INERZIA POSITIVA

FIORENTINA-INTER 1-3

Mezz’ora per cagarsi sotto, sessanta minuti per rimettere le cose a posto.

Giusto in tre parόle” (cit.), ecco la sintesi della trasferta infrasettimanale dei nostri a Firenze.

Partendo per una volta dagli avversari, resta il dubbio se la prima parte di gara sia una situazione replicabile da parte della Viola o se quel mix di pressing e verticalizzazioni continue sia troppo bello per essere vero e, soprattutto, sostenibile. I giusti e condivisibili peana a Italiano per il culo che ci hanno fatto per buona parte del primo tempo si scontrano con i limiti di replicabilità di un approccio tanto intenso e ambizioso: la speranza, ma tutto sommato anche la convinzione, era che sarebbero calati alla distanza, e pure di schianto.

Già nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo i nostri sono riusciti a mettere la testa fuori, e poi nel secondo tempo la barca ha ripreso la sua rotta, ben prima della scellerata espulsione di Nico Gonzales.

La formazione è quella solita di questo inizio di stagione, vista l’assenza di Correa che recupera, praticamente ha già recuperato, forse però parte dalla panchina, nemmeno convocato.

Handanovic ricaccia in gola le critiche ai tanti di noi che avevamo avanzato dubbi sulla sua curva di invecchiamento facendo vedere che, tra i pali, è ancora tra i migliori su piazza. I riflessi di serata sono buoni e – ci conceda almeno questo – la partita non ha necessitato di molte uscite alte: insomma, l’interrogazione perfetta in cui la prof ti fa iniziare con l’argomento a piacere e non ti chiede il capitolo che non hai studiato.

La nostra rimonta, dopo l’iniziale pareggio arrivato però in fuorigioco nel finale di primo tempo, inizia col diagonale sapiente di Darmian, imbeccato da Barella.

Sempre prezioso l’italiano nella sua normalità, da preferire in questo inizio di stagione a Dumfries proprio per la maggior affidabilità. Crescerà il minutaggio dell’olandese, che però farebbe bene a studiarsi l’applicazione e l’intelligenza tattica del collega di fascia.

Restando in tema di autocritiche, dopo Handanovic i miei applausi vanno convinti anche a Dzeko che, dopo 3 gol belli ma inutili ai fini del risultato, piazza la capocciata che ribalta il risultato su corner di Calhanoglu.

Il centravanti bosniaco fa il giusto pieno di complimenti, e rappresenta un unicum nella rosa interista: è infatti il solo a godere di quella che chiamo “inerzia mediatica positiva”. Ne ho già parlato, ma ribadisco: siamo in piena moda di calcio giocato, palleggiato, ricamato, in cui tirare in porta sembra quasi poco elegante, come ruttare a tavola o scaccolarsi davanti alla Regina. Dzeko rientra perfettamente nel galateo calcistico di quest’epoca, e ciò gli vale da salvacondotto nei tanti casi in cui non timbra il cartellino, con mio solenne giramento di balle. A maggior ragione, quindi, complimenti per il cabezazo di Firenze, di splendida e necessaria arroganza calcistica.

La gestione del vantaggio, ritrovato in soli tre minuti, si fa ancor più agevole un quarto d’ora dopo, quando il già citato Gonzales si esibisce nella tipica “sbroccata”, che nemmeno i compagni riescono a placare. Protesta per una trattenuta subita e a suo parere meritevole di ammonizione, continuando a cristare finché il cartellino giallo esce dal taschino dell’arbitro, ma rivolto a lui. Il bischero fa di più, continuando a lamentarsi e facendo l’unica cosa che, in quarant’anni di calcio seguito, rimane costante: la permalosità degli arbitri che ti cacciano fuori dopo un applauso sarcastico. Li puoi mandare affanculo o bestemmiargli i parenti (ask Rizzoli for references…) e potranno sempre dire di non aver sentito, ma battergli la mani davanti, per quanto molto meno offensivo, è una perdita di credibilità che non possono accettare.

Viola in dieci, quindi, e ultimi minuti di tranquillità. Perisic rimpingua il mio fantacalcio col terzo gol che fa capire quanto la squadra sia in palla. Non era facile raddrizzare la baracca dopo il tornado subito nella prima mezzora, eppure i nostri sono rimasti in piedi, hanno preso meglio le distanze, hanno fatto passare ‘a nuttata e portato a casa i tre punti.

VA BENE TUTTO, PERO’…

Torno a sottolineare quanto già detto pochi giorni fa: il fatto che si vinca è cosa buona e giusta, ma non per questo gli arbitri possono divertirsi a cazzeggiare contro di noi.

Detta fuori dai denti, e da tifosotto rancoroso: a Verona c’era un rigore solare su Martinez, sabato contro il Bologna uno clamoroso su Dumfries nel recupero, a Firenze il gol di Sottil nasce da un fallo tanto furbo nelle intenzioni quanto palese nell’esecuzione, che né l’arbitro né il VAR hanno ritenuto di sanzionare. Avrei da dire sul giallo a Skriniar e sul “mani” di Biraghi appena fuori area ma mi limito alla caccia grossa: occhio, perché non sempre saremo “più forti di tutto e tutti” e perché, diobono, non sta scritto da nessuna parte che siccome poi si è vinto gli errori scompaiono.

Giusto non dire nulla a livello societario, chè mica si vuol passare per lamentosi piangina, ma, please, prendere nota e pronti a smadonnare a dovere alla prima occasione.

LE ALTRE

Vincono sia Milan che Juve, faticando abbastanza i primi e molto i secondi. Non che conti molto, a questo punto della stagione: fare punti, testa bassa e pedalare, questo è quel che conta.

Vedo frammenti delle due partite e in entrambi casi mi maledico da solo, visto che la Juve perdeva e il Milan pareggiava quando ho scanalato sedendomi in poltrona presidenziale.

Vedremo stasera Napoli, Roma e Lazio ma il discorso non cambia: pensare alle proprie partite, il resto viene di conseguenza.

È COMPLOTTO

Ho aspettato a scrivere questo pezzo perché mi aspettavo il disco dell’Inter cinica che sfrutta le occasioni a disposizione e rimette le cose a posto.

Devo dire che così non è stato, e la cosa, lungi dal rasserenarmi, mi fa pensare che la stampa sia ancora in luna di miele con Simone Inzaghi: il che va benissimo, per carità. L’onda lunga del è bravissimo a lasciare più liberi i giocatori, non come Conte che li ossessionava” è ancora viva e presente e, se ci pensate, è coerente con la mia interpretazione del rapporto complicato tra Inter e media.

L’assioma è che l’Inter che vince non va bene. Quale Inter ha vinto? Quella di Conte. Quindi quella Inter va sminuita, anche se ciò va a favore della squadra di oggi. Fa niente, quella ancora non ha vinto: cominciamo a buttare fango su quella vincente, il resto si vedrà.

Che poi io sia un caso psichiatrico non è all’ordine del giorno. Lo metteremo nelle varie ed eventuali del prossimo incontro.

Non essendoci altro da deliberare, si dichiara chiusa la riunione.

Oh, finalmente! Massiccio e incazzato, altro che il Cigno…

MELIUS ABUNDARE

INTER-BOLOGNA 6-1

La facile citazione dal mio altrimenti migliorabile latinorum mi serve per infiocchettare un’ovvietà degna di Catalano: meglio vincere con tanti gol di scarto che con uno striminzito 1-0.

La considerazione diventa già meno ovvia se arriva dalla mia penna, come noto allergica a qualsiasi retorica di bel giUoco e calcio spettacolo: “se voglio divertirmi vado al circo” per me continua ad essere una massima da sottoscrivere col sangue. Però, dopo le due partite contro Samp e Real, culminate in una ventina di tiri in porta che hanno fruttato un pari e una sconfitta, era importante agire sul morale della truppa, lucidando l’argenteria di casa o, se si preferisce la metafora idraulica, sturando il lavandino e assicurando il giusto afflusso di acqua ed il relativo scarico.

Chiaro che la filosofia del Sciur Ambroeus che sorseggia un grigio-verde di prima mattina gli farà dire “orcodighel l’era mej farne duma dü e tenèss gli alter per duman” (dài che si capisce anche per i diversamente lombardi…), ma da queste parti siamo allergici ai luoghi comuni (maledetti per definizione).

Mi vesto da tènnico per raccontare di un Dumfries che continua ad accumulare prove a suo carico, mostrandosi veloce e potente, bravo a trovare subito Lautaro per l’1-0 e offrire un costante sfogo sulla fascia. Da migliorare quando ripiega sul sinistro per accentrarsi, ma ci sarà tempo e modo.

Sull’altra fascia, Di Marco fa riposare Perisic e dà ragione al Fantallenatore che scrive, piazzando un corner al bacio su cui Skriniar incorna il raddoppio e giocando 90′ di personalità, in attesa di banchi di prova più impegnativi.

Contento per Vecino e per il gol che di fatto chiude la partita già dopo mezz’ora: guardando avanti, è importante che almeno uno tra lui e Vidal siano sempre disponibili per dare alternative al terzo di centrocampo. Tolti gli inamovibili Barella e Brozovic – in gol il primo, insostituibile il secondo – Calhanoglu non offre la continuità necessaria a farne un titolare inamovibile. Stante la cronica fragilità di Sensi e purtroppo la indisponibilità sine die di Eriksen, Inzaghi dovrà utilizzare spesso uno dei due sudamericani come versione discount di Milinkovic-Savic, in modo da assicurare kili e centimetri là dove assist felpati e dribbling ubriacanti non sono disponibili.

La partita di Correa dura troppo poco perché si possa dare un giudizio del suo feeling con il Toro: c’è da sperare che la botta al fianco che lo costringe a uscire si riassorba presto, visto che Dzeko non ha goduto del giorno di ferie concordato col capoufficio. Poco male, perché il bosniaco timbra una doppietta che mi strappa applausi convinti soprattutto per il primo dei due gol: intelligentissimo il velo di Martinez, finalmente opportunista e cattivo il Cigno di Sarajevo nel tirare la puntaccia come il miglior rapace d’area. Poco dopo ricorda a tutti di avere un piedino mica da ridere, e quasi dalla linea di fondo beffa il portiere per il 6-0.

Tutto bene quindi? Quasi.

La mia dose quotidiana di sacramenti prorompe anche in una serata di apparente tranquillità, quando vedo il carneade Theate colpire di testa e battere un incolpevole Handanovic per l’inevitabile Primo Gol in Serie A, che torna a romperci le balle dopo qualche mese di salvifica assenza.

Volendo essere petulanti e rancorosi (specialità della casa!) dedico un pensiero all’arbitro Ayroldi, che chiude il primo tempo con qualche secondo di anticipo e i nostri lanciatissimi sulla trequarti, tanto per non dover rischiare che l’Inter segni magari uno o due secondi dopo la fine del recupero (non sia mai, non è mai successo…). Si rifà dopo il 90′, quando Dumfries viene palesemente cianghettato in area. Siamo a fine partita sul 6-1 ma, amico, se c’è un rigore lo devi fischiare. Eccheccazzo.

LE ALTRE

Decido scientemente di non guardare la partita del male, scelta oltretutto agevolata dalla contemporanea finale degli Europei di volley. Esce fuori l’esaltato nostalgico che è in me, e i miei trascorsi pallavolistici, più che trascurabili, mi portano ad azzardare paragoni tra il sottoscritto e il giovane Michieletto, mancino eppure schiacciatore da posto 4. Va beh, vi risparmio i deliri di onnipotenza, praticamente l’Europeo è merito mio…

Tornando a Juve-Milan, leggo di un Allegri incazzato con se stesso e con gli altri, forse consapevole di essersi cacciato in una pozza marroncina e maleodorante, e non posso che concordare e gongolare. Due punti dopo 4 partite sono proprio pochi, la distanza sulla testa della classifica rimane di 8 punti, in attesa del Napoli: la bella novità è che quella distanza adesso la devono recuperare anche a noi. Non mi fido dei gobbi, e soprattutto non mi fido dei miei, quindi piano col de profundis. Si ripiglieranno, questo è certo; la speranza è che lo facciano quando ormai è troppo tardi.

Se i cugini riescono a ottenere elogi anche quando vengono presi a pallate per 80 minuti su 90, figuriamoci quando escono con un pari da una trasferta a Torino. Anzi, potevano vincerla, la manovra scorre fluida e spettacolare, tant’è che becchi un gol in contropiede dopo 5 minuti, ma vuoi mettere? Erano tutti avanti per vincere, per imporre il loro giUoco…

FOCUS

Da buon bastian contrario, faccio sommessamente presente un aspetto che troppo spesso viene ignorato, figlio della totale assenza di senso critico dei media nazionali, cui ha contribuito il trentennio berlusconiano che tant…. scusate, mi è partito l’embolo, ma insomma ci siamo capiti.

Il tema è Milan Lab, primo esempio in Italia di settore medico sportivo integrato, che nei suoi intenti voleva minimizzare se non annullare ogni tipo di problematica psico-fisica dei giocatori rossoneri, grazie a database personalizzati e analisi di dati biometrici per ogni singolo giocatore. È attivo da ormai vent’anni, è forse stato il primo esempio del genere in Italia, anche se la profilazione dell’atleta e la sua gestione su misura sono ormai uno standard per tutto lo sport professionistico mondiale. Soprattutto, al nostro occhio disattento, numero e tipologia di infortuni dei milanisti negli anni sono sembrati del tutto analoghi a quelli di altre squadre, in alcuni casi addirittura peggio.

Per dire, ieri sera Ibra non era disponibile, visto l’ultimo fastidio al tendine d’Achille che già gli aveva fatto saltare la trasferta di Liverpool. Un altro modo di raccontarla potrebbe portare a dire che Ibra ha giocato mezz’ora negli ultimi 130 giorni, ma mi rendo conto che sarebbe una interpretazione faziosa, mica stiamo parlando di Sensi, per cui si rispolvera il pallottoliere ad ogni nuovo stop.

Ma amen, almeno il nuovo acquisto Giroud sarà stato disponibile. Macchè: lombalgia. E non vorrete mica mettere fretta al neo-arrivato Messias -rossonero fin da bambino- e al giovane Pellegri. Morale, oltre alla pattuglia degli attaccanti, tutta ai box tranne Rebic (e tanta grazia per i rossoneri!), danno forfeit anche Calabria, Krunic e Bakayoko, con Kjaer ad alzare bandiera bianca dopo nemmeno un tempo di gioco.

È quindi strano che situazioni del genere non facciano sorgere spontanee domande che, in altre piazze, periodicamente vengono poste con cipiglio e intransigenza: ma tutti questi infortuni? La preparazione è stata sbagliata? Chi ne è responsabile? Si ha come la sensazione (cit.) di un disallineamento tra allenatore e staff medico? Tutte domande che, a maglie diverse, più e più volte sono state fatte da giornalisti che si ergevano a ortopedici e fisiatri improvvisati. Qui invece va tutto bene, avanti tutta e soprattutto #atestaalta.

È COMPLOTTO

Tornando dalla parte giusta del Naviglio, vi segnalo un paio di chicche che forse vi sono sfuggite. Luca Taidelli sulla Gazza riesce a definire “cinica come un cobra” una squadra (toh, l’Inter!) che fa sei gol in 90 minuti. Chiaro e perfino condivisibile il ragionamento: stavolta è riuscita a concretizzare quasi tutto quel che ha creato, cosa che contro Samp e Real non è riuscita a fare, ma al solito, est modus in rebus (così facciamo il paio con la citazione iniziale): nel gergo calcistico, definire una squadra cinica vuol dire fingere di farle un complimento, intendendo che ha vinto di culo con l’unico tiro in porta della partita. Non esattamente una fedele fotografia del sabato appena trascorso a San Siro.

Spostandoci su temi economici, apprendiamo che anche questa settimana l’Inter è in vendita, anche se non si sa a chi, per quanti soldi e quando sia previsto il closing.

Mo’ me lo segno (cit.)

Per chi si fosse distratto, e pensasse che le difficoltà dell’Inter siano un unicum in tutto il mondo del pallone, vale la pena ricordare che in settimana la Juve ha presentato il consuntivo dell’ultimo bilancio, chiuso a giugno 2021 con un passivo di oltre 200 milioni e debiti per quasi 400, da coprire con un imminente aumento di capitale.

Lo stesso Manchester United ha chiuso l’ultimo esercizio con 100 euro di perdita e circa 500 di debiti. Diciamola meglio: tolto il solito inarrivabile Bayern Monaco – non a caso preso come esempio dal progetto Interspac di Cottarelli – tutti i top club d’Europa hanno i conti che piangono, in particolare debiti finanziari che fanno bruciare cassa.

Niente di cui rallegrarsi, nessun tentativo di “mal comune mezzo gaudio”, anzi: consapevole che la situazione di Suning sia appesantita dai problemi con la madrepatria, ma qui pare che solo l’Inter bruci cassa ad ogni mese ed abbia una bomba sotto il culo pronta a esplodere.

L’importante è dire questo. Per spiegazioni, approfondimenti, confronti con altre realtà, ripassare domani.

Foto di spalle così non si vede quella vomitata di gatto della terza maglia

BALLIAMO IL TUCU-TUCU

HELLAS VERONA – INTER 1-3

Nella migliore tradizione della cronaca sportiva italiana, commento una partita che non ho visto, ma di cui ho appreso abbastanza per poter esprimere un’opinione.

Nei giorni in cui la Serie A deciderà se quello di Cristiano Ronaldo sia stato un periodo aureo o un fallimento per il calcio italiano, l’Inter completa l’ennesima operazione di mercato improntata al buon senso, ricongiungendo la coppia Inzaghi-Correa e potenziando l’attacco con una seconda punta che sembra perfetta per poter dialogare con entrambi i titolari di reparto.

Dando un occhio alle statistiche del periodo laziale del Tucu, il mio intuito femminile mi fa dire “Va beh, una cosa è chiara: questo non segna mai…”: puntuale il ragazzo entra per il quarto d’ora finale e ne mette due. Poche volte così contento di aver sbagliato il vaticinio. Per me non ce ne sono di problemi, vorrei essere smentito ogni settimana se il risultato è la testa della classifica! Scherzi a parte, attingo a piene mani ai luoghi comuni pensando che una rondine non fa primavera, che il campionato è ancora lungo e la cinquecento la parcheggi dove vuoi: anche Recoba esordì con una doppietta salvifica in quel lontano scampolo di fine estate del 1997, eppure poche altre volte ci ha tolto le castagne dal fuoco nel decennio successivo.

Ma non voglio iniziare una sterile polemica con gli amici groupies del Chino. Concentriamoci su Correa e sulla partita che, andata com’è andata, è andata bene (cit. al minuto 2.00).

Estremizzando ma nemmeno tanto, possiamo dire che l’unica palla toccata da Handanovic nei 90 minuti causa il vantaggio scaligero, visto che dopo dieci anni di appoggi col piattone a due all’ora in verticale, e che tanto ruolo hanno avuto nel mio prematuro incanutimento, il nostro combina il puttanaio dando una pallaccia a Brozovic che non la controlla, lasciando l’incredulo Ilic a tu per tu col portiere: beffardo pallonetto e frittatona servita.

Rimandando ad altri momenti la lectio magistralis contro la costruzione dal basso sempre e per quantunque (altra cit. diretta dagli anni ’90), resta un’ora abbondante da giocare. Non resta che sperare in un disciulamento generale, stante il prevedibile ritorno all’inaffidabilità di Calhanoglu e la serata un po’ così di Dzeko. Del turco era stato detto tutto il bene possibile dopo l’esordio convincente contro il Genoa, nello stupore di molti ma non del sottoscritto: le madonne rivoltegli dai tifosi milanisti non erano mai state dirette al suo talento, quanto alla continuità con cui veniva messo in mostra. Temo che anche noi dovremo abituarci a questi chiaroscuri…

Alla fine ci pensa il Toro a rimetterci in carreggiata, sfruttando alla perfezione un’azione che, in più di quarant’anni di Inter, penso di non aver mai visto: un gol sugli sviluppi di rimessa laterale! Noi, la squadra che butta nel cesso manciate di “fuori nostro” nell’arco di una partita, mandiamo Perisic ad esercitare i suoi tricipiti con una rimessa in piena area, dove Dzeko spizza sapientemente e il Toro incorna facile-facile. Pur vedendolo solo in differita, e con una connessione che il mio prof di greco avrebbe definito scazonte, devo rivedere l’azione un paio di volte per crederci.

Il tutto è così bello che poco dopo la riprovano, ma la girata di Lautaro è fuori di poco.

Dando a Spiaze quel che è di Spiaze, è probabile che lo schema sia farina del suo sacco, e quindi applausi scroscianti per il colpo di genio.

Messo a verbale il solito problema di feeling con gli arbitri italiani (leggo di un gol giustamente annullato e di un possibile rigore su cui si è sorvolato… lo so, riesco a far polemica senza nemmeno aver visto le immagini), si arriva all’ultimo spezzone di partita. Il cambio Toro-Tucu era quanto di più scontato ci fosse, anzi: temevo che Martinez, dato come titolare per tutta la settimana, iniziasse dalla panchina come tante altre volte successo per i convalescenti nerazzurri. Morale, l’argentino subentrante ci mette una decina di minuti per capocciare in porta un cross di Darmian in maniera esemplare, nato a sua volta da apertura “Veroniana” di Vidal. Vero, il Tucu è alto 188 centimetri, ma stacco imperiale e torsione scopadea non erano tra le caratteristiche note a chi scrive. È proprio il caso di dire beata ignoranza!

Più nelle sue corde la sterzata nello stretto e il sinistro preciso che regala il terzo gol e chiude la partita, lasciandoci tranquilli in vetta ad aspettare disgrazie altrui.

SIAMO A POSTO COSI’

Quante volte questa frase ha nascosto ben altri messaggi, riassumibili nel classico “vorrei ma non posso”. Invece, aldilà di qualche inserimento dell’ultimo minuto, magari in attacco, pare che la rosa a disposizione del Mister sarà questa e – sapete che c’è? – non è niente male!

Partiamo con un concetto facile: sostituire Lukaku e Hakimi è un gioco pressoché impossibile. Fatta questa premessa, inserire Dzeko, Correa e Dumfries – peraltro ancora in rodaggio – vuol dire prendere il meglio di quanto potesse offrire il mercato.

Diamo un po’ di numeri: 185 milioni per il cartellino dei due partenti, una quarantina per l’arrivo dei tre succitati. Si parlava della necessità di un saldo positivo di mercato di 70 milioni, siamo dalle parti del doppio. Certo, l’aspetto finanziario (il quando arrivano ed escono i soldi) ha un’importanza fondamentale, e non sappiamo con esattezza quanto Chelsea e PSG abbiano pagato finora. Sappiamo però che Correa per quest’anno peserà solo 5 milioni di prestito oneroso più un probabile altro milione di bonus, e che gli altri 25 saranno pagabili in tre annualità. L’esborso lordo per i tre nuovi stipendi è di 19 milioni, contro i 17,5 dei soli Lukaku e Hakimi.

Non è coi bilanci che si vincono i campionati, su questo siamo tutti d’accordo, ma avendo dovuto sentire tante scimmie urlatrici ripetere che l’Inter ha vinto lo Scudetto perché non ha pagato gli stipendi, è meglio chiarire anche gli aspetti contabili, soprattutto in un momento storico difficile per tutti i Club e per l’Inter in particolare, stante la non facile situazione di Suning.

Del quadretto abbozzato qui sopra fanno ancora parte i due cileni Vidal e Sanchez, accomunati da stipendi decisamente fuori scala (6-7 milioni netti a testa), che è poi il prezzo da pagare quando si ingaggia un calciatore a parametro zero: risparmi sullo stato patrimoniale, paghi sul conto economico.

I due vivono momenti diversi nella loro storia nerazzurra: l’attaccante è alle prese con l’ultimo dei problemi fisici con cui deve convivere da qualche anno e che di fatto pone grossi punti interrogativi sulla sostenibilità di un investimento del genere: ha senso pagare così tanto un bravo giocatore che però garantisce se va bene una ventina di partite all’anno?

Il centrocampista, d’altra parte, ha passato l’intera stagione passata tra panchina e tribuna, non riuscendo ad inserirsi negli schemi di Conte che pur avrebbe dovuto conoscere a menadito, visti i comuni trascorsi bianconeri. Nei due spezzoni di partita giocati in questo inizio di stagione ha invece fatto vedere quel che potrebbe dare da qui in avanti: mezze ore di qualità e intensità, pur profumatamente retribuite.

Mettiamola così: se guardiamo l’undici titolare, questa squadra non è all’altezza di quella di Conte. Lukaku e Hakimi sono stati i principali artefici dello Scudetto, con tutto il rispetto per Martinez, Barella e tutti gli altri.

Se invece allarghiamo il ragionamento e guardiamo alla rosa nel suo complesso, scopriamo -increduli – una profondità che l’anno scorso ci sognavamo. Certo, molto dipende dalla tenuta fisica di Vidal, Vecino, Sanchez e Sensi: tre di loro l’anno scorso praticamente non ci sono mai stati, e del quarto – el Nino Maravilla – fortunatamente c’è stato poco bisogno vista la continuità mostrata dai due attaccanti titolari.

Basterà questa manciata di novelli Enrico Toti a dare consistenza e ricambi all’altezza della squadra titolare?

Un primo banco di prova è stato apparecchiato nei giorni scorsi: il girone di Champions ha due avversarie su tre copincollate dalla stagione scorsa. L’occasione è propizia per capire come cacchio stiamo messi…

GRAZZIE AI TIFFOSI

L’addio di CR7 è un argomento che merita analisi e sragionamenti dedicati. Non ho un’opinione in merito, se non la semplice constatazione che la Juve, aldilà di chi sarà il sostituto, con questo scambio ci perde.

Spero non arrivi Icardi, che darebbe meno talento ma più ordine ad una squadra che ha in Allegri il miglior acquisto del calciomercato.

Aldilà di quello, noto che la specialità italica di salto sul carro viene affiancata dalla speculare disciplina del salto dal carro, e quindi tanti di quelli che – nemmeno a torto – avevano salutato l’arrivo di Cristiano come provvidenziale non solo per la Juve ma per l’intero calcio italiano, adesso lo accompagnano all’uscita senza tante cerimonie e, anzi, dicendo a mezza voce che in fondo a loro lui non era mai piaciuto. E poi dopo tre anni scrive “Grazzie” con due zeta.

Io, al solito, la penso a modo mio: lo strafalcione ortografico lo vedo come prova dell’autenticità del suo messaggio di addio al mondo bianconero. Detta male: l’ha scritto lui, non il suo Social Media Manager.

Aggiungo anche un pizzico di romanticismo, visto che alla fine ha fatto una scelta di cuore, tornando allo United e non al City o al PSG, dove le probabilità di vincere sarebbero state maggiori.

Sul successo della sua campagna italiana, il giudizio a mio parere è positivo per lui e negativo per la Juve. Lui ha vinto due scudetti in tre anni, e la (poca) strada fatta dalla squadra in Champions non è senz’altro attribuibile a lui, che per due anni è stato l’unico a tirare la carretta in Europa e che ha sostanzialmente ciccato solo il doppio confronto col Porto nell’ultima stagione. Oltretutto, pochi di noi (senz’altro non io) pensavano che avrebbe segnato così tanto in Italia, da sempre campionato ultra-tattico e con difese che lasciano poco spazio alle punte. La Serie A vive un periodo storico di magra, ma continua ad essere l’università per gli attaccanti: se segni in Italia, segni in tutti i campionati del mondo.

Certo, il nostro movimento ha individuato nella singola mossa, nel colpo a sorpresa, ancora una volta nella logica dell’ ”uomo forte” la soluzione a un problema che è invece tutto di sistema e che, come tale, necessita di soluzioni generali, condivise da tutti. Solo un campionato più interessante, strutturato e sostenibile può risultare appetibile per i CR7 di domani. Solo così l’Italia può pensare di tornare nel salotto buono del calcio europeo.

Ma sono cose che ci diciamo da trent’anni. Nel frattempo Inghilterra, Germania e Spagna hanno messo la freccia lasciandoci indietro con i nostri stadi vecchi, le nostre conventicole mai risolte, plusvalenze acrobatiche e pagherò carpiati, che buttano la palla avanti di un giro ma non risolvono il problema.

Fine dello scazzo saccente e retorico.

Tifa Inter fin da bambino 😉

RIECCOLI

Urca… stavolta quello là chi lo tiene!

Lo so che lo state pensando. In effetti quanto successo nel weekend è benzina sufficiente a farmi borbottare per settimane, ma non posso dire di essere meravigliato di quanto successo.

Arrivo tardi, quando tanti hanno già detto molto, e spesso in maniera tanto estrema quanto corretta. Da parte mia aggiungo che la cosa non è nuova, che da sempre la Lega Calcio, lungi dall’essere portatrice di interessi della Serie A nel suo insieme, è in realtà prona agli interessi di pochi, (pochissimi, praticamente uno solo) anche quando questi vanno a scapito di quelli di molti.

La sola cosa che voglio rimarcare è questa: il rinvio di Juve-Inter da giocarsi domenica sera a porte chiuse è stato solo marginalmente spiegato con motivazioni relative alla situazione sanitaria. In realtà l’obiettivo principale -e arrivo a dire legittimo- della Juventus era non perdere un incasso plurimilionario. Sapendo che non sarebbe stato possibile far disputare il match a porte aperte, vista la situazione generale del Paese, ha fatto leva sul casino generale per procrastinare un incontro che avrebbe dovuto giocare in un momento di forma assai migliorabile: Sarri mai così in discussione, oltretutto autore di una gaffe involontaria ma gustosissima (“in Italia quei due episodi sarebbero stati due rigori per noi“), giocatori alquanto annebbiati, CR7 che mica può risolvere sempre da solo ogni partita, addirittura inediti “casi” in spogliatoio, come la più mestruata delle Inter degli ultimi anni.

Agnelli già nei giorni precedenti ha fatto di tutto per buttare la palla in avanti, avendo come unico obiettivo quello di non giocare. Non potendo motivarla così, ecco bella pronta la scusa ufficiale: non sarebbe stato bello per il calcio italiano trasmettere la partita più importante del campionato senza pubblico.

Tutto vero: la Serie A avrebbe offerto una versione migliore di sé con uno stadio pieno e festante.

Però, non potendo essere così per cause di forza maggiore, la sola risposta possibile da parte della Lega in un Paese civile avrebbe dovuto essere:

Mi spiace ragazzi, non è bello ma è il minore dei mali: si gioca domenica sera a porte chiuse“.

Del resto, e non occorrerebbe nemmeno doverlo ricordare, l’obiettivo principale della Lega è quello di garantire il regolare svolgimento delle partite e, conseguenza diretta, avere un campionato avvincente e attrattivo per tutti gli spettatori in Italia e all’estero.

Come reagisce l’Inter? Nemmeno malissimo, visto il pedigree dei soggetti coinvolti (Marotta e Conte erano a libro paga di quelli là fino a non molto tempo fa, che cacchio vuoi che ne sappiano di trovarsi dalla parte sbagliata della storia?).

Marotta in particolare definisce irricevibile e quasi provocatoria la proposta bianconera di giocare lunedì sera a porte aperte, ma solo con pubblico piemontese. Parla apertamente di Campionato falsato (come non citare Elio ed il suo capolavoro). Per una volta mi ha ricordato una delle poche uscite da applausi di Paolillo (mi pare fosse lui, purtroppo non trovo il link), vecchio dirigente nerazzurro di epoca morattiana:

Se non ricordo male c’era stata una richiesta da parte juventina di cambiare il campo per un turno di Coppa Italia (doveva giocarsi a Milano, chiesero di giocarla a Torino) e, quando comprensibilmente l’Inter aveva rifiutato, si erano inventati una soluzione del tipo “beh facciamo un sorteggio per stabilire dove si gioca”. A quel punto Paolillo -o chi per lui- aveva fatto un paragone azzeccato: È come se ti occupassero casa quando sei fuori, e al ritorno ti dicessero “tiriamo a sorte per vedere chi può rimanere”.

Battute a parte, fa bene Marotta a respingere qualsiasi ipotesi che possa rimediare a tale pasticcio, anche se proprio in queste ore sembra aprire all’ipotesi di un recupero da giocarsi lunedì prossimo a porte aperte.

Il mio sogno è banale e già auspicato da altre menti elette dell’interismo borbottante: schierare la Primavera contro quelli là, che si giochi domani, tra una settimana, tra due mesi. Che vincessero l’ennesimo scudetto da mani zozze, e chissenefrega.

Guarda caso, perfino in una situazione fuori da qualsiasi prevedibilità si è trovata la maniera di avvantaggiare qualcuno a scapito di tutti gli altri, in particolare di qualcun altro. Ma, al solito, a farlo presente passi per il solito rancoroso complottista. Ribadisco che anche 15 anni fa (non 150) ci dicevano così, e poi abbiamo visto quel che è successo.

Ma queste ultime giornate non ci hanno regalato solo le polemiche qui succintamente richiamate.

CR7 ad esempio ha colto al volo il rinvio della partita per precipitarsi al capezzale dei suoi ex compagni del Real ed assistere alla vittoria nel Clasico contro il Barcellona.

Devo essermi perso lo stracciamento di vesti della stampa che sindacava sulla professionalità del giocatore, che si reca a Madrid per una partita non appena saputo del rinvio della sua ed a pochi giorni dal ritorno di Coppa Italia col Milan.

Sì, il rimuginatore con memoria elefantiaca si riferisce al Superclasico River-Boca giocato a Madrid l’anno scorso e ad Icardi presente -insieme ad un’altra decina di giocatori di Serie A, CR7 compreso!– in tribuna a pochi giorni dal match contro il PSV, finito in pareggio nonostante un suo gol e valso la “retrocessione” dalla Champions all’Europa League.

Al solito: Maurito e signora insultati quali i peggiori terroristi, colpevoli a priori della possibile eliminazione dell’Inter dalla Champions (ce l’avete gufata voi, maledetti, chè lui aveva pure segnato!) silenzio assoluto per gli altri colleghi presenti al Bernabeu.

CR7 invece ha lasciato tanti amici che corre a salutare non appena ne ha la possibilità, e con cui magari un domani potrebbe anche riunirsi. Ah che bello l’amore…

Quasi meglio dell’aria frizzantina che si respira a Milanello Bianco.

Zorro Boban al solito non si tiene e spara dritto nei denti quel che pensa: difficile digerire certi affronti per uno come lui. Al solito: si può parteggiare per lui o per Gazidis se si è tifosi, non se si è giornalisti. Eppure, ancora una volta, il caso pare fatto apposta per l’ennesima suddivisione manichea. Da una parte i rimasugli della squadra dell’amore (Boban, Maldini, Ibra-che-vuole-solo-il-Milan), dall’altra i cattivoni che non rispettano il sarcofago di quel che fu una grande squadra (Gadizis il freddo contabile, Raiola lo stupratore di sogni).

In mezzo, la scomoda verità, che però nessuno sembra voler ricordare: che il Milan è messo male, ma male davvero, come Inter e Roma non sono mai state. Ha per ora accettato (senza in realtà poter far molto per evitarlo) un anno fuori dalle coppe, nella speranza di un piano di rientro più morbido, ma ancora non alle viste. Se nerazzurri e giallorossi hanno stretto i denti all’interno di un percorso tanto tortuoso quanto se non altro definito, i rossoneri continuano a tenere la testa sotto la sabbia, sperando in un indulto -forse formati al divino insegnamento del loro ex Presidente- o in una riforma pro domo loro del Fair Play Finanziario. Quello stesso complesso di regole salutato come unica medicina possibile per i Club spendaccioni a inizio anni ’10, è invece adesso -non senza ragioni- additata come il male assoluto. Guarda caso, proprio adesso che la sua mannaia dovrebbe abbattersi sulle verdi vallate (ma con conti rosso sangue) di Via Aldo Rossi.

Ribadisco: che sia il tifoso medio a bestemmiare contro la UEFA ci sta. Che la stampa faccia il coro, arrivando ad accusare velatamente Gazidis ed Elliott di avere il braccino corto, ci sta un pochino meno.

Ma saremmo bugiardi a dirci sorpresi…

Risultato immagini per juve inter rinviata

TEMPI DA VALUTARE

Un po’ di robe che avevo “nasato” e puntualmente si sono verificate:

Ashley Young a sinistra è come tutti gli esterni destri a sinistra. Bravo, diligente, dotato di intelligenza calcistica, sistematicamente sbilanciato sul piede forte e quindi sull’interno del campo. Ho smesso di contare le volte in cui, nel mercoledì di coppa e nella domenica di Udine, è arrivato sul fondo per poi rientrare sul destro e metterla in mezzo. Ribadisco: è forte, intelligente, fisicamente a posto, abituato a grandi palcoscenici. Tutto quello che volete. Ma è l’ennesimo adattato a sinistra.

Come constatato dal rampollo di famiglia, che lo pensava mancino “Ah, ma allora a sinistra non abbiamo risolto niente”. Esatto, Pancho.

Guardando indietro al mercoledì di coppa, abbiamo visto il signor Doveri proseguire nella colata di simpatia degli arbitri verso i colori nerazzurri. Pronti via e blocca un contropiede clamoroso – Iachini diventa una belva contro i suoi per quanto sono stati polli – facendo ripetere una rimessa laterale da battere circa 73 cm più indietro. Dopo il gol di Candreva, pur non avendo ravvisato nulla, attende fiducioso che dal VAR qualcuno gli dica qualcosa e possa così annullare il vantaggio nerazzurro. Nice try, sarà per la prossima…

Guardando in casa nostra, continuano i misteri da infortunio. Almeno in questo l’Inter è stata pioniera, decidendo già a inizio anni 2000 di non rivelare mai le effettive entità degli infortuni e soprattutto i tempi di recupero previsti.

Legittima l’esigenza di tutelare la confidenzialità di questi dati e la privacy del calciatore. L’effetto collaterale è lasciare che la stampa scriva quello che vuole, e che i tifosi facciano supposizioni basandosi sul nulla.

Prendiamo Brozovic, azzoppato nella trasferta di Lecce. Tutti subito si sono eccitati prevedendo scenari apocalittici (“salta anche la Juve???“), per passare poi all’eccesso opposto (“dovrebbe rientrare già col Cagliari o al più tardi in coppa con la Fiorentina”).

Portando il tutto agli ultimi giorni, abbiamo potuto ammirare lo stesso Brozo con Sensi uno accanto all’altro… ma in tribuna e non in campo, con Eriksen ad appoggiare il trolley dell’aereo in panchina e giocare una mezz’oretta per pura emergenza ed un’altra dimenticabile ora ieri a Udine.

Apprendiamo altresì che Gagliardini ne avrà per un mese, che in compenso Asamoah è ancora vivo e che Borja Valero non è al meglio. Da buon ultimo, Handanovic si scassa il mignolo e rimane seduto a Udine. Ci sarà nel Derby? Ecco l’ineffabile risposta del sito ufficiale. Ecco l’inevitabile gufata della stampa.

Cambiando sponda del Naviglio, lo storytelling da romanzo rosa del Milan addiviene a più miti consigli, e quindi passiamo da Robocop/Pistolero Piatek cercato dal Tottenham per sostituire Kane (se non è blasfemìa, poco ci manca) alla maledizione del numero 9 che colpisce ancora e lo spedisce dritto-dritto all’Herta. Andiamo a Berlino Fabio! (cit.)

Nulla in confronto al ventilato scambio Paquetà-Bernardeschi, lisergica conferma del clima connivente tra le due diversamente strisciate. Quindi, per capire, la stessa Juve che ha snobbato uno scambio con Rakitic più 10 milioni, sarebbe stata interessata a scambiare il talentuoso ex-Viola con quel pacco di Paquetà. Il tutto con Gadzidis del Milan a dire “no grazie” (“perchè non c’ho una lira”, aggiungio io) Se lo dite voi…

Nulla di drammatico per i valori glicemici rossoneri: c’è pur sempre l’esordio del piccolo Maldini a dare un altro giro di giostra al can-can della grande famiglia rossonera. Di mio ci aggiungo l’ennesima botta di culo dei cugini, che senza Ibra rischiano seriamente di perdere in casa col Verona: pareggio di Çalhanoglu su autorete, due pali del Verona, rigore assai dubbio non concesso agli scaligeri, gli ultimi 25 minuti giocati in 11 contro 10… Poi, al solito, al 92′ il palo lo pigliano loro e sembra quasi che quelli sfigati siano stati i rossoneri.

Inevitabile per la stampa soffermarsi sull’importanza capitale di un 38enne (per quanto forte) nella squadra, ma il contorno è costituito da abbondanti giri di parole aleatori e come tali poco confutabili, all’insegna del “l’impressione è…” “si ha come la sensazione che…” “lo spirito è tutt’altro rispetto a un mese fa…”.

Le speranze ed i timori sono tutti rivolti a domenica sera, quando verosimilmente Zlatanasso tornerà al centro dell’attacco rossonero. I cugini navigano in brutte acque, e non lo scopriamo certo oggi, eppure hanno la capacità di farmi una paura del diavolo (no pun intended) ogniqualvolta ci giochiamo contro. Siamo pur sempre quelli che sono riusciti a far segnare a Comandini l’unica doppietta della sua carriera in Serie A e a far sembrare Serginho un terzino sinistro. Se svesto i panni da antimilanista atavico, debbo riconoscere che Théo Hernandez e Leao, per quanto acerbi e tatticamente migliorabili, sono due talenti puri e come tali temibilissimi, soprattutto per una difesa come la nostra che non ha nella velocità la miglior arma a disposizione e che dovrà fare a meno di Bastoni.

Insomma, inizierà il clima pre-derby con nottate a fissare il soffitto e paure -si spera immotivate- anche per l’ultimo dei panchinari rossoneri.

Risultato immagini per lukaku"

DACCI OGGI IL NOSTRO DISGUSTO QUOTIDIANO

Poco da aggiungere rispetto all’aggiornamento di settimana scorsa, se non un paio di cose “esogene”.

Internamente, continua (e anzi, spero finisca) il mese dell’invornito, con la terza partita sbloccata e poi buttata via a un quarto d’ora dalla fine. Forse un filo di intensità in più rispetto a Lecce, un paio di occasioni nette ma non concretizzate da Sensi e Lukaku, ma in generale un numero di giri che rimane troppo basso.

La novità di giornata, che -poi vedremo- novità non è, arriva appunto da fuori. Torniamo cioè ad essere snobbati da arbitri ed istituzioni, ovviamente stando al passo coi tempi. Faccio finta di credere che sia finito il tempo in cui ti fischiano dal nulla un rigore che non c’è o te ne negano uno palese, ma restano tanti altri modi per farti capire che in un’ideale scala di considerazione presso la classe arbitrale tu, interista, sei saldamente in zona retrocessione.

Provo quasi pena per Conte, geneticamente impossibilitato a capacitarsi di un simile trattamento. Personalmente, provo sempre una sorta di piacere perverso nel vedere il nuovo Mister di turno scontrarsi con la realtà che, a queste latitudini, viviamo con rancorosa rassegnazione da anni. Vedi i Ranieri, gli Spalletti, i Conte strabuzzare gli occhi e sacramentare increduli e per lo meno ti consoli: “ah, allora tutto quello che (ci) succede non è normale…”.

Nello specifico, l’arbitraggio di Manganiello non è macchiato dall’errore che falsa il risultato in maniera palese: io avrei dato il rigore su Young e avrei anche qualcosa da dire sul contatto Joao Pedro-Godin che precede il loro pari, ma devo confessare che la spintarella di Martinez sul gol è veramente al limite.

Il punto è un altro, e sta nel metro di giudizio e la strafottenza dell’arbitro. Segna El Toro, Manganiello convalida facendo ampi segni di aver visto e aver valutato la spinta come veniale, ciononostante attende l’ok del VAR (che, a quanto capisco, non potrebbe intervenire per una valutazione soggettiva dell’arbitro di campo, ma va beh…). Arrivata la benedizione dalle alte sfere, si riparte 1-0 per noi e, da lì in avanti, in buona sostanza smette di fischiare ogni tipo di fallo sui nostri.

Al 93′, e quindi dopo un’oretta di andazzo del genere, Martinez e in subordine gli altri ovviamente sbagliano a protestare in quella maniera, e Lautaro in particolare la combina grossa rischiando di rimanere seduto per più di una partita, ma siamo alle solite: il bambino petulante ti tampina per un’ora e alla fine tu salti per aria e becchi la nota.

La cosa che, al solito, mi fa inalberare ancor più della condotta arbitrale è il giudizio dei Crosetti di turno, tutti bravi a condannare la reazione esagitata dei nerazzurri, atteggiandosi a maestrini petulanti quando non a tifosi da Bar Sport. La Stampa a Torino per anni l’hanno chiamata La Bugiarda, ed evidentemente i soprannomi vanno meritati e mantenuti:

Risultati immagini per inter neuro la stampa

Il tutto nella stessa giornata in cui la Juve perde (e male) a Napoli, facendo vedere per l’ennesima volta i limiti del progetto Sarriano, per una volta nemmeno coperti dalle prodezze del singolo.

Anche qui, rapido ripasso di complottismo: CR7 segna per la millesima partita di fila e, con Dybala e Higuain, sta tenendo la Juve in testa alla classifica nonostante una manovra che di armonia e spettacolo ancora poco fa vedere. Eppure, nessuno che osi cedere ai tanto comodi Luoghi Comuni Maledetti. Del resto stiamo pur sempre parlando di Juve, di Sarri, di CR7, mica di Inter e del centravanti di turno: si vede che la frase “sfrutta i colpi del campione per supplire alle carenze di giUoco” non viene bene detta con accento torinese…

CALCIOMINCHIATA – LE ULTIME DAI CAMPI

Oggi, dopo settimane nelle quali “questo è il giorno giusto per Eriksen”, il danese dovrebbe ufficialmente diventare un giocatore dell’Inter. Gran colpo, non c’è che dire, prendi a 20 milioni un giocatore che ne vale serenamente il quadruplo. Però…

Però, puttanaeva: sei partito facendo il figo e offrendo 10 milioni, e come uno stillicidio sei passato a 13, 15, 17 per poi capitolare agli inamovibili 20 chiesti dal Tottenham (anzi, pure qualcosina in più).

Per tanto così, e sapendo che Levy è un osso durissimo, non era meglio accettare subito i 20 milioni e portarselo a casa due settimane fa? Capace che tra Lecce e Cagliari un paio di punti in più li avremmo fatti… E in ogni caso avrebbe già un paio di settimane di allenamenti in gruppo.

Va beh, meglio tardi che mai.

Per il resto, noto con piacere che Young, comprato come esterno sinistro, ha debuttato (a destra) e messo un ottimo assist per Martinez (sempre di destro). Attendo di vederlo sull’altra fascia per capire se, arrivato sul fondo, sarà altrettanto bravo col mancino o se farà il rinterzo effettato con sbiliguda veniale per rientrare sul destro e crossare.

Le ultimissimissime dicono di un Vecino che potrebbe restare, anche se più per mancanza di offerte all’altezza che per reale convincimento. Se così fosse ne sarei felicissimo: a parte il debito di un paio di gol passati alla storia, il Charrùa è superiore a tutti gli eventuali rimpiazzi di cui si è parlato in queste settimane.

Segnalo che la punta di scorta diventa ancora più urgente dopo la pazziata di Martinez: continuo a preferire Llorente a Giroud, ma uno dei due è necessario che arrivi il prima possibile. Ricordo che tre delle prossime quattro saranno con Milan, Lazio e Juve.

CARI FOTTUTISSIMI CUGINI

Rieccoli, i MeravigliUosi, e devo dire che (non) mi erano mancati.

Nell’ordine: dopo due considerevoli botte di culo con Udinese e Brescia, tutta la stampa è allineata nel ricordare le “quattro vittorie consecutive, se consideriamo anche la Coppa Italia“.

Non solo. Formati al divino insegnamento del Geometra Galliani, se consideriamo la media punti da Gennaio in avanti, il passo è addirittura “da scudetto“. La stessa Coppa Italia, da sempre terzo obiettivo stagionale per chi ha le coppe Europee, per i rossoneri (digiuni anche quest’anno da gite infrasettimanali) può valere 25 milioni di ricavi.

Che Piatek, Suso e Paquetà dal GreNoLi del 2020 siano passati ad essere tre pacchi che non si riesce a piazzare a nessuno è una verità scomodissima da ammettere; meglio dire che sono “il tesoro del Milan“. Il succo è lo stesso ma fa tutto un altro effetto.

Il “Giova” direbbe “intanto c’ho un capitale immobilizzato e gli interessi...”

Immagine correlata

Come dico spesso, sapendo di ripetermi: c’è una parte di Milano in cui splende sempre il sole.

Lascio alla fine quella che ritengo la cosa più insopportabile.

Il Milan, come sappiamo, è una grande famiglia, ma non solo. La strategia comunicativa rossonera prevede che tutti i personaggi di successo, le squadre più vincenti di un determinato periodo, i campioni presenti o passati, siano comunque assimilabili al Milan: il ragazzo tifa Milan fin da bambino, la tal squadra gioca proprio come giocava il Milan di Sacchi/Capello/Ancelotti, il tal campione ricorda gli anni del Milan come i migliori della sua vita.

Siamo tutti amici, ci vogliamo bene (cit.)

Ora: cerco di dirla bene sapendo che sto camminando sulle uova.

Una cosa del genere per me è da vomito:

Con questa roba qui il Milan ci dice: la morte di Kobe è una tragedia per tutti, ma per noi un po’ di più perchè tifava Milan, quindi era più amico mio che tuo. Manca solo il gnégnégné alla fine.

Non mi aspettavo niente di diverso da loro, solertissimi a postare l’inevitabile -e giusto, per carità- messaggio di cordoglio per la scomparsa di un tale campione.

La manfrina del lutto al braccio e del minuto di silenzio l’hanno proposta ieri, ed ero stato contento di sapere che in un primo momento la Lega Calcio avesse negato l’autorizzazione, come a dire: il calcio non c’entra una mazza. Kobe sarà doverosamente ricordato nel prossimo turno di campionato di basket, che era il suo sport.

E invece, grazie al combinato disposto tra potenza mediatica da tardo impero e scrivani di corte compiacenti, stasera assisteremo a questo atto di prepotenza emozionale.

Non che a Milanello Bianco siano nuovi a colate glicemiche del genere.

Nell’ottobre del 2011, con il povero Simoncelli appena scomparso, prepararono in fretta e furia la maglia per l’occasione, da esibire oltretutto in tutt’atro contesto, e cioè mentre Gattuso parlava dei suoi problemi all’occhio di quella stagione (peraltro curati tardi e male dal mirabolante MilanLab):

Risultati immagini per milan simoncelli

Chi mi sta vicino mi dice che quando fra cent’anni dovesse capitare la stessa cosa a un grande personaggio di dichiarate simpatie nerazzurre, anche l’Inter farà così.

Non credo, proprio perchè lo stile è qualcosa che hai dentro.

Se così dovesse essere, non avrei problemi a dichiarare il mio disgusto.

Dopodichè, l’ultima cosa che voglio fare è tirare il povero Kobe per la giacchetta. Che la terra sia lieve a lui, alla figlia e a tutti gli altri.

OH CHE STRANO: È GENNAIO!

Ragazzi, eccoci di nuovo nello spendido Gennaio che tante gioie ha dato ai nostri avversari e tante Madonne ha cavato dalle nostre bocche.

Nelle riflessioni pre-natalizie avevo apparecchiato la tavola disponendo da un lato le preoccupazioni, riassumibili nel concetto “stiamo andando troppo forte per durare”, dall’altro le speranze per il girone di ritorno, sintetizzabili nella combo “non abbiamo avuto Sensi nè Barella per mesi + c’è comunque un mercato di riparazione per puntellare la rosa”.

Inevitabile, trattandosi di Inter, che a questo ipotetico simposio si sia presentato il primo commensale e non il secondo.

Nell’ordine: pareggiamo due partite di fila, palesando una notevole carenza di intensità e convinzione; recuperiamo i pezzi (i succitati Sensi e Barella) ma a scapito di altri (Gagliardini, Vecino, D’Ambrosio, il lungodegente Asamoah e – ultima pessima novità – Brozovic); il mercato ci regala tante speranze (Eriksen), qualche puntello (Young), le inevitabili scommesse (Moses) e i soliti puttanai (Spinazzola).

Tutto ciò basta per dar fiato al plotone di esecuzione.

Inutile procedere con ordine, ci son tutti: Crosetti, Sconcerti, Criscitiello, Sabatini, D’Amico, Longhi, Mauro, addirittura Maifredi. Tutti pronti a dire che Conte si lamenta a sproposito, che fa correre troppo i suoi, che dovrebbe cambiare modulo, che il clima in Società non è buono.

Cedo solo per un attimo all’autocelebrazione: ricordate quando dicevo che tutti gli allenatori dell’Inter vivevano un iniziale periodo di grazia, per poi essere massacrati alle prime difficoltà? Ecco servita la conferma, testuale: “Inter, luna di miele già finita?“.

Sintomatico poi come gli errori di Giacomelli, su cui tornerò tra un attimo, vengano liquidati nell’incipit di quello stesso pezzo con la classica frase da professore sapientino “se l’Inter non è riuscita a battere il Lecce non ci si può appellare solo alle amnesie del direttore di gara”, soprattutto se paragonata all’orchestra di scimmie urlatrici post Inter-Atalanta. Gli stessi primati si fanno invece taciturni come da tradizione nipponica se si prendono in considerazione altri episodi della stessa partita, non a caso già spariti dalla rete (Lautaro lanciato a rete è fermato per inesistente fallo in attacco su Toloi, che cade da solo correndo all’indietro e colpisce pure la palla con la mano).

L’Arbitro del “Voi dell’Inter dovete stare zitti” annulla un gol a Lukaku più per fallo di confusione che per reale spinta su un difensore, ma palesa il suo feeling migliorabile con i nostri quando inventa un rigore per il Lecce per un inesistente fallo di mano di Sensi, che provvidenzialmente il VAR corregge. In barba al “nel dubbio fai giocare, poi eventualmente vediamo”.

Ma, oltre alla decisione in sè, è la sua postura che fa sorgere dubbi: ‘sto qua sta cadendo per terra ed ha un uomo davanti, eppure fischia sicuro il fallo da rigore. Una presunzione di colpevolezza che nemmeno il più giustizialista dei PM forcaioli…

Vedere per credere:

Esaurito il cahier de doléance, torniamo alla pars construens: come se ne esce?

Dice un vecchio e folkloristico proverbio che quando ce l’hai nel c… è meglio non agitarsi: faresti il gioco del nemico.

Ecco, in termini forse meno prosaici, è quel che occorre fare: calma e idee chiare.

La mia lista della spesa se fossi il Signor Inter:

  1. Portare a casa Eriksen prima possibile. Aldilà di tutti i parolai, è evidente che serva qualcuno che possa risolvere la partita con la giocata singola. Vedere Juve-Parma domenica sera è stata purtroppo una istruttiva lezione in tal senso. Per citare le velocità richiamate dall’allenatore, non possiamo correre a 200 all’ora per nove mesi. Occorre qualche sporadico piano B.
  2. Aspettare a dar via Vecino, e non solo per l’attaccamento di tutti noi tifosi per #laprende. Disbiasce che con Conte non sia scattato il feeling (anche qui, paginate di romanzo marrone a supporto della tesi), ma se una sua partenza mi vedeva contrario con tutti i colleghi di reparto sani, figuriamoci con Gagliardini e sopratutto Brozo ai box.
  3. In generale, chiudere tutte le operazioni di mercato il prima possibile (Moses pare che sia in odore di visite mediche, e sono proprio curioso di capire se è sano o no; Giroud, se deve arrivare, che arrivi subito): concordo con il Mister quando dice che Gennaio per un allenatore è un mese balordo perchè deve tenere a bada tremila voci e spifferi.

Ci aspetta un Febbraio con i controcoglioni: Milan, Lazio e Juve in venti giorni o giù di lì, con i nostri avversari in forma migliore, vento in poppa e ritrovata armonia in spogliatoio.

Niente di nuovo, lo sappiamo: se qualcosa può andar male, lo farà. Conte vive il primo vero banco di prova da quando le sue terga poggiano sulla nostra panchina.

A lui e alla Società il compito di spegnere e riaccendere la macchina in tempo zero. Se ciò deve passare da cambi tattici, cazziatoni in spogliatoio o sedute di relax motivazionale lo sceglieranno loro.

Il tempo è poco, gli altri corrono. Vediamo di tornare a farlo anche noi.

PRIMO QUADRIMESTRE

In leggero anticipo rispetto a quelli scolastici -ai miei tempi la scadenza era a fine gennaio, ora non so…- arriva la fine del primo quadrimestre calcistico.

Analizziamo criticamente (cit. ma la potete cogliere solo se allo Zucchi eravate nella sezione B negli anni 80/90):

I NOSTRI

Sono stati bravi se non bravissimi. Come già detto ultimamente, girare a oltre 45 punti (speravo 48, sono 46 e vista l’Atalanta di sabato va già bene così) è un risultato che va aldilà di ogni più rosea aspettativa.

Non rinnego quanto scritto solo pochi giorni fa, e cioè che questo popò di punti è stato conquistato con Sensi e Barella a meno di mezzo servizio, ma a questo aggiungo un altro pezzo di riflessione, che è poi un confronto con chi ci sta vicino.

Da una parte la Lazio, che ha il grandissimo merito di aver vinto le ultime 10 partite di campionato e che, come dire, più di così non può fare. Tanti i punti conquistati con tenacia e un po’ di culo nei minuti finali, e la sensazione che tutto le stia girando (troppo?) bene. Niente più di una civile gufata.

Dall’altra parte, è vero che la Juve ha solo due punti più di noi, ma il “delta” tra il potenziale e quanto fatto vedere è assai ampio. In altri termini: finora ha avuto ragione Chiellini quando ad inizio anno diceva “La Juve di Sarri la vedremo dal 2020“. È questo che mi preoccupa maggiormente: quando anche i vari Rabiot, Ramsey e Douglas Costa avranno terminato i rispettivi rodaggi, quando la difesa avrà digerito l’ingresso di De Ligt senza concedere troppo, ecco che -tecnicamente parlando- saranno cazzi. Là davanti bastano due tra CR7, Dybala e Higuain per assicurare gol e vittorie in quantità, ma lo spazio per crescere in casa bianconera è senz’altro maggiore se paragonato a quello in casa laziale e in casa Inter.

Torna quindi di prepotenza l’argomento mercato. Della mia triade auspicata, il borsino mi vede in vantaggio su uno solo dei nomi (Eriksen pare, se non vicino, quantomeno più fattibile rispetto a Vidal). Young e Giroud sembrano ancor più imminenti per quanto a me non graditissimi.

Commento tecnico: boh…

Resta l’assoluta necessità di allargare la rosa, come fatto presente da Conte che, furbo e lamentino quanto basta, non si è lasciato scappare l’occasione di far vedere a tutti quanto l’Atalanta abbia costretto i nostri a ripiegare nel secondo tempo stante la carenza di alternative credibili.

Onestamente, e per una volta aldilà della ancestrale antipatia, non capisco l’interesse per Kessie del Milan: un suo arrivo in uno scambio alla pari con Politano sarebbe ininfluente da un punto di vista qualitativo (non compri un titolare, solo un’alternativa a Vecino e/o Gagliardini); qualora invece dovesse arrivare proprio in virtù della partenza di uno dei due centrocampisti appena citati, da ininfluente lo scambio sarebbe peggiorativo: Kessie è a mio parere nettamente inferiore a Vecino, mentre pur essendo più mobile e potente di Gagliardini, è assai meno evoluto tatticamente e di difficile gestione a livello caratteriale.

Al di là di tutto, darebbe un segnale di tirare i remi in barca, sulla falsariga di Darmian al posto di Marcos Alonso.

VAR

Ne scrivo volutamente dopo il primo episodio stagionale che ci ha visti increduli beneficiari di errore. È ormai opinione comune che quello di Lautaro fosse fallo da rigore, e tutte le supercazzole sulla spinta di Zapata siano irrilevanti. Per i più curiosi e pruriginosi analisti (quorum ego, chè mi fingo osservatore distaccato ma ho passato ore a zappare su siti di moviolisti e televisioni locali per sentire tutto il sentibile), il colombiano spinge un compagno -Toloi- che a sua volta tampona il nostro, che una volta a terra cianghetta l’avversario con la mano.

Per una volta mi freno e faccio solo cenno al fallo inesistente fischiato allo stesso Martinez lanciato a rete solo contro il diretto avversario (ancora Toloi), che cadendo all’indietro colpisce il pallone con la mano, ricevendo in regalo da Rocchi una punizione a favore tanto salvifica quanto inesistente. Comprensibile che la portata mediatica di questo errore sia nulla e sparisca rispetto all’altro episodio. Figuriamoci se poi chi ne avrebbe beneficiato è l’Inter…

Due cose da aggiungere a commento, entrambe votate alla chiarezza, tanto per non trovaraci come i protagonisti di Amici di Maria de Filippi e l’ineffabile Chicco Sfondrini che, nelle prime edizioni del programma, ad ogni settimana annunciava novità di regolamento ignote fino a quel punto.

La prima cosa: auspico che al più presto l’arbitro, finito il confronto con il VAR, spieghi a tutti e a chiare lettere cosa è stato giudicato. Il mio sogno è che l’audio dei colloqui sia udibile tanto allo stadio quanto in TV, o quantomeno a un addetto per squadra (facciamoli lavorare questi team manager…).

Abbiamo passato un giorno e mezzo a elucubrare su cosa il VAR avesse visto e giudicato, e cioè se avesse valutato solo la corretta uscita di Handanovic non ravvisandovi nulla di irregolare, ma perdendosi il fulcro del problema e cioè il fallo di Martinez, oppure se avesse effettivamente visto la mano galeotta del Toro ma anche la precedente spinta di Zapata che sostanzialmente andava ad annullare l’eventuale rigore per l’Atalanta.

Mi è persino toccato di dar ragione a Mauro Suma, ci rendiamo conto? (andate al min. 7.30, così non vi faccio perdere troppo tempo)

Oggi Rizzoli ci dice che il VAR ha sbagliato e che quindi -se ben capisco- si sono limitati a rivedere l’uscita del portiere. Male, molto male: che cacchio ci state a fare lì?

Ma ipotizziamo per un momento, come puro esecizio di stile, di trovarci nell’altra ipotesi. A quel punto il VAR fin dove può spingersi? Deve fermarsi al fallo di Martinez o deve giudicare anche che cosa lo causa, e cioè la spinta di Zapata? E se deve giudicarla, è considerata punibile la spinta di un giocatore ai danni di un suo compagno, se l’effetto ultimo è quello di danneggiare un avversario?

L’ambito di applicazione del VAR, teoricamente molto chiaro e limitato, è invece spesso tema di discussioni. Molto più del “il VAR ha sbagliato“, le polemiche ora sono sul “perchè non è nemmeno andato a rivederlo?“.

Il mio sogno di illuminista ci porta alla seconda cosa e tutto sommato al prossimo step che mi aspetto: che ad ogni squadra venga dato un paio di “jolly” da giocarsi in partita, in modo che casi simili, se anche valutati con un silent check, debbano comunque essere rivisti dall’arbitro tramite on field revue.

Il mio sogno è corredato da un’importante precisazione, tanto per non fare di questo strumento un mezzo opportunistico quando non ostruzionistico. Non dovrebbe cioè bastare dire “oh, vai a vedere perchè sul calcio d’angolo c’è rigore per noi“, ma -per stare all’esempio di queste righe- “guarda che qualcuno sgambetta Toloi mentre sta per tirare“.

Aldilà della canea di catastrofisti, restauratori e amanti della zona grigia che vorrebbero un ritorno ai bei tempi andati di arbitro che interpreta le regole secondo la propria sensibilità, il VAR ha cambiato, in meglio e spero per sempre, il gioco del calcio. Siamo chiaramente ancora a metà del guado, e sono proprio gli errori a far capire quali siano le zone che restano ancora scoperte. In altre parole: per rimediare alle falle del regolamento non ci vuole meno VAR ma più VAR! Più chiarezza nelle regole, più diritti alle squadre, intesi sia come possibilità di chiederne l’utilizzo motu proprio, sia come legittima pretesa di sapere in diretta e in modo chiaro che cosa è stato valutato e deciso.

Gli arbitri, aldilà di ogni implicazione di buona o malafede, sono sempre stati gelosissimi del loro potere. Aldilà della bella faccia messa su negli ultimi anni, sono stati gli ultimi a volere un ausilio che ne limitasse il potere discrezionale in campo. Ancora oggi, sono l’unica componente del calcio a non parlare mai se non in casi sporadici e sempre a posteriori, per spiegare il perchè proprio quando la portata della decisione è tale da non poter tacere.

Nel football americano, così come nel Rugby, gli arbitri sono microfonati e si sente tutto quello che dicono.

È utopia?

Il fallo di Lautaro su Toloi.

DOVE ERAVAMO RIMASTI

INTER-ATALANTA 0-0

Torno a compitare le mie massime sui nostri amatissimi dopo un pareggio che, fuori dal contesto di classifca, mi avrebbe visto smadonnante, e che invece mi corrobora come un piatto di zuppa calda in una notte di fine inverno (so’ poeta, checcevoifa’).

Certo, un Icardi come si deve avrebbe battuto Gollini a metà primo tempo e verosimilmente l’avremmo portata a casa ma, viste le poche partite rimaste da giocare, un occhio va fatalmente a calendario e classifica, che dice +5 sugli inseguitori più prossimi e una partita in meno da giocare.

Non siamo bravi a fare questi giochini di calcolo e precisione, il girone di Champions ne è la conferma temporalmente più vicina. Oltretutto, l’infortunio di Brozovic in questo momento è quanto di peggio potesse capitare, vista la centralità di Ajeje nel progetto di squadra di Spalletti.

Borja Valero ha piedi e testa migliori, ma anagrafe e fisico buoni per non più di mezz’ora di partita (preferibilmente l’ultima, con lui fresco e gli avversari con 60′ di gioco nelle gambe). In questo senso, illluminante ieri il cambio deciso da Spalletti a metà ripresa, quando sacrifica un Gagliardini tornato alle nefandezze perpetue dopo i brilli estemporanei di Genova (cinquemila lire di SIAE al Prof. Fiumi del Liceo Zucchi) e ci permette di ritornare in controllo del match, dopo mezz’ora buona a cavallo dei due tempi in cui i nostri faticano e non poco a contenere Ilicic e il resto dei Gaspe-boys.

Icardi, su cui, se mai l’avrò, occorrerebbe qualche settimana per sunteggiare il recente vissuto, fa benissimo quel che la critica votata al bel giUoco gli chiede da anni: partecipa all’azione lanciando Perisic dopo pochi minuti e favorendo lo splendido lob di Vecino poco dopo, che un ottimo Gollini mette in corner.

E’ beffardo ma forse inevitabile che tanta qualità in fase di raccordo e rifinitura vada a discapito della proverbiale freddezza sotto porta, con Maurito a sbagliare un gol che normalmente segna ad occhi chiusi. Non che la palla sia così facile da “scavare”, ma da lui… questo ed altro.

Ad ogni modo, poco dopo Politano arriva due volte al tiro nella stessa azione e con quello sostanzialmente finisce il nostro primo tempo. L’Atalanta prende coraggio e, pur senza creare grandi occasioni, gestisce la partita per il resto della frazione.

La ripresa sostanzialmente continua sullo stesso canovaccio, con Gagliardini a perdere una palla tanto grave quanto prevedibile -quantomeno da me: inizio a dire “dalla via! non fare cagate!! occhio che arriva l’uomo!!!” ben prima che la realtà confermi i miei timori- e Ilicic a mettere il Papu solo a porta vuota. Per fortuna l’argentino ha le gambette corte, e per questioni di centimetri rimaniamo con la porta inviolata.

La partita continua con il nulla di Perisic mostrato per 90′ e con sprazzi di un Vecino convincente, come quando con l’esterno destro tocca benissimo per l’inserimento del Ninja, troppo debole però per impensierire il portiere avversario.

E’ quasi finita ed è come se entrambi i pugili fossero convinti di averla vinta ai punti. Nessuno può dirsi pienamente soddisfatto ma, come detto in apertura, entrambi rosicchiano un punto al Milan e mantengono il distacco inalterato su Lazio e Napoli.

Anche il Napoli, ebbene sì: proprio in quanto interista nell’intrame guardo con preoccupazione a chi ci sta dietro, ma un occhio ogni tanto a chi sta davanti lo butto….

LE ALTRE

Gli uomini di Ancelotti hanno piano piano consegnato lo scudetto alla Juve, infilando il pareggio casalingo col Genoa come ultimo anello di una stagione che li ha visti sempre più come seconda forza indiscussa. Troppo forti per tutte le altre, troppo deboli per impensierire Allegri & Co.

Cosa mi fa essere allora speranzoso? Il fatto che, proprio perchè ormai chiuso, il Campionato possa essere visto dagli azzurri come un fastidioso appuntamento tra le fatiche di Europa League, e che possa quindi vederli scialacquare qualche altro punticino per strada. All’ultima giornata ci sarà lo scontro diretto in trasferta: l’anno scorso con la Lazio ci ha detto bene…

In realtà, aperti gli occhi dal bel sogno (chè quello è e quello rimane…), tocca azzerare le tafazzate, e vincere almeno le prossime due, contro Frosinone e soprattutto Roma in casa. Di incroci pericolosi ce ne saranno parecchi, per noi ma anche per la canea di squadre alle nostre spalle. Testa sulle spalle e poche cagate: dipende tutto da noi. Facciamo finta che sia un vantaggio…

E’ COMPLOTTO

Sempre in attesa di sviscerare i peggiori istinti della stampa italiana nella vicenda Icardi, faccio solo presente il reiterato ricorso al seguente sillogismo:

Mauro non va d’accordo con Spalletti, nè con Perisic: a giugno inevitabilmente Icardi andrà via.

Spalletti non va d’accordo con Icardi: è ormai al capolinea l’avventura del tecnico all’Inter.

Perisic ha ridotto a zero i suoi rapporti con Icardi: a giugno per lui si apriranno le porte della Premier.

Morale: siccome la convivenza tra questi tre soggetti, per vari motivi e con varie responsabilità, pare essere ormai impossibile, salomonicamente andranno via tutti e tre.

Bello poi sentire Marco Cattaneo eccitarsi mentre dice “e domani l’Atalanta battendo l’Inter potrebbe arrivare a soli due punti dal terzo posto!” evitando anche solo di contemplare l’ipotesi di una vittoria interista, che avrebbe portato i nostri a 7 punti di vantaggio sui quarti, e guardandosi bene dal dire che il pareggio o la vittoria atalantina avrebbero significato problemi per il Milan.

Da parte loro, i rossoneri hanno tutte le ragioni a lamentarsi dell’ennesimo atto di sudditanza arbitrale nei confronti di “quelli là”. Il “mani” di Alex Sandro è beffardamente simile, anche nell’angolo di campo, al fallo fischiato due anni fa a un De Sciglio ancora di rossonero vestito, che decise nel recupero una partita ferma sul pari.

Non ci sono molte alternative alla scontata citazione de La fattoria degli animali: i maiali, cioè i gobbi fuor di metafora, sono più uguali degli altri. Il VAR ha innegabilmente fatto calare il numero di errori e tra le sue poche colpe ha quella di essere arrivata con decenni di ritardo. Detto ciò, la casistica del fallo di mano, è senz’altro quella cui va… messo mano (perdonate il gioco di parole) prossimamente. Personalmente sarei favorevole a criteri rigidi e per nulla interpretabili, che in buona sostanza limitino il più possibile la discrezionalità dell’arbitro.

Al famigerato trofeo BerlusCaloni, che mi vide inopinato vincitore nell’anno aureo 2010, avevamo una regola semplicissima. La tocchi di mano? E’ sempre fallo. Carambola, involontarietà, rimpallo… Frega un cazzo: è fallo.

Quattro moccoli la prima volta, e poi tutti d’accordo: dura lex sed lex.

E’ chiedere troppo?

Chiudo con l’ennesimo parallelo tra gli effetti degli errori arbitrali sulle opposte sponde del Naviglio: di qua, quando lo si prende inder posto, arrivano moniti a non mettere in dubbio la buona fede e, citando i classici, a stare zitti. Al più si ammette l’errore, interpretandolo come una buona occasione di crescita per l’arbitro.

Di là si chiede scusa.

Pallonetto a voragine, l’azione più bella della partita…

MALEDETTI (CIT.)

CAGLIARI-INTER 2-1

(cit.) il link devo metterlo qui, nel titolo non me lo prende. Mi scuserà il correttore di bozze…

Ecco l’Inter esprimere il massimo del suo potenziale autodistruttivo.

Dopo essersi fatta esplodere il caso Icardi tra le mani (con responsabilità varie, come vedremo infra), l’equipaggio della zattera di Cast Away approda nelle perigliose acque cagliaritane, uscendone con le ossa a pezzi.

Il fatto che la piccola di turno, in crisi di gioco e risultati, contro i nostri metta in mostra la miglior prestazione stagionale è oramai una non-notizia e, per una volta, che questo non suoni come una sorta di recriminazione: son proprio i nostri che giocano alle belle statuine e permettono a qualsiasi squadra dotata di gamba e grinta di surclassarla.

Non c’è infatti altra risposta che questa, alla pur legittima domanda “ma com’è possibile che quelli dell’Inter non la becchino mai?“. Il Cagliari gioca una partita mariana, soprattutto un primo tempo in cui i nostri non ci capiscono un beneamato cazzo, riuscendo di puro talento, culo e cinismo a trovare il pari con Lautaro dopo e prima dei gol cagliaritani.

Brozovic e Vecino fanno a gara a chi è più lento e svogliato, Perisic pare tornato quello di due mesi fa, se pure Skriniar toppa la partita siamo a posto…

Poi, ovvio, al solito nessuno ci vuole bene. La granitica presa di posizione della Società dopo il rigore di Firenze al 97′ porta Cigarini ad essere graziato di un secondo giallo meritatissimo dopo nemmeno un quarto d’ora di partita, oltre che ad un fallo serenamente inventato che costa l’ammonizione a Skriniar e il non irrilevante accessorio dell’1-0 del Cagliari sulla punizia conseguente.

Tutto secondo copione.

Ma se sugli arbitri sappiamo di non poter incidere minimamente, quantomeno sulla voglia di giocare a calcio -che poi sarebbe anche il vostro mestiere, benedetti fijoli…- Spalletti & Co. dovrebbero poter fare qualcosina.

Invece Barella pare Matthaeus strafatto di nandrolone, Pavoletti il Gigi Riva del 2020 e i nostri una mandria di inetti come nelle peggiori occasioni.

Si salvano solo Martinez e Nainngolan, che quantomeno ci provano, corrono e costruiscono dal nulla il gol del pari. Ovvio che la prima reazione allo scempio visto sia “beh, vedi a giocare senza Icardi?“.

Difficile però che l’ex Capitano potesse far meglio del Toro nella circostanza. Il delfino argentino ha tre palle gol in 90′ minuti: la prima la butta dentro di testa sul primo palo come il miglior Gigino di Biagio (vero Signor Carlo?), la seconda la spedisce sul palo girandosi in un fazzoletto, la terza -ancora de capoccia– la piazza fuori di pochi cm. Vero: sbaglia a non premiare l’unico inserimento di Vecino in area nei 90′, ma non è certo il nostro numero 10 ad avere sulla coscienza la sconfitta.

Nella ripresa in realtà riusciamo nell’apparente controsenso di far cagare, ma di produrre un certo numero di occasioni. Oltre a quelle di Martinez citate supra, Politano entra bene palla al piede in area ma non angola a sufficienza il tiro, mentre Borja Valero dopo una bella azione corale pensa bene di sparare alto un destro a giro che pareva facile-facile da piazzare sul secondo palo.

Spiace dover fare la gara degli stronzi, ma i due croati -sugli scudi nelle prime uscite senza Icardi- hanno dormito sonni tranquilli e profondi per 90′. Questo a ulteriore e non richiesta conferma del fatto che di innocenti e immacolati lì dentro non ce n’è.

MO’ V’O’ BBUCO ‘STO PALLONE!

Siamo quindi al redde rationem.

Ho già detto da che parte sto, da quella dell’Inter, che continua ad essere più importante di tutto e di tutti.

Proprio per questo, ritengo che non ci sia nessuno esente da colpe in questa storiaccia. Non Icardi, non Wanda, non Spalletti, non Marotta, non Perisic.

Tutti hanno sbagliato qualcosa, Mauro più di tutti. Marotta per ora meno di tutti, a meno di un piano diabolico di distruzione dall’interno in pieno Lippi-style che -se reale- non tarderà a dar traccia di sè.

Per il resto concordo con Bergomi e fin qui nulla di strano; già più scomoda la posizione di dover additare Fabio Capello a maitre à penser dell’interismo moderno; ai confini del lisergico dover ascoltare parole sagge ed esperte da Ando’ Cassan’. Sic transit gloria mundi…

Come si sistema ‘sto casino?

A mio parere in maniera molto utilitaristica e machiavellica: questo stallo non giova a nessuno. Anche volendo sorvolare sul bene supremo (l’Inter, of course), Icardi ha tutto da perdere nel continuare la manfrina del malato immaginario e permaloso.

Vuoi riprenderti la fascia? Non te la ridaranno mai, ma anche a volerci credere, non è senz’altro stando nella tua torre d’avorio che la Società e compagni faranno un passo verso di te.

Te ne vuoi andare? Occhio: chi ti compra, citando il Sassaroli, “deve per forza prendersi tutto il blocco“. E se la cameriera tedesca, due anni di contratto, severissima, in uniforme (cit.), non è compresa nel pacchetto, i post e la moglie/agente bombastica invece sì, e non me lo vedo il Real di turno (ma nemmeno la Juve) fare spallucce e dire “ma sì, che ce frega, va bene lo stesso“.

La Società stessa, se non risolve ‘sto troiaio, si trova il valore della propria stella polverizzato. Se già l’estate scorsa nessuno si era fatto vivo per pagare i 110 milioni di clausola, figuriamoci se ci pensano adesso.

Anzi: è più che plausibile uno scenario inverso, del tipo: “cara Inter, ti risolvo un problema: Icardi me lo prendo io” ma a quel punto sono gli altri a fare il prezzo, mica tu.

Vuoi tener duro? O 110 milioni o il ragazzo rimane qui fino a scadenza? Benissimo: ma o risolvi la situazione o ti tieni la serpe in seno pagandolo senza che nemmeno giochi.

La favola della squadra che senza il capitano reietto gioca e vince è durata quanto solitamente dura l’effetto cambio-allenatore: una scossa di nervi e orgoglio efficace nel breve periodo ma costoso in termini di tenuta mentale, e di questo Cagliari è la conferma empirica.

Che qualcuno si sia dato da fare proprio in concomitanza del caso-Icardi va ad ulteriore detrimento della sua professionalità (la sola cosa in cui do ragione a Maurito è la critica a chi gioca bene per voler andar via dall’Inter, sì Perisic, stiamo parlando di te…). Per il resto, di squadre in cui non tutti vanno d’accordo è pieno il mondo, ma come ben sappiamo è solo alla Pinetina che risuona da decenni il refrain #bruttoclimainspogliatoio #spogliatoiospaccato #squadradivisainclan #civuoleilbloccodiitaliani.

LE ALTRE

Anche quest’anno la Juve vince il Campionato tre mesi prima, e la sola consolazione è che davvero non ce la fanno a vincere pulito (vedi esplusione di Meret). Come ben sappiamo, per il Triplete anche quest’anno sarà per l’anno prossimo, ma è davvero un grattare il fondo del barile per consolarci.

I cugini, dopo non so nemmeno quanto tempo, ci passano in classifica. A questo siamo arrivati: a farci superare da una squadra con una rosa da sesto-settimo posto, che le proverbiali ondate di culo e allineamento planetario fanno rendere costantemente al 110%. Il Sassuolo del milanistissimo Squinzi non ha nemmeno bisogno di scansarsi, tanto contro il cul ragion non vale: ecco l’autogol di Lirola e tre punti di platino, che il bravo Ringhio ha se non altro il merito di intascare senza esaltarsi, al contrario di tutta la stampa che si pasce del sorpasso come se fosse l’unica cosa importante.

La Lazio vince il Derby e, con una partita da recuperare, apparecchia la volata finale con quattro squadre a litigarsi i due posti rimanenti sul treno Champions. Un treno, diobono, su cui eravamo seduti stravaccati e con la palpebra calante fino a due mesi fa, e dal quale rischiamo di scendere a calci.

Ma i nostri non temano: nel caso, di calci in culo e ceffoni in fazza, ce ne saranno altrettanti ad attenderli sul binario.

Chiudiamo come abbiamo iniziato: