FAMOUS LAST WORDS

SASSUOLO-INTER 1-2

Essendo l’Inter squadra simpatttica per definizione, le mie sentenze post-Atalanta vengono in buona misura smentite nella partita di sabato sera, con Handanovic e Dzeko sugli scudi e Barella a perdere più palloni in 90′ che negli ultimi due anni.

Chissenefrega, mica voglio aver ragione, a me interessa che vinca l’Inter!

Andando con ordine, la trasferta nella mai troppo amata Sassuolo – che poi in realtà gioca a Reggio Emilia ma va beh,,, – non mi lasciava per nulla tranquillo. C’entra Squinzi e il suo passato di chimico pseudo difensore dei piccoli ma in realtà servo dei grandi, c’entra la sua proverbiale liaison con i colori rossoneri, c’entra la prona devozione alla Torino bianconera, senza dimenticare la retorica stantìa della favola calcistica, il bel giuoco e i bravi ragazzi italiani che negli anni mi ha fatto maledire Parma, Udinese e Chievo.

Il primo tempo del match rinforzava i miei grigi presagi, con i neroverdi a correre come pazzi, Boga nelle vesti di imprendibile Speedy Gonzales e Berardi a segnare per la centordicesima volta contro la squadra di cui è tifoso fin da bambino.

Pensa se gli stavamo sulle balle…

I nostri confermano una tendenza già palesata nelle ultime uscite, e cioè l’incapacità di palleggiare in tranquillità, soprattutto ad inizio azione. Tante volte ho maledetto i passaggi stitici dei nostri difensori che passavano pericolosamente vicino ai piedi avversari, ma nelle giornate di grazia il rischio è stato più volte ripagato. A Reggio Emilia, ancor più che con Atalanta e Shakhtar, i nostri hanno invece fornito una dimostrazione pratica di come non uscire palla al piede da dietro, con Barella a regalare l’azione da cui nasce il rigore – solare – su Boga e De Vrij –tu quoque– a ciabattare un retropassaggio che costringe Handanovic all’uscita disperata, su cui avrebbe potuto chiudersi la partita.

Nelle scorse settimane mi sono lamentato per rigori evidenti non fischiati a nostro favore; allo stesso modo non ho problemi a riconoscere che a maglie invertite mi sarei imbufalito se l’arbitro non avesse espulso un portiere che esce ostacolando l’avversario in quella maniera. Vero: Samir fa di tutto per non toccare Defrel, ma di fatto gli si piazza davanti e pare anche toccarlo in faccia col gomito. In un’epoca di “danno provocato”, “imperizia”, “eccessiva foga”, mi aspettavo il rosso per il nostro portiere e un secondo tempo da incubo.

Ho sentito Caressa e gli altri parlarne perplessi, soprattutto per la mancanza di spiegazioni da parte dell’arbitro. Musica per le mie orecchie, che vorrebbero sentire in vivavoce i colloqui tra arbitro di campo e VAR, all’insegna della massima chiarezza. Marchegiani butta lì una possibile motivazione, e cioè che l’intervento non sia considerato da “rosso”, essendoci Skriniar che sta rientrando e che potrebbe contrastare l’avversario. Caressa prova a fare il maestrino parlando di “cono di luce” e di palla che si sta dirigendo verso la porta e non verso l’esterno e quindi rigettando la tesi. Poi mandano il replay e la si vede la palla che rotola al di fuori dell’area piccola, altro che verso la porta…

Ad ogni modo, arbitri: parlate e spiegate, cazzo.

Invece, incassiamo la gradita botta di culo e, nella ripresa, ribaltiamo il match, non prima di aver reso merito a Handanovic per una parata sullo sgusciantissimo Boga, che spara un sinistro rasoterra sul palo lungo, neutralizzato con parata felina dal nostro portiere. Siamo ancora vivi, e proprio per questo togliamo dal campo un paio di moribondi: Correa e Calhanoglu (lui sì, confermatissimo nella lista dei cattivi) non la beccano mai ed escono dopo 55 minuti di nulla, sostituiti da Vidal e Dzeko. Fuori anche un insipido Bastoni per un Di Marco ancora una volta convincente, commento applicabile anche al cambio di esterno Darmian – Dumfries.

Quattro cambi insieme non li avevo mai visti se non nei Trofei Moretti estivi, ma erano tutti necessari. Poi ci si mette anche un po’ di culo, visto che bastano trenta secondi e un cross nemmeno così bello di Perisic per liberare Dzeko sul secondo palo per il comodo colpo di testa che vale il pari.

Punteggio e inerzia della partita totalmente cambiati, e partono dieci minuti a manetta: è la situazione ideale per Vidal, giocatore che con gli anni pare giocare molto più sull’entusiasmo del momento e non sulla solida regolarità che ne ha contraddistinto la carriera. Ma è un mio parere e, vista l’affidabilità delle mie previsioni, è probabile che ce lo ritroveremo in cabina di regia a giostrare come un moderno Matteoli.

Poco dopo è sempre Dzeko a seguire una palla in profondità di Brozovic, anticipando Chiriches e inserendosi tra lui e il portiere. Consigli, che sui miracoli contro l’Inter ci ha costruito una carriera, stavolta sbaglia i tempi dell’uscita e sbilancia Dzeko a cavallo dell’area, prima di prendere la palla con le mani. Rigore, e meno male che la rusada (spinta per i non meneghini) decisiva è già all’interno dei 16 metri, perché già mi aspettavo la beffa della punizia dal limite spedita in gradinata.

Dal dischetto va Martinez che spiazza il portiere e fa 2-1.

L’ultimo quarto di gara i nostri lo giocano con sapienza, senza rischiare granché e trovando anche il 3-1, giustamente annullato per fuorigioco.

Vittoria complicata e sofferta, con una considerevole dose di buona sorte nell’episodio di fine primo tempo: giocare in dieci la ripresa avrebbe dato tutt’altro gusto al match e aperto un sacrosanto processo alla tenuta mentale dei nostri difensori. Invece, andiamo alla sosta con tre punti in saccoccia, apprestandoci ai soliti rosarioni collettivi nella speranza che le trasvolate oceaniche dei nostri non abbiano conseguenze sul loro stato di salute.

Il ritorno vedrà un trittico di partite mica da ridere, con Lazio in trasferta, Sheriff e poi Juve in casa, tutte in una settimana. Inutile dire che saranno giorni cruciali per i nostri.

LE ALTRE

Continua il mio allarme per la risalita della Juve. Il Derby vinto col Toro è un altro pessimo presagio, visto che il pari sarebbe stato probabilmente la fotografia migliore per quanto fatto vedere dalle due squadre. Invece, il tanto vituperato colpo del singolo, l’azione improvvisa così deprecata perché non arriva dopo lunghi minuti di ruminamenti a tre all’ora, sposta l’equilibrio e porta i tre punti dalle parti di Allegri. Occhio, chè questi arrivano…

Napoli e Milan non hanno nemmeno il fattore novità, visto che continuano non solo a vincere ma a mostrare uno stato di forma difficilmente pronosticabile a inizio stagione. Ho visto i cugini sbarazzarsi dell’Atalanta con facilità, giocando una partita per me bellissima, fatta di continue accelerazioni, tutta in verticale, in culo al possesso e al giro palla manovrato. C’hai Theo Hernandez, Leao, e compagnia? Sfruttali, perdìo! E’ quel che fa Pioli, e Gasperini, per una volta, non ci capisce molto. Vero che le assenze di Gosens e di Pessina non aiutano, ma duole ammettere che la vittoria è meritata.

La certezza è che il Napoli non potrà andare avanti e vincerle tutte. La speranza è che il Milan non sia in grado di mantenere questo idillio di forma ed efficacia a lungo. Sarebbe bellissimo che il ritorno dello splendido quarantenne (auguri al vecchio cuore nerazzurro Zlatan) facesse saltare gli equilibri cesellati con tanto amore dagli artigiani di Milanello Bianco.

E’ COMPLOTTO

Non parlerò qui del bilancio presentato dall’Inter, con la perdita record di 245,6 milioni, se non per segnalare come un numero così abnorme, per quanto riferito ad una situazione già passata, sia sufficiente per soffiare sul fuoco del disfattismo, dell’inevitabile ed imminente cessione da parte di Suning. Del resto, come abbiamo imparato da un anno a questa parte, ogni settimana è quella decisiva per la vendita a BC Partners, Oaktree, PIF, Ciccillo ‘O Meccanico…

Sono invece curioso di sentire come verrà giudicata la vittoria del Milan dal punto di vista del gioco, visto che tutto si può dire dei rossoneri ma non che pratichino un calcio palleggiato e corale. Prevarranno insomma i Talebani Calcistici, secondo cui è ontologicamente necessario fare il Bel GiUoco (whatever that means) per poter vincere, oppure ancora una volta avrà la meglio la retorica di Milanello Bianco, che cosparge di miele tutto quanto arriva da quelle latitudini?

Probabile che Sacchi scriverà l’ennesimo pezzo che va riproponendo da decenni, snocciolando statistiche accomodate a proprio uso e consumo, ma quella ormai è una non-notizia. Per Arrighe, lo sappiamo, tutto ciò che non sia corto-umile-intenso non è nemmeno degno di essere chiamato calcio, e il problema non sarebbe nemmeno lui, che su quel credo ha basato il suo quadriennio magico (chè la sua carriera ha avuto successo per quattro anni, non di più, ricordiamolo). Il problema – l’ho detto altre volte e mi scuso per la ripetizione – è che lo sport italiano l’ha eletto a maestro inconfutabile e genio assoluto di un calcio che, spiace per lui, è in continua evoluzione. Il suo calcio fatto, tra altre nefandezze, di difese altissime, in tempi di VAR sarebbe probabilmente vittima di un paio di gol a partita, visto che già ai tempi di Franchino Baresi e del suo braccio alzato erano tante le volte in cui, al replay, si diceva “ah in effetti il fuorigioco non c’era…“. Ma erano, appunto, altri tempi, inutile rivangare. Utilissimo, invece, sarebbe svecchiare questi canoni e uscire una dannata volta dal manicheismo che vede un solo modo di giocare al calcio, a prescindere dai giocatori a disposizione, e che di risulta condanna all’inferno ogni eretico che lancia a campo aperto il Chiesa, il Lukaku o il Theo Hernandez di turno.

Ma vallo a dire a certa gente…

Entra e ribalta la partita. Poche volte così contento di aver avuto torto

NATA VOTA

SHAKHTAR-INTER 0-0

Per la terza volta in dodici mesi, i brasiliani di Ucraina ci costringono ad un insipido e pericoloso pareggio a reti bianche, riaprendo scenari apocalittici in ottica Champions.

La contemporanea vittoria dello Sheriff neintemeno che al Santiago Bernabeu complica ulteriormente le cose, con tutte e quattro le squadre ancora in corsa per la qualificazione.

Mai stati bravi noi nel trarre il meglio da incastri complicati e aperti a tante soluzioni diverse: di solito la Legge di Murphy ci guarda benevola, quasi rassegnata come a dirci “ragazzi, ma sempre da voi devo venire?“. La speranza è che questa sia l’eccezione che conferma la regola.

De Zerbi non ha tardato ad imprimere il suo gioco a quelle latitudini, e quindi assistiamo ad un palleggio insistito che, sebbene non crei chissà cosa -ah che banalità tirare in porta…- d’altra parte ci tiene per lunghi quarti d’ora a correre a vuoto, sprecando energie che fatalmente vengono meno sotto porta.

Una brutta partita in cui il solo Skriniar brilla per costanza ed efficacia: è lui a salvare un gol già fatto in uno dei rari casi in cui il petting calcistico dello Shakhtar arriva alla penetrazione (so’ poeta, checcevoifa’?); sempre lui a fermare i tentativi di incursione dei vari brasiliani in rosa. Per il resto, tutti vivacchiano sul 5,5, con minime variazioni verso l’alto – Sanchez per una volta ha reso preziosa la sua mezzora da trottolino amoroso – e verso il basso – Dzeko e Martinez si mangiano un gol a testa che mi costa decine di punti Paradiso.

Ciononostante, creiamo cinque palle gol nitidissime, salvo mangiarcele da sole (vedi supra), spararle sulla traversa (Barella a voragine come il miglior Stankovic) o trovare il vecchio portiere in serata di grazia (nel finale prima su tir’aggir’ di Correa e sul corner successivo su capocciata di De Vrij). Non poco, ma nemmeno abbastanza: il pari è giusto e, cosa più importante, fa pensare.

La sensazione è stata quella di una squadra per la prima volta stanca e non reattiva: gli stessi Barella e Brozovic hanno girano ben al sotto dei loro standard, con il croato a conoscere l’onta della prima sostituzione stagionale, lui che da tutti, Inzaghi compreso, viene definito come l’architrave irrinunciabile del nostro centrocampo.

La ricetta del dottore è semplice: tocca battere due volte gli Sceriffi sperando in altrettanti pareggi tra ucraini e Real, per poi trovare almeno una vittoria nelle ultime due gare. Il bonus-rodaggio e i jolly da giocare ce li siamo già fumati. Vincere tre delle prossime quattro insomma, dopo aver raccolto un punto nelle prime due. Hai detto niente…

Champions a parte, e senza voler infierire gratuitamente su Dzeko, faccio solo presente una cosa. Il bosniaco non è stato “opaco per la prima volta in stagione” come ho sentito dire a commento della prestazione. Ha giocato più o meno come le altre volte, solo che fino a martedì aveva accompagnato i tanti errori sotto porta e in impostazioni al gol salvifico (vedi Atalanta, vedi Bologna…), mentre in Ucraina si è limitato alla prima parte del copione.

La speranza è che il ritorno di Correa possa garantire un effettivo turn over tra i tre (chè anche Lautaro deve rifiatare) che riesca a migliorare la lucidità in zona gol. Vero che siamo il primo attacco del Campionato, ma – non so a voi – a me restano molto più in mente i gol sbagliati di quelli fatti.

Sabato andiamo a Sassuolo, trasferta che negli anni ci ha visti uscire con le pive nel sacco o dopo averli seppelliti di gol. Poi ci sarà la sosta, motivo in più per non fare cazzate e rimettersi in carreggiata, anche perché le altre stanno bene, come la stessa Champions ha dimostrato.

LE ALTRE

La partita migliore delle quattro italiane l’ha fatta l’unica che ha perso: il Milan nella prima mezz’ora ha dominato contro l’Atletico di Simeone. Rimasta in dieci per una doppia ammonizione di Kessié, che nella circostanza ha dimostrato di avere l’intelligenza calcistica di un Muntari qualunque (altro che “arbitro brutto e cattivo“…), gli spagnoli hanno continuato a cincischiare, creando un paio di occasioni con Suarez ma poco altro.

La traversa di Leao – splendida rovesciata – avrebbe portato il parziale sul 2-0 e lì credo che sarebbe finita.

Paradossalmente l’Atletico, pur avendo l’uomo in più, è stato bravo a tenere aperta la partita, e alla fine il pari è arrivato con una bella azione chiusa da Griezmann.

Da interista, ho goduto parecchio nel vederli perdere al 96′ per un rigore che più dubbio non si può. Non posso definirlo inesistente, perché la palla in effetti finisce sul braccio del difensore: il problema è che appena prima è l’attaccante a fare altrettanto. Ripeto: godibile spettacolo per un tifoso come me, avvelenato dal proverbiale e collaudato affair tra i cugini e il dischetto. Detto questo, la sconfitta arriva come la peggiore delle beffe.

Mi aspettavo il titolo “A testa altissimissimissima” ma si vede che non ci stava su una riga sola, e quindi si è ripiegato su un per nulla partigiano “Milan Scippato“.

L’Atalanta ha fatto la sua partita, confermandosi squadra solida e capace di portare a casa il risultato anche senza andare a mille all’ora per 90 minuti.

Purtroppo brava la Juve, anche se gli esteti del bel giuoco saranno inorriditi per le due linee a protezione del vantaggio di Chiesa. Fossi juventino (che Dio me ne scampi), sarei contentissimo della prestazione ancor prima che del risultato. Occhio, chè questi stanno tornando, e lo stesso Bonucci, nemmeno troppo tra le righe, riconosce che gli ultimi due anni sono stati un po’ buttati nel cesso.

Lasciamo la Cèmpions per qualche settimana e testa sotto col Campionato: qui i rivali stanno viaggiando a velocità folli, tocca non farli scappare via.

Lo Spiazel One sembra dire “questo lo segnavo anch’io”. Confermo. Anche oggi. Anche in mocassini.

A TESTA ALTA

INTER-REAL MADRID 0-1

Per i pochi che non ci arrivassero di loro, il titolo ha una corposa dose di sarcasmo, chè certe definizioni a me, come dicono a Roma, me rimbalzano. Sai chemmefrega di perdere così (cosa alla quale sono invece interessatissimi i nostri cugini).

Perdiamo una partita che meritavamo di pareggiare ma non di vincere, visto che la mezza dozzina di palle gol non sfruttate è colpa nostra ben più che merito di Courtois, che deve superarsi solo sul colpo di testa di Dzeko nel secondo tempo. Le altre parate, almeno tra di noi diciamocelo, sono di ordinaria amministrazione: spettacolari perchè l’occasione era ghiotta, ma i nostri sembravano avere il goniometro e mirare al centro della porta. Non a caso l’urlaccio più forte l’ho tirato sul destro di Brozovic che, lemme lemme, è finito a fil di palo a portiere battuto.

La mia analisi della partita non è diversa da quella che si legge sui giornali: buona Inter nel primo tempo, decisamente migliore di un Real lento e compassato, musica diversa nella ripresa. I cambi sorridono a Ancelotti (non Carletto, nemmeno Carlo, mannaggia a tutti i giornalisti che continuano a chiamarlo manco fosse loro cugino): lui fa entrare due giovanotti che guarda caso confezioneranno il sifulotto finale (Camavinga e Rodrygo), noi cambiamo gli esterni senza grossi effetti, se non quello di liberare il velocissimo Vinicius che solo un monumentale Skriniar riesce a fermare appena prima che le sue serpentine diventino fatali.

Dumfries dimostra di avere la velocità di Hakimi, che non è poco, ma di dover lavorare ancora tanto quanto a tattica e intelligenza calcistica. E Hakimi stesso, calcisticamente parlando, è un cavallone, non un filosofo della fascia come Brehme, quindi addavenì baffone… Darmian al momento è da preferire per l’affidabilità che anche ieri sera ha dimostrato. Niente picchi verso l’alto, ma nemmeno svarioni difensivi.

Mi sono piaciuti molto sia Barella che Brozovic, che assommano alle qualità tecniche anche una costanza di rendimento che invece manca totalmente a Calhanoglu, impalpabile anche ieri sera: secondo me è rimasto in campo unicamente nella speranza di una punizione dal limite che la difesa del Real si è guardata bene dal concedere.

Correa -che di suo ha combinato poco o nulla – è entrato ancora al posto di Martinez e non di un Dzeko che, aldilà del paio di occasioni avute, è parso in versione spaventapasseri piantato sulla loro trequarti, senza nemmeno il lodatissimo lavoro di cucitura col centrocampo che tanti applausi gli ha portato (non da me, come sapete). Era da togliere lui? Secondo me sì, giusto per vedere l’effetto che fa, anche perché questo c’ha 35 anni, se basiamo la nostra stagione sul fatto che lui giochi sempre 90 minuti abbiamo un problema.

Ad ogni modo: la Champions è dura e lo sappiamo. La situazione è la stessa degli ultimi tre anni: la qualificazione ce la giochiamo contro le altre due, ma ieri sera un punto avrebbe fatto comodo proprio per la classifica, oltre che per il morale. Aver perso contro un Real comunque rimaneggiato (non c’erano Bale, Marcelo e Kross, Hazard è rimasto seduto 90 minuti) fa male pensando al ritorno al Bernabeu, dove portar via punti sarà ancora più difficile.

Per una volta, insomma, sono più pessimista dei media che parlano di rammarico e dell’inevitabile beffa per la sconfitta finale. Per me non aver sfruttato le occasioni avute (come già a Genova domenica scorsa) è peccato mortale, e più ancora del monumentale Lukaku (facile da rimpiangere) ieri sera mi sarei accontentato del cinico ed essenziale Icardi. Per rispetto delle semidivinità, non arrivo a tirare in ballo la visione celestiale che è apparsa sugli schermi di Amazon nel prepartita, con Milito in compagnia di Julio Cesar e Seedorf a commentare le gesta terrene dei nostri eroi in braghette.

A TESTA ALTISSIMA

Ecco, se allarghiamo il discorso ai cugini un po’ di cose non mi tornano. Stante la contemporaneità non ho visto la partita, se non in forma di sintesi e di commenti post-gara. Se però asciughiamo i commenti dalla saliva dei soliti lecca…piedi, vedo numericamente un dominio del Liverpool interrotto dagli ultimi minuti del primo tempo in cui il Milan riesce a sorprendere i Reds e ribaltare il risultato. Per carità: alla fine abbiamo perso entrambi, quindi ha anche poco senso stare a filosofeggiare sul “come” ma, ancora una volta, la tendenza di certi media a metter tutto insieme parlando di Doppia Beffa, quando non di Orgoglio Milan – Beffa Inter mi fa girare le balle.

Se si vuole fare un’analisi aldilà del risultato (che resta ahimè la cosa più importante) l’esercizio è semplice: l’Inter meritava il pari, al Milan è già andata bene così.

Ma poi chi glielo dice a Theo, Franck, Piolisonfaiar e tutti gli altri?

Infine: applausi a scena aperta a Simone Inzaghi e più probabilmente al suo addetto stampa, vista la varietà di locuzioni usate per non incorrere nel mitologico Spiaze: da Zè ramarico siamo passati a il dispiazere rimane. Chapeau, anzi: Sapò.

Lui era fisso che scrutava nella notte (cit.)

IN CRISI A UN PUNTO DALLA VETTA

È forse il caso di iniziare a mettere ordine in questa strana stagione calcistica. Del resto, si avvicina il periodo di chiusura di bilancio.

Il punto di partenza, noto a tutti, è che siamo a un punto dalla testa della classifica (bene) ma già fuori dall’Europa (male, perdìo). La vittoria con lo Spezia in casa era quanto di più ovvio ci si potesse aspettare ma, trattandosi di Inter, non si è mai sicuri di niente.

Iniziando da una rapida analisi della rosa a disposizione, noto una sensibile differenza tra la apparente abbondanza di alternative e l’effettiva scarsità di reali alternative.

Da una rosa formale di 26 giocatori (compresi 4 portieri), notiamo come Ranocchia, Kolarov, Vecino, Nainggolan, Sensi, Eriksen e Pinamonti siano stati usati poco o nulla, per vari motivi. E se per i due difensori il mancato utilizzo è dovuto all’abbondanza di soluzioni migliori, per i centrocampisti e per l’unica punta il discorso è diverso.

La mediana, checché se ne dica, sta spremendo Barella e Brozovic come due limoni, con Gagliardini più di Vidal a completare il reparto. L’aggravante è che il bergamasco non sta sfigurando, se paragonato alla pochezza e alle scempiaggini messe insieme dal cileno finora.

Davanti, l’unica alternativa Lukaku e Martinez è Sanchez, con le ormai croniche criticità di tenuta fisica. Se – come leggo – a gennaio si vuole fare a meno anche del ragazzo Pinamonti (comunque al momento ai box pure lui), urge tornare al pennellone di riserva, che sia Giroud, Milik, Llorente o altri a scelta.

Non che a centrocampo la situazione sia migliore: con Eriksen siamo alla consensuale, spero che il matrimonio sia stato fatto in separazione dei beni, dopo Natale un caro saluto e buona fortuna. Sensi inizia solo adesso a deambulare, e pure al 40% della forma fa capire quanto possa essere utile a questa squadra.

Capito Piccinini? Inutile che fai il simpatico chiedendo “ah ma quindi alla fine tutta l’Inter gira intorno al recupero di Sensi?” Sono mesi che ci passeggiate sui testicoli con la mancanza del giocatore che salta l’uomo e crea superiorità numerica… Eccolo, fatelo star bene e poi vediamo.

Vecino è fuori dai radar da più di un anno, e non so quanto l’infortunio sia l’unica causa, visto che il rapporto con Conte pare non essere mai sbocciato. Per quel che mi riguarda, lo vorrei in campo al posto di Gagliardini, anche solo per riconoscenza di quei 4 o 5 gol fatti tra Derby e Champions, e soprattutto perché molto più forte, ma così non è. Stesso discorso per il Ninja, che da noi manco ci voleva tornare e che ha fatto dire a Conte “l’avete visto anche voi in che condizioni è…”. Ausilio deve lavorare di fantasia come il miglior piazzista da mercato rionale quando dice “si sta impegnando tantissimo in allenamento”, ma la verità è che cercheranno di rimandarlo a Cagliari per meno dei 10 milioni che non hanno ottenuto in agosto.

Quindi, ipotizzando che la Befana ci porti via tre o quattro giocatori, formalmente membri della rosa ma, come detto, di fatto mai utilizzati pienamente, si apre la fase del rimpiazzo.

Ho ormai smesso di illudermi di poter avere un terzino sinistro davvero forte – mi accontento di Ashley Young o di Darmian, con Perisic per i quarti d’ora disperati – così come vedo arduo arrivare al centravantone che possa far rifiatare Lukaku; a mio parere il mercato di gennaio deve avere un solo obiettivo: il Papu Gomez.

Non solo perché è forte (ma forte davvero), ma anche perché conosce la Serie A meglio di casa sua, può -lui sì- fare il trequarti dietro LuLa, ha intelligenza e dinamismo ad altissimi livelli nonostante l’età.

Sportivamente mi dispiace della frattura apparentemente insanabile con l’Atalanta. Detto ciò, da tifoso mi darebbe un certo gusto vederlo approdare da noi e, chissà, firmare il gol vittoria al ritorno in faccia a Gasperini.

Ancor più dell’argentino, spero che tutte le manovre del mercato -in uscita così come in entrata- vengano fatte in fretta, e non agli ultimi giorni di mercato. So che i soldi non sono i miei, ma storicamente non siamo bravi a giocare col tempo per far calare il prezzo. Per replicare la manfrina di 12 mesi fa con Eriksen, con i nostri a pensare “ok vogliono 20 milioni, aspettiamo gli ultimi giorni di mercato e vedrai che scendono” e poi dargliene comunque 20, tanto vale spendere ventimilalire in più subito ma dare al Mister la squadra completa il prima possibile.

Pìe intenzioni, credo. Se il mercato di inverno è storicamente difficile e avaro di colpi di qualità, a maggior ragione a ‘sto giro ci sarà ancor più penuria di soldi, e le occasioni saranno poche.

La squadra è stanca e gioca male, aldilà di schemi, moduli e disegnini sulla lavagna. Da anti-esteta del bel giUoco, mi porto a casa e mi tengo strette le vittorie messe in saccoccia dopo prestazioni ai limiti della decenza (vedi Spezia) o dopo tentativi di suicidio calcistico (vedi Napoli).

La ferita di Champions brucia e tanto, soprattutto vista la reale pochezza del nostro girone, Real Madrid compreso. Ma non possiamo incolpare nessun altro se non i nostri amatissimi eroi in braghette, comandante in primis. Ormai anche lui dovrebbe aver capito che, alle nostre latitudini, i colpi di sfiga sono assai più frequenti di quelli di culo.

A chi interessasse, avrei volentieri barattato l’1-0 contro il Napoli con una vittoria contro lo Shakhtar in Champions. Il mercato dei desideri però non è aperto. Tocca tenere la testa bassa sul Campionato e vedere quanta strada si riesce a fare.

LE ALTRE

Alla fin della fiera, credo che sarà ancora una volta la Juve la squadra da battere. Contrariamente al Milan che, pur in testa con merito, sta rendendo forse oltre i suoi limiti, i Gobbi iniziano solo adesso a carburare ed hanno un potenziale inespresso assai preoccupante: Dybala, tanto per fare un nome, non l’abbiamo ancora visto, Kulusevski e Chiesa poco di più.

Le altre mi paiono altalenanti: possono fare grandi partite ma difficilmente potranno rientrare in corsa per il titolo.

È COMPLOTTO

Come ogni maledetta domenica, chiudo la serata pascendomi della sagacia calcistica del Club di Caressa & Co. Tutti a celebrare il gol-lampo di Leao dopo 6 secondi, e tutti altrettanto attenti a ricordare alla perfezione il precedente record di Paolino Poggi. Lo Zio Bergomi tenta timidamente di ricordare il gol di Matteoli in Inter-Cesena segnato dopo 10’’ e non uno che se lo ricordasse: “Ah sì?” “Non ricordavo…

Certo, vuoi mettere il fascino di Paolino Poggi contro quello assai più trascurabile dell’Inter dei Record di Trapattoni?

Dài Mario, sei sempre il solito… Certo, come no. Passano due minuti e tutti i presenti constatano che, vista la velocità dell’azione, il record di Leao sarà difficilissimo da battere: giusto tirando in porta dal calcio d’inizio si potrebbe fare…

A Caressa non sembra vero e prende la palla al balzo “Una volta Totti ci provò, proprio al fischio d’inizio!

Lì nemmeno Bergomi ha avuto la prontezza di ricordare la traversa colpita da Icardi in Inter Napoli di due anni fa (mica 20…)

Ennesima conferma dello scarso appeal mediatico nerazzurro, e se leggete lo psicopatico che scrive, non vi serve nemmeno il Pistocchi di turno per convincervi.

APERITIFSPIEL – ALT. VERSION

Fin dall’inizio sapevo che sarebbe finita così…

I ballottaggi strappacuore sul centravanti da inserire sono niente rispetto all’assortimento sconfinato di bidoni, promesse mancate, casi psichiatrici, piedi fucilati e compagnia cantante che in questi 25 anni ha indegnamente indossato la casacca nerazzurra.

Un minimo di condizioni di esistenza.

Cercherò di spiegare di volta in volta se il prescelto si è guadagnato il posto in questa blacklist per mancanza dei requisiti minimi di sussistenza (fuori di metafora: sei scarso!) o perché avrebbe potuto ma non ha fatto, o perché si è macchiato di uno o più comportamenti (sia dentro che fuori dal campo) incompatibili con qualsiasi galateo calcistico degno di tal nome.

Posto che l’obiettivo ultimo di questa seduta di autocoscienza è la damnatio memoriae, non metterò foto di questi figuri, nella vana speranza di potermene scordare il prima possibile. Forza, allora, cominiciamo:

Col numero 1 facendo lo schizzinoso avrei potuto inserire Cinghialone Peruzzi o Sebastien Frey ma, pur avendo lasciato un retrogusto agrodolce nel loro breve trascorso nerazzurro, non sono certo stati cattivi portieri. Quindi saltiamo il portiere e cominciamo dal terzino.

Con il numero 2: Il Divino… Jonathan

Aldilà degli aspetti mitologici associati al personaggio, arrivato come primo di tanti “nuovi Maicon”, Jonathan ha avuto 30 secondi di gloria contornati da stagioni di assoluto anonimato, quando non di induzione alla blasfemia calcistica. Semplicemente non da Inter, non da Serie A. Full stop. Ben vengano le parodie e i meme che fanno SEO e muovono l’algoritmo, ma nulla più di questo.

Con il numero 3: Fabio… Macellari

Come forse sapete, ho un debole per il ruolo, che mi rende assai suscettibile ed esigente in materia. Avrei quindi potuto inserire quasi a caso un qualunque affittuario del numero magico, e sarebbe comunque stato indegno di tanta gloria. Macellari però va oltre, pur pagando colpe non sue (che già di sue, poveretto, ha dovuto scontarne abbastanza…). Succede che ogniqualvolta negli anni ho dovuto sentire la manfrina dei troppi stranieri in squadra e dei pochi italiani in rosa, rispondevo quasi in automatico: “Ricordo che l’ultima volta che abbiamo avuto una difesa di ragazzi italiani avevamo Bruno Cirillo sulla destra, Matteo Ferrari in mezzo e Fabio Macellari sulla sinistra”.

Ovviamente saltiamo il 4, per arrivare a…

Con il numero 5: Francesco… Dell’Anno

Una delusione immensa. L’avevo accolto come il regista illuminato che ci mancava dai tempi di Matteoli, si è trascinato per una stagione ciabattando in campo con la lena di un condannato ai lavori forzati. Primo caso (il secondo è stato Balotelli) di giocatore fischiato da San Siro sulla fiducia già al momento del suo ingresso in campo dalla panchina.

Una nota di colore: nello stesso anno in cui Felice Centofanti firmava i suoi autografi “100fanti“, lui iniziò a firmarsi “Dell’365”. Fine.

Con il numero 6: Roberto… Carlos

Sì, sì… lo so. Sono un senza Dio, è stato il più forte terzino del mondo, tutto quello che volete. L’ho adorato per il primo mese di Inter, ma ora di Ottobre mi aveva già rotto i coglioni. Ritorno su una storia già raccontata in passato. La stagione 95/96 è stata la prima ad introdurre le statistiche applicate al calcio: c’era la curiosa figura di Adriano Bacconi ad introdurci ai rudimenti di medie, mediane, trend, eccetera.

Tutta roba se volgiamo ancora abbastanza spartana, ma sufficiente ad evidenziare un dato preoccupante. Nella speciale classifica dei tiri in porta tentati, a fine stagione in testa c’era Batistuta (ovvio, essendo il classico centravantone-della-Madonna): ecco, il secondo in classifica era Roberto Carlos. Quattro, cinque, sei volte a partita prendeva palla e sparava in porta da 30 metri o più. Le prime volte, sfruttando il piacevole fattore-novità, segnava con una certa frequenza (tre dei suoi 5 gol in campionato arrivano prima del 1° Ottobre, uno degli altri due è un rigore) ma, capito il giochino, i portieri lo aspettavano e neutralizzavano i suoi tentativi sempre più velleitari.

Poi, se mi dite che bisognava tenerlo e farlo crescere per sfruttarne le indubbie doti offensive, col senno di poi posso anche essere d’accordo. Ricordo però, come già fatto altre volte, che al momento della cessione nè Milan nè Juve si fecero avanti per sfruttare l’apparente abbaglio dell’Inter.

La verità, come vedremo per altri numeri di questa lista, è che con i giovani è sempre una lotteria, e ti può capitare di dar via quello che altrove diventa un fenomeno. Ma non rimpiangiamo quella stagione di Roberto Carlos all’Inter come un campionario di magie e finezze.

Chiudo con l’ennesimo Luogo Comune Maledetto: Hodgson gli preferiva Pistone, smentita proprio dal diretto interessato ma talmente “bella” da essere tramandata di anno in anno.

Con il numero 7: Sergio… Conceiçao

Quel che l’immortale Ezio Luzzi una volta chiamò “Cosenzao” è stata una delusione, anche se “nasata” da lontano. Ho sempre pensato che quello visto alla Lazio fosse un positivo effetto collaterale di un centrocampo che poteva schierare, tra gli altri, Veron, Simeone e Nedved. Come a dire che lì in mezzo in tanti avrebbero potuto dire la loro.

Se non altro il ruolo era perfetto per il granitico 4-4-2 di Cuper, ma di dribbling e cross vincenti in due anni ne abbiamo visti pochi. Molte di più le palle perse, spesso seguite da braccia levate al cielo in segno di disappunto, e un’espressione scazzata pure quando segnava.

Con il numero 8: David… Pizarro

Aveva tutto per entrare nelle mie simpatie: regista (udite udite, proprio di ruolo, non uno dei tanti “non è il suo ma può adattarsi), cileno (e dopo Zamorano ero pronto anche ad invaghirmi di un capomastro di Vina del Mar), intelligenza calcistica superiore. Invece, è arrivato un trottolino tabbozzo e dribblomane, che anzichè far partire l’azione velocemente insisteva a dribblarne due o tre prima di perder palla sulla nostra trequarti. Da speranza a destinatario dei miei “dalla via ‘sta palla!” in meno di un girone, è migrato a Roma per vederci vincere scudetti e coppe in sequenza.

Pingue consolazione e magra vendetta verso El Pek.

Con il numero 9: Darko… Pancev

Anche se molti interisti avrebbero inserito qui Icardi, per me “ball don’t lie” come dicono in NBA, e quindi faccio il ragionamento valido per Bobo Vieri: uno che segna più di 100 gol con l’Inter meriterà sempre e solo il mio grazie, indipendentemente da mogli, procuratori, rapporti con la Curva, compagni e allenatore. E’ invece un altro malcapitato nella storia nerazzurra ad aggiudicarsi l’ambita maglia da (would to be) centravanti: Il Cobra, o il Ramarro, a seconda delle preferenze etologiche.

Perfino superfluo ricordare il tanto che ci si aspettava da lui e il poco che ha dato. Rimane il fascino dello zingaraccio maledetto, e indolente, sorriso beffardo da Ligabue dei Balcani, pieno di soldi e già nella storia per la Coppa Campioni conquistata a Bari nel 1991.

Il Signor Carlo capirà e non potrà che convenire.

Con il numero 10: Domenico… Morfeo

Come già sunteggiato per Roberto Carlos, e come poi vedremo per un altro giocatore compreso nella lista, anche per Morfeo possiamo tornare sul concetto di grande talento inespresso.

Per il potenziale che aveva a disposizione, ha reso forse al 50% di quel che avrebbe potuto. Sinistro sapiente, ottima visione di gioco, furbo e cattivo quanto basta, alternava però tutto questo a tante, troppe esibizioni fatte di indolenza, superficialità e supponenza. Le Madonne che ho tirato a lui (ma ancor di più a Cuper che l’aveva messo in campo sul 3-1 per noi) in un lontano Inter-Roma in cui c’era solo da gestire gli ultimi 20 minuti hanno risuonato al primo verde di San Siro per mesi e mesi.

Al min. 5.45 il capolavoro del nostro, vecchio di quasi vent’anni ma ancora impresso a fuoco nella mente di chi scrive. Da lì è entrato con un biglietto di sola entrata nella lista nera.

A tutto ciò associa l’aggravante di essere involontariamente inciampato (come tutto il Milan) in uno scudetto conquistato con più culo che anima, nell’anno di (dis)grazia 1999.

Con il numero 13: Fabio… Cannavaro

Non voglio essere scurrile e screanzato. Mi limito a questo: self explaining.

Con il numero 14: Fredy… Guarin

Emblema dell’Inter di quegli anni: brilli estemporanei alternati a nefandezze perpetue (cit.). Avesse avuto anche solo metà del cervello calcistico di uno a scelta tra Cambiasso, Stankovic o Matthaeus, avremmo avuto in casa un campione. Fisico, tiro, quando in buona anche doti di leadership, ma una incostanza degna della peggior nobildonna capricciosa. Per intenderci, capace di risolvere un Derby da solo e di buttare in vacca una partita con un retropassaggio di questo tipo (min. 3,30). In mezzo, tante buone mezze partite, tanti tiri al terzo anello, fino alla salvifica cessione in Cina. Assolutamente non rimpianto.

Con il numero 15: Fabian… Carini

Il terzo portiere della Juve è vittima innocente di queste righe, ma è parte integrante della sceneggiata messa in piedi dal succitato Cannavaro, con la cortese collaborazione dell’altrettanto summenzionato Moggi e di Paco Casal, traffichino sempre presente quando le acque non sono limpide.

Nulla di personale, ma non poteva non essere inserito nella blacklist.

Con il numero 16: Nicolas… Burdisso

Nutro un’ammirazione notevole per la persona, a partire dai problemi familiari fortunatamente risolti all’inizio della sua parentesi nerazzurra (e anche in quel caso chapeau al Sig. Massimo), per arrivare a coscienza sociale extra-calcistica.

Dentro il campo, è stato un buon difensore, ovviamente criticato più ed oltre dei propri demeriti finché tesserato nerazzurro, e invece celebrato negli anni di Roma, quando il ritornello polemico era “Burdisso a cui l’Inter non riusciva a trovare un posto in squadra, alla Roma invece sta facendo faville“. Nessuno ovviamente si sognava di dire le cose come stavano, e cioè che per essere bravo era bravo, ma che i vari Lucio, Samuel, Materazzi, Cordoba lo erano di più. Fine della storia.

Trova posto in questa lista dei cattivi per un errore troppo grave per passare nel dimenticatoio, e che ricordo distintamente essendo stato commesso in un Inter-Juve di fine Marzo 2008, a soli pochi giorni dalla nascita del rampollo di famiglia. Accomodo il poppante in culla a fianco del divano e non posso nemmeno sacramentare come l’occasione avrebbe richiesto per non turbare la quiete familiare. Non mi è mai andata giù…

Con il numero 17: Zdravko… Kuzmanovic

Centrocampista legnoso, ruvido e macchinoso, comprato in tempi di magrissima economica. Sono gli anni più duri del nostro recente passato, in cui pochi mesi bastarono a veder sparire dalla rosa giocatori come Julio Cesar, Sneijder, Maicon e comparire carneadi quali Ruben Botta, Laxalt e, per l’appunto, il Kuz.

Avere pochi soldi da spendere fa parte dei corsi e ricorsi storici. Spenderli male in quei momenti però è ancor più grave…

Essere calciatori mediocri non è una colpa in sè, mica possono essere tutti fenomeni. Quel che non ho mai tollerato del serbo-svizzero è stato il voler sembrare quel che non era. Se vuoi essere un vero “tuttocampista”, o ti chiami Stankovic, o Yaya Touré, o roba simile… Lui non era un regista, non era un incontrista, non era un incursore. Faceva un po’ di tutto ma non era abbastanza.

Come dice Giacomino Poretti in “Chiedimi se sono felice”… “…insomma fu un po’ tutto, e non fu niente”. (min. 4.55).

Con il numero 19: Bernardo… Corradi

Altro caso di giocatore “poco colpevole” per quanto fugace è stata la sua parentesi nerazzurra, e che però assomma in sé un paio di caratteristiche mal tollerate dal sottoscritto: caso tipico di centravanti che segna poco ma si muove bene per i compagni (davano del “generoso” a Graziani, che però di gol in carriera ne ha fatti quasi 200, questo qua in Serie A non supera gli 80), ma comunque celebratissimo dalla critica, forse perchè ci segna contro in quell’Inter-Chievo del dicembre 2001, quando il mondo si accorge dei “mussi volanti” di Clouseau Delneri; infine, in maglia Lazio e con il maledettissimo Piojo Lopez, si esibì in balletti a ripetizione, poi zittiti da una delle migliori esibizioni di Emre Belozoglu (a.k.a. il Maradona del Bosforo).

Ecco, nella mia deontologia calcistica, il balletto post-gol equivale ad aprire la caccia all’uomo. Intollerabile, peggio di scartarli tutti e segnare di testa a porta vuota dopo essersi inginocchiati sulla linea di porta.

Con il numero 20: Sulley… Muntari

Uno dei calciatori che, nella sua parentesi interista, mi ha fatto incazzare di più. Devo dargli il merito di un paio di gol pesanti (anche se quello con la Juve a momenti lo sbaglia…) ma i due minuti di Catania a inizio 2010 sono sufficienti a farlo inserire nelle primissime posizioni della blacklist. Come tanti altri centrocampisti “non pensanti” (Felipe Melo altro esempio) era un pericolo sempre in agguato, con il fallo inutile o la crisi di nervi a livelli altissimi di esondazione.

Per i precisètti: Sulley ha vestito anche l’11 ed il 77, ma nella prima apparizione in nerazzurro aveva il 20. Oh, poi se non vale posso sempre mettere Recoba!

Con il numero 21: Andrea… Pirlo

Altro caso che per molti di voi equivarrà a bestemmia calcistica, ma chi mi conosce sa quel che penso di lui. E aldilà di questo, qui parliamo di quel che i calciatori hanno fatto nella loro parentesi nerazzurra. E lui, all’Inter ha fatto poco al cazzo.

Torno a quanto detto a proposito del numero 6 e del numero 10 di questo nefasto elenco: a vent’anni è ancor oggi molto difficile capire chi sarà il “crack” e chi invece rimarrà il bel giocatorino ma nulla più di quello. Chi ha un minimo di onestà intellettuale converrà con me che Pirlo ha iniziato ad essere il giocatore che è poi stato solo a partire dal 2001, quando Mazzone (e non Ancelotti!) lo sposta regista anche per lasciare Baggio a pennellare calcio in posizione da “10” classico. Quindi, prima di quell’invenzione, il bresciano era uno dei tanti talentuosi trequartisti, con piedi fatati ma senza il fisico nè tantomeno la velocità per giocare sotto la punta, un fantasista che evidentemente non riusciva a convincere gli allenatori dell’epoca -e cazzo, ne cambiavamo una manciata a stagione in quegli anni- a giocare al posto dei vari Baggio, Recoba and Co.

Sacrilegio? Forse. O forse no.

Ricordo per i soliti amanti dei Luoghi Comuni Maledetti che dalla cessione di Pirlo al Milan l’Inter ricavò comunque 35 miliardi di lire. Niente scambio alla pari con Guglielminpietro, quindi.

Con il numero 22: Adem… Ljajic

Giocatore stilisticamente splendido, talento da vendere. L’anno in cui arriva fa la scelta avventata di scegliere quel popò di numero, facendo storcere il naso a tanti di noi. Arriva oltretutto in coppia con Jovetic, altro diamante di classe ma come lui dotato della solidità e della grinta di un lombrico.

Non ha particolari colpe, lo riconosco, ma che una punta scelga il numero di Milito a così poca distanza dall’addio al Principe è un peccato di ubris che non gli si può perdonare. Vero, il numero l’anno prima l’aveva già scelto Dodo, altro mascariato dalla maledizione della fascia sinistra nerazzurra, ma quello lì almeno era un difensore!

Con il numero 23: Christian…Brocchi

Antipatia allo stato puro, devo essere sincero, già nella trascurabile stagione interista. Ennesimo giocatore medio (non mediocre) che i casi della vita, e l’inevitabile culo che da sempre circonda tutto ciò che è rossonero, hanno fatto assurgere a grande campione in quanto panchinaro del Milan di Ancelotti. Godibilissimo nel ruolo di pupillo della premiata ditta Silvio&Adriano, dopo il fallimento da Mister rossonero (come i colleghi “cuori rossoneri” Pippo e Clarenzio) negli ultimi tempi sta mostrando mirabilie sulla panca del Monza. A chi potesse interessare, il combinato disposto tra proprietà, dirigenza e allenatore ha fatto allontanare chi scrive da ogni simpatia biancorossa (peraltro da sempre alquanto blanda), spingendomi nel contempo a supportare l’arcirivale Como.

Un divertissement e nulla più, ma quando leggi stronzate simili, come fai a resistere…

Con il numero 24: Vratislav… Gresko

So che le cose non accadono per effetto di una sola causa. So che, nella vita così come nel calcio, saltare a facili conclusioni è spesso fuorviante. So che non è giusto ridurre il tutto ad un singolo episodio, ma… è tutta colpa sua.

Passi Moggi, passi l’arbitro De Santis, passi l’Udinese in versione zerbino, ma nulla mi toglie dalla testa che se fossimo andati al riposo sul 2-1 per noi, quel 5 maggio lo scudetto sarebbe stato nostro.

Invece, il minchione pensò bene di fare quel cazzo di retropassaggio di testa, dando il via ad un effetto valanga che ha rovinato tutto. Non metto i link. Fa ancora troppo male…

Non l’avrei perdonato nemmeno fosse stato Ronaldo o Vieri, figuriamoci questo slovacco scaleno che, notizia degli ultimi giorni, nel dopo-partita addirittura si chiedeva come mai tutti fossero così tristi e incazzati, e che insomma a lui di perdere uno scudetto all’ultima giornata era già capitato tre volte. Non mi capacito di come Materazzi, che ha riportato la notizia un questi giorni, non l’abbia terminato seduta stante…

Con il numero 25: Vampeta

La storia la sappiamo tutti, quella del giocatore un po’ Vampiro e un po’ Capeta (Diavolo), da cui l’accattivante soprannome. Il baffetto alla Clark Gable ed una certa metrosexualità hanno contribuito a celebrare la portata di questo “pacco”. Camminava per il campo come il peggiore Andrade dei tempi di Roma anni ’80 (non a caso soprannominato “Er Moviola”), venne presto spedito al PSG dopo che era stato compagno di Ronaldo ad Eindhoven. Del resto il Fenomeno, campione assoluto sul campo, è sempre stato rivedibile nel ruolo di talent scout: oltre a Vampeta, suggerì il terzino sinistro Gilberto

Lapidario il commento di Brunone Pizzul dopo la finale del Mondiale 2002: “E va beh… anche Vampeta è campione del Mondo…”. Sipario.

Con il numero 31: Jérémie… Brechet

Ennesimo tentativo di pescare il jolly per colmare l’annosa lacuna del terzino sinistro. Uno dei pochi casi in cui la parola “fallimento” può essere usata senza tema di smentita. Talmente scarso da risparmiare il giro di gogna mediatica al collega di ruolo e di maglia Alvaro Pereira.

Con il numero 34: Martin… Rivas

Confesso che ho dovuto ricorre alla rete per ricordarmi il nome. Del resto, questa è la sua pagina di Wikipedia. Il trascorso nerazzurro è pressocchè nullo, ma è la prova vivente di quel che potremmo definire l’indotto Recoba. Non solo 10 anni del Chino, con splendidi gol del 3-0 e lunghi mesi di apatia calcistica, ma anche una pletora di compagni di asado e di mate, tutti gentilmente forniti dalla scuderia di Paco Casal. Colpisco quindi il quasi innocente stopper quale monito indiretto alla gestione dell’epoca (per una volta non molto simpatttica).

Con il numero 45: Mario… Balotelli

Eh… Mario, Mario… cosa devo fare con te? Ti ho difeso per tanto, troppo tempo, prima di cedere ai ragionamenti da bar, ma non privi di una certa dose di verità: “il gran culo di quello lì è stato di essere nero, ché se era bianco non se lo cagava nessuno”. Fatte un paio di correzioni sulla consecutio temporum, e sgrezzata da una generosa dose di politically incorrect, l’affermazione non è così campata per aria: la carriera di Mario nostro è stata un’eterna promessa non mantenuta.

Continuo a ritenerlo il talento migliore della sua generazione (e non solo), capace di grandi gol… ma purtroppo solo di quelli, e nemmeno poi così frequenti. Intelligenza calcistica a livelli mediocri, un naturale istinto nell’infilarsi in qualsiasi casino, polemica, atteggiamento sconveniente, un’indolenza forse solo apparente ma che ha l’immediato effetto di indisporre chi ti viene a vedere “ué fioeu! se te gh’et minga voeuja de giuga’ vegni giò mi… per la metà dei danée che te dànn”. Ero lì la sera in cui ha sfanculato un intero stadio, da cui credo sia uscito indenne solo perché ha coinciso con la miglior serata di calcio vista a latitudini interiste da decenni. CI pensò comunque Matrix a rimetterlo in riga, seppur per poco. Potevi essere, non sei stato. Ciao.

Con il numero 54: Hakan… Sukur

Altro mito del Signor Carlo che, come avrete capito, ha gusti calcistici questionabili, e da me invece subito “nasato” come bidone. Ha segnato un golazo in un Derby: la cosa è stata sufficiente a farmi entrar nel cuore gente come Minaudo o Schelotto per cui figuriamoci… Niente a che vedere con bomber degli anni del Galatasaray, quando fece fuori il Milan dalla Coppa. Le ultime vicende politiche e umane hanno contribuito a rendermelo più simpatico, ma per il resto N.C.S. (Non Ci Siamo).

Lascio a voi ogni chiosa sull’elenco di malfattori calcistici appena scorso.

APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO – pt. 2)

Dopo aver rischiato dissoluzioni coniugali, e messo a serio repentaglio amicizie pluriennali, mi armo di coraggio a due mani e proseguo con lo stillicidio iniziato l’altro giorno.

Oggi mi dedicherò ai numeri dall’11 al 20, prendenomi qualche pausa e quindi “risparmiando” un paio di numeri che utilizzerò più avanti.

Iniziamo da uno dei primi veri campioni visti a San Siro.

Con il numero 11: Kalle… Rummenigge

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Come detto, la prima stella internazionale vista all’opera a San Siro. Come Figo, è arrivato avendo già dato il meglio, ma i primi due anni del suo triennio sono comunque stati sufficienti a farci capire che razza di attaccante fosse. Potentissimo, acrobatico (la bagassa dell’arbitro di Inter-Rangers!), un vero mito per il sottoscritto, forse anche perché il formaggino d’oro Grunland era tra i miei preferiti!.

Inizia oltretutto una felicissima parentesi di acquisti dalla Germania che, escluso forse il solo Hansi Muller (simpatico quanto acciaccato) ha portato all’Inter una serie di campioni che lui stesso aveva “benedetto”, e che tanto ci hanno fatto godere a cavallo tra gli anni 80 e 90.

Con il numero 12: Julio… Cesar

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So che nel post-Toldo è passato ad indossare la 1, ma qui fa gioco schierarlo con l’amata 12, tanto per non scontentare nessuno. Ancora oggi non so decidermi nello scegliere tra lui e Zenga quale più migliormente preferito, ma il brasiliano è stato un portiere fantastico per tutto il periodo di permanenza in nerazzurro.

Completo, bravo tra i pali e nelle uscite, buono come para-rigori, notevole anche coi piedi, qualche iniziale problema sul posizionamento sui calci di punizioni (vero Mancio?) aveva come unica pecca un paio di distrazioni all’anno, compensate però ampiamente da tanti sogni acchiappati. Continuo a preferirlo ad altri grandi portieri del recente passato (Toldone, Pagliuca) o del presente (Handanovic), ma onestà impone di riconoscere l’ovvio: l’Inter, di portieri scarsi, negli ultimi 50 anni non ne ha mai avuti.

Salutiamo Seba Rossi con simpatia.

Con il numero 13: Douglas… Maicon

Ecco, con il Maicone ero partito prevenuto, come del resto con molti brasiliani. Atteggiamento uggeggé-uggeggé-alegria-do-Brasil, scarso acume tattico, attitudine difensiva tendente a zero. E questo dovrebbe togliere il posto a Zanetti? Ha ha ha…

Invece, Maicon si è rivelato il miglior terzino destro della storia di questo sport per tutta la sua parentesi nerazzurra. Che Cafù o Dani Alves vengano ricordati ben più spesso di lui è la prova provata del Negazionismo che serpeggia presso la stampa sportiva italiana. Il fatto che i due “rivali” siano stati sulla cresta dell’onda per più anni rispetto al “nostro” non ne fa ipso facto giocatori migliori. Sarebbe come dire che i Beatles sono durati solo otto anni e quindi i Pooh sono più bravi perché son durati quarant’anni. Andate tutti a quel paese: nessuno ha fatto vedere quel che Maicon ha messo in mostra nei 7 anni di Inter (non 10 partite, 7 anni). Corsa, fisico, cross, gol e, col tempo, giusta presenza in difesa (certo, aiutata da Lucio, Samuel e uno dei centrocampisti ma –hey– il sacrificio è ampiamente compensato dai risultati). Il difetto? Una eccessiva tendenza a ridere, specie dopo un errore marchiano, e la sublimazione di uno dei difetti ancestrali dell’Inter: regalare le rimesse laterali all’avversario.

Ma, come dicono a Rio grande do Sul, inscì avèghen

Con il numero 14: Diego… Simeone

Qui urge premessa metodologica. Come sapete, il nostro gioco ha come unico criterio quello del numero di maglia. Tra tutti i coinquilini della stessa casacca, la preferenza poi va data non necessariamente al calciatore più forte tout court, ma a quello che nella parentesi nerazzurra ha fatto meglio. Ecco perché qui non trovate né Patrick Vieira né Clarence Seedorf, probabilmente giocatori più forti del pur valido Simeone, ma che nei loro trascorsi interisti non hanno lasciato il segno indelebile dell’argentino.

Cholo quindi. Altra tessera di quel mosaico di fine anni ’90 che con una maggior legalità e certezza del diritto ci avrebbe visti campioni d’Italia. I primi mesi sono accidentati, con Simoni stesso che gli dice “Diego, San Siro ti fischia, per qualche giornata ti faccio giocare solo in trasferta”. Poi al primo derby la butta dentro e scoppia l’amore. Piedi forse non raffinatissimi, ma grinta, intelligenza calcistica di primissimo livello, ottima propensione all’inserimento – specie di testa -. Come tanti altri nerazzurri paga lo stigma della stampa, che in questo caso ha ingigantito lo scarso feeling tra lui e Ronaldo. Come ho scritto nel libro (compratelo perdìo!), a chi gliene chiedeva conto, rispose “Brutto clima in spogliatoio? Cambiate i condizionatori, tutto il resto è a posto”. Senza contare che il primo a soccorrerlo dopo l’orrendo infortunio dell’Olimpico è proprio lui.

Con i numeri 15 e 16: Nessuno (chi devo mettere: Cauet e Taribo West?)

Con il numero 17: Francesco… Moriero

Torniamo all’applicazione pedissequa del manuale, adattamento calcistico del mitologico Chitarrella per lo scopone scientifico: non può che esserci “il fruttarolo del Salento” a far brillare la maglia 17 (non certo l’immondo Cannavaro), ancora una volta vendemmia 97/98.

In questa storia c’è una discreta dose di culo, evento più unico che raro a latitudini nerazzurre: Moriero in estate è già del Milan, mentre l’Inter ha acquistato il brasiliano André Cruz. Poi, i due si scambiano le destinazioni, per non meglio appurati magheggi contabili al solo costo di un milione… di lire, nemmeno di euro.

Insomma, arriva un’aletta destra tutta riccioli e fantasia che fin lì ha fatto vedere qualche scampolo di classe tra Lecce e Roma. Invece quella stagione sembra Garrincha: dribbla tutti, sforna assist a garganella, segna gol stupendi, pure in rovesciata. Guadagna la Nazionale (“se hace da vuelta estilo Enzo Francescoli” pure lì) e partecipa a Francia ’98 come titolare fisso. Le stagioni successive sono buone ma non all’altezza di quel lampo accecante. Si guadagna il posto per mancanza di alternative credibili e per il copyright di “Sciuscià” ad imperitura memoria.

Con il numero 18: Hernan… Crespo

Non che oggi sia messo male, ma in quegli anni l’attacco argentino poteva pescare a occhi chiusi e schierare Batistuta, Crespo o Cruz come centravanti, e mi limito a quelli che ai tempi giocavano in Italia. Il mio preferito è stato Batigol, che però ha avuto una parentesi alquanto triste e solitaria all’Inter.

Crespo invece è stato, senza tanti giri di parole, un centravanti della Madonna. Forte, completo, giusto mix di classe e tecnica, persona splendida (è a tutt’oggi uno dei pochissimi casi di ex di Inter e Milan ad essere amato da entrambe le sponde del Naviglio), nei suoi anni nerazzurri ha avuto il pregio ed il talento di farsi vedere sia come riferimento principale dell’attacco, sia come utilissima sponda di campioni quali Vieri e Ibrahimovic. Indimenticabile il suo fiuto per il gol, in particolare per alcuni di testa (questo, o questi, per non parlar di questo). Talmente grande da far emozionare anche un cuore di pietra come me quando festeggia così uno dei tanti gol segnati alla Roma, una delle sue ultime realizzazioni in maglia Inter.

Con il numero 1+8, fuori concorso: Ivan… Zamorano

Piccolo artifizio numerico per inserire uno dei miei giocatori preferiti di tutti i tempi. Il Cileno passa alla storia per la scelta del numero di maglia, barba-trucco per ovviare alla cessione della “9” a Ronaldo. Centravanti di altri tempi, con un cuore e due huevos imparagonabili e capaci di supplire a piedi discreti ma nulla più, Zamorano è stato l’esemplificazione della “boglia di bincere” (come l’avrebbe pronunciata lui nel suo splendido accento andino) e probabilmente il miglior colpitore di della storia del calcio. 178 cm di esplosività che lo rendevano capace di saltare in testa a perticoni più alti di lui di 15-20 cm.

Tra i tanti fotogrammi che restano in mente, l’immortale gol con cui apre le marcature a Parigi nella finale di Coppa Uefa, un paio di gol nel Derby, e la marea di insulti in castigliano stretto vomitati contro l’arbitro Ceccarini in quel putrido fine Aprile del 1998. Non c’è interista che non lo porti nel cuore. Ce l’avesse avuta il Chino metà della grinta di questo qua…

Con il numero 19: Esteban… Cambiasso

Euclide applicato al calcio, il giocatore più intelligente mai visto in maglia nerazzurra. Colpo assoluto -anche con un quid di culo, diciamocelo- di calciomercato, il Cuchu arriva nel 2004 a parametro zero dal Real teoricamente come riserva di Davids. In realtà dopo un paio di partite entra in squadra e non esce per i successivi 10 anni.

Regia, contrasto, inserimenti, gol: capelli a parte, tutto quel che volete. Non aveva i piedi di Veron, non aveva il fisico di Nicolino Berti, ma nessuno è stato pietra angolare del centrocampo interista quanto lui. Come e più di tanti altri compagni di squadra, chi scrive nota come il nostro abbia sempre sommato alle qualità calcistiche una sagacia non comune fuori dal campo, perfetto nel rispondere a domande prevenute dei giornalisti così come a esprimere la sua opinione su fatti extra-calcistici. Esempio plastico di kalokagathìa a strisce nerazzurre,

Se fossi una madre americana e lui fosse mio figlio, direi “è lui il prossimo presidente degli Stati Uniti”.

Con il numero 20: Alvaro… Recoba

Eccezione alle regole del gioco per non vedermi tolto il saluto da quei malati mentali del Sig. Carlo e di Sergio. La mia disistima per il Chino non ha ovviamente nulla a che fare con il piede sinistro che madre natura gli ha dato: non ho visto giocare Corso, ma credo sarebbe stato l’unico nerazzurro a poter rivaleggiare per qualità tecnica con quello di Recoba.

Si aggiudica la maglia per carenza di alternative all’altezza (per quanto, a me Angloma non era dispiaciuto!) e perché rappresenta quel che l’Inter è stata per tanto, troppo tempo: un potenziale incredibile spesso buttato alle ortiche per mancanza di costanza. “Ha le potenzialità ma non si applica”, dicevano i miei professori a mia madre (che già lo sapeva, e anzi li inzigava a mazzularmi ancor di più, ma questa è un’altra storia…), quindi nella ramanzina al Chino c’è anche una dose di autocritica.

Ultima nota per il Sig. Carlo, anche per ricordare degnamente uno dei nostri maestri di vita: se noti ho scelto la foto in cui ha “quei capelli da vecchio mignottone no?!”

Continua

SISIFO INVORNITO

NAPOLI-INTER 4-1

Allora, sfoggiamo le quattro nozioni da Liceo Classico rimaste impigliate tra i pochi neuroni a disposizione e spieghiamo succintamente di cosa stiamo parlando.

Sisifo è uno dei tanti uomini della mitologia greca che, per vari motivi, viene cazziato dagli Dèi -vedremo poi perchè- e condannato a soffrire in eterno, un po’ sulla scorta di quanto avviene nei gironi infernali di Dante, tanto per fare paragoni sempliciotti ma come dicono i latini- famo a capisse.

Ora, nel caso di specie Sisifo è condannato a spingere una roccia dalla base alla cima di un monte, con la piccola aggravante di dover ripetere l’esercizio ogniqualvolta la roccia raggiunge il cucuzzolo della montagna visto che il masso, capriccioso, non trova di meglio da fare che rotolare nuovamente alle pendici del monte.

In termini post-ellenici, e citando Enzino Jannacci, lo si definirebbe “un laurà de ciula” e in pochi potrebbero dargli torto.

Ecco, il laurà de ciula è proprio la definizione plastica dei 90′ minuti giocati dai nostri in quel di Napoli domenica sera.

Con un’ulteriore aggravante: Sisifo infatti, per lo meno si era meritato la giusta punizione per essersi macchiato del peggiore dei peccati possibili nel mondo greco: quello di considerarsi pari -se non superiore- agli Dèi. E’ un affronto inaccettabile per Zeus e compagnia, simile ma ancor più grave del concetto di superbia, e difatti arrivati perfino ai giorni nostri con il termine originale di Ubris.

Se fossi più bravo con formattazioni e robe varie lo scriverei coi caratteri greci, o almeno metterei la dieresi sulla U. Insomma farei di tutto per non sentirlo pronunciare come fanno i meridionali (per una volta fatemi essere il leghista d’antan che non sono mai stato): i professori del liceo nati sotto Roma lo pronunciavano orrendamente iubris (anzi iubbbris, con un paio di B in omaggio), e il mio pur migliorabile accento ellenico trasecolava in raccapriccio.

Del resto, come i nordici suscitano al più una risata compassionevole quando cercano di imitare gli accenti del Sud, così sarà assai arduo trovare un napoletano, siciliano, pugliese o calabrese capace di pronuciare correttamente il più comune insulto lombardo “vadarvial…”. Ecco, quell’ultima “U” -qui omessa per eleganza- è foneticamente conosciuta come “U francese o lombarda” e si prounucia esattamente come la prima lettera della nuova parolina che abbiamo imparato.

Comunque, basta razzismi fonetici e torniamo ai nostri amatissimi craniolesi. Per lo meno, si diceva, quello là si credeva simile agli Dèi da quanto era figo, e per questo veniva punito. I nostri sembrano un’accozzaglia di invorniti stonati di grappa e in tenuta da spiaggia.

Ma diosanto! Avete buttato nel cesso ogni singolo punto di vantaggio nell’ultimo trimestre, riducendovi a dover conquistare tre punti in due partite. Il giorno prima di giocare, questi punti da tre diventano due, grazie al pari della Roma a Sassuolo. Cionondimeno, i nerazzurri scendono in campo contro un Napoli che nulla ha da chiedere al campionato (al contrario di noi) e che invece ci piglia a ceffoni senza nemmeno doversi impegnare più di tanto per un’ora e mezza.

Magari i nostri si fossero sentiti superiori agli Dèi! Almeno li avremmo visti andare tutti in attacco volendo spaccare il mondo, anche a costo di venire puniti in contropiede.

Macchè: la corsetta indolente di Miranda sui gol degli avversari è la miglior esemplificazione della non voglia di giocare dei nostri.

Non si salva nessuno, nè in campo, nè in panchina, nè in tribuna. Arriverei a salvare Handanovic (uno che piglia 4 pere il nostro uomo migliore…) e questo dice tutto.

Come confidato ad amici e parenti, se solo fossi un po’ meno tifoso sogghingnerei alla vista di questa tragicommedia commentando “vi sta bene!“.

Ma per fortuna o purtroppo lo sono, diceva Gaber, e quindi non ho il distacco necessario per prenderla con filosofia. Sono invece tra il preccupato, il rassegnato e l’incazzato.

Preoccupato perchè, scusate la banalità, si rischia di non arrivare nemmeno quarti dopo aver passato il 90% del campionato in terza posizione.

Rassegnato, perchè siamo la squadra tifata da Murphy, quello della legge: se c’è un modo per mandare tutto in vacca, state sicuri che l’Inter lo troverà.

Incazzato, perchè oltre al danno qui si rischia la beffa: non è tanto l’Atalanta in Champions a darmi fastidio (anzi: applausi a scena aperta), quanto il fatto che un nostro inciampo sul rettilineo finale andrebbe a tutto vantaggio di “quelli là”, che hanno una squadra non di una ma di due categorie inferiori in termini di rosa, talento e qualità, e che invece -vuoi per tenacia, vuoi per culo- è lì a un punto da noi, pronta ad approfittare dei nostri consueti psicodrammi.

La recente storia nerazzurra individua nel Lazio-Inter dell’anno scorso l’eccezione alla regola secondo cui i nostri, la partita decisiva, la sbagliano.

Solo quest’anno ne abbiamo giocate tre, fallendole tutte. PSV in Champions, Lazio in Coppa Italia, Eintracht in Europa League. Tre partite giocate in ciabatte, esattamente come visto domenica al San Paolo, segno evidente dell’assoluta mancanza di personalità da parte del gruppo nel suo complesso.

Da lunedì saremo pieni di liste di proscrizione, progetti triennali, conferenze stampa di presentazione con sorrisi a 32 denti e tifavo questa squadra fin da bambino, e tutti ci divertiremo nel dare voti e giudizi.

Ma del domani, oggi, me ne fotto. Oggi conta solo l’Empoli, che va battuto senza se e senza ma. Spero che i tanti che popoleranno le tribune di S.Siro siano capaci di dimenticare tutto per 90′ e tifare come pazzi, per poi sfogare tutto il loro livore arretrato al fischio finale.

Faccio solo una considerazione riguardo al futuro: io posso anche essere d’accordo con i tanti che dicono che “all’Inter servono solo due o tre ritocchi e poi è a posto“, ma torniamo sempre a parlare di zona grigia.

Mi spiego. Oggi, nell’Inter, di giocatori scarsi ipso facto non ce ne sono. Per fortuna non abbiamo più i Kuzmanovic, i Belfodil, i Montoya e i Dodò degli anni scorsi. Altrettanto, però, di campioni non ce n’è. Ce n’era uno che era campione a suo modo, e cioè Icardi, nel senso che segnava tanto quanto un campione. Per il resto abbiamo diversi buoni giocatori e qualcuno in alcune giornate buonissimo. Ma campioni, zero.

Ecco: se i tre “ritocchi” dovessero essere tre campioni (a caso: Godin, uno tra Modric e Rakitic e una punta di uguale spessore, della quale però al momento fatico ad individuare le sembianze) è possibile che il carisma dei succitati possa contagiare positivamente la succitata zona grigia. Ma se dobbiamo andare avanti per innovazioni incrementali, con Bergwjin per Perisic, Dzeko per Icardi, Danilo per D’Ambrosio… non credo che ne caveremo molto.

Ad ogni modo, ci sarà tempo per capirne di più, ora sotto con l’Empoli, con margini di errore tendenti a zero e propensione al turpiloquio tendente a infinito.

Anche l’orsetto non ne può più…

ICARDI SI ICARDI NO

L’imputato si alzi. A suo carico, leggo dal suo fascicolo, vedo:

  • Cattivi rapporti con parte dello spogliatoio. Solo i croati? Davvero? Quant’è grande la inevitabile zona grigia, che esclude i suddetti slavi ed altrettanto gli amici-amici? La possibilità di permanenza in nerazzurro dell’Icardi è a mio parere direttamente proporzionale all’ampiezza della succitata zona grigia;
  • Relazione con l’allenatore che pare compromessa, colpe e meriti di entrambi;
  • Scarsa o nulla collaborazione con la Società che, da Febbraio in poi, ha invano chiesto low profile e silenzio mediatico, a cui l’imputato ha risposto come visto in questi giorni;
  • Uno stato di forma sotto i livelli minimi di decenza, senz’altro complici i due mesi da scioperato, e la conseguente penuria di gol in stagione. Solo 10 finora, e non dimentichiamo che anche prima della querelle-fascia di capitano, il nostro era in astinenza da gol da qualche partita.

Certo, l’imputato ha anche le sue belle esimenti, oltre a qualche attenuante ed una fedina fin qui immacolata:

  • 100 e passa gol in 6 stagioni non è roba da poco, e tutti sono concordi nel ritenere questo 2019 come una sfortunata contingenza e non come un declino del giocatore (peraltro appena 26enne);

Forse con Marotta a bordo già da Luglio la questione avrebbe potuto risolversi in maniera più rapida e meno mediatica? Chi lo sa. Qui senz’altro non si è visto arrivare il bubbone… Cara Inter, ascolta uno ossessionato dai media: se la moglie-agente del tuo giocatore migliore ti informa che da Settembre sarà in TV tutte le domeniche a parlar di calcio, la cosa in qualche modo la devi tamponare.

  • Aldilà delle esternazioni del suo agente, che mi limito a definire inopportune, la ricerca della massimizzazione dei profitti da parte di qualsiasi professionista è un imperativo cui nessuno sfugge. Fa quindi parte del gioco tutta la tiritera legata al rinnovo del contratto ed all’aumento dello stipendio. Che la questione sia stata gestita male nell’insieme è pacifco, ma in questo caso è la Società a mio parere ad avere le maggiori responsabilità.

Raiola o Mendes non avranno labbra carnose e un metro di tette da mostrare a favor di camera (per quanto Raiola…), ma si sono mai visti ospiti fissi in una trasmissione che parla di calcio? Mai.

Solo una mente semplice o obnubilata può pensare di uscire indenne da 9 mesi di domande incrociate all’insegna “allora rinnova?” “perchè non ha ancora firmato?” “ma ci sono problemi?“.

In questo, torno a dire, Wanda fa il suo mestiere e difende gli interessi di famiglia, alternando polemiche, lacrime e scollature a seconda della convenienza. Non è il massimo in termini del già citato senso dell’opportunità o di understatement ma, hey, mica siamo a Buckingham Palace… Tu però, cara Società, cos’hai fatto davvero per evitarlo? E dopo che non l’hai evitato, cos’hai fatto per minimizzare entità e durata del danno.

Prima cagata che mi viene in mente: ti dò 100 lire in più di aumento ma basta ospitate in TV non concordate con il Club.

Odio concordare con Caressa, ma capita anche questo: domenica sera l’ho sentito auspicare una gestione più o meno dittatoriale dei diritti di immagine dei calciatori da parte delle società e questo, a un imperialista come me, suona come musica celestiale. Che tu sia Icardi o Piraccini, sei un calciatore dell’Inter e mi rappresenti anche quando sei sulla tazza del cesso. Ergo: dalle tue terga non esce nemmeno un peto se non l’hai prima concordato con me.

So’ poeta, checcevoifà

SI VA BEH MA ALLORA, ANDARE O RESTARE?

Sono un vecchio romantico, quindi alla fin della fiera vorrei che Icardi rimanesse. Fortunatamente ho superato la fase in cui il centravanti della mia squadra dev’essere il mio modello di vita (per quello restano i terzini biondi e tedeschi e i mediani pelati e argentini). Il mio ragionamento è assai più utilitaristico e poggia su due motivazioni discretamente nerborute:

Se Icardi lo dai via adesso, lo svendi. Troverai senz’altro soggetti interessati, ma scordati i 110 bomboloni della clausola. Verosimilmente lo puoi cedere per 70, forse 80 milioni.

Che, per carità, son gran soldi e, vista l’endemica necessità di plusvalenze, sistemerebbero i numeri del bilancio dell’anno. Però di fatto incassi la metà di quel che sarebbe stato il suo valore dopo una stagione all’altezza dell’Icardi che conosciamo.

Ragioniamo coi se e coi ma, per una volta: immaginiamo un Icardi con i “soliti” 25 gol in Campionato, cui sommare la buona figura fatta in Champions (6 partite e 4 gol, di cui 2 a Tottenham e Barça). Se ricordate, uno dei leit motiv di questo inverno, con acque ancora placide, era “aumentiamo la clausola! Anzi no: togliamola del tutto chè anche ad aumentarla comunque è come appiccicargli sopra il cartellino del prezzo, e il PSG di turno arriva e te lo porta via“.

Invece siamo al “diamolo via al primo che ci casca e se lo piglia”, come fosse un Balotelli qualsiasi; peggio; come nell’intramontabile scena di Amici Miei, tutti consapevoli che “chi si prende Donatella, deve per forza prendersi tutto il blocco”. E la cosa, in termini di valutazione del giocatore, non fa il bene del venditore.

Ma siccome ci piace ragionare coi se e coi ma, ammettiamo pure che l’Atletico di turno sia disposto a pagare la cifra in questione: 75 cucuzze e ciao-ciao Icardi (dall’esempio ho volutamente lasciato fuori l’ipotesi Juve, che complicherebbe ancor di più il dilemma). A quel punto, col portafoglio bello pieno, devi andare a trovare e successivamente comprare uno che faccia lo stesso mestiere, magari con un procuratore più tranquillo.

E qui casca l’asino: dove lo trovi?

Dybala? Non scherziamo. A parte che è una seconda punta, e poi fa a gara col nostro a chi ha fatto la stagione peggiore…

Dzeko? E dovrei portarmi in casa un 34enne che, per quanto elegante e che fa giocar bene la squadra, segna meno della metà di Icardi?

Lukaku? Forte, senz’altro lo strapaghi -ammesso che il Man Utd voglia venderlo- sia in termini di cartellino che di ingaggio, e poi non sai in che modo può ambientarsi in Italia.

Zapata? Sta facendo la stagione della vita, ma se andiamo su di lui gettiamo la maschera e dichiariamo che vogliamo vivacchiare e basta.

Quindi come la si risolve?

Il film che mi sono fatto -non ci vuole un genio per capirlo- è che vedo impossibile la contemporanea permanenza sua e di Spalletti. E, posto che nessuno dei due al momento gode del massimo della mia considerazione, mi tengo l’argentino e sacrifico il toscano.

Spalletti sente da mesi aria malsana intorno a sè, con la Società ancora una volta incapace di far quadrato intorno al proprio Mister e a lasciare passare spifferi e voci senza che nessuno senta il dovere di smentire.

Non è nemmeno escluso che Lucianino, capita l’antifona, abbia detto “beh se me ne devo andare allora mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa”: nessuno ha capito e probabilmente non sapremo mai la esatta genesi di tutto il putanoire legato alla fascia. Chi dice che il fastidio sia partito dallo spogliatoio, chi dal Mister, chi da Marotta.

Quel che è certo è che subito dopo Parma-Inter, vinta con gol di Martinez su bel movimento di Icardi, Spalletti ha abbaiato contro tutti senza nemmeno essere interrogato sull’argomento dicendo “è ora dibbbasta con ‘sta manfrina del contratto, ora la devono chiudere!” mostrando insofferenza tanto verso il giocatore quanto verso la dirigenza.

Ora: facciamo l’ultimo ricorso ai se e ai ma, e ipotizziamo che effettivamente Spalletti venga giubilato a fine stagione. Il nuovo Mister (agghiacciante o meno) arriverà in una situazione per lui nuova, e potrebbe tranquillamente dire “io non so cosa sia successo e non me ne frega niente: io so che qui c’è un numero 9 che la butta dentro come un cecchino e questo io me lo tengo!”.

Se invece è proprio la Società a voler far fuori Icardi, allora vedremo il nuovo allenatore districarsi tra frasi fatte del tipo “ho accettato perchè l’Inter ha una storia e un progetto, che va aldilà dei singoli giocatori”.

So di essere incoerente con quel che blatero di solito: sono di norma uno strenuo difensore del Mister di turno, perchè come sapete vedo nella scelta di quel tassello l’architrave della strategia societaria.

Faccio però molta fatica a preferire un addio di Icardi affinchè possa rimanere Spalletti, per un semplice motivo: la Società dà l’idea di essersi rotta le balle di entrambi. Tenere Spalletti vuol dire che non si è riusciti a prendere Conte (che piaccia o no), quindi per Spalletti vuol dire vivere una stagione da “sopportato”. Al primo pareggio stupido in casa parte la canea, matematico.

Posto che al momento l’epilogo più probabile è l’addio di entrambi (esemplificazione plastica del bambino e dell’acqua sporca buttati via, e proprio per quello paragone assai applicabile a latitudini interiste), almeno fatemi sperare di poter conservare una garanzia di gol per la prossima stagione.

PREPARATI AL PEGGIO, SPERA NEL MEGLIO

INTER-SPAL 2-0

Partiamo dalle buone notizie, così facciamo presto. L’Inter vince una partita tutt’altro che facile, porta al gol Politano e Gagliardini e gioca un’ultima mezzora di decorosa decenza. Martinez l’unico a farsi il mazzo per tutti i 90′, con un gol tanto bello e di garra quanto giustamente annullato per controllo malandrino di braccio.

Fine.

Ora inizia il cahier de doléance, per il quale dovrò ricorrere al poco elegante elenco puntato:

Primo: il match fino al gol è stato di una pena infinita. Dozzine di errori tecnici da terza categoria (Gagliardini dimostra quanto strano sia questo sport, sbagliando appoggi in serie per 70 minuti e poi segnando un bel gol che lo consegna ad un ultimo tratto di gara da dominatore del centrocampo), poche e confuse idee in fase di costruzione, con Brozovic assente già prima di essere sostituito e Asamoah a creare casino -nemmeno organizzato- sulla sinistra.
Certo non ha aiutato la morìa di indisponibili e di non rischiabili in vista del Derby, ma se c’era bisogno di capire quanto l’Inter dipenda da tre o quattro giocatori, domenica ne abbiamo avuto l’ennesima conferma.

Secondo: Spalletti, ahimé, dal bailamme di queste settimane, mi pare non uscire benissimo: la gestione della rosa e le poche alternative ai tanti indisponibili non sono problemi facilissimi da risolvere, ma l’impressione è quella di un uomo che non abbia il pieno controllo dello spogliatoio.
Ho trovato interessante, pur senza condividerla in pieno, la considerazione fatta da Capello qualche giorno fa, e secondo la quale era l’allenatore e non la Società a dover intervenire per normalizzare una situazione che riguarda rapporti tra i giocatori. Diciamo che, tra il faso todo mi e il continuare a ripetere “so una sega chiedete agli altri” probabilmente ci sono alcune vie di mezzo.
Che il ragazzo sia permalosetto e caratteriale è noto, ed ancora una volta mi chiedo cosa diavolo aspettiamo a rapire il Cuchu Cambiasso e tenerlo sequestrato alla Pinetina per il prossimo trentennio con pieni poteri. Magistrale, in ordine di apparizione, la risposta data alla domanda di Caressa “ma dimmi “Gusciu”, nell’Inter dei tuoi tempi una roba come quella di Icardi sarebbe mai successa?“. Cintura nera di paraculaggine e applausi a scena aperta.

Terzo: C’è un soggetto della Società di cui ancora non ho parlato e il cui silenzio è letteralmente assordante. Il Capitano, quello vero, quello che probabilmente più di tutti poteva toccare le corde giuste in questa vicenda da neurodeliri. Ecco, Zanetti in tutto questo dove cacchio è? Cosa cacchio sta facendo? Argentino, ex compagno di squadra, collega di “capitananza”, quale migliore sponda poteva trovare il Club per interloquire off records con Maurito? Eppure, tutto tace e tutti tacciono. Qualche “si dovrebbe“, qualche “sarebbe opportuno“. Siamo tutti concordi nel dire che i grandi ex giocatori fanno il bene delle Società perchè portano il know-how del calciatore, sentono gli umori dello spogliatoio, hanno -per usare il terribile gergo aziendale- le soft skills necessarie a far parlare universi lontani quali il giocatore tabbozzo e il dirigente azzimato. Detto ciò: se non è questo il caso di scuola in cui far vedere il tuo valore aggiunto, quale cacchio è, di grazia?
Ogni giorno passato senza una soluzione scava un fossato sempre più profondo tra Club, giocatore, squadra e tifosi: ognuno si costruisce la “sua” verità che sarà sempre più difficile sostituire a quella “ufficiale” a cui attenersi. Come già ho detto nei miei ultimi sproloqui, non ci sono innocenti in questo troiaio, se non i tifosi che siano pensanti e non assatanati integralisti, alla caccia di sangue e lotte intestine.

Quarto e ultimo: Infine, in un intingolo che dà un sapore squisitamente interista ai prossimi giorni, ci troviamo a giocarci buona parte della stagione con la rosa ridotta all’osso, con il FPF che sarà pure al tramonto ma che fa vedere quanto male faccia dover lasciare fuori dalla lista UEFA alcuni giocatori, e soprattutto con infortuni che al me complottista sembrano assai strani.
Il fatto che in quattro giorni i “nemici giurati” di Icardi chiedano il cambio che pare essere precauzionale può essere letto in tanti modi. Dal “vuoi fare la fighetta? Adesso lo facciamo anche noi e vediamo quel che succede” al “ci chiamiamo fuori dai due match clou in modo da forzare il fu-Capitano a farsi un esame di coscienza e rispondersi “ok, hanno bisogno di me, rientro“.
Se siamo nel primo caso, facciamo davvero a chi si martella le balle con la clava più grossa, non riuscendo a scorgere alcun vantaggio da un comportamento simile. Se invece ricadiamo nel secondo esempio, direi che il tentativo -che sia considerato lodevole o vagamente mafioso- è in ogni caso miserevolmente fallito.

E’ COMPLOTTO

Esattamente come il Professor Fiumi del Liceo Ginnasio B. Zucchi all’inizo dell’anno disse “ragazzi quest’anno non voglio dare esami a settembre, non fatemi dare esami a settembre” e poi immancabilmente ne rimandò un paio (non io! ma solo perchè non era un mio professore…), anche io a ‘sto giro non volevo aggiornare il quaderno dei cattivi, lamentandomi di questo o quel giornalista.

Però Lorenso Minotti merita una valida eccezione, anzi, ezzesione, come direbbe il simpaticissimo nella sua impeccabile dizione. Curioso anzitutto che, come già in Inter-Bologna, il nostro sia uno dei commentatori allorquando l’avversaria è una squadra emiliana

Voce fuori campo: Sì Mario, sì… qui sommi al tuo complottismo l’innata malfidenza nella generalmente riconosciuta simpatia tipica della terra dei turtelèn.
Risposta: Vero, e allora?

Come spiegare altrimenti la continua critica a qualsiasi cosa che riguardi il nerazzurro del nostro amatissimo? Un paio di esempi: Compagnoni ci informa dell’assenza di Icardi allo stadio, scelta che secondo me è stata opportuna. Nel giorno dei festeggiamenti per il 111° anno dell’Inter, con lo stadio ancora una volta gremito da più di 60 mila persone, posso solo immaginare i decibel di fischi che sarebbero stati riservati alla coppia argentina ad ogni inquadratura. A quel punto non cambia niente: stai a casa ed evita un inutile bagno di folla e di sangue.

Ecco invece il commento del saputello primo della classe, a match nemmeno iniziato: “e qui già non cominciamo bene“.

Prosegue, il nostro, nello squadernare statistiche da cui sistematicamente la SPAL pare essere il Real Madrid di turno e i nostri la Campania Putelolana.

Il tocco di classe lo riserva in occasione dell’ammonizione data a tal Valoti: ” eh, Mattia qui è entrato sull’uomo e ha fatto fallo“. Mattia? Ma chi è, tuo fratello?

Per la mia salubrità mentale dovrei prendere esempio dal Signor Padre e iniziare a guardare le partite senza commento tecnico, ma siamo all’effetto gattino spiaccicato in strada: ti fa schifo, ma non ce la fai a non guardarlo.

La cosa migliore della partita del Gaglia…

MALEDETTI (CIT.)

CAGLIARI-INTER 2-1

(cit.) il link devo metterlo qui, nel titolo non me lo prende. Mi scuserà il correttore di bozze…

Ecco l’Inter esprimere il massimo del suo potenziale autodistruttivo.

Dopo essersi fatta esplodere il caso Icardi tra le mani (con responsabilità varie, come vedremo infra), l’equipaggio della zattera di Cast Away approda nelle perigliose acque cagliaritane, uscendone con le ossa a pezzi.

Il fatto che la piccola di turno, in crisi di gioco e risultati, contro i nostri metta in mostra la miglior prestazione stagionale è oramai una non-notizia e, per una volta, che questo non suoni come una sorta di recriminazione: son proprio i nostri che giocano alle belle statuine e permettono a qualsiasi squadra dotata di gamba e grinta di surclassarla.

Non c’è infatti altra risposta che questa, alla pur legittima domanda “ma com’è possibile che quelli dell’Inter non la becchino mai?“. Il Cagliari gioca una partita mariana, soprattutto un primo tempo in cui i nostri non ci capiscono un beneamato cazzo, riuscendo di puro talento, culo e cinismo a trovare il pari con Lautaro dopo e prima dei gol cagliaritani.

Brozovic e Vecino fanno a gara a chi è più lento e svogliato, Perisic pare tornato quello di due mesi fa, se pure Skriniar toppa la partita siamo a posto…

Poi, ovvio, al solito nessuno ci vuole bene. La granitica presa di posizione della Società dopo il rigore di Firenze al 97′ porta Cigarini ad essere graziato di un secondo giallo meritatissimo dopo nemmeno un quarto d’ora di partita, oltre che ad un fallo serenamente inventato che costa l’ammonizione a Skriniar e il non irrilevante accessorio dell’1-0 del Cagliari sulla punizia conseguente.

Tutto secondo copione.

Ma se sugli arbitri sappiamo di non poter incidere minimamente, quantomeno sulla voglia di giocare a calcio -che poi sarebbe anche il vostro mestiere, benedetti fijoli…- Spalletti & Co. dovrebbero poter fare qualcosina.

Invece Barella pare Matthaeus strafatto di nandrolone, Pavoletti il Gigi Riva del 2020 e i nostri una mandria di inetti come nelle peggiori occasioni.

Si salvano solo Martinez e Nainngolan, che quantomeno ci provano, corrono e costruiscono dal nulla il gol del pari. Ovvio che la prima reazione allo scempio visto sia “beh, vedi a giocare senza Icardi?“.

Difficile però che l’ex Capitano potesse far meglio del Toro nella circostanza. Il delfino argentino ha tre palle gol in 90′ minuti: la prima la butta dentro di testa sul primo palo come il miglior Gigino di Biagio (vero Signor Carlo?), la seconda la spedisce sul palo girandosi in un fazzoletto, la terza -ancora de capoccia– la piazza fuori di pochi cm. Vero: sbaglia a non premiare l’unico inserimento di Vecino in area nei 90′, ma non è certo il nostro numero 10 ad avere sulla coscienza la sconfitta.

Nella ripresa in realtà riusciamo nell’apparente controsenso di far cagare, ma di produrre un certo numero di occasioni. Oltre a quelle di Martinez citate supra, Politano entra bene palla al piede in area ma non angola a sufficienza il tiro, mentre Borja Valero dopo una bella azione corale pensa bene di sparare alto un destro a giro che pareva facile-facile da piazzare sul secondo palo.

Spiace dover fare la gara degli stronzi, ma i due croati -sugli scudi nelle prime uscite senza Icardi- hanno dormito sonni tranquilli e profondi per 90′. Questo a ulteriore e non richiesta conferma del fatto che di innocenti e immacolati lì dentro non ce n’è.

MO’ V’O’ BBUCO ‘STO PALLONE!

Siamo quindi al redde rationem.

Ho già detto da che parte sto, da quella dell’Inter, che continua ad essere più importante di tutto e di tutti.

Proprio per questo, ritengo che non ci sia nessuno esente da colpe in questa storiaccia. Non Icardi, non Wanda, non Spalletti, non Marotta, non Perisic.

Tutti hanno sbagliato qualcosa, Mauro più di tutti. Marotta per ora meno di tutti, a meno di un piano diabolico di distruzione dall’interno in pieno Lippi-style che -se reale- non tarderà a dar traccia di sè.

Per il resto concordo con Bergomi e fin qui nulla di strano; già più scomoda la posizione di dover additare Fabio Capello a maitre à penser dell’interismo moderno; ai confini del lisergico dover ascoltare parole sagge ed esperte da Ando’ Cassan’. Sic transit gloria mundi…

Come si sistema ‘sto casino?

A mio parere in maniera molto utilitaristica e machiavellica: questo stallo non giova a nessuno. Anche volendo sorvolare sul bene supremo (l’Inter, of course), Icardi ha tutto da perdere nel continuare la manfrina del malato immaginario e permaloso.

Vuoi riprenderti la fascia? Non te la ridaranno mai, ma anche a volerci credere, non è senz’altro stando nella tua torre d’avorio che la Società e compagni faranno un passo verso di te.

Te ne vuoi andare? Occhio: chi ti compra, citando il Sassaroli, “deve per forza prendersi tutto il blocco“. E se la cameriera tedesca, due anni di contratto, severissima, in uniforme (cit.), non è compresa nel pacchetto, i post e la moglie/agente bombastica invece sì, e non me lo vedo il Real di turno (ma nemmeno la Juve) fare spallucce e dire “ma sì, che ce frega, va bene lo stesso“.

La Società stessa, se non risolve ‘sto troiaio, si trova il valore della propria stella polverizzato. Se già l’estate scorsa nessuno si era fatto vivo per pagare i 110 milioni di clausola, figuriamoci se ci pensano adesso.

Anzi: è più che plausibile uno scenario inverso, del tipo: “cara Inter, ti risolvo un problema: Icardi me lo prendo io” ma a quel punto sono gli altri a fare il prezzo, mica tu.

Vuoi tener duro? O 110 milioni o il ragazzo rimane qui fino a scadenza? Benissimo: ma o risolvi la situazione o ti tieni la serpe in seno pagandolo senza che nemmeno giochi.

La favola della squadra che senza il capitano reietto gioca e vince è durata quanto solitamente dura l’effetto cambio-allenatore: una scossa di nervi e orgoglio efficace nel breve periodo ma costoso in termini di tenuta mentale, e di questo Cagliari è la conferma empirica.

Che qualcuno si sia dato da fare proprio in concomitanza del caso-Icardi va ad ulteriore detrimento della sua professionalità (la sola cosa in cui do ragione a Maurito è la critica a chi gioca bene per voler andar via dall’Inter, sì Perisic, stiamo parlando di te…). Per il resto, di squadre in cui non tutti vanno d’accordo è pieno il mondo, ma come ben sappiamo è solo alla Pinetina che risuona da decenni il refrain #bruttoclimainspogliatoio #spogliatoiospaccato #squadradivisainclan #civuoleilbloccodiitaliani.

LE ALTRE

Anche quest’anno la Juve vince il Campionato tre mesi prima, e la sola consolazione è che davvero non ce la fanno a vincere pulito (vedi esplusione di Meret). Come ben sappiamo, per il Triplete anche quest’anno sarà per l’anno prossimo, ma è davvero un grattare il fondo del barile per consolarci.

I cugini, dopo non so nemmeno quanto tempo, ci passano in classifica. A questo siamo arrivati: a farci superare da una squadra con una rosa da sesto-settimo posto, che le proverbiali ondate di culo e allineamento planetario fanno rendere costantemente al 110%. Il Sassuolo del milanistissimo Squinzi non ha nemmeno bisogno di scansarsi, tanto contro il cul ragion non vale: ecco l’autogol di Lirola e tre punti di platino, che il bravo Ringhio ha se non altro il merito di intascare senza esaltarsi, al contrario di tutta la stampa che si pasce del sorpasso come se fosse l’unica cosa importante.

La Lazio vince il Derby e, con una partita da recuperare, apparecchia la volata finale con quattro squadre a litigarsi i due posti rimanenti sul treno Champions. Un treno, diobono, su cui eravamo seduti stravaccati e con la palpebra calante fino a due mesi fa, e dal quale rischiamo di scendere a calci.

Ma i nostri non temano: nel caso, di calci in culo e ceffoni in fazza, ce ne saranno altrettanti ad attenderli sul binario.

Chiudiamo come abbiamo iniziato: