente si sono verificate:

Ashley Young a sinistra è come tutti gli esterni destri a sinistra. Bravo, diligente, dotato di intelligenza calcistica, sistematicamente sbilanciato sul piede forte e quindi sull’interno del campo. Ho smesso di contare le volte in cui, nel mercoledì di coppa e nella domenica di Udine, è arrivato sul fondo per poi rientrare sul destro e metterla in mezzo. Ribadisco: è forte, intelligente, fisicamente a posto, abituato a grandi palcoscenici. Tutto quello che volete. Ma è l’ennesimo adattato a sinistra.

Come constatato dal rampollo di famiglia, che lo pensava mancino “Ah, ma allora a sinistra non abbiamo risolto niente”. Esatto, Pancho.

Guardando indietro al mercoledì di coppa, abbiamo visto il signor Doveri proseguire nella colata di simpatia degli arbitri verso i colori nerazzurri. Pronti via e blocca un contropiede clamoroso – Iachini diventa una belva contro i suoi per quanto sono stati polli – facendo ripetere una rimessa laterale da battere circa 73 cm più indietro. Dopo il gol di Candreva, pur non avendo ravvisato nulla, attende fiducioso che dal VAR qualcuno gli dica qualcosa e possa così annullare il vantaggio nerazzurro. Nice try, sarà per la prossima…

Guardando in casa nostra, continuano i misteri da infortunio. Almeno in questo l’Inter è stata pioniera, decidendo già a inizio anni 2000 di non rivelare mai le effettive entità degli infortuni e soprattutto i tempi di recupero previsti.

Legittima l’esigenza di tutelare la confidenzialità di questi dati e la privacy del calciatore. L’effetto collaterale è lasciare che la stampa scriva quello che vuole, e che i tifosi facciano supposizioni basandosi sul nulla.

Prendiamo Brozovic, azzoppato nella trasferta di Lecce. Tutti subito si sono eccitati prevedendo scenari apocalittici (“salta anche la Juve???“), per passare poi all’eccesso opposto (“dovrebbe rientrare già col Cagliari o al più tardi in coppa con la Fiorentina”).

Portando il tutto agli ultimi giorni, abbiamo potuto ammirare lo stesso Brozo con Sensi uno accanto all’altro… ma in tribuna e non in campo, con Eriksen ad appoggiare il trolley dell’aereo in panchina e giocare una mezz’oretta per pura emergenza ed un’altra dimenticabile ora ieri a Udine.

Apprendiamo altresì che Gagliardini ne avrà per un mese, che in compenso Asamoah è ancora vivo e che Borja Valero non è al meglio. Da buon ultimo, Handanovic si scassa il mignolo e rimane seduto a Udine. Ci sarà nel Derby? Ecco l’ineffabile risposta del sito ufficiale. Ecco l’inevitabile gufata della stampa.

Cambiando sponda del Naviglio, lo storytelling da romanzo rosa del Milan addiviene a più miti consigli, e quindi passiamo da Robocop/Pistolero Piatek cercato dal Tottenham per sostituire Kane (se non è blasfemìa, poco ci manca) alla maledizione del numero 9 che colpisce ancora e lo spedisce dritto-dritto all’Herta. Andiamo a Berlino Fabio! (cit.)

Nulla in confronto al ventilato scambio Paquetà-Bernardeschi, lisergica conferma del clima connivente tra le due diversamente strisciate. Quindi, per capire, la stessa Juve che ha snobbato uno scambio con Rakitic più 10 milioni, sarebbe stata interessata a scambiare il talentuoso ex-Viola con quel pacco di Paquetà. Il tutto con Gadzidis del Milan a dire “no grazie” (“perchè non c’ho una lira”, aggiungio io) Se lo dite voi…

Nulla di drammatico per i valori glicemici rossoneri: c’è pur sempre l’esordio del piccolo Maldini a dare un altro giro di giostra al can-can della grande famiglia rossonera. Di mio ci aggiungo l’ennesima botta di culo dei cugini, che senza Ibra rischiano seriamente di perdere in casa col Verona: pareggio di Çalhanoglu su autorete, due pali del Verona, rigore assai dubbio non concesso agli scaligeri, gli ultimi 25 minuti giocati in 11 contro 10… Poi, al solito, al 92′ il palo lo pigliano loro e sembra quasi che quelli sfigati siano stati i rossoneri.

Inevitabile per la stampa soffermarsi sull’importanza capitale di un 38enne (per quanto forte) nella squadra, ma il contorno è costituito da abbondanti giri di parole aleatori e come tali poco confutabili, all’insegna del “l’impressione è…” “si ha come la sensazione che…” “lo spirito è tutt’altro rispetto a un mese fa…”.

Le speranze ed i timori sono tutti rivolti a domenica sera, quando verosimilmente Zlatanasso tornerà al centro dell’attacco rossonero. I cugini navigano in brutte acque, e non lo scopriamo certo oggi, eppure hanno la capacità di farmi una paura del diavolo (no pun intended) ogniqualvolta ci giochiamo contro. Siamo pur sempre quelli che sono riusciti a far segnare a Comandini l’unica doppietta della sua carriera in Serie A e a far sembrare Serginho un terzino sinistro. Se svesto i panni da antimilanista atavico, debbo riconoscere che Théo Hernandez e Leao, per quanto acerbi e tatticamente migliorabili, sono due talenti puri e come tali temibilissimi, soprattutto per una difesa come la nostra che non ha nella velocità la miglior arma a disposizione e che dovrà fare a meno di Bastoni.

Insomma, inizierà il clima pre-derby con nottate a fissare il soffitto e paure -si spera immotivate- anche per l’ultimo dei panchinari rossoneri.

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DACCI OGGI IL NOSTRO DISGUSTO QUOTIDIANO

Poco da aggiungere rispetto all’aggiornamento di settimana scorsa, se non un paio di cose “esogene”.

Internamente, continua (e anzi, spero finisca) il mese dell’invornito, con la terza partita sbloccata e poi buttata via a un quarto d’ora dalla fine. Forse un filo di intensità in più rispetto a Lecce, un paio di occasioni nette ma non concretizzate da Sensi e Lukaku, ma in generale un numero di giri che rimane troppo basso.

La novità di giornata, che -poi vedremo- novità non è, arriva appunto da fuori. Torniamo cioè ad essere snobbati da arbitri ed istituzioni, ovviamente stando al passo coi tempi. Faccio finta di credere che sia finito il tempo in cui ti fischiano dal nulla un rigore che non c’è o te ne negano uno palese, ma restano tanti altri modi per farti capire che in un’ideale scala di considerazione presso la classe arbitrale tu, interista, sei saldamente in zona retrocessione.

Provo quasi pena per Conte, geneticamente impossibilitato a capacitarsi di un simile trattamento. Personalmente, provo sempre una sorta di piacere perverso nel vedere il nuovo Mister di turno scontrarsi con la realtà che, a queste latitudini, viviamo con rancorosa rassegnazione da anni. Vedi i Ranieri, gli Spalletti, i Conte strabuzzare gli occhi e sacramentare increduli e per lo meno ti consoli: “ah, allora tutto quello che (ci) succede non è normale…”.

Nello specifico, l’arbitraggio di Manganiello non è macchiato dall’errore che falsa il risultato in maniera palese: io avrei dato il rigore su Young e avrei anche qualcosa da dire sul contatto Joao Pedro-Godin che precede il loro pari, ma devo confessare che la spintarella di Martinez sul gol è veramente al limite.

Il punto è un altro, e sta nel metro di giudizio e la strafottenza dell’arbitro. Segna El Toro, Manganiello convalida facendo ampi segni di aver visto e aver valutato la spinta come veniale, ciononostante attende l’ok del VAR (che, a quanto capisco, non potrebbe intervenire per una valutazione soggettiva dell’arbitro di campo, ma va beh…). Arrivata la benedizione dalle alte sfere, si riparte 1-0 per noi e, da lì in avanti, in buona sostanza smette di fischiare ogni tipo di fallo sui nostri.

Al 93′, e quindi dopo un’oretta di andazzo del genere, Martinez e in subordine gli altri ovviamente sbagliano a protestare in quella maniera, e Lautaro in particolare la combina grossa rischiando di rimanere seduto per più di una partita, ma siamo alle solite: il bambino petulante ti tampina per un’ora e alla fine tu salti per aria e becchi la nota.

La cosa che, al solito, mi fa inalberare ancor più della condotta arbitrale è il giudizio dei Crosetti di turno, tutti bravi a condannare la reazione esagitata dei nerazzurri, atteggiandosi a maestrini petulanti quando non a tifosi da Bar Sport. La Stampa a Torino per anni l’hanno chiamata La Bugiarda, ed evidentemente i soprannomi vanno meritati e mantenuti:

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Il tutto nella stessa giornata in cui la Juve perde (e male) a Napoli, facendo vedere per l’ennesima volta i limiti del progetto Sarriano, per una volta nemmeno coperti dalle prodezze del singolo.

Anche qui, rapido ripasso di complottismo: CR7 segna per la millesima partita di fila e, con Dybala e Higuain, sta tenendo la Juve in testa alla classifica nonostante una manovra che di armonia e spettacolo ancora poco fa vedere. Eppure, nessuno che osi cedere ai tanto comodi Luoghi Comuni Maledetti. Del resto stiamo pur sempre parlando di Juve, di Sarri, di CR7, mica di Inter e del centravanti di turno: si vede che la frase “sfrutta i colpi del campione per supplire alle carenze di giUoco” non viene bene detta con accento torinese…

CALCIOMINCHIATA – LE ULTIME DAI CAMPI

Oggi, dopo settimane nelle quali “questo è il giorno giusto per Eriksen”, il danese dovrebbe ufficialmente diventare un giocatore dell’Inter. Gran colpo, non c’è che dire, prendi a 20 milioni un giocatore che ne vale serenamente il quadruplo. Però…

Però, puttanaeva: sei partito facendo il figo e offrendo 10 milioni, e come uno stillicidio sei passato a 13, 15, 17 per poi capitolare agli inamovibili 20 chiesti dal Tottenham (anzi, pure qualcosina in più).

Per tanto così, e sapendo che Levy è un osso durissimo, non era meglio accettare subito i 20 milioni e portarselo a casa due settimane fa? Capace che tra Lecce e Cagliari un paio di punti in più li avremmo fatti… E in ogni caso avrebbe già un paio di settimane di allenamenti in gruppo.

Va beh, meglio tardi che mai.

Per il resto, noto con piacere che Young, comprato come esterno sinistro, ha debuttato (a destra) e messo un ottimo assist per Martinez (sempre di destro). Attendo di vederlo sull’altra fascia per capire se, arrivato sul fondo, sarà altrettanto bravo col mancino o se farà il rinterzo effettato con sbiliguda veniale per rientrare sul destro e crossare.

Le ultimissimissime dicono di un Vecino che potrebbe restare, anche se più per mancanza di offerte all’altezza che per reale convincimento. Se così fosse ne sarei felicissimo: a parte il debito di un paio di gol passati alla storia, il Charrùa è superiore a tutti gli eventuali rimpiazzi di cui si è parlato in queste settimane.

Segnalo che la punta di scorta diventa ancora più urgente dopo la pazziata di Martinez: continuo a preferire Llorente a Giroud, ma uno dei due è necessario che arrivi il prima possibile. Ricordo che tre delle prossime quattro saranno con Milan, Lazio e Juve.

CARI FOTTUTISSIMI CUGINI

Rieccoli, i MeravigliUosi, e devo dire che (non) mi erano mancati.

Nell’ordine: dopo due considerevoli botte di culo con Udinese e Brescia, tutta la stampa è allineata nel ricordare le “quattro vittorie consecutive, se consideriamo anche la Coppa Italia“.

Non solo. Formati al divino insegnamento del Geometra Galliani, se consideriamo la media punti da Gennaio in avanti, il passo è addirittura “da scudetto“. La stessa Coppa Italia, da sempre terzo obiettivo stagionale per chi ha le coppe Europee, per i rossoneri (digiuni anche quest’anno da gite infrasettimanali) può valere 25 milioni di ricavi.

Che Piatek, Suso e Paquetà dal GreNoLi del 2020 siano passati ad essere tre pacchi che non si riesce a piazzare a nessuno è una verità scomodissima da ammettere; meglio dire che sono “il tesoro del Milan“. Il succo è lo stesso ma fa tutto un altro effetto.

Il “Giova” direbbe “intanto c’ho un capitale immobilizzato e gli interessi...”

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Come dico spesso, sapendo di ripetermi: c’è una parte di Milano in cui splende sempre il sole.

Lascio alla fine quella che ritengo la cosa più insopportabile.

Il Milan, come sappiamo, è una grande famiglia, ma non solo. La strategia comunicativa rossonera prevede che tutti i personaggi di successo, le squadre più vincenti di un determinato periodo, i campioni presenti o passati, siano comunque assimilabili al Milan: il ragazzo tifa Milan fin da bambino, la tal squadra gioca proprio come giocava il Milan di Sacchi/Capello/Ancelotti, il tal campione ricorda gli anni del Milan come i migliori della sua vita.

Siamo tutti amici, ci vogliamo bene (cit.)

Ora: cerco di dirla bene sapendo che sto camminando sulle uova.

Una cosa del genere per me è da vomito:

Con questa roba qui il Milan ci dice: la morte di Kobe è una tragedia per tutti, ma per noi un po’ di più perchè tifava Milan, quindi era più amico mio che tuo. Manca solo il gnégnégné alla fine.

Non mi aspettavo niente di diverso da loro, solertissimi a postare l’inevitabile -e giusto, per carità- messaggio di cordoglio per la scomparsa di un tale campione.

La manfrina del lutto al braccio e del minuto di silenzio l’hanno proposta ieri, ed ero stato contento di sapere che in un primo momento la Lega Calcio avesse negato l’autorizzazione, come a dire: il calcio non c’entra una mazza. Kobe sarà doverosamente ricordato nel prossimo turno di campionato di basket, che era il suo sport.

E invece, grazie al combinato disposto tra potenza mediatica da tardo impero e scrivani di corte compiacenti, stasera assisteremo a questo atto di prepotenza emozionale.

Non che a Milanello Bianco siano nuovi a colate glicemiche del genere.

Nell’ottobre del 2011, con il povero Simoncelli appena scomparso, prepararono in fretta e furia la maglia per l’occasione, da esibire oltretutto in tutt’atro contesto, e cioè mentre Gattuso parlava dei suoi problemi all’occhio di quella stagione (peraltro curati tardi e male dal mirabolante MilanLab):

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Chi mi sta vicino mi dice che quando fra cent’anni dovesse capitare la stessa cosa a un grande personaggio di dichiarate simpatie nerazzurre, anche l’Inter farà così.

Non credo, proprio perchè lo stile è qualcosa che hai dentro.

Se così dovesse essere, non avrei problemi a dichiarare il mio disgusto.

Dopodichè, l’ultima cosa che voglio fare è tirare il povero Kobe per la giacchetta. Che la terra sia lieve a lui, alla figlia e a tutti gli altri.

PROPOSITI PER IL NUOVO ANNO

I nostri stanno andando benone, direi aldilà di ogni più rosea aspettativa. Indipendentemente da come andrà con l’Atalanta sabato sera, 45 punti in un girone danno una proiezione di 90 a fine anno, quota alla quale di norma si vincono scudetti.

È vero che già in anni passati a quest’epoca eravamo in vetta alla classifica, ma onestà impone di dire che il “come” faccia una certa differenza. Dalla pioggia di pur gustosissimmi 1-0 (vendemmia Mancini 2015/2016), all’insostsenibile velocità del primo Spalletti -poi infatti schiantatosi nel solito Gennaio marroncino- arriviamo a Conte, che ha portato la truppa in vetta spremendo il massimo da tanti dei suoi (Lu-La in primis) ma anche dovendo fare a meno dei due pezzi forti del centrocampo. Tre mesi senza Sensinho, due senza Barella, con l’aggravante di dover abusare dei piedi non raffinatissimi di Gagliardini e della limitata tenuta atletica di Borja Valero.

Eppure, si diceva, siamo lì.

Tutto ciò considerato, ed aggiugendo che da Febbraio i nostri avranno anche l’impegno di Europa League che tante energie ciuccia ad ogni squadra, non intervenire con due o tre innesti di valore sarebbe deleterio.

I tre ruoli sono noti: esterno sinistro, centrocampista, punta da panchina. In ordine di importanza, per me i tre nomi sono: Marcos Alonso, Eriksen, Llorente, e spiego il perchè:

Marcos Alonso Risposta semplice e solo apparentemente banale: perchè è un terzino sinistro. Non è “un laterale che può adattarsi anche a…” non è “un jolly difensivo che può venir buono anche per…“. No. È uno che fa quello di mestiere, che lo fa bene, che Conte ha già avuto e che, ultimo dato non trascurabile, batte bene le punizioni col mancino.

Ineluttabile assioma nerazzurro degli ultimi lustri, quel ruolo è il nostro punto debole anche quest’anno, vista l’inaffidabilità fisica di Asamoah e la stiracchiata sufficienza (ma nulla più) di Biraghi. Mi auguro a riguardo che il giovane Di Marco, sistematicamente ignorato dal Mister finora, venga quantomeno tenuto fuori dal mercato finantochè non sarà arrivato il rinforzo, chè se adesso viene un coccolone all’uomo dai parastinchi discutibili, tocca dirottare D’Ambrosio o -peggio- Candreva.

Le alternative allo spagnolo non mi convincono: Darmian è uno che fa benino un po’ di cose, ma arriverebbe come un D’Ambrosio-bis. Per carità, giocatori preziosi per ogni allenatore, ma qui stiamo parlando di un titolare da inserire, non di un rincalzo buono come alternativa. Serve insomma più classe.

Ashley Young (di nome ma non di fatto, visto che ha 34 anni) è il classico adattato. Se sei terzino sinistro e sei destro di piede, o ti chiami Paolo Maldini o abbiamo un problema. In questo lo Zio Bergomi mi ha preceduto nel commento che avrei fatto se solo qualcuno me l’avesse chiesto.

Eriksen Qui ammetto di ragionare -anche- da tifoso, perchè per alcuni versi Vidal sarebbe un acquisto più pronto e funzionale al gioco di Conte, ma andrebbe ad intasare la già troppo nutrita colonia di ex-juventini, dando ulteriore fiato alle trombe dell’ “adesso sì che l’Inter è cambiata, non è più una squadra di matti, meno male che sono arrivati gli juventini“.

Ciò detto, Eriksen ha cinque anni in meno di Vidal e soprattutto sembra poter dare qualcosa a questo sport per un lasso di tempo maggiore rispetto al cileno.

Detto che nel ruolo il mio sogno bagnato resta il laziale Milinkovic-Savic, per il quale ci sarebbe da sborsare una cifra vertiginosa, la ventina di milioni di cui si parla in queste settimane io la farei viaggiare spedita in direzione Tottenham e non Barcellona.

Llorente La punta dovrebbe sostanzialmente essere un cambio per Lukaku, quindi lo spagnolo dagli occhi di ghiaccio sarebbe perfetto. Anche lui è già stato agli ordini di Conte, il che dovrebbe facilitarne l’ambientamento. Facendo attualmente panchina a Napoli, non credo avrebbe problemi a farla a Milano. Lo preferisco all’altro nome che circola in questi giorni, e cioè Giroud, per più di un motivo.

Anzitutto, Giroud è il classico attaccante di manovra, che gioca al servizio della squadra, ma che storicamente segna poco: non è un caso che sia diventato campione del mondo con la Francia senza aver segnato nemmeno un gol a Russia 2018. Immaginando l’impiego di questo tipo di punta nelle classiche partitacce che non si sbloccano, preferirei giocarmi il jolly buttando in campo lo spagnolo, pressocchè imbattibile nel gioco aereo ed opportunista quanto basta per piazzare il piedone al momento giusto.

Inoltre, se già è difficile che il Chelsea ceda su Marcos Alonso, è ancor meno probabile che accetti di far partire due suoi giocatori (anche Giroud gioca lì) che, oltretutto, andrebbero a far comodo a Conte, beneficiario di una cospicua buonauscita dopo la parentesi alla corte di Abramovich e senz’altro non molto ben visto da quelle parti. In altre parole: l’ultima cosa che il Chelsea vorrà è fare un favore al Mister che si è appena intascato una decina di milioni di indennizzo.

CHE NE SAR­À DI NOI

Conscio della mia fissazione con il ruolo di terzino sinistro, a mio parere il peso specifico dell’Inter dipenderà dal titolare in quella posizione a fine mercato di riparazione.

Arriva Marcos Alonso? Possiamo giocarcela per lo Scudetto. Arriva Darmian? Ci accomodiamo per il secondo/terzo posto.

È semplicistico, ma la penso così. Avere lo spagnolo tra i titolari fa crescere il valore complessivo della squadra più di avere il Vidal di turno (che giocherebbe al posto di uno tra Brozo, Sensi o Barella).

Voglio dire: a metacampo ne esce uno bravo, ne entra uno bravo, che sia Vidal o Eriksen.

A sinistra, ne esce uno medio (se non mediocre) e ne entra uno bravo.La differenza sta tutta lì.

IZ BACK

Ho smargheritato tanto, cercando di capire se augurarmi il ritorno di Ibra al Milan oppure no, e mi scopro sorprendentemente ad esserne contento.

Non mi rimangio quel che ho detto e scritto: i peana del figliol prodigo che torna là dove si era trovato così bene sono già iniziati, con tanto di dirette dall’aeroporto e endoscopie su come saluta i compagni. Gol come visto, ancora niente (anche se contro la Rhodense ha fatto i numeri!).

Zlatan però farà bene alla Serie A e anche al Milan. Già nella mezzoretta giocata contro la Samp ha fatto vedere di essere il migliore dei rossoneri pur giocando praticamente da fermo. A questi livelli, e con questo livello di concorrenza interna, gli basterà qualche allenamento per elevarsi dalla mediocrità diffusa. Arrivo a dire che, in ottica stadio, a noi conviene che il Milan faccia schifo ma non troppo. Mi diverto come un riccio a vedere la classifica e trovarli saldamente nella colonna di destra, ma pensare ad una partnership con una squadra di centroclassifica per costruire lo stadio del futuro non è il massimo della vita: e visto che i problemi del Milan non finiranno certo con questa stagione, occorre ricordare l’epilogo dell’altro stadio europeo che era stato inizialmente costruito da due squadre della stessa città: l’Allianz Arena di Monaco.

Per carità, non mi farebbe schifo far pagare metà del nuovo stadio al Milan per poi vederli migrare altrove (al Brianteo?), ma è una favola troppo bella perchè possa diventare realtà.

Tornando a Ibra, mi scopro un romanticone dal cuore d’oro: se già non l’avevo fischiato al Derby 2010-2011 quando atterrò Materzazzi con una mossa da arti marziali, a maggior ragione lo accolgo col sorriso adesso: la maniera che ha di ghignare dopo aver fatto la sparata da gradasso me l’ha sempre reso simpatico a pelle, pur essendo probabilmente il più abile mercenario e trasformista del calcio moderno.

Quindi, nonostante tutto, bentornato Zlatanasso!

CONTRASTI E STRATEGIE

CONTRASTI

Uno dei rischi del reiterare nel tempo la stessa tesi è quello di ritrovarti a scrivere sempre lo stesso pezzo. Lì per lì ti pare di non aver niente di nuovo da dire, eppure la produzione di prove ed evidenze in quantità ti conforta e porta mattoni alla tua “casetta dei complotti”.

Quindi, sunteggiando al massimo, la domanda retorica potrebbe essere così posta: Com’è che il Milan non c’ha manco gli occhi per piangere, non sa se e come arriverà a domattina, eppure tratta Sensi, Schick, Ceballos, Torreira, Mancini, Veretout e Mario Rui, provando anche lo sgambetto all’Inter per Barella?

E com’è che l’Inter, che pure a Maggio è uscita dal Settlement Agreement –finalmente qualcuno pare accorgersene!– continua ad avere l’assoluta necessità di fare plusvalenze (20 , 30, 40 milioni!), cosa che invece per tutti gli altri è solo un’opportunità da cogliere if and when?

La risposta, nemmeno troppo fantasiosa ma terribilmente reale, è che #ècomplotto.

Il fascino di dipingere un’Inter in difficoltà, a navigare a vista in mezzo al mare in tempesta è evidentemente irresistibile, con i nostri pennivendoli incapaci di cambiare spartito nonostante il mood della serata suggerisca di cambiare repertorio. Quel che su una sponda del Naviglio è un rischio, un pericolo, un ostacolo cui fare attenzione, sulla riva “giusta” e zuccherosa è invece un’opportunità, un sogno, un progetto. L’ho già scritto, lo so, non rompete. C’ho ragione e lo sapete anche voi.

Negli anni cupi delle nozze coi fichi secchi abbiamo salutato ad ogni finestra di calciomercato le partenze di Icardi, Perisic e compagnia, prontamente rinfoderate dagli scrivani di corte e rimandate alla fermata successiva. Nessuno, dico nessuno, ha mai fatto un’analisi complessiva del periodo di vigilanza-UEFA cui l’Inter ha dovuto sottostare e del come sia riuscita ad uscirne economicamente indenne o quasi.

E’ innegabile che i risultati sportivi degli ultimi 5 anni nereazzurri siano stati al di sotto della storia del Club. Gli ultimi due anni, con la qualificazione in Champions raggiunta all’ultimo, hanno risollevato una media davvero bassa visti i 110 anni di storia nerazzurra.

Ciò detto, vediamo anche di capire a fondo il periodo che l’Inter si sta mettendo alle spalle. Il termine di paragone in Italia non può che essere la Roma, unica altra squadra ad aver dovuto accedere al Settlement Agreement per risolvere i propri problemi di bilancio.

Senz’altro lo scouting giallorossi (Sabatini in primis) ha permesso ai lupacchiotti di scovare negli anni carneadi o giocatori dimenticati, facendoli diventare (o tornare ad essere) ottimi giocatori: Alisson, Rudiger, Manolas, Strootman, Lamela, Kolarov, El Shaarawi.

Il tifoso romanista obietterà che poi nulla è stato fatto per tenere in rosa il talento fatto crescere, e non potrei essere più d’accordo. Uno dei passaggi più significartivi dell’addio di De Rossi è stato proprio il riferimento al “livello successivo” cui ci si avvicinava sempre ma a cui non si arrivava mai, viste le periodiche necessità di vendere per far cassa:

Piccolo dispiacere negli anni è che tante volte, anche con la passata stagione, ho avuto la sensazione che la squadra ha fatto un passo indietro sul più bello“.

Daniele De Rossi, 14 maggio 2019

L’Inter, se mi si passa il paragone, di talento in questi anni ne ha generato meno. Si è trovata un centravanti come Icardi quasi senza farlo apposta, ha fatto crescere bene i due croati e ha pescato il jolly con Skriniar due anni fa. Contrariamente alla Roma, è però riuscita a tenerli in rosa, riuscendo a chiudere i vari bilanci entro i limiti prefissati dall’UEFA e sbugiardando le cassandre che preconizzavano de profundis a mezzo stampa, per la epidermica goduria di chi scrive.

In sostanza: voto 8 al ragioniere, voto 5 al direttore sportivo.

Ho sempre pensato che, soprattutto in periodi di ristrettezze economiche, più ancora che vendere bene, fosse essenziale comprare benissimo. Il che vuol dire non fare operazioni inutili, e non comprar bidoni.

Grazialcazzo, direte voi. Eppure non è così immediato come concetto.

E’ peculiare il fatto che ogni stagione di calciomercato parta all’insegna di “tre-quattro innesti, non di più” e finisca puntualmente con una dozzina di operazioni il cui valore aggiunto, quando c’è, è assai modesto. A chi giova tutto ciò? Siamo davvero (come Inter, come calcio italiano) nelle mani dei procuratori in maniera così sfacciata? Della serie: ho già 3 mediani ma devo un favore al Raoila di turno e quindi mi prendo anche il quarto?

Spero di no, ma non trovo altre spiegazioni tecniche per tanti acquisti visti arrivare negli ultimi anni.

STRATEGIE

Non che il mercato che sta iniziando abbia prodromi così diversi. Sulla fascia destra ad esempio, abbiamo in rosa D’Ambrosio, Candreva e Politano: tre giocatori con caratteristiche diverse, siamo d’accordo, ma che calpestano le stesse zolle di campo, e con un allenatore che pare essere convinto del suo 3-5-2 e che quindi ha bisogno di un solo giocatore che faccia su e giù per tutta la corsia.

Possiamo discutere su chi dei tre sia il più indicato a fare questo mestiere (nessuno?), ma non mi è chiara la strategia che porta a comprare il quarto giocatore di fascia destra, con gli altri tre ancora saldamente ai loro posti. Ammetto la mia ignoranza, e la prossima volta che sentirò il nome di Valentino Lazaro sarà la seconda. Spero sia fortissimo, ma qual è il senso di prenderlo quando ne hai già tre in rosa che -chi più, chi meno- giocano nello stesso ruolo?

Probabilmente non sarei mai diventato un bravo direttore sportivo, perchè vedo che nessuno in Serie A ragiona come ragionerei io: com’è messa la rosa? Dove sono i punti deboli? Partiamo da quelli, rinforziamo la catena partendo dagli anelli più molli, e da lì risaliamo.

Invece vedo ragionamenti diversi, per non dire opposti. Restando in tema Inter, si parla di rivoluzionare in toto o quasi l’attacco. via Icardi, Perisic e Nainggolan sul mercato in attesa di offerte, cercando in cambio Dzeko, Lukaku e Barella. Tutti acquisti difficili perchè all’Inter, da sempre, nessuno concede sconti nè fa favori (ma questo necessiterebbe di un approfondimento a parte).

In compenso, ci teniamo stretti Gagliardini, Candreva, Borja Valero…

Non capisco. Ma non è una novità.

Current mood

ADAGIO MA NON TROPPO

FROSINONE-INTER 1-3

Altri tre punti, un’altra partita archiviata. Finchè va avanti, bene così.

L’Inter arriva in terra ciociara e fa vedere una confortante solidità per più di un’ora, diventata già al lunedì mattina “un buon primo tempo seguito da una preoccupante ripresa“. La verità è che i nostri, pur ricevendo da Perisic e Icardi due tra le peggiori esibizioni stagionali, approcciano bene la gara ed approfittano del pressing avversario non esattamente asfissiante per partire dal basso e portare tanta gente a concludere. Paradigmatica in tal senso l’azione del vantaggio, con la matassa che si dipana ordinata da Handanovic ai difensori, fino ad arrivare a D’Ambrosio bravo a scendere sulla fascia e ancor più a pennellare er crosse. In area sono in quattro dei nostri: la prende quello più tabbozzo, ma il Ninja lavora bene di torsione scopadea (cit. Pellegatti) e fa 1-0.

La cosa confortante è che i nostri non si fermano. Ripeto: di fronte non abbiamo esattamente il Barcelona, nè il nostro vantaggio li smuove dall’atteggiamento attendista visto nel primo quarto d’ora. Fatto sta che i nostri pestano il loro blues sul solito Do/Fa/Do Sol/Fa/Do e Skriniar viene affossato in area. Rigore solare che Icardi cede “spintaneamente” a Perisic, il quale realizza di sinistro spiazzando Sportiello. Vero che Beavis è ambidestro, ma ne avevo visti solo due prima di lui tirare i rigori indifferentemente coi due piedi. Andy Brehme e Paolo Maldini (anche se Paolino quello col sinistro l’aveva sbagliato…). Ad ogni modo, 2-0 e tutti quasi felici. “Quasi” perchè, nonostante il doppio vantaggio, ci sarebbe spazio per il triplone, con Politano a mangiarselo dopo bella incursione centrale e per mancanza di cazzimma in un altro paio di occasioni.

Poco male. Si riparte come si era finito, con i nostri ancora in controllo del match fino a un paio di minuti prima del gol che riapre per un po’ la partita. Skriniar & Co. hanno tre o quattro volte l’opportunità di liberare l’area, al limite anche con la proditoria pesciada in fallo laterale, e invece cincischiano consentendo al Frosinone un pressing quasi involontario, che porta Cassata (nomen omen) a concludere da fuori e Handanovic a toccare ma non a respingere.

Seguono 10 minuti di chiavicanza, più per nostro smarrimento che per reale pericolosità dei gialli di casa: Ciano sfiora il gol della vita su punizia, ma per il resto si viviacchia. Entra Keita per dare il cambio a un Perisic già segnalato sotto i livelli minimi di decenza, e si presenta con un siluro che voleva essere un cross teso per Icardi, che a momenti rimane decapitato nell’urto con la palla. Fuor di metafora, aggiungiamo pure che un centravanti in stato di forma appena migliore avrebbe comunque fatto gol.

L’ex Capitano si fa per così dire perdonare nei minuti finali, quando sfrutta bene l’animalanza di Vecino, con cui triangola sapientemente al limite dell’area e sul filo del fuorigioco per il 3-1.

L’ultima parola agli uruguagi (cit.).

LE ALTRE

La Juve ha l’innato potere di fare incazzare sempre tutti, e decide quindi quasi scientemente di perdere a Ferrara, suscitando le perplessità e le critiche sempre assai urbane di Sinisone Mihajlovic. Probabilmente la giustificazione della formazione da asilo Mariuccia era “per preparare al meglio il ritorno con l’Ajax”.

Cito Luca Bottura quando parlava di “battuta Ikea”: chiudetevela da soli, fa comunque ridere.

Il Milan rischia seriamente di arrivare quarto avendo battuto la Lazio e beneficiando dell’inatteso pareggio dell’Atalanta. La lontananza del malefico duo Silvio/Geometra ha forse affievolito il mio odio calcistico nei loro confronti, ma seguo sempre con disprezzo le loro gesta, soprattutto quando cercano di nascondere o minimizzare malefatte e colpi di genio che ad altre latitudini avrebbero campeggiato per settimane sulla stampa nazionale.

E’ COMPLOTTO

Nulla di particolarmente nuovo o trascendentale da segnalare, se non la convinta e pervicace insistenza nel dipingere l’Inter come il posto da cui tutto vogliono o debbano andarsene. Tra le poche certezze della vita, insomma, rimane l’immortale #CrisiInter.

Spalletti rischia di rimanere anche la prossima stagione unicamente perchè esonerarlo costa troppo. Nulla che abbia a che fare con un’analisi dei suoi risultati (buoni o scadenti che siano).

Conte in realtà potrebbe “beffare” l’Inter ed accordarsi con la Roma, iscrivendosi all’affollatissimo club di quelli che “l’Inter l’avrebbe anche preso, è stato proprio lui a dire di no”.

Icardi e Perisic, chettelodicoaffà, dovranno comunque essere venduti per far fronte ai già ricordati malumori di spogliatoio e per rispettare i paletti del FPF che continua ad aleggiare sull’orizzonte nerazzurro pur in conclusione di Settlement Agreement. Il che è corretto da un punto di vista normativo: l’Inter a Giugno chiuderà il periodo di “sorveglianza”, ma dovrà continuare a rispettare -come ogni altra squadra affiliata alla UEFA- i parametri prescritti.

La questione, al solito, è quella del Same but Different. Non si capisce infatti perchè, ad esempio, le stesse cautele -ripeto: sacrosante- non siano mai prese in considerazione quando si blatera di fantamercato di altre squadre, con numeri di bilancio decisamente peggiori di quelli nerazzurri.

Ma sarei un ingenuo a stupirmene.

“Ma amici mai, per chi si ama come noi, non è possibile…”

L’INCUBO, IL SOGNO E LA FOTTUTISSIMA REALTA’

INTER-BOLOGNA 0-1

Dividiamola in tre, la mappazza, perchè così è pesante da digerire (cit.).

L’incubo è quello che, a occhi apertissimi, abbiamo dovuto vivere nei 90’ di non-gioco contro il Bologna, che poi altro non sono se non l’ideale proseguimento del nulla cosmico già mostrato nel trittico Sassuolo-Torino-Lazio.

Icardi ha un attacco cardiaco che gli impedisce di comprendere il clamoroso errore di Poli, che lo serve solissimo davanti al portiere dopo un minuto di gioco. Solo una grave paralisi dei suoi organi vitali può spiegare quel che combina nei tre secondi successivi.

Esattamente come successo dopo il tiro fuori di Martinez a Torino, i nostri fanno di tutto per sembrare quelli che dicono “beh il mio per oggi l’ho fatto, possiamo andare a casa”.

Conoscendo i miei polli, avevo appreso con un mix di goduria e timore l’avvicendamento sulla panchina del Bulègna: Superpippo aveva esaurito la dose di deretano che l’ha accompagnato per l’intera carriera, ma al suo posto era arrivato il temibilissimo Sinisone, che forse non a caso aveva usmato puzza di figuraccia in casa Inter.

Loro fanno la loro onesta partita, trovando (dopo Izzo, dopo Immobile…) un gol casuale quanto meritato. Male De Vrij nell’occasione, con Handanovic forse colpevole di non avere riflessi da centometrista, ma che su una capocciata così bislacca può davvero fare poco.

Come col Toro, ci sarebbe un’ora di partita a disposizione per rimediare al troiaio combinato, se solo i nostri si togliessero la cispa dagli occhi e le pedùle dai piedi.

Macchè.

L’unico schema è il giro palla da dietro, probabilmente nella speranza di addormentare gli avversari. Palle in avanti non ne arrivano se non per gentili omaggi dei rossoblù, che la nostra buona creanza ci fa guardar bene dall’accettare.

In un contesto simile, è chiaro che gente che già di suo non ha un buon feeling con San Siro venga fischiata ancor prima di ricevere palla. Candreva, Nainggolan, Perisic, lo stesso Icardi, si beccano vagonate di fischi fin dal quarto d’ora del primo tempo. Fatta la tara al quoziente di intelligenza del tifoso medio (e anche medio-basso, chè i geni mica ce li facciamo mancare con tanto di striscioni alla rovescia), non mi sento nemmeno di biasimarlo più di tanto. E’ vero che il tifoso illuminato dovrebbe essere capace di sostenere la squadra fino al 90’ e semmai di subissarla di fischi a fine partita, ma come dice la canzonetta I’m only human after all, don’t put the blame on me.

La ripresa si differenzia dal primo tempo solo per l’ingresso di Martinez che, come col Toro, come con la Lazio in Coppa Italia, si mangia un gol che il mio cane (passato a miglior vita un decennio fa) anche oggi non avrebbe avuto problemi a insaccare.

In tutto questo tragicomico psicodramma, la cosa più allucinante è stata la totale mancanza di spunto, di cambio di passo, al limite di casino organizzato. Niente di tutto ciò: è dovuto entrare il povero Ranocchia gli ultimi 10 minuti a fare il centravanti alla Vierchowod per vedere se non altro un po’ di cuore (culo mai, per definizione, chè la girata al volo di sinistro meritava se non altro per l’impegno).

Come detto correttamente da più parti oggi:

Il problema non è quando metti Ranocchia centravanti; il problema è quando Ranocchia centravanti è il migliore dei tuoi…

Passiamo al sogno. Niente di che in realtà: mica possiamo svegliarci domani con Cambiasso Stankovic e Milito con 10 anni di meno…

Il sogno è semplicemente un segno di discontinuità rispetto al passato. Posto che in otto anni abbiamo cambiato 11 allenatori, non sarebbe bello che la Società riunisse giocatori e Mister per un bel discorsetto?

Potrei arrivare ad invaghirmi di Marotta se avesse i coglioni per dire ai giocatori, con intonazione degna del Duca Conte Piermatteo Barambani:

Cari inferiori (cit.), questo signore qui (indicando Spalletti) è l’allenatore di questa squadra e sarà qui fino a Maggio e poi per tutto l’anno venturo. Lui. Voi avete quattro mesi di tempo per convincerci che meritate la maglia che state indegnamente indossando.


E poi quella che sarebbe la parte migliore:

E se a qualcuno venisse in mente di giocar contro il Mister, o di giocare a convincerci che non siete degni della maglia, ricordatevi che io sono Marotta e ho ottimi contatti con le squadre di tutta Europa. Non ci metto un cazzo a farvi terra bruciata intorno: se volete cercare un’altra squadra, probabile che in Cina qualcuno lo troviate. Accomodatevi pure.

Muuuahahahah!!!!…..

Aldilà dei sogni, e tornando alla fottutissima realtà, vorrei che dalla Società arrivasse un segnale chiaro. Non perchè stimi particolarmente Spalletti, ma perchè esonerando lui si darebbe l’ennesimo alibi a una mandria di smidollati che terrebbero botta per un quadrimestre col nuovo venuto, prima di tornare a dare segni di invornimento.

Per una volta, eccheccazzo, che si pigliassero le loro responsabilità anzichè scaricarle sul Mister di turno.

Eh sì, perchè lasciando stare sogni o incubi e parlando da svegli (più o meno, insomma…) siamo all’ennesimo inverno del nostro scontento. Non so se c’entri il richiamino di preparazione atletica, non so se siano finiti gli psicofarmaci, ma è incredibile vedere la ciclicità di questi andamenti.

Non ho nè il tempo nè la voglia di un’analisi tassonomica e non nozionistica degli ultimi cinque o sei anni, ma non mi sorprenderebbe vedere una certa familiarità con crisi di gioco e risultati a cavallo tra i due gironi (a memoria ricordo il periodo dell’anno scorso e quello susseguente al primato in classifica con Mancini, figlio di tanti 1-0 cinici e speculativi).

Come se non bastasse, la prossima è a Parma, campaccio per definizione per i nostri, che in quasi trent’anni di scontri al Tardini hanno vinto solo 4 volte (ne ricordavo tre, mi mancava il 2-0 corsaro con gol di Rolando, non Ronaldo, e Guarin).

LE ALTRE

Riusciamo nell’impresa di sfruttare il calendario a noi favorevole non già per accumulare vantaggio sugli inseguitori, bensì per minimizzare le perdite. Milan e Roma difatti pareggiano il loro scontro diretto, mentre la Lazio, che pur stasera ha vinto a Frosinone, settimana scorsa non era riuscita ad evitare la sconfitta contro i Gobbi.

Siamo alle solite: se ad Agosto mi avessero catapultato ad oggi, leggendo la classifica sarei più che soddisfatto, ma solo noi siamo capaci di complicarci la vita in questo modo e, vi assicuro, non c’è alcun masochistico compiacimento nella mia affermazione, porca di quella puttana!

E’ COMPLOTTO

Dovrei probabilmente aggiungere una nuova categoria, “Gli onesti del giorno dopo”. E’ ai limiti del vomitevole il modo in cui Sky ha cercato di smarcarsi dalla fake news di Conte che passeggiava in centro reduce dall’incontro con Marotta. Come ho già detto, bene ha fatto Spalletti a incazzarsi con la stampa, e meglio ancora ha fatto nella conferenza stampa del pre-partita, quando ha formalmente ribadito il concetto, buttando lì anche un discreto siluro alla Società, della serie:  se siete così ingenui da averlo fatto siete davvero dei dilettanti.

Ebbene, ieri sera ho sentito prima Barzaghi e poi Caressa in maniera ancor più sguaiata definire poco professionali (eufemismo) i colleghi che avevano montato quella notizia.

Grazie al cazzo, signori miei: se ne avete la voglia, le palle o semplicemente l’onestà sufficiente, ‘sta cosa ditela 5 minuti dopo che la notizia vi arriva, non a quattro giorni di distanza, quando la tanfa della fialetta puzzolente ha già impestato l’aria nella stanza.

WEST HAM

Qui facciamo una bella figura, bloccando 1-1 in casa il Liverpool capolista.

L’han fatta tutti, la faccio anch’io la battutaccia: Hanno scritto i nomi in cinese per non farsi riconoscere!