CAZZO, GIA’ DIECI ANNI…

Ai tanti che oggi se lo fossero persi, di seguito il succo di quel che abbiamo detto oggi su Facebook.

Sono già passati dieci anni: a tratti sembrano trenta, altre volte invece sembrano due settimane…

Prima di abbandonarci ai ricordi inebrianti, un minimo di obiettività. Cerchiamo di capire quanto cazzo fosse forte quella squadra, quanto sia stato importante non quell’anno, ma quel ciclo dell’Inter.

Un ciclo durato 5 anni e iniziato come tutti sappiamo. È verosimile che senza Calciopoli l’Inter avrebbe fatto più fatica a costruire quello squadrone, Ibra e Vieira non sarebbero arrivati. Però Julio Cesar, Zanetti, Cuchu, Samuel e Cruz c’erano già. Maicon, Grosso e Crespo sarebbero arrivati comunque. E soprattutto, senza voler riaprire ferite che agli juventini fanno ancora male: il redde rationem di quell’associazione a delinquere che era la Juve è arrivata in ritardo. Io come tanti altri interisti ho sempre visto lo scudetto 2006, il 14°, come un segnale da parte del sistema calcio, un modo per dire “ah scusate, non avevamo capito un cazzo, ora vediamo di rimediare”. Poi in realtà hanno continuato a non capire un cazzo, visto non molto è cambiato, però…

Come sa chi ha letto il libro, il mio rancore l’ho espresso riscrivendo una manciata di campionati al netto delle famigerate sviste arbitrali. Tutti noi, non rancorosi complottisti, semplicemente tifosi dotati di occhi e intelletto, sappiamo che l’Inter avrebbe potuto e dovuto vincere almeno due campionati prima di quello 2005/2006 (parlo del 97/98 e del 01/02, io ci metto anche il 02/03).

Ad ogni modo, si vede che doveva andare così, inutile rimuginarci sopra.

Torniamo a bombazza: Quelle 5 stagioni sono finalmente state la rappresentazione di quel che ho sempre voluto dalla mia squadra: un piano strategico, una coerenza anno dopo anno, che mantenesse inalterati i punti di forza e andasse a migliorare gli aspetti ancora traballanti.

E quindi ecco arrivare Chivu, ecco crescere Ibra a livelli mai visti fin lì (chè nasino alla Juve faceva 10 gol all’anno…), ecco anche la sostituzione agrodolce in panchina. Sbagliata nei modi, sbagliatissima, ma tremendamente efficace.

Il Mancio inizia ad andarsene dopo la sua crisi mestruale post-Liverpool di marzo 2008: da lì inizia un imbarazzante tira e molla che per poco non ci costa uno scudetto, tra il gatto nero di Figo e il sarto di Appiano.

Vedo l’ultima partita di quella stagione (Parma Inter, due gol di Ibra sotto la pioggia) in una maniera solo apparentemente folle. Siamo in cinque: io, mio fratello, il Signor Carlo, Gio e il neonato Pancho.

I tre uomini presto inginocchiati per terra davanti alla tele, la mamma premurosa che si occupa del piccolo ed ha la provvidenziale idea di fare capolino in salotto col pupo in braccio a metà ripresa e chiedere “Come va?”

Ibra nello stesso istante arma il destro e tira lo scaldabagno da fuori area: gol e delirio collettivo. Bandiere che escono dalle tasche e che fin lì erano state scaramanticamente nascoste e noi tre che torniamo i dodicenni che in fondo siamo da sempre.

La donna di casa contempla la regressione pre-adolescenziale che le si para davanti agli occhi, lascia calare il livello dei decibel e sussurra “va beh, io torno di là, così magari il bimbo dorme un po’”.

La risposta all’unisono “Ferma lì! Tu adesso non ti muovi per la prossima mezz’ora!”.

So che i veri tifosi capiranno. Ma non solo loro, anche i campioni ragionano così. Non ci credete?

Facciamo un salto di due anni circa e da Monza ci trasferiamo in un lussuoso appartamento milanese in cui due giovani uomini argentini stanno assistendo -abbastanza interessati- a Roma-Samp:

La Sampdoria attacca e attacca. La bambina, malgrado il volume della telecronaca a palla e il nostro tifo da ultras, si addormenta placida in braccio al papà, e allora la mamma mormora: “Diego, la bambina dorme. Dammela, la metto a letto…”.

Serissimo, Diego Milito, il padre più sollecito e amorevole che ci sia, un uomo serio e intelligente, un cattolico praticante, stringe al petto la figlioletta dicendo: “Neanche per sogno, Sofi. Appena l’ho presa in braccio la partita è cambiata. La pupa sta qui, in braccio al papà”.

J. Zanetti, Giocare da Uomo, Strade Blu Mondadori, 2013

Non serve che vi dica com’è finita quella partita.

Chiaro quindi: io non ho mai avuto dubbi sulla mia stabilità mentale, figuriamoci dopo aver letto che anche il Principe Milito la pensa come me.

Finita la parte aneddotica, il passaggio dal Mancio a Mourinho fa continuare la crescita, che per carità, passa anche da qualche scelta toppata: Amantino Mancini e Trivela Quaresma sono lì a dimostrarlo, ma perfino questi errori andrebbero visti sotto la giusta luce.

Ai tanti che si riempiono la bocca col “Mourinho grande motivatore e comunicatore” e basta, farei vedere in ginocchio sui ceci la varietà di moduli utilizzati da José in due anni. L’uomo con l’ego più smisurato che c’è arriva convinto di usare il 4-3-3, con i due succitati ai lati di Ibra. Quando capisce che non è cosa, si adegua e cambia. Coi giocatori che ho come posso farli giocare? Rombo di centrocampo e due punte. Ah! Come giocava il Mancio! E ‘sti cazzi? Vinco il campionato in carrozza, pure senza dover giocare l’ultima di campionato.

Certo, serve un altro passaggio per arrivare alla perfezione. Ed ecco l’estate del 2009, il colpo da maestro Ibra/Eto’o più una paccata di milioni, Milito e Motta, Cavallo pazzo Lucio e Sneijder giusto in tempo per le 4 pere nel Derby, fino alla conclusione trionfale che tutti conosciamo, vecchia giusto di 10 anni.

Ecco: in tutte le celebrazioni che, grazie a Dio, stanno facendo, io al solito faccio la parte del rancoroso petulante. Occhio, quell’Inter non è “solo” la notte leggendaria di Madrid, quello è un “cazzo” di ciclo di quattro anni, che avrà una bonus track nella stagione successiva.

Ma, esattamente come per il bel giuoco o per il regista, ciclo è un’altra di quelle parole che per la stampa italiana non è applicabile all’universo interista. Noi siamo sempre quelli estemporanei, da una botta e via, ma questo ormai ve l’ho “imparato”!

Quindi: viva l’Inter viva il Triplete, viva quelle stagioni.

Ora, ognuno di noi immagino ricordi dove si trovava in quel Maggio 2010, io sempre in prima fila divanata nel salotto di casa, col rampollo semicosciente (aveva 2 anni, gridava quando gridavo io ma non ricorda nulla…). Per la finale di Champions mi ero scientemente dotato della compagnia di un amico infermiere di cardiochirurgia, all’insegna del “una cazzo di tracheotomia con la penna BIC me la saprà fare!”. La Giò rigorosamente fuori, computer e balcone, che a Maggio va ancora bene. Il problema, povera, è che si è fatta tutta la stagione così.

Ognuno poi si costruisce i ricordi secondo i propri comodi, o forse inconsciamente si va di memoria selettiva.

Ricordo la rabbia quasi maggiore alla gioia dopo la vittoria in Coppa Italia, con quell’orrenda caccia all’uomo che è stata Roma Inter, ennesima dimostrazione del fatto che l’Inter fosse sola contro tutti. Tutta la stampa a tifare Roma. Totti, Perrotta, Mexes, Taddei, Burdisso tutti da cacciare nel giro di mezz’ora, tutti liberi di menare come fabbri ferrai sotto gli occhi bonari di Rizzoli.

Lo Scudetto aveva portato con sé lo stesso sapore, forse perché lo stesso Siena era una sorta di succursale giallorossa, con Curci e Rosi in campo, Sella come vice di Malesani e lo stesso presidente che si chiamava Mezzaroma.

Ho rivisto una sintesi della partita l’altro giorno, fingendo di inciamparci per caso, e i miei ricordi al solito funzionano alla grande, quando si parla di Inter.

Compagnoni a fine partita fa passare meno di 10 secondi prima di aggiungere “L’Inter ha avuto la meglio su un avversario fortissimo: la Roma di Claudio Ranieri!

La notte di Madrid invece, aldilà dell’emozione inevitabile, è passata relativamente liscia -se mi passate il termine-. Come tanti altri interisti, vivevo una strana sensazione di ottimismo, proprio io che ho temuto di uscire contro i coreani al Mondiale per Club del Dicembre 2010.

Si è completato quel parallelo che avevo iniziato a intravedere già nella fase a gironi: la nostra Champions 2010 come l’Italia del Mundial 1982. Un girone complicato, che sfanghiamo non senza fatica.

Subito un ostacolo mica da ridere: il Chelsea per l’Inter, l’Argentina per l’Italia. E in entrambi i casi, con le partite forse migliori di tutto il torneo. Tanti ricordano comprensibilmente la tripletta di Rossi contro il Brasile o la doppia sfida con il Barcellona, ma personalmente il controllo totale del gioco che ho visto a Stamford Bridge non l’ho più visto: 4 volte l’uomo davanti al portiere in meno di un’ora di gioco. Segna Eto’o e partita incartata, loro inebetiti davanti al nostro dominio.

Brasile e Barcellona sono i picchi spettacolari dei due tornei, con Polonia e Spartak Mosca tappe intermedie prima della finale contro i tedeschi, in entrambi i casi quasi una formalità prima di alzare la Coppa.

Forse è la distanza temporale a farmi fare questi romantici paragoni tra tornei diversi, forse sto solo invecchiando… Spero solo di non dover aspettare così tanto prima di rivedere qualcosa di simile!

Ora sono curioso di sapere dove eravate voi dieci anni fa, dove e con chi avete visto le “finali” di quell’anno, come avete vissuto tutto il Lustro d’Oro. Un paio di impavidi si sono già confessati, tra generatori che finiscono la benzina spegnendo la TV e blasfemie pronunciate di fronte all’alta diplomazia internazionale.

VOGLIO MORIRE ADESSO (CIT.)

INTER-MILAN 1-0

Immaginate di leggere queste quattro righe in un perdurante stato di semicoscienza, ma con parametri vitali ancora incoraggianti (evidentemente gli auspici del titolo tardano a fare effetto!).

Ebbene, mi vedreste con il sorriso ebete dei giorni belli, con i cugini giustamente battuti e gustosamente puniti all’ultimo minuto, con papera di Donnarumma, con sentenza di Icardi, con Spalletti spumeggiante e incazzoso in conferenza stampa.

Tutto molto bello, avrebbe detto il buon Bruno.

I nostri devono rinunciare presto a Nainggolan, che riesce nell’incredibile esercizio di commettere fallo per evitare di subirlo, riuscendo nel contempo a infortunarsi e a dover abbandonare il campo dieci minuti dopo.

Dentro Borja Valero, meno gamba, più cabeza.

Per il resto, Vrsaljko e non D’Ambrosio, Vecino e non Gagliardini, Politano e non Candreva: Inter in campo con un solo italiano (who gives a fuckin’ fuck!?) e -o ma, scegliete voi la congiunzione- a menare le danze per la quasi totalità dei 90′ giocati.

Il primo tempo vede, in ordine sparso, un gol annullato a Icardi per capocciata malandrina di Vecino a spizzare lo spiovente, un palo di De Vrij sugli sviluppi di un corner, un bel colpo di testa di Perisic deviato dal loro purté, un tiro-cross di Vrsaljko su cui Icardi in allungo arriva un decimo in ritardo, un assist al bacio di Borja sempre per Icardi contrato da Romagnoli e un sinistro di Vecino che spara alle stelle un rigore in movimento dopo sapiente assist rasoterra di Perisic.

A tutto ciò il Milan, col proverbiale culo che li accompagna da lustri, trova anche la zampata di Musacchio sul (primo?) corner battuto da Suso: per fortuna, anche in questo caso la bandierina sale senza nemmeno bisogno del VAR.

Visto che l’Inter è quella muscolare e il Milan quello del bel giUoco, i cugini picchiano come fabbri ferrai. Ajeje e Beavis a fine primo tempo hanno le cosce martoriate dalle “vecchiette” degli avversari e, in altro contesto, sarebbero probabilmente sostituiti nell’intervallo.

Lucianino invece, avendo come detto già dovuto rinunciare al Ninja, dice “m’importa sega” e lascia in campo entrambi incerottati; si ricomincia.

Meno occasioni rispetto al primo tempo, con Politano a sparacchiare largo un destro al volo, e Vecino a cercare Icardi anzichè provare il sinistro sul palo lungo. Oltre a ciò continua la serata complicata di Asamoah, che se da un lato annulla Suso, dall’altro si esclude dalle sovrapposizioni con Perisic e dalle combinazioni centrali con Brozo e Vecino.

Ma soprattutto, perdiamo più di un paio di palloni velenosi in ripartenza, dando a quelli là l’occasione di pescare il jolly sotto forma di uno-tiro-uno-gol.

Se non altro, la Dea Eupalla stasera non ci volta le spalle e lascia i cugini a inciapmare nelle primule, con Higuain lasciato solo al suo destino (lui, quello che aiuta la squadra, quello che partecipa alla manovra…) e anche Cutrone a galleggiare inoffensivo sulla fascia.

Meno male, perchè l’insopportabile ragazzino è tanto simpatico quanto pericoloso, degna radice quadrata di Pippo Inzaghi: cintura marrone (non ancora nera) di palla strumpallazza e rischio di gollonzo a livelli altissimi.

E’ vero, come dice Marchegiani, che negli ultimi minuti entrambe le squadre paiono accontentarsi del pareggio, ma Gattuso risveglia le mie speranze con l’ultimo cambio. Non solo esce Calabria, diligente a limitare Perisic per buona parte del match, ma al suo posto entra la sentenza Abate, ‘Gnazio per gli amici.

Apprendo di aver fatto la stessa battuta di Scarpini (adesso entra Milito e segniamo), ma non stiamo a quisquiliare su diritti di primigenitura.

Dopo nemmeno due minuti dal suo ingresso Candreva rovescia e fa proseguire Vecino in posizione di ala destra. Romagnoli gli si mette davanti ma più per senso del dovere che altro, e il cross a voragine esce come un arcobaleno dal destro dell’uruguagio.

Siamo al meta humour: Donnarumma fa capire a tutti cosa vuol dire “non capirci un cazzo”, roba che nemmeno Handanovic nelle uscite peggiori,  si fa la finta da solo uscendo ma non troppo, per poi rientrare ma non del tutto.

Icardi, quello che sta fermo e viene colpito dalla palla, quello che non fa i movimenti giusti, quello indegno di portare la fascia di Capitano, scherza bellamente il connazionale Musacchio facendo la mossa del biscione scivolandogli dietro le spalle e inchiappettandolo a porta vuota.

Da far vedere in loop nelle scuole calcio, altro che balle…

Il tutto -ovviamente- sotto lo sguardo rassicurante di Abate, entrato giusto in tempo.

La goduria pare senza limiti, ma c’è di meglio.

LE ALTRE

La Juve perde i primi due punti del suo campionato dopo il pari casalingo contro il Genoa. Magra soddisfazione, visto che la distanza dagli altri rimane considerevole, ma quanto meno non è più siderale.

Il Napoli non si fa sorprendere e regola l’Udinese per 3-0, portandosi a -4 dai gobbi. Altrettanto fa la Lazio, che nel finale passa a Parma. Tutto il contrario della Roma, sconfitta in casa dalla Spal e tornata a perdere punti con un’altra piccola.

I cugini, chettelodicoaffà, stazionano saldamente nella colonna di destra, pur avendo ancora una partita da recuperare.

E’ COMPLOTTO

Inizio con il ribadire il mio personalissimo voto per Esteban Matìas “Cuchu” Cambiasso a ruolo di capo del mondo.

Ogni volta che parla dice verità inconfutabili. Ieri sera mi ha fatto alzare in piedi sulla poltrona ed applaudire mentre gli altri lo guardavano quasi increduli.

Il Milan ha capito di essere inferiore; anche a livello di storia societaria, i nerazzurri sono più avanti“.

E gli altri, quasi scandalizzati: ma tu pensi che il Milan si senta inferiore?

Oh cicci, sono i numeri a parlare, e mica da quest’anno. Poche balle (questo lo dico io, ma lo pensa anche il Cuchu, che però è troppo nobile di spirito per scadere nel triviale).

Avendo capito che giocarsela alla pari sarebbe stato un suicidio, i Ringhio boys hanno ripiegato sul caro e vecchio catenaccio, sperando di portare a casa il punticino.

Ma tutto ciò non si applica all’ex Club più titolato al mondo (a dire minchiate…): loro, dài che ormai l’avete capito, #propongonogiuoco.

Oltre alla vomitevole e già richiamata litanìa dell’Inter cinica e fisica contrapposta al Milan di squisiti orchestrali, e sbugiardata con 90′ minuti di comportamenti concludenti, raggiungo il successivo livello di estasi con la prima domanda fatta da Alciato a Spalletti, e soprattutto con la seconda risposta di Spalletti al pinocchietto di turno.

“Ha vinto la squadra che ci ha provato di più?”

Ha vinto la squadra che se l’è meritato, che ha giocato meglio… Se eri di quelli che diceva che giocava meglio i’ Milan… ora va detta in un’altra maniera“.

Ripeto qui quanto detto nel lontano Novembre 2012 dopo la prima vittoria allo Juventus Stadium, allorquando Marotta parlò di un’Inter “spensierata” volendo in realtà dire “spregiudicata”.

La polemica, allora di Stramaccioni, ieri di Spalletti, è forzata, e lo riconosco. Arrivo addirittura ad ammettere che il biondino di Sky per una volta non volesse nemmeno sminuire la vittoria dei nostri, ma sono talmente tante le volte in cui si è subìto mediaticamente senza controbattere, che ho esultato quasi come al gol di Maurito.

Mi dispiace unire al mazzo dei luogocomunisti anche Luigi Garlando, eroe letterario del rampollo di famiglia grazie all’interminabile collana “Gol“, ma anche un pezzo come questo fa capire quanto fallace e tentatrice sia la strada che obnubila le sinapsi e fa gracchiare insieme agli altri in un coro stonato e calante.

Posto che a me, del giocar bene, interessa il giusto (per millemila motivi che ormai dovreste conoscere), la partita di ieri ha fatto capire che il Milan, tolti Biglia, Suso, il turco e Higuain, di piedi buoni non ne ha, punto e basta. Dipende dall’estro dello spagnolo come e più di quanto i nostri dipendono da Icardi, ma lì -Cristo solo sa perchè- non si può dire. Ieri è bastato che Asamoah facesse il mediano di fascia sul succitato Suso perchè Higuain girasse come un bimbo sperso ai giardinetti, con Bonaventura incapace perfino di simulare falli subìti e Biglia bravo solo a randellare chiunque passasse dalle sue parti. Taccio per umana decenza sulla difesa.

I nostri avevano un centrocampo con Vecino (vedi il cross e taci), Brozo, Borja dopo Ninja, con Politano, Perisic e Icardi. Dietro Skriniar e De Vrij sono la coppia più bella del mondo (e manco mi dispiace per gli altri). Però ci basiamo sugli spunti dei singoli, però siamo cinici, però la manovra è asfittica.

La verità è che vi rode il culo.

E io godo.

Quasi così.

 

CRIBIO

Solo un aggiornamento sulla squadra di giUovani italiani coi capelli corti, senza barba nè tatuaggi.

Quell’erotomane, pluricondannato, disastro politico-mediatico italiano del neo Presidente, insieme al fido Geometra, ha preso la squadra brillantemente issata in cima alla classifica del proprio girone a punteggio pieno, e nelle prime cinque partite ha conquistato la bellezza di due punti (leggasi: 2 pari e 3 sconfitte).

Gustosissimo il 3-0 rimediato a Vicenza con due gol di tal Giacomelli (un gol per ogni dozzina di tatuaggi, impresentabile splendido tamarro barbuto!) e un terzo segnato dall’extracomunitario Rachid Arma.

La sconfitta interna di ieri col Teramo, sotto gli occhi, tra gli altri, anche di Fabio Capello, pare essere costata la panchina al Mister brianzolo, prontamente sostituito da un fedelissimo di casa Milan, quel Brocchi che pure a eleganza non è il massimo della vita.

E adesso come la mettiamo?

Calcio: Serie A; Inter Milan-AC Milan

Purtroppo non ne ho trovata una con Abate…

REBUS

BAGATELLE POLITICHE

So che l’attesa era palpabile e non ci dormivate la notte, così ho deciso di scrivere quel che penso di Sacchi e delle sue recenti dichiarazioni.

Scrivere spero possa chiarire anche a me come la penso, aldilà dell’idiosincrasia che ho sempre nutrito nei confronti di questo soggetto.

Se devo partire da un’analisi limitata alle sue esternazioni, mi trovo in gran parte d’accordo con Tommaso Pellizzari quando dice:

“se si ricoprono certi ruoli (o se si è comunque una persona di rilevanza pubblica) non è necessario essere razzisti per essere considerati inadatti. Basta esserlo sembrato, anche solo per un secondo. Il problema italiano è che questo concetto è diventato basilare all’estero, mentre da noi ha perso rilevanza per un malinteso senso di che cosa sia il politicamente corretto. Da noi è diventato sinonimo di buonismo ipocrita, mentre all’estero (ovviamente, là dove non si esagera) è il criterio adottato per assicurare rispetto a tutte le categorie sociali: con quel tanto, certo, di formalismo di facciata che l’essere personaggio pubblico richiede. E che è uno dei fondamenti della civiltà”.

Occorre secondo me mettersi d’accordo su cosa si intenda oggi per razzismo.

Nei decenni passati quel termine è stato utilizzato unicamente per bollare qualunque (s)ragionamento si ispirasse a questioni di superiorità della razza e idiozie simili.

Queste stronzate purtroppo non sono ancora scomparse, ma onestà impone di poterne certificare la sensibile diminuzione nel mondo di oggi.

Lo svilupparsi di una società multietnica ha senz’altro avuto un benefico effetto nell’aprire gli occhi a molti di quelli che evidentemente pensavano che persone con un colore della pelle diverso dal nostro vivessero sugli alberi o si nutrissero di bacche e cespugli.

Chiaro, un Calderoli al mondo lo troverai sempre e in ogni quartiere, a riprova che la deficienza (intesa proprio come mancanza, in questo caso di neuroni) abita anche a pochi isolati da noi.

In questo nuovo scenario globbbale si sono però fatti strada due diversi ragionamenti, che hanno al loro interno innegabili elementi di razzismo:

Il primo è quello sintetizzabile con l’ignoranza o la paura del diverso, ed è quello in cui personalmente faccio ricadere le elucubrazioni di Sacchi, ultimo iscritto all’affollatissimo club del “io non sono razzista, però“.

Onestamente, non ce lo vedo Sacchi coi baffetti arringare la folla propugnando la superiorità della razza ariana. Ciò premesso, è innegabile che il riferimento costante (chè il ragazzo mica ha iniziato ieri, vedi infra) ai troppi giocatori di colore, ai tanti stanieri che fin dal calcio giovanile rubano il posto ai nostri giovani virgulti, fino alla vergogna di essere italiano per i suddetti motivi, qualcosa senz’altro dicono.

Vogliamo chiamarlo protezionismo, nazionalismo, miopìa storica? You name it

Faccio presente che l’uscita è stata stroncata pressocchè unanimemente al di fuori dei patrii confini, a prescindere dalla credibilità del censore di turno.

Torno a citare Pellizzari:

Ci sono ruoli (e persone che li ricoprono) ai quali non è consentita la distinzione fondamentale fra essere e apparire qualcosa. Ad Arrigo Sacchi è capitata la stessa cosa successa al presidente della Federcalcio Tavecchio con la celebre frase su Optì Poba: non c’è dubbio che Tavecchio non sia razzista, ma la sua frase l’ha fatto sembrare tale. E questo conta. Il guaio è che in Italia sembra contare meno che nei Paesi ai quali ci piace credere di assomigliare, come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti: dove infatti le frasi di Tavecchio e Sacchi hanno scatenato un putiferio.

 Se poi guardo alle persone, ai colleghi o alle testate che hanno voluto difenderlo, e soprattutto al come ciò sia stato fatto, ho ancor meno dubbi a capire da che parte stare.

No, davvero: Bargiggia ce l’ha coi negretti perchè han ciulato il posto in squadra al figlio??

No, davvero: Ancelotti che mette una toppa che è peggio del buco, citando il capoccione per difendere il suo ex allenatore??

Buona parte dei difensori di Sacchi sono -guarda caso- legati al mondo rossonero e/o berlusconiano (chè Carletto è simpatico a tutti ma me la ricordo l’intervista in cui magnificava al figlio bambino le qualità di “quel signore lì alla tele“).

Buona parte dei difensori di Sacchi, insomma, la pensa come lui e non vede il problema, chè alla fine ragioniamo tutti per luoghi comuni, vecchi stereotipi (per fortuna passati) e poi in fin dei conti non volevamo mica offendere nessuno.

Ecco quindi il secondo ragionamento, forse nato in reazione del primo: i detrattori lo bollano come buonismo o come eccesso di politically correct, io invece lo ritengo sintomo di intelligenza, di saper vivere, se mi si passa la definizione.

Chiamiamolo senso di opportunità.

Ovvio che non possiamo crocifiggere un semplice cittadino che fa queste uscite, se il suo amatissimo ex-ex-ex-Presidente del Consiglio pestava merde diplomatiche simili...

Non si capisce, non si vuole capire quanto siano delicate ed importanti certe tematiche.

Qui siamo invece al “ma che cazzo vogliono? mica li ha chiamati “negri“! Che poi… non è mica colpa sua se sono neri, quindi di cosa stiamo parlando??“.

Un Bar Sport. Mal frequentato. Con tutto il rispetto per i tanti Bar Sport.

E ADESSO PARLIAMO DI COSE SERIE

Chè alla fine, tutto ‘sto delirio farneticante serve solo come preambolo per la vera ragione del mio astio verso l’Arrighe nazionale.

Ieri sera, per la prima volta, ho sentito fare la domanda che attendevo dal 1987: complice l’esternazione di cui si è detto e la concomitante ricorrenza del compleanno di Baggio Roberto, emblema del geniale fantasista poco inquadrabile negli schemi da lavagnetta e quindi incompatibile col sacchismo, le mie orecchie hanno sentito ergersi soave il dilemma:

Ma Arrigo Sacchi ha fatto bene o male al calcio?

Chi mi conosce sa come la penso. Sintetizzando in due righe: con quel popò di squadrone ha vinto poco (1 solo scudetto, 2 Coppe Campioni ai tempi dell’embargo inglese, con la nebbia di Belgrado e incontrando Steaua Bucarest e Benfica in finale. Taccio sull’Intercontinentale vinta al 458′ con autogol su punizia di ChiccoBubuEvani).

Ovunque sia andato, da lì in poi, ha raccolto briciole, Mondiale USA ’94 compreso.

Ma non è questo il punto. Sono un nerazzurro rancoroso e il mio è un fiero parere fazioso.

Il problema è che quest’uomo da vent’anni continua a citare il “suo” Milan quale unica pietra angolare e solo termine di paragone possibile per qualsivoglia squadra di pallone del globo terracqueo.

Episodicamente, e con malcelata falsa modestia, fa entrare nel suo cerchio magico l’Ajax di Cruyff e il Barcelona di Guardiola. Bontà sua.

Da più di vent’anni lui e i suoi sodali sparano minchiate sull’imprescindibilità del vivaio, sull’assoluta necessità di avere una base autoctona per vincere, addirittura sul fatto che tanti giocatori debbano venire dal bacino della città della squadra (sei di Cinisello? Eh eh eh… non vai bene!). Tutto meravigliosamente smentito dai fatti, nel senso che si può tranquillamente vincere anche in maniera diversa.

Oltretutto, qualcuno dovrebbe far presente a questi qui che tra quei tempi e i nostri ci sono ormai quasi trent’anni. Trent’anni nei quali il mondo, che piaccia o no, è cambiato.

E se non sono capaci, o se si ritengono così intelligenti da non dover perdere tempo per capire davvero come funziona il settore giovanile meglio gestito in Italia, è grave.

Non tanto per loro. Di loro chissefrega.

E’ grave, come al solito, che nessuno glielo faccia presente. Di più: li si difende, moltinemicimoltoonore.

Come scrissi nella nota con cui nel 2001 restituivo al mittente lo sgradito omaggio “Silvio Berlusconi: una storia italiana“:

il problema non sei tu: il problema è chi ci crede!

Vecchio ma sempre valido

Vecchio ma sempre valido

DUBBI E CERTEZZE

Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze.

Norberto Bobbio, Politica e cultura, 1955

Per essere l’inizio di un post che parla del ritiro di un calciatore, ammetto di averla presa larga…

Crescendo, inevitabilmente, le certezze manichee che hanno accompagnato la tua giovane età si fanno più sfumate, e sempre più spesso ti sorprendi a coltivare dei dubbi, addirittura a contemplare le ragioni degli altri (ovviamente quando ci sono…).

Personalmente, sono sempre meno le occasioni nelle quali mi sento in pieno nel posto giusto, totalmente dalla parte della ragione, in qualche modo oggettivamente inattaccabile.

Ho ancora questa sensazione ogniqualvolta ascolto Springsteen dal vivo. Del resto, come ben sappiamo:

Al mondo esistono due tipi di persone:

quelli che amano Bruce Springsteen e

quelli che non l’hanno mai visto dal vivo!

E quando lo vedi, lo senti dal vivo (senti proprio inteso come to feel), quando urli il ritornello di Badlands o Born to Run, capisci che –cazzo– c’ha ragione, e tu sei lì a urlare al mondo la tua ragione per quelle tre ore.

bruce

Ho la stessa sensazione ad ogni manifestazione del 25 Aprile, quando penso che certi valori sono -o dovrebbero essere- patrimonio comune di tutti noi. E questo nonostante le inevitabili e talvolta salutari differenze che ci sono tra le persone (suonatori di bonghi fuori tempo: che il Dio del ritmo vi punisca!).

art11

Infine -inevitabile, audace e solo all’apparenza esagerata- ecco la terza immagine: il Capitano prende palla, abbassa la capoccia e corre per 50 metri con gli avversari che gli si appendono alle braghe prima di essere scrollati via.

zanetti javier in azione

Zanetti che corre palla al piede è stato il salvagente cui aggrapparsi nei lunghi anni bui (suoi e nostri), è stato il purosangue che vedi galoppare davanti a tutti e vincere nel periodo aureo, è stata la coerenza, l’onestà e l’orgoglio (“tantissimo orgoglio” cit.) esibiti sempre a petto in fuori ma mai con vanità.

Ho iniziato a pensare a questo momento grosso modo dieci anni fa, con tutt’altro stato d’animo: l’Inter arrivava dalla fine dello sfortunato ciclo di Cuper, aveva ingaggiato Zaccheroni e il ciuffo parabolico del Mancio non si stagliava ancora all’orizzonte; in quel contesto -che definire tristanzuolo è poco- ho pensato che quella di Zanetti sarebbe stata una carriera ricordata per le qualità morali e professionali della persona, ma non certo per le sue vittorie.

Anzi, più volte ho rivolto a lui le stesse critiche rivolte al suo e nostro Presidente: troppo buoni, diobono… incazzatevi ogni tanto! E per quanto avessi già avuto ripetute prove dell’apparente “bionicità” del Capitano, mi aspettavo ancora un paio d’anni “a tutta” e poi il lento declino intorno, com’è normale per le persone -appunto- normali.

Il passare delle stagioni, ed il sospirato arrivo delle vittorie, hanno invece creato un apparente paradosso: Zanna è in sostanza diventato “troppo vecchio per invecchiare”. Ha passato indenne la fase del triste e inevitabile declino cui ogni giocatore va incontro; ha continuato a giocare come se nulla fosse.

Come il calabrone che vola ignaro della fisica che gli dice che è troppo pesante per farlo, Zanetti stava invecchiando a sua insaputa, quindi continuava a correre.

Si può dire che solo la rottura del tendine di Achille della scorsa Primavera abbia fatto virare verso il basso una parabola tendente a infinito.

Questa è stata la stagione dell’ennesima e forse più difficile vittoria personale (tornare a giocare dopo nemmeno 7 mesi da quell’elastico che si strappa e sembra farti scappare il polpaccio verso l’alto). Ma è stata soprattutto la stagione della consapevolezza, in un certo senso della serenità: le partite passavano, il campo lo vedevi poco, ma dentro di te cresceva la sensazione di compiutezza, di aver fatto il tuo lavoro fino in fondo.

E’ questo, forse, che la gente ti riconoscerà per sempre: di essere una persona perbene, di aver sempre fatto il suo dovere, di averlo fatto bene.

Ciò che ti rende straordinario, in questa apparente “normalità”, è il fatto che queste qualità, nel mondo odierno, sono di solito un “contentino” riservato ai perdenti simpatici.

Tu, invece, proprio grazie a queste qualità, hai vinto.

Tanto.

Tutto, o quasi.

Tu sei e per sempre sarai Il Capitano.

Grazie, è stato un onore.

Semplicemente: GRAZIE

Semplicemente: GRAZIE

QUESTO NON E’ UN POST SU THOHIR

magritte

Non sono la versione bloghettara e sotto radice cubica di Magritte e la sua pipa.

Semplicemente, quel che avevo da dire sull’ormai effettivo takeover tra il Signor Massimo e il PSY de noantri l’ho già scritto qui:  https://complottonerazzurro.wordpress.com/2013/10/19/hello-goodbye/ . Mi limito a plaudere alle sue prime apparizioni sui mass media italiani, a cominciare dalle prime parole ufficiali rilasciate non più “davanti agli uffici della Saras con la consueta disponibilità” , bensì alla TV ufficiale dell’Inter. Eccheccazzo!

L’argomento su cui volevo solleticare il mio autismo a strisce verticali e confrontarmi con eventuali opinioni dei miei 25 lettori è in realtà un gioco trito e ritrito, forse per questo per me irresistibile.

Gioco: disegna la tua formazione dell’Inter preferita.

Regole:

1) La scelta è necessariamente limitata all’Inter vista giocare con i miei occhi, quindi diciamo dagli anni ’80 in avanti. Per capirsi, i miei primi idoli sono stati Altobelli e Beccalossi, seguiti pochi anni dopo da Rummenigge. A scanso di equivoci, nessuno dei tre troverà posto nelle gerarchie che andranno a delinearsi.

2) Ogni ruolo deve avere due effettivi, in modo da limitare le scelte deicide e strappacuore.

3) Almeno uno degli effettivi dev’essere fatto secondo il personale giudizio tènnico, mentre almeno un altro deve rispondere al (talvolta diverso) requisito dell’interprete più amato nel ruolo.

Il combinato disposto dei punti 2) e 3) dovrebbe così portare a delineare due formazioni: quella coi controcazzi (per brevità “tènnica“) e quella poetica, per alcuni all’insegna del “c’ha i piedi fucilati, ma ci mette sempre l’impegno” (per brevità “diquore“).

4) Siccome però sono un rancoroso e severissimo censore di ogni comportamento nerazzurro, compilerò anche una formazione dei più pessimamente peggiorissimi, (per brevità Nightmare Team) inserendo sia quelli oggettivamente scarsi (Jeremie Brechet, per dire…) sia che promettevano faville e invece si sono rivelati -almeno nella parentesi interista- pacchi clamorosi (il Vampeta di turno).

Sul punto 4), debbo i giusti crediti all’accolita di amici rossonerazzurri in compagnia dei quali, in our early twenties, abbiamo sollazzato le rispettive consorti passando lunghi sabati sera a discutere se Pancev avesse più diritto di Blissett ad avere un posto da titolare in una versione pan-Meneghina del succitato Nightmare Team: Sanga, Marco PN, Tafazzi, I’m talking about you!

Post scriptum prima di iniziare: So già -ed è drammatico- che la scelta maggiore ce l’avrò tra gli aspiranti Chiavic Johnson.

Del resto, Piraccini ed i fratelli Paganin popolano ancora i miei peggiori incubi…

Here we go!

PORTIERE

Imbarazzo della scelta: l’Inter ha una grande tradizione di numeri 1, quindi più o meno ‘ndo caschi caschi bbène.

Scelta tènnica: Julio Cesar

Scelta diquore: Walter Zenga

Nightmare Team: Sebastien Frey. Era giovane, sbarellò anche lui nella pessima annata-Tardelli (un mammifero col pollice opponibile avrebbe limitato i danni anche nel mefistofelico derby finito con risultato tennistico…).

DIFESA A QUATTRO

Buoni difensori ne abbiamo sempre avuti. Non così spesso li abbiamo avuti tutti insieme.

Scelta tènnica: Maicon – Blanc – Samuel – Brehme

Scelta diquore: Bergomi – Cordoba – Materazzi – Brehme  (Lo so che Brehme c’è due volte, ma lui è Iddio e tutto può. E soprattutto, il ruolo di terzino sinistro è quello storicamente meno baciato dal talento in casa Inter)

Nightmare Team: Brechet- Sorondo – Cirillo – Gresko

CENTROCAMPO DICIAMO A ROMBO

E’ il modulo più comodo per i campioni che ho in mente, ma ha poca importanza, essendo questo solo un giUoco. Aldilà del modulo, credo che la mediana sia il reparto in cui l’Inter storicamente è stata più avara di campioni.

Scelta tènnica: Cambiasso – Zanetti – Matthaeus – Baggio

Scelta di quore: Ince – Simeone – Berti – Stankovic

Nightmare Team: Dell’Anno, Vampeta, Scifo, Conceiçao

ATTACCO A VORAGINE

Scelta più che ampia e altissimo rischio di ballottaggi strappacuore: va beh, ci proviamo…

Scelta tènnica: Ronaldo – Ibrahimovic

Scelta di quore: Milito – Zamorano

Nightmare Team: PancevCaio

MISTER ILLUMINATO

Scelta tènnica: Mourinho, Mancini

Scelta diquore: Simoni, Bagnoli

Nightmare Team: Lippi, Tardelli

PANCHINA (PIU’ DIQUORE CHE TENNICA)

Pagliuca

Ferri, BeppeBaresi

Bianchi, Di Biagio, Matteoli

Crespo, Cruz, Eto’o

FUORI CONCORSO CON POLEMICA MOTIVAZIONE:

cannavaroCannavaro: vero “71” secondo la smorfia napoletana (ommemmè…): rendimento nemmeno pessimo, diciamo da 6, ma prova vivente del sistema Moggi. E poi ride sempre. Esecrando.

pirloPirlo: non ne piansi la dipartita se non per la moneta di scambio (Guglielminpietro). Ottimo giocatore da Mazzone in poi, e cioè messo davanti alla difesa. La stori(ell)a dice che fu Ancelotti, o addirittura lui stesso, a proporre il nuovo ruolo. E’ complotto! E’ stato er sor Magara, visto che a giocare da numero 10 al Brescia c’era un certo Baggio: “Ah regazzì, viecquà: tu te metti 30 metri indietro a lanci lungo, chè davanti ce sta Robbè“. Lisergico.

bergkampBergkamp: All’Inter un disastro, rinfacciato negli anni da tutti i media. Ma anche Davids e Kluivert hanno toppato al Milan trionfando poi con altre maglie, per non parlare di Henry con la Juve.  Classe immensa per il tulipano biondo. Certo, per la grinta si prega di ripassare… Efebico.

roberto carlosRoberto Carlos: Dopo le prime 4 partite da urlo ho iniziato ad odiarlo, visto che il suo unico schema era prendi palla e tira in porta. Ho sempre considerato i 10 anni di vittorie al Real Madrid come la classica parentesi fortunata in una carriera sopravvalutata (vi lascio pensare che io stia scherzando). Uggeggé.

Fine della sbrodola.

Riepilogando, quindi:

SQUADRA TENNICA

tennica

SQUADRA DIQUORE

diquore

NIGHTMARE TEAM

nightmare

FAVOLETTA DELLA SERA: LA MALEDIZIONE DEL PRIMO ANELLO ARANCIO

Per i non addetti, è una delle tribune laterali di San Siro, la prima ad aver introdotto il biglietto ridotto per gli over 65. Nei primi anni ’90 Bergomi e Fontolan tiravano a sorte per giocare il primo tempo “dall’altra parte”, in modo da non subire gli insulti della vecchianza avvizzita e incattivita.

Forse è quello che da noi ha portato il ruolo di terzino sinistro a bruciare una dozzina di giocatori in un ventennio scarso, con rarissime eccezioni di decenza (dopo Brehme direi solo Chivu e Nagatiello).

In ordine sparso: Tramezzani, De Agostini, Roberto Carlos, Pistone, Centofanti, Tarantino, Milanese, Silvestre (quello che poi al Manchester Utd ha vinto tutto, da noi sembrava il fratello scarso di Aristoteles), Georgatos (non era male, ma era l’unico greco al mondo a soffrire di saudade), Gresko (te possino…), Brechet, Guly, Maxwell (a.k.a. il peluche di Ibrahimovic), fino all’odierno Alvaro Pereira.

E senz’altro dimentico qualcuno…

Ok. Attendo commenti, liste di proscrizione, petizioni per beatificazioni immediate. A scelta nell’ordine.

SAN GIUANN FA MINGA INGANN

JUVENTUS-INTER 1-3

La goduria non ha limiti, e il rancore nei confronti di quelli che sono universalmente considerati “i cattivi” fa assumere a questa vittoria quasi una valenza di giustizia sovrannaturale, ancor più corroborata dal solito paio di sviste avbitvali (cit. ovina, vendemmia ’98 ma sempre valida).

Contro tutto e contro tutti, as usual.  Il ricordo non può non andare a quello splendido derby vinto 2-0 e finito in 9, quando solo un’Inter molto più forte degli avversari (allora i cugini, ieri i gobbi, in entrambi i casi la ghènga arbitrale) riuscì a prevalere uscendo dal campo con i tre punti ed il petto gonfio d’orgoglio.

Strama fa il fenomeno e se la gioca con le tre punte “pure”, correndo un rischio evidentemente calcolato e schierando fin dall’inizio tutto il potenziale offensivo a disposizione. Dopo 20 secondi il patatrac  cui si è accennato. A poco vale il fatto che il mio occhio non si fosse accorto del netto fuorigioco di Vidal, preso com’ero a smadonnare per il gol subìto senza nemmeno aver toccato palla. Se n’erano invece accorti il Mister in panca, che i suoi sacramenti li indirizzava al quarto uomo, ed in campo Nagatomo e Juan Jesus, che hanno incenerito coi loro sguardi il segnalinee Preti.

Non appena appreso del cognome del figuro in questione, nelle mie orecchie ha risuonato soave la melodia di Bandiera Rossa, nel passaggio in cui si ricorda che

con le ossa di Preti morti, faremo tasti per pianoforti”.

Abbandonati gli istinti stragisti, rimanevano 89 minuti da giocare, che hanno confermato tante cose già note, buona parte delle quali verranno sviscerate nella sezione E’ COMPLOTTO.

Restando alla partita, Handanovic fa la paratona su invenzione di Pirlo e ottimo destro al volo di Marchisio, con la nostra difesa che sbaglia il fuorigioco e che in generale nella prima mezzora è alquanto pasticciona. A metacampo però teniamo il loro ritmo, e i tre davanti sono una minaccia costante; bello il destro fuori di un niente di Cassano –in generale piuttosto in ombra però- e sempre pericoloso Cambiasso nelle sue percussioni centrali –anche se farebbe meglio a servire i connazionali Milito e Palacio anziché tirare.

Ad ogni modo, l’intervallo ci sorprende tignosi e convinti, pronti a tornare “sul campo” –come amano dire quelli là- e ribaltare il risultato.

E così è.

Qualcuno –non Tagliavento, impallato da Bendtner, probabilmente Orsato- vede la trattenuta malandrina di Marchisio su Milito e probabilmente il parrucchiere di Terni pensa che un altro errore sia troppo anche per l’Inter.

Rigore quindi, e il Principe pareggia.

Il punto che –lo confesso- mi riappacificava col mondo, non avendo nemmeno mai sperato a più di un pareggio nella tana del lupo, costituisce in realtà un nuovo inizio per i nostri, che annusano la puzza di merda che alberga nelle mutande juventine.

Nagatiello e Zanna arano le fasce che è una bellezza, e Strama fa il resto togliendo Cassano per Guarin. Al quale non fregherà un cacchio, ma che suscita in me quel misto di amore e odio che nelle ultime stagioni avevo riservato a Thiago Motta. Giocatori diversissimi, i due, che però hanno l’innato istinto di fare la cosa che in quel momento non farei mai: tirare anzichè passare, fermare l’azione anziché velocizzarla, e robe del genere. Il fatto che loro giochino o abbiano giocato nell’Inter strapagati mentre io faccia fatica al calcetto dei campioni del lunedì dice molto sulle rispettive competenze calcistiche, ma  non si dice forse che l’Italia è il Paese con 60 milioni di commissari tecnici?

Eccomi, quindi, a ringhiare contro il Guaro allorquando decide di allargarsi sulla destra per la bomba a voragine invece di servire il meglio appostato Milito. Il diagonalone in effetti è insidioso, e la respinta di Buffon si trasforma in succulenta polpetta che Milito fa sua in un sol boccone: tap-in e 2-1, con conseguente ruggito animale del sottoscritto.

Se già prima la Juve ci capiva poco, da lì in poi i galeotti vanno in pappa completa, con i soli Pirlo e Quagliarella a tentare il tiro da lontano, se si eccettua un tentativo di Bendtner molto difficile dopo cazzata micidiale di Gargano, che tenta di servire Handanovic da posizione suicida. Stranamente non sento nemmeno troppo il match, felice di essere il vantaggio e di rompere gioiosamente i coglioni ai gobbi e al loro record di imbattibilità. La felicità si trasforma in euforia sul pressing di Guarin sul prossimo pallone (gonfiato) d’oro, alias Pirlo, e sulla seguente imbeccata per Nagatomo, che tiene palla per un quarto d’ora provando il tiro, resistendo alla carica del difensore e imbeccando poi Palacio a centro area per il 3-1 finale: stritolo Panchito in un abbraccio ebbro di gioia, col piccolo che ride e mi grida “te l’avevo detto!!”. Mento rispondendogli  “è vero! L’avevi detto!!” e mi godo la prima vittoria in terra gobba dai tempi di Julio Cruz.

Era l’aprile del 2005 ed ero a Freetown, cazzo che ricordi…

LE ALTRE

Non so se lo sapete ma la Juve ha perso. Vince il Milan, invece, just for a change, e riesce addirittura a segnare Pazzini. Napoli e Lazio ci danno una mano, raccogliendo un punto in due e lasciandoci quindi a un punto dalla vetta e 4 punti sulla terza. Continuo a pensare che questa squadra NON sia da scudetto, e davvero la mia non è scaramanzia. Penso però che la vittoria di ieri sia una pietra angolare di questo campionato, e che possa significare molto in termini di consapevolezza nei propri mezzi. L’Inter come sappiamo è capace di tutto, nel bene e nel male, ma penso anche a bassa voce (non si può pensare a bassa voce ma spero che la licenza poetica renda l’idea) che a volte capitano cose che sfuggono alla logica. E’ qualche settimana che ho in mente lo scudetto del Milan del ’99, vinto con una dose industriale di culo e con la connivenza determinante della rivale del tempo (‘a Lazzie). Lungi da me voler paragonare i nostri a gentaglia che tirava alla bandierina del calcio d’angolo salvo incocciare sulle terga avversarie e fare gol, ma il contesto in cui potrebbe maturare il miracolo è esattamente questo: un episodio che sfugge al buon senso pallonaro, ammesso che ne esista uno, che premia gli arditi e che è frutto della mediocrità generale, nella quale basta ergersi di un poco dalla polvere per splendere di luce propria.

E’ COMPLOTTO

I gobbi son tornati: detto del gol farlocco in avvio, il mancato rosso a Lichsteiner è la prova palese della malafede di questa gentaglia armata di fischietto o bandierine. Chè a essere in buona fede, dopo una cagata come il gol in fuorigioco convalidato, non vedi l’ora di poter azzeccare la chiamata che punisca chi prima è stato indebitamente avvantaggiato.

Invece Tagliavento, quello lodato da tutti perché arbitra in punta di regolamento, quello che non si fece problemi a cacciare fuori 2 difensori –guarda caso interisti- nei primi 40‘ della famosa partita delle manette di Mourinho ecco, quel Tagliavento lì ci pensa un po’, un altro po’, e poi non fa una mazza.  Ennesima dimostrazione di arbitro che fa il grosso coi piccoli (l’Inter non ha mai avuto né mai avrà l’appeal delle altre strisciate presso le varie istituzioni del calcio) e il piccolo coi grandi (intesi come portatori di grandi interessi, non certo come squadra di specchiata tradizione). Nel cahier de doléance io, interista malato, metto anche il gol annullato a Palacio per un fuorigioco di tre centimetri, perché mi rifiuto di credere che un occhio umano possa vedere una roba simile. Non potendolo credere, ci ritroviamo quindi nel caso, già illustrato in precedenza, del doppio giallo non dato al terzino bianconero: nel dubbio, lasciala giù quella cazzo di bandiera, cornuto! Invece no: qui chiamata ineccepibile, al limite dell’impossibile, là… chettelodicoaffà.

La vittoria dell’Inter ovviamente ha messo sotto radice quadrata la gravità degli errori in questione (sempre che di errori si tratti), ma ovviamente non ha impedito alla prostituzione intellettuale di mettere in scena il canovaccio già visto nella giornata di Juve-Catania: e cioè, non “arbitri-pro-Juve”, ma “arbitri-nel-caos”, accomunando i crimini testè menzionati a mancate ammonizioni –tutte da verificare- ai giocatori interisti nel secondo tempo.

Le mie caste orecchie hanno poi dovuto sentire abominii del tipo “il gol irregolare dopo venti secondi ha in realtà penalizzato la Juve perché ha dato ancor più rabbia all’Inter”, oppure “ha aiutato Stramaccioni che a quel punto aveva già le tre punte in campo per tentare di ribaltare il risultato”.

Forse in questo senso riesco a capire quell’illuminato tifoso bianconero che, richiesto di un commento a fine partita, è riuscito a dire “Juventus 1 Tagliavento 3”.

Da parte mia, invece, applausi a piene mani al Cuchu che dice “la storia dell’Inter è troppo importante per interessarci del record di imbattibilità della Juve. La storia l’abbiamo fatta noi un paio di anni fa”, sorrisi divertiti a Cassano che invita l’arbitro a non fare il fenomeno mentre prima del secondo tempo ignora le nostre richieste di spiegazioni, e ovazione da stadio a Strama che fa il verso ai gobbi dicendo “qui tutti dicono sul campo… beh noi li abbiamo battuti sul campo, poi possono dire quello che vogliono”.

Lo appoggio anche nella polemica –forzatella, lo riconosco- con Marotta che aveva definito “spensierata” l’Inter che arrivava a Torino per giocarsela, e volendo dire in realtà “spregiudicata”. Personalmente, vivo un tale atavico arretrato di sfanculamenti non dati ai nostri avversari che sposo sulla fiducia qualsiasi polemica che ci veda opposti alle oscure forze del male.

Per il resto, noto che Repubblica continua ad avere una redazione sportiva che senz’altro non sorride all’Inter: Fabrizio Bocca (lo chiamavano Bocca di Rosa…) fa il gioco di tanti altri mischiando mele con pere nel giudizio all’arbitro, mentre mi tengo ben lontano dai complimenti a Stramaccioni –non a caso ex giallorosso- di Alessandro Vocalelli, lupacchiotto ex direttore del Corriere dello Sport e -forse per questo?- approdato sulle colonne del quotidiano fondato da Scalfari.

Ripeto quanto detto in apertura, come sempre contro tutto e tutti: la nostra condizione naturale, nella quale riusciamo a dare il meglio. Avanti così (si spera).

WEST HAM

 Cazzutissimo pareggio a reti inviolate contro il City del Mancio e zona-Uefa comodamente presidiata nsieme a coinquilini di ben altro lignaggio (vedi alla voce Arsenal). I’m West Ham untill i die!

E' un po' come il bulldog: talmente brutto che risulta bello!

E’ un po’ come il bulldog: talmente brutto che risulta bello!

LETTERA A MIO FIGLIO SUL FIDEISMO DISILLUSO A STRISCE NEROBLU’

INTER-SIENA 0-2

Caro Pancho,

Come giustamente hai detto ieri “è stato tutto bellissimo ma abbiamo perso e siamo arrabbiati”.

Nella tua geniale ingenuità c’è l’essenza del tifare Inter. E non perché si sia già tornati ai fasti del nerazzurro perdente e simpatico, buono per le battute di Zelig da 4 soldi (“Prima de parlà ddell’Inter sciacquateve ‘abbocca!” direbbe il nostro Mister), ma perché tifare “questa squadra qui” è un allenamento alla vita.

Da papà prudente e premuroso, avevo scelto per il tuo esordio la partita che sulla carta doveva essere la più facile in assoluto: in casa contro l’ultima in classifica, e con un’Inter ancora in cerca della prima vittoria a San Siro (quindi avendo anche i grandi numeri dalla mia parte). Non è servito a nulla, perché il Siena ci ha meritatamente rifilato due fischioni con cui siamo tornati a casa a orecchie basse.

Non mi hai sentito vomitare insulti alla squadra, e non solo per ragioni di opportunità (come l’avrebbe presa mamma, sentendoti snocciolare il calendario dei Santi contro Guarin e Gargano?). I nostri quest’anno sono questi, e purtroppo non puoi chiedere a un asino di essere cavallo. La metafora del pane da fare con la farina a disposizione la sentirai tante volte, e ti posso garantire che, quando inizi a sentirla troppo, c’è aria di rassegnazione, o quantomeno di presa di coscienza.

Mi hai fatto sorridere anche quando, alla mia domanda “Ma vuoi tornare ancora allo stadio?”, mi hai detto “Sìììì, quando giochiamo col Barcellona” (passato nel tuo personalissimo idioma dall’essere prima“BarcellonE” e poi “Marcellona”).

Giusto così. Fideismo disilluso, lo chiamerei: facciamo schifalcazzo e becchiamo in casa dagli ultimi in classifica, ma abbiamo sempre il sogno, e forse l’intima convinzione, di essere comunque i più forti di tutti.

Che dire… io ho esordito allo stadio in un Inter-Lazio di un campionato che avremmo poi vinto, era il ’79 e finì 2-1 per noi. Le cose che ricordo? Un colpo di testa di Bini finito fuori e il gol loro di Giordano. Quindi, nonostante il battesimo da tifoso bagnato da vittoria, mi restano in testa un gol sbagliato e un altro preso in saccoccia.

E’ la vita, Pancho… ed essere interisti vuol dire che la “vita” lo è anche un pochino di più. Grandi picchi, in alto (Jimmy, non scordare che a 2 anni eri campione d’Italia, d’Europa e del Mondo) così come in basso (quella di ieri è solo l’ultima puntata di un romanzo marrone che si preannuncia fitto di capitoli nell’immediato futuro).

Vasco direbbe, tra un “cioè…” e un “capito no?”  che “è tutto un equilibrio sopra la follia”.

Ho smesso di sperare di avere una squadra normale, che vince le partite facili e che fatica a non perdere quelle difficili, così come ho smesso di sperare di poter controllare tutto nella vita, di poter sempre scegliere e decidere il cosa, il come e il quando. La vita e l’Inter sono belle per questo; perché sono incasinate, perché pensi di conoscerle e poi inciampi in una primula, perché ci provi per 100 volte e la 101esima, proprio quando non te l’aspetti, ce la fai. Perché ti fa imparare ad essere sognatore ma a restare coi piedi per terra, ad essere il critico più feroce ed al tempo stesso il più strenuo difensore delle “tue cose”, siano esse idee, interessi, utopie o squadre di calcio (a scelta nell’ordine).

Speravo in un esordio diverso, vincente e festoso. Mi ero preoccupato del modo in cui avresti reagito al boato per un gol del Principe (griderà come un folle? Mi guarderà e scoppierà a piangere per il frastuono?), mi trovo a dover consolare me più che te per questa sconfitta. Tu ti sei portato a casa le bandiere sventolanti, i cori della Curva, il mezzo saluto di Cassano durante il riscaldamento, visto in primissima fila grazie allo steward che ha fatto passare davanti te e non me (“gli adulti lì dietro, qua davanti solo i bambini!!”).

Io, appunto, ti guardo da dietro e ti auguro una bella vita da tifoso, con tutto quello che il termine “bella” si può portar dietro.

In ogni caso sarò lì, a insegnarti le basi del complottismo, a insultare o lodare a seconda dei casi, e a guardare il tuo interismo crescere poco a poco, tra sconfitte in casa col Siena e vittorie col Barcellona.

Per le prime come vedi siamo già prontissimi. Per le seconde torneremo ad attrezzarci in futuro.

Adesso ti saluto, chè devo finire di riempire di spilli la bambolina-voodoo con la faccia di Cassano.

Papà

SEDUTA DI AUTOCOSCIENZA

 Il cambio di allenatore, ripeto per l’ennesima volta a chi ha la insana pazienza di ascoltarmi, è sempre una sconfitta per tutti.

Per la squadra, che non ha saputo mettere in pratica quanto chiesto dal nuovo venuto.

Per il Mister stesso, che non è riuscito ad imporsi in un nuovo ambiente.

Per la Società, soprattutto, che vede la propria strategia (quando presente) crollare in mille pezzi.

 Detto questo, il cambio era francamente inevitabile, e l’arrivo di Ranieri mi pare una scelta sensata, al netto di tutte le implicazioni da tifoso.

Vero, ha allenato Juve e Roma nel passato, ma in giro onestamente non c’era di meglio. Dirò di più: l’avrei preso già a Giugno, mentre si è optato (e sappiamo dopo quanti tentativi) per Gasp e il suo 3-4-3.

I punti su cui vorrei porre l’accento sono due, e riguardano la Società e la squadra:

SOCIETA’

Come detto, l’Inter è riuscita nella titanica impresa di continuare ad avere una dirigenza miope, se non mediocre, anche a fronte di un lustro di vittorie scintillanti e difficilmente ripetibili.

Tutti ricordano giustamente il 2010 ed il Triplete Mourinhano, ma è dal 2006 che questa squadra in Italia miete successi a raffica.

Guarda caso, le vittorie sono arrivate in concomitanza con gli unici due allenatori a cui sia stato dato tempo e modo di lavorare. Parlo soprattutto di Mancini: il suo primo anno, quello della pareggite, in altri tempi avrebbe tranquillamente implicato una cambio in panchina, ma a Ciuffolo è stata data fiducia anche per l’anno successivo.

Anno che si è poi concluso con Calciopoli e tutto quel che ne consegue, e che, diciamolo, ha salvato anche il Mancio, dal momento che le trattative del Sig. Massimo con Fabio Capello all’epoca erano più che avviate.

Calciopoli ha quindi dato all’Inter ben più del famoso scudetto di cartone. Ha dato continuità ad un progetto che altrimenti si sarebbe interrotto: da lì sappiamo com’è andata, mestrui di Mancini ed arrivo di José da Setubal compresi.

Riassumere 5 anni in 10 righe (quasi cit. Gucciniana “poveVa amica che naVVaVi, dieci anni in poche fVasi…”) serve per capire che ad un allenatore va senz’altro dato modo di poter lavorare senza l’assillo del risultato immediato, ma che tutto ciò consegue ad una scelta coerente con la strategia della società.

Eccheccazzo.

E qui entrano in campo i dilettanti allo sbaraglio. Schizofrenici, per di più.

Se l’obiettivo del dopo-triplete è quello di far cassa, vivere di rendita e andare di conserva con i giocatori in rosa (lo so che il tono sembra sprezzante, ma in realtà era esattamente quel che a mio parere andava fatto), tale scelta deve andare di pari passo con l’ingaggio di un allenatore che segua lo stesso spartito. Benitez si è rivelato un errore proprio per questo: è arrivato e ha fatto damnatio memoriae di Mourinho e tutto quel che si era vinto fin lì, dicendo “e adesso vi faccio vedere io”. Errore da matita blu, e soprattutto l’esatto opposto di quel che aveva in mente la dirigenza.

La cosa viene –diciamo- rimediata con Leonardo, che porta joia e bellèssa e riaccende l’entusiasmo dei calciatori.

Il sommo Scipione Petruzzi, già innalzato a sempiterna gloria la settimana scorsa, nel suo avventuroso latinorum era solito dire “Errare umanum è (sic), perseverare diabbbolicusss”.

Ora: a 12 mesi di distanza ti ritrovi a battere sullo stesso chiodo in sede di mercato (“non c’è una lira da spendere, anzi dobbiamo vendere uno dei due campioni”) e vai a chiamare uno che da 10 anni gioca in un modo e che, legittimamente da parte sua, crede di essere stato ingaggiato per quello e di poter continuare a farlo all’Inter.

Oltre il danno, poi, la beffa: non c’è una lira, e comunque i giocatori che si comprano non sono quelli richiesti dal Mister.

Eh cazzo, allora giocate a ciapa no!

Il tutto per collezionare una mezza dozzina di figuracce (perché io non mi dimentico le tre pere dal Chievo in amichevole o il pareggio strappato coi denti con l’Olympiakos), dire come Britney Spears “…ooops I did it again!” e ripiegare sull’uomo di buon senso del caso, alias Sor Claudio de Testaccio.

Il quale, intelligente e forse un po’ paraculo, già prima di Novara aveva fatto intendere che lui in questa squadra cambierebbe pochissimo, che Sneijder lo farebbe giocare dietro 2 punte, che manterrebbe la difesa a 4, etc. Da qui la mia domanda iniziale: e perché cazzo non l’avete preso a Giugno?

Meglio tardi che mai, insomma. Anche perché, a guardare il livello medio del campionato, vien da sorridere: un sorriso più di compatimento che di sollievo, vista la mediocrità mostrata dalla Serie A.

Nulla è perduto, quindi, e si può incredibilmente sperare di rimettere in piedi la baracca: Ranieri è come Cuper: non vince praticamente mai ma finisce quasi sempre piazzato. In attesa del Guardiola di turno fantasticato per l’anno prossimo, il minimo che si possa fare è arrivare in Champions e magari fare una figura decente in quella di quest’anno.

Chi vivrà vedrà.

 Una simpatica postilla, giusto per avere conforto del fatto che certe cose non cambiano mai: Ranieri è l’allenatore dell’Inter da ieri nel tardo pomeriggio, con tanto di dettagli su durata del contratto, collaboratori al seguito e cronologia degli eventi, uffici frequentati e persone presenti agli incontri. Nella serata di ieri, Ranieri rilascia delle dichiarazioni alla Domenica Sportiva (con la quale ha collaborato in questo inizio di stagione) già parlando da allenatore dell’Inter: “farò questo, farò quello”… Il sito ufficiale resta silente per tutta la giornata, dando conferma dell’arrivo del nuovo Mister solo a mezzogiorno di oggi.

Solo da noi… solo da noi…

SQUADRA

Sulla squadra invece vorrei mettere un po’ di puntini sugli i.

Sono stato tra i primi a denunciare la scarsa affidabilità del nostro centrocampo, vista l’usura di troppe giunture e masse muscolari, ma da qui a fare della vecchia guardia il problema ce ne corre!

Ripeto che Zanna e Cuchu in quanto tali non saranno mai un problema per l’Inter. Il Problema, semmai, è pensare che la loro sola presenza possa essere panacea di tutti i mali.

Cambiasso non è mai stato un fulmine di guerra, nemmeno 5 anni fa: ciononostante è uno dei centrocampisti più intelligenti e preziosi che abbiano mai calcato i campi di calcio. Se 2+2 da 4, vuol dire che al Cuchu devi fargli fare il suo mestiere: nello specifico, dargli 20 metri da coprire e non 50, e far ripartire l’azione da lui.

Zanna può coprire molti ruoli tra centrocampo e difesa, ma volerlo inventare centrale in una difesa a tre è come farlo giocare in porta ed esporlo a figuracce che il suo passato e soprattutto il suo presente non meritano.

Detto ciò, ho sentito troppa gente dire che “sono stati i giocatori a far fuori Gasperini, gli hanno giocato contro e l’hanno isolato” dilungandosi poi nel sempre attuale giochetto della demonizzazione dello spogliatoio dell’Inter (che ha un clima “pesante” ininterrottamente dai tempi di Zenga e dei tre tedeschi, quindi per favore almeno riparate il condizionatore!). Se si leggono invece le prime dichiarazioni di Gasperini, appena esonerato e in quanto tale teoricamente interessato a cercare alibi alle proprie responsabilità, si legge di uno spogliatoio di professionisti esemplari, dove nessuno ha mai remato contro e dove uno come Sneijder, che per stessa ammissione di Gasp non rientrava nei piani e che è stato schierato in 4-5 ruoli palesemente non suoi, è andato a salutare di persona il Mister, regalandogli parole che lo hanno toccato nel profondo.

Ma tutto questo, nel mare magnum di merda che prorompe da questa storiaccia, non verrà fuori. Il quadro viene meglio dipingendo di marrone anche gli sprazzi di azzurro rimasti.

Il complotto del resto è in servizio permanente effettivo (quoque tu, Cecere… cfr: http://www.fabbricainter.com/2011/09/21/le-notti-becere-di-nicola/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=facebook&utm_campaign=fabbricainter )

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TANTO PER ROMPERE I COGLIONI

CESENA-INTER 1-2

Il Perozzi chiedeva: “come si chiama il contrario del senso dell’umorismo?” e il solerte Necchi rispondeva serafico: “il senso di rompere i coglioni!”.

Si parlava del figlio del primo, Lucianino.

Ecco, sabato l’Inter ha giocato a fare Lucianino, il bambino antipatico, saccente e dispettoso, con l’unico scopo di rompere le uova nel paniere alla squadra dei Meravigliuosi già pronti a festeggiare in un Meazza apparecchiato a festa, con tanto di Presidente in tribuna (quando c’è da festeggiare, lui sempre presente!).

Magra consolazione invero, vista la pochezza della prestazione (si chiama furto con destrezza) e ancor più considerata l’inutilità dell’impresa (qualcuno svegli Leo e gli dica che lo scudetto è bello che andato da dopo il Derby). Però… intanto comincia a vincere, direbbe il rancoroso sciur Ambroeus al bar, anche solo per mantenere il secondo posto e tanto per non perdere l’abitudine.

E per vincere si è vinto, poi stai a guardà er capello sul “come”… Una partita di rara impotenza, che non mi ha visto nemmeno insultare i nerazzurri, quasi che l’apatìa degli 11 in campo fosse contagiosa. Volerò quindi molto alto sulle ormai frequenti amnesìe difensive della premiata ditta Lucio-Ranocchia (in due guardano la palla e non il centravanti, in due mancano l’anticipo, col risultato che Igor Budan segna il primo gol in stagione), stenderò un pietoso velo sulla contabilità di morti e feriti a metacampo (Deki e Sneijder out, Motta al rientro ma poco più che deambulante), e tacerò sulla stitichezza dell’attacco (fatico a ricordare un tiro in porta prima dei cross della disperazione per le appendici corporee di Pazzini).

Concentrerò le residue sinàpsi su un paio di temi:

la doppietta del Pazzo, pazza di suo, ci fa capire quanto il calcio sia inopinato e tutto sommato ingiusto (il Cesena fin lì aveva stra-meritato la vittoria) e soprattutto ha palesato l’essenzialità di un appiglio cui aggrapparsi là davanti quando le cose non girano.

E’ un concetto che ripeto da tempo, e che l’Inter degli anni 2000 dovrebbe conoscere fin troppo bene, avendo vinto partite e scudetti lanciando lungo per il Vieri o l’Ibra di turno.

Perché -diciamocela tutta- a giocare come il Barça son buoni tutti con quel popò di giocatori che si ritrova, ma il ti-tic ti-toc tra i piedi incespicanti di Mariga e Pandev non viene così bene. E se Eto’o vive un momento di umanissima stanca, viva il lancio alla spera-in-Dio sul centravanti e che ci pensi lui.

E lui, fuor di metafora il Pazzo, non si fa pregare: dopo aver preso la mira con un paio di capocciate fuori misura, prima inventa un gol trasformando il lancio della disperazione in un’uncinata di destro (altro che delizioso assist di Eto’o, come ho sentito in cronaca), e poi capitalizza al meglio il bel cross di Maicon con la specialità della casa (cabezazo! direbbero in Argentina).

La mia fallace e velleitaria goduria l’ho sfogata contro una cinquantenne milanista che vedeva la partita in un baretto di Riccione accanto a me. Insieme a lei il marito agnostico, la figlia compagna di fede e il figlio sano (cioè interista).

Latroia, questo il nome dell’elegante signora, ha passato una buona mezzora a insultare e sfottere i nerazzurri, tra un “che schifo che fate”, un “ma come avete fatto a vincere tutto l’anno scorso” e un “noi domani andiamo in Duomo a festeggiare”.

Dato che siamo in tema di citazioni da cinema comico, al 38° “coglionazzo” (…) Fantozzi incontrò di nuovo lo sguardo di sua moglie (al min. 5.45 l’irrinunciabile citazione), con il sottoscritto e il figlio sano nei ruoli dei coniugi Fantozzi, a scelta nell’ordine.

Con gli occhi iniettati di sangue abbiamo quindi seguito quello strazio di partita in attesa di un segno del cielo, o più prosaicamente di una botta di culo.

E se al pari di Pazzini il pugno stretto e l’urlo soffocato è stato appena udibile, al raddoppio lo sguardo è andato dritto verso Latroia e il “Goool!!” urlato di piena gola è stato talmente in sincrono da far impallidire coreografi del calibro di Don Lurio.

Latroia a quel punto ha messo su il disco del “che culo che avete, è scandaloso”, a cui io, troppo educato per suggerire alla Signora itinerari alternativi per l’indomani (Viale Zara, Melchiorre…) ho replicato citando a piene mani la zuccherosa empatìa Leonardiana: “Signora, è il cuore, c’è tanto spirito di squadra nel gruppo, sono tutti uniti come fratelli”.

Il figlio sano ghignava come un matto, mentre Latroia era troppo piena di bile –o forse solo troppo poco intelligente- per capire che la mia era una bonaria presa per il culo.

Ho poi chiesto scusa per l’immondo furto calcistico al barista romagnolo e filo-cesenate, che si era goduto lo (avan)spettacolo ridendo sotto i baffi.

Che dire, in tempi di magra ci si diverte con poco…

E’ COMPLOTTO

La visione della partita è stata funestata dall’assenza di Sky e soprattutto dalla presenza di Mediaset Premium. Ora, io sono di parte, malato, complottista, tutto quel che volete, ma dico: è mai possibile che le tipe (femmine) di Mediaset siano fatte tutte con lo stampino? Tutte uighe, labbroni da ovolollo d’ordinanza, capello fluente e spalla (quando non di più) bene in vista? Voglio dire, la D’Amico è un gran pezzo di figliola ma mi pare abbia un altro gusto, un’altra classe.

Va beh, parliamo d’altro…

Apprendo dalla Gazzetta che Thiago Silva è senza dubbio il difensore più forte del mondo (questionabile, ma tutto sommato è molto forte, ed è il vero pilastro della difesa del Milan). Nello schemino in cui mostrano la sua posizione nella retroguardia rossonera e brasiliana, la mia attenzione va sul secondo riquadro. Chi è schierato come terzino destro nella Seleçao? Forse quello che viene definito da 5 anni il-miglior-laterale-destro-del-mondo (Maicon, per i non addetti)? No, Dani Alves, dello splendido Barcelona, che, tanto per dire, nel corso degli anni in Nazionale ha anche provato ad essere scherato a sinistra, pur di lasciare a Maicon la fascia di competenza. Altro colpo di genio: chi è il collega di reparto di T.Silva in mezzo alla difesa? Lucio, peraltro anche capitano del Brasile? Sì, ma tra parentesi viene messo il nome di David Luiz, promettentissimo ricciolone del Chelsea. Ora, non che Alves e Luiz siano due pippe, tutt’altro, è solo che quando si parla di qualcuno (noi) c’è sempre la fortissima concorrenza degli altri, mentre quando si parla di altri (loro) sono sempre i migliori del mondo. Gente che fino a 9 mesi fa (Mondiali in Sudafrica), in Nazionale manco era stata convocata (ask Thiago Silva and Pato for references).

Finisco dicendo la mia sul digiuno di 40 giorni di Pazzini; statistica che ha la stessa base scientifica della seguente: “L’Inter non batte la Dominante di Monza da 103 anni”. Per la cronaca, l’Inter non ha mai giocato contro la Dominante, e Pazzini negli ultimi 40 giorni aveva giocato un totale di circa 200 minuti (che fa 2 partite e qualcosa). In ogni caso, doppietta e doppio pernacchione per la gioia di Panchito (il cui nuovo refrain è èpazzopazzogol, èpazzopazzogol!).

LE ALTRE

Il Milan piega il Bologna con un gol del bomber Flamini in apertura e si appresta a vincere uno scudetto comunque meritato. Sono in testa da metà novembre, hanno di gran lunga la miglior difesa (il miglior attacco viene citato solo quando ce l’hanno loro, ma a sto giro è ancora dell’Inter), hanno dimostrato di poter fare a meno anche di Ibra, onestamente quasi assente nel girone di ritorno. Quindi è meritato. Poi, se vogliamo dire che tutti gli altri hanno giocato a ciapa no, Inter in primis, sono il primo ad essere d’accordo.

Sappiamo quindi come andrà: celebrazioni di durata trisettimanale, da estendere a un bimestre nella malaugurata ipotesi di una doppietta con la vittoria in Coppa Italia.

Celebrazioni che per fortuna mi arriveranno solo come lontana e fastidiosa eco, stante la mia assenza da casa e da questi schermi per una settimanella lavorativa che inizierà proprio il prossimo weekend…

WEST HAM

Sconfitta contro il Mancio, 2-1 che poteva essere 4 o 5-1 senza nemmeno sforzarsi troppo: la traversa e il senso di pietà hanno fatto il resto. Onestamente vedo più facile lo scudetto all’Inter che la salvezza degli Hammers. Ed è tutto dire…

Lucianino col su' babbo

Lucianino col su’ babbo

PER ASPERA AD ASTRA

INTER-PALERMO 3-2

Torniamo dopo un po’ di tempo a sollazzarci coi latinismi, visto che il prevedibile “Pazzo Inter Amalo” me l’ero giocato l’anno scorso dopo Roma-Samp e che titoli tipo “All’inferno e ritorno” mi danno più l’idea di mediocri film d’azione.

Se vogliamo essere più grevi, ci siamo cacati sotto e ne siamo usciti candidi e indenni.

La formazione iniziale, solo a leggerla, evidenzia le due giovani lacune: Coutinho e Santon. Per motivi diversi, quantomeno in questo momento, non sono giocatori da Inter. Il primo lo sarà tra 10 kg di muscoli in più, il secondo si sta sempre più allontanando dall’idea di “giovane-di-ottime-prospettive” per abbracciare quella di “promessa-non-mantenuta”.

Poco da aggiungere sul brasilianino: la classe c’è, ma sembra davvero di vedere giocare un bambino in mezzo ai grandi. Quanto all’italiano butterato, inutile dire che i due gol del Palermo arrivano dalla sua fascia, con Cassani entrato di forza nel “Club Gautieri”, e che anche il palo clamoroso di Pastore a fino primo tempo vede il nostro lasciare sguarnita la sua zona. Vero che sul gol di Miccoli c’è un netto fuorigioco di un palermitano –difficile però capire quanto possa essere considerato “attivo”; vero anche che, tanto per non sbagliare, Davidino cicca l’intervento e spiana la strada al cross per il bomber tascabile.

La partita in una qualche misura ricorda quella dell’andata: l’Inter è in svantaggio, ma gioca bene e tira parecchio, anche se non sempre pericolosamente. Lo 0-1 iniziale non mi preoccupa, mentre il loro raddoppio, che arriva dopo errori in serie di tutta la nostra difesa, mi fa sentire pressante la puzza di bruciato. Quando però vedo Pastore sparare sul legno il possibile 3-0, proprio allo scadere del primo tempo, penso tra me e me: “certo, se facciamo subito il 2-1…”.

In questo pezzo citerò due volte Nick Hornby (autore tra gli altri di Febbre a 90°Alta Fedeltà): la prima citazione è proprio per ricordare la sua personale classifica di gradimento della partita ideale: ricordo perfettamente il suo debole per i 3-2 in casa, dopo essere stati sotto per 2-0. Ci ho pensato nell’intervallo, ovviamente, anche se l’ho fatto più per atto di fede che per reale convincimento.

Nella ripresa escono i due giovincelli incriminati ed entrano Pazzini e Kharja, freschi freschi di arrivo in nerazzurro. La situazione in effetti non permette altro se non un “avanti tutta e che Dio ce la mandi buona”.

Dopo una decina di minuti il Pazzo si gira in un fazzoletto e spara in diagonale: è 1-2! Contemporaneamente, il Palermo toglie Miccoli, dando ulteriore caratterizzazione al canovaccio della partita: noi avanti tutta, loro dietro tutti, sperando in qualche contropiede.

Cosa che arriva poco dopo, con Thiago Motta a cianghettare in area il sostituto di Miccoli (che non ho ancora capito come si chiama) e causare l’inevitabile rigore.

Ma qui ci pensa Julione: saranno anche segni del destino, o più prosaicamente colpi di culo, ma JC para il rigore e, per l’impatto sulla partita, è come se avessimo già pareggiato.

Siamo alla seconda citazione di Hornby, perché appena prima della punizione di Maicon da cui nascerà il 2-2, mio figlio, con un tempismo degno della canzonetta di Pippo Franco, mi dice “papà mi scappa”. Ed ecco subito il dilemma: stare a vedere la punizia, conscio del fatto che non ne uscirà niente di buono, o assistere alla minzione del rampollo perdendomi il pareggio dell’Inter? (nel film il dilemma/gioco psicologico sta nello sbagliare un rigore nel torneo studentesco “in cambio” del campionato all’Arsenal)

Vada per la seconda!

E mentre deposito Panchito sulla tazza so già che pareggeremo, è matematico.

Il singulto di Scarpini ci raggiunge al cesso come una soave quanto attesa musichetta che fa da colonna sonora al bisognino del piccolo.

Lo sciacquone celebra il raggiunto pareggio, con l’inevitabile chiusa del “…e adesso andiamo a vincerla!”.

Ed in effetti così è, con Pazzini –ancora lui- a procurarsi il rigore (che c’è, non rompiamo i coglioni…) ed Eto’o implacabile a trasformarlo.

Come ogni buon thriller che si rispetti, c’è tempo per l’ultimo colpo di scena, con Balzaretti che da solo calcia al volo di sinistro a botta sicura e vede il suo tiro deviato 2 volte in 2 metri, prima da Maicon e poi da Julio Cesar.

Pericolo scampato e grande vittoria, in attesa di partite più banali e meno movimentate.

E se Nick Hornby avrà un debole per i 3-2, a me un classico e tranquillo 2-0 all’inglese non dispiace per niente!

LE ALTRE

Temo sempre più che sia l’anno dei cugini, visto lo squallore con cui continuano ad inanellare vittorie: il 2-0 esterno a Catania, oltre a far scattare immediato il paragone tra la partita dei siciliani contro di noi (coltello tra i denti e palla a mille all’ora) e quella di sabato (signori s’accomodino, avanti c’è posto) arriva contro una squadra in piena crisi esistenziale –povero Cholo- che addirittura con l’uomo in più si fa infilare per il 2-0 finale. Questi sono segnali, e quando si vincono ‘ste partite vuol dire che ti gira tutto bene.

Si spera nella Lazio, che nell’infrasettimanale avrà il compito di frenare la corsa dei diversamente milanesi: da qui, più che un convinto gufaggio, non possiamo fare; al resto devono provvedere gli aquilotti.

Il Napoli maramaldeggia con una Samp orfana del proprio attacco e dà ancor più lustro alla gara di Coppa Italia vinta dall’Inter ai rigori. Vero che nei 120’ gli azzurri avevano costruito di più e meritato di vincere, fatto sta che in 20 giorni l’Inter li ha battuti due volte: scusate se è poco.

Taccio per umana pietà sulla sconfitta casalinga della Juve con l’Udinese, che ancora una volta si dimostra squadra perfetta, con automatismi oliati come un motorino. Onestamente il risultato non stupisce: tra le due squadre, oggi, non c’è paragone.

E’ COMPLOTTO

Prima della partita di ieri, Juve e Inter erano appaiate in classifica con 35 punti, dovendo oltretutto i nerazzurri recuperare una partita. Chissà quale motivo (aritmetico? logico? mediaservico?) ha spinto un importante quotidiano (comincia con Re e finisce con Pubblica) a titolare, nello stesso giorno di settimana scorsa, sulla sua edizione online: “Inter: non basta Leo” e “Juve: i motivi per crederci”. Del resto il rosicamento di quella redazione sportiva è stato perfettamente esemplificato dal sunto fatto ieri da F. Bocca (“bocca di rosa” per gli amici), la cui sostanza era: coi soldi si aggiusta tutto, e quindi facile vincere comprando Pazzini.

Sucate!

Chiudo solo dicendo che ho atteso invano fino a ben oltre mezzanotte e mezza per avere notizie dell’Inter su Controcampo, sempre pronti i prodi MeRdiasettari a spararla in prima pagina quando non vince, e timidi invece a celebrarla quando non stecca.

Lo so, dovrei essere abituato, ma come diceva uno che ha fatto una brutta fine:

“Siate sempre  capaci di indignarvi per ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo” (E. Guevara)

WEST HAM

Accade anche questo: Obinna fa tripletta e passiamo il 4° turno di FA Cup.

Apprendo oltretutto che è arrivato Robbie Keane da Tottenham. Una punta in più per gli Hammers, un pericolo in meno per i cugini milanisti in Champions League…

L'ultimo a fare gol così all'Inter è stato Zamorano. Vista la mia idolatrìa per il cileno, è il miglior complimento che posso fare al Pazzo.

L’ultimo a fare gol così all’Inter è stato Zamorano. Vista la mia idolatrìa per il cileno, è il miglior complimento che posso fare al Pazzo.