APERITIFSPIEL – ALT. VERSION

Fin dall’inizio sapevo che sarebbe finita così…

I ballottaggi strappacuore sul centravanti da inserire sono niente rispetto all’assortimento sconfinato di bidoni, promesse mancate, casi psichiatrici, piedi fucilati e compagnia cantante che in questi 25 anni ha indegnamente indossato la casacca nerazzurra.

Un minimo di condizioni di esistenza.

Cercherò di spiegare di volta in volta se il prescelto si è guadagnato il posto in questa blacklist per mancanza dei requisiti minimi di sussistenza (fuori di metafora: sei scarso!) o perché avrebbe potuto ma non ha fatto, o perché si è macchiato di uno o più comportamenti (sia dentro che fuori dal campo) incompatibili con qualsiasi galateo calcistico degno di tal nome.

Posto che l’obiettivo ultimo di questa seduta di autocoscienza è la damnatio memoriae, non metterò foto di questi figuri, nella vana speranza di potermene scordare il prima possibile. Forza, allora, cominiciamo:

Col numero 1 facendo lo schizzinoso avrei potuto inserire Cinghialone Peruzzi o Sebastien Frey ma, pur avendo lasciato un retrogusto agrodolce nel loro breve trascorso nerazzurro, non sono certo stati cattivi portieri. Quindi saltiamo il portiere e cominciamo dal terzino.

Con il numero 2: Il Divino… Jonathan

Aldilà degli aspetti mitologici associati al personaggio, arrivato come primo di tanti “nuovi Maicon”, Jonathan ha avuto 30 secondi di gloria contornati da stagioni di assoluto anonimato, quando non di induzione alla blasfemia calcistica. Semplicemente non da Inter, non da Serie A. Full stop. Ben vengano le parodie e i meme che fanno SEO e muovono l’algoritmo, ma nulla più di questo.

Con il numero 3: Fabio… Macellari

Come forse sapete, ho un debole per il ruolo, che mi rende assai suscettibile ed esigente in materia. Avrei quindi potuto inserire quasi a caso un qualunque affittuario del numero magico, e sarebbe comunque stato indegno di tanta gloria. Macellari però va oltre, pur pagando colpe non sue (che già di sue, poveretto, ha dovuto scontarne abbastanza…). Succede che ogniqualvolta negli anni ho dovuto sentire la manfrina dei troppi stranieri in squadra e dei pochi italiani in rosa, rispondevo quasi in automatico: “Ricordo che l’ultima volta che abbiamo avuto una difesa di ragazzi italiani avevamo Bruno Cirillo sulla destra, Matteo Ferrari in mezzo e Fabio Macellari sulla sinistra”.

Ovviamente saltiamo il 4, per arrivare a…

Con il numero 5: Francesco… Dell’Anno

Una delusione immensa. L’avevo accolto come il regista illuminato che ci mancava dai tempi di Matteoli, si è trascinato per una stagione ciabattando in campo con la lena di un condannato ai lavori forzati. Primo caso (il secondo è stato Balotelli) di giocatore fischiato da San Siro sulla fiducia già al momento del suo ingresso in campo dalla panchina.

Una nota di colore: nello stesso anno in cui Felice Centofanti firmava i suoi autografi “100fanti“, lui iniziò a firmarsi “Dell’365”. Fine.

Con il numero 6: Roberto… Carlos

Sì, sì… lo so. Sono un senza Dio, è stato il più forte terzino del mondo, tutto quello che volete. L’ho adorato per il primo mese di Inter, ma ora di Ottobre mi aveva già rotto i coglioni. Ritorno su una storia già raccontata in passato. La stagione 95/96 è stata la prima ad introdurre le statistiche applicate al calcio: c’era la curiosa figura di Adriano Bacconi ad introdurci ai rudimenti di medie, mediane, trend, eccetera.

Tutta roba se volgiamo ancora abbastanza spartana, ma sufficiente ad evidenziare un dato preoccupante. Nella speciale classifica dei tiri in porta tentati, a fine stagione in testa c’era Batistuta (ovvio, essendo il classico centravantone-della-Madonna): ecco, il secondo in classifica era Roberto Carlos. Quattro, cinque, sei volte a partita prendeva palla e sparava in porta da 30 metri o più. Le prime volte, sfruttando il piacevole fattore-novità, segnava con una certa frequenza (tre dei suoi 5 gol in campionato arrivano prima del 1° Ottobre, uno degli altri due è un rigore) ma, capito il giochino, i portieri lo aspettavano e neutralizzavano i suoi tentativi sempre più velleitari.

Poi, se mi dite che bisognava tenerlo e farlo crescere per sfruttarne le indubbie doti offensive, col senno di poi posso anche essere d’accordo. Ricordo però, come già fatto altre volte, che al momento della cessione nè Milan nè Juve si fecero avanti per sfruttare l’apparente abbaglio dell’Inter.

La verità, come vedremo per altri numeri di questa lista, è che con i giovani è sempre una lotteria, e ti può capitare di dar via quello che altrove diventa un fenomeno. Ma non rimpiangiamo quella stagione di Roberto Carlos all’Inter come un campionario di magie e finezze.

Chiudo con l’ennesimo Luogo Comune Maledetto: Hodgson gli preferiva Pistone, smentita proprio dal diretto interessato ma talmente “bella” da essere tramandata di anno in anno.

Con il numero 7: Sergio… Conceiçao

Quel che l’immortale Ezio Luzzi una volta chiamò “Cosenzao” è stata una delusione, anche se “nasata” da lontano. Ho sempre pensato che quello visto alla Lazio fosse un positivo effetto collaterale di un centrocampo che poteva schierare, tra gli altri, Veron, Simeone e Nedved. Come a dire che lì in mezzo in tanti avrebbero potuto dire la loro.

Se non altro il ruolo era perfetto per il granitico 4-4-2 di Cuper, ma di dribbling e cross vincenti in due anni ne abbiamo visti pochi. Molte di più le palle perse, spesso seguite da braccia levate al cielo in segno di disappunto, e un’espressione scazzata pure quando segnava.

Con il numero 8: David… Pizarro

Aveva tutto per entrare nelle mie simpatie: regista (udite udite, proprio di ruolo, non uno dei tanti “non è il suo ma può adattarsi), cileno (e dopo Zamorano ero pronto anche ad invaghirmi di un capomastro di Vina del Mar), intelligenza calcistica superiore. Invece, è arrivato un trottolino tabbozzo e dribblomane, che anzichè far partire l’azione velocemente insisteva a dribblarne due o tre prima di perder palla sulla nostra trequarti. Da speranza a destinatario dei miei “dalla via ‘sta palla!” in meno di un girone, è migrato a Roma per vederci vincere scudetti e coppe in sequenza.

Pingue consolazione e magra vendetta verso El Pek.

Con il numero 9: Darko… Pancev

Anche se molti interisti avrebbero inserito qui Icardi, per me “ball don’t lie” come dicono in NBA, e quindi faccio il ragionamento valido per Bobo Vieri: uno che segna più di 100 gol con l’Inter meriterà sempre e solo il mio grazie, indipendentemente da mogli, procuratori, rapporti con la Curva, compagni e allenatore. E’ invece un altro malcapitato nella storia nerazzurra ad aggiudicarsi l’ambita maglia da (would to be) centravanti: Il Cobra, o il Ramarro, a seconda delle preferenze etologiche.

Perfino superfluo ricordare il tanto che ci si aspettava da lui e il poco che ha dato. Rimane il fascino dello zingaraccio maledetto, e indolente, sorriso beffardo da Ligabue dei Balcani, pieno di soldi e già nella storia per la Coppa Campioni conquistata a Bari nel 1991.

Il Signor Carlo capirà e non potrà che convenire.

Con il numero 10: Domenico… Morfeo

Come già sunteggiato per Roberto Carlos, e come poi vedremo per un altro giocatore compreso nella lista, anche per Morfeo possiamo tornare sul concetto di grande talento inespresso.

Per il potenziale che aveva a disposizione, ha reso forse al 50% di quel che avrebbe potuto. Sinistro sapiente, ottima visione di gioco, furbo e cattivo quanto basta, alternava però tutto questo a tante, troppe esibizioni fatte di indolenza, superficialità e supponenza. Le Madonne che ho tirato a lui (ma ancor di più a Cuper che l’aveva messo in campo sul 3-1 per noi) in un lontano Inter-Roma in cui c’era solo da gestire gli ultimi 20 minuti hanno risuonato al primo verde di San Siro per mesi e mesi.

Al min. 5.45 il capolavoro del nostro, vecchio di quasi vent’anni ma ancora impresso a fuoco nella mente di chi scrive. Da lì è entrato con un biglietto di sola entrata nella lista nera.

A tutto ciò associa l’aggravante di essere involontariamente inciampato (come tutto il Milan) in uno scudetto conquistato con più culo che anima, nell’anno di (dis)grazia 1999.

Con il numero 13: Fabio… Cannavaro

Non voglio essere scurrile e screanzato. Mi limito a questo: self explaining.

Con il numero 14: Fredy… Guarin

Emblema dell’Inter di quegli anni: brilli estemporanei alternati a nefandezze perpetue (cit.). Avesse avuto anche solo metà del cervello calcistico di uno a scelta tra Cambiasso, Stankovic o Matthaeus, avremmo avuto in casa un campione. Fisico, tiro, quando in buona anche doti di leadership, ma una incostanza degna della peggior nobildonna capricciosa. Per intenderci, capace di risolvere un Derby da solo e di buttare in vacca una partita con un retropassaggio di questo tipo (min. 3,30). In mezzo, tante buone mezze partite, tanti tiri al terzo anello, fino alla salvifica cessione in Cina. Assolutamente non rimpianto.

Con il numero 15: Fabian… Carini

Il terzo portiere della Juve è vittima innocente di queste righe, ma è parte integrante della sceneggiata messa in piedi dal succitato Cannavaro, con la cortese collaborazione dell’altrettanto summenzionato Moggi e di Paco Casal, traffichino sempre presente quando le acque non sono limpide.

Nulla di personale, ma non poteva non essere inserito nella blacklist.

Con il numero 16: Nicolas… Burdisso

Nutro un’ammirazione notevole per la persona, a partire dai problemi familiari fortunatamente risolti all’inizio della sua parentesi nerazzurra (e anche in quel caso chapeau al Sig. Massimo), per arrivare a coscienza sociale extra-calcistica.

Dentro il campo, è stato un buon difensore, ovviamente criticato più ed oltre dei propri demeriti finché tesserato nerazzurro, e invece celebrato negli anni di Roma, quando il ritornello polemico era “Burdisso a cui l’Inter non riusciva a trovare un posto in squadra, alla Roma invece sta facendo faville“. Nessuno ovviamente si sognava di dire le cose come stavano, e cioè che per essere bravo era bravo, ma che i vari Lucio, Samuel, Materazzi, Cordoba lo erano di più. Fine della storia.

Trova posto in questa lista dei cattivi per un errore troppo grave per passare nel dimenticatoio, e che ricordo distintamente essendo stato commesso in un Inter-Juve di fine Marzo 2008, a soli pochi giorni dalla nascita del rampollo di famiglia. Accomodo il poppante in culla a fianco del divano e non posso nemmeno sacramentare come l’occasione avrebbe richiesto per non turbare la quiete familiare. Non mi è mai andata giù…

Con il numero 17: Zdravko… Kuzmanovic

Centrocampista legnoso, ruvido e macchinoso, comprato in tempi di magrissima economica. Sono gli anni più duri del nostro recente passato, in cui pochi mesi bastarono a veder sparire dalla rosa giocatori come Julio Cesar, Sneijder, Maicon e comparire carneadi quali Ruben Botta, Laxalt e, per l’appunto, il Kuz.

Avere pochi soldi da spendere fa parte dei corsi e ricorsi storici. Spenderli male in quei momenti però è ancor più grave…

Essere calciatori mediocri non è una colpa in sè, mica possono essere tutti fenomeni. Quel che non ho mai tollerato del serbo-svizzero è stato il voler sembrare quel che non era. Se vuoi essere un vero “tuttocampista”, o ti chiami Stankovic, o Yaya Touré, o roba simile… Lui non era un regista, non era un incontrista, non era un incursore. Faceva un po’ di tutto ma non era abbastanza.

Come dice Giacomino Poretti in “Chiedimi se sono felice”… “…insomma fu un po’ tutto, e non fu niente”. (min. 4.55).

Con il numero 19: Bernardo… Corradi

Altro caso di giocatore “poco colpevole” per quanto fugace è stata la sua parentesi nerazzurra, e che però assomma in sé un paio di caratteristiche mal tollerate dal sottoscritto: caso tipico di centravanti che segna poco ma si muove bene per i compagni (davano del “generoso” a Graziani, che però di gol in carriera ne ha fatti quasi 200, questo qua in Serie A non supera gli 80), ma comunque celebratissimo dalla critica, forse perchè ci segna contro in quell’Inter-Chievo del dicembre 2001, quando il mondo si accorge dei “mussi volanti” di Clouseau Delneri; infine, in maglia Lazio e con il maledettissimo Piojo Lopez, si esibì in balletti a ripetizione, poi zittiti da una delle migliori esibizioni di Emre Belozoglu (a.k.a. il Maradona del Bosforo).

Ecco, nella mia deontologia calcistica, il balletto post-gol equivale ad aprire la caccia all’uomo. Intollerabile, peggio di scartarli tutti e segnare di testa a porta vuota dopo essersi inginocchiati sulla linea di porta.

Con il numero 20: Sulley… Muntari

Uno dei calciatori che, nella sua parentesi interista, mi ha fatto incazzare di più. Devo dargli il merito di un paio di gol pesanti (anche se quello con la Juve a momenti lo sbaglia…) ma i due minuti di Catania a inizio 2010 sono sufficienti a farlo inserire nelle primissime posizioni della blacklist. Come tanti altri centrocampisti “non pensanti” (Felipe Melo altro esempio) era un pericolo sempre in agguato, con il fallo inutile o la crisi di nervi a livelli altissimi di esondazione.

Per i precisètti: Sulley ha vestito anche l’11 ed il 77, ma nella prima apparizione in nerazzurro aveva il 20. Oh, poi se non vale posso sempre mettere Recoba!

Con il numero 21: Andrea… Pirlo

Altro caso che per molti di voi equivarrà a bestemmia calcistica, ma chi mi conosce sa quel che penso di lui. E aldilà di questo, qui parliamo di quel che i calciatori hanno fatto nella loro parentesi nerazzurra. E lui, all’Inter ha fatto poco al cazzo.

Torno a quanto detto a proposito del numero 6 e del numero 10 di questo nefasto elenco: a vent’anni è ancor oggi molto difficile capire chi sarà il “crack” e chi invece rimarrà il bel giocatorino ma nulla più di quello. Chi ha un minimo di onestà intellettuale converrà con me che Pirlo ha iniziato ad essere il giocatore che è poi stato solo a partire dal 2001, quando Mazzone (e non Ancelotti!) lo sposta regista anche per lasciare Baggio a pennellare calcio in posizione da “10” classico. Quindi, prima di quell’invenzione, il bresciano era uno dei tanti talentuosi trequartisti, con piedi fatati ma senza il fisico nè tantomeno la velocità per giocare sotto la punta, un fantasista che evidentemente non riusciva a convincere gli allenatori dell’epoca -e cazzo, ne cambiavamo una manciata a stagione in quegli anni- a giocare al posto dei vari Baggio, Recoba and Co.

Sacrilegio? Forse. O forse no.

Ricordo per i soliti amanti dei Luoghi Comuni Maledetti che dalla cessione di Pirlo al Milan l’Inter ricavò comunque 35 miliardi di lire. Niente scambio alla pari con Guglielminpietro, quindi.

Con il numero 22: Adem… Ljajic

Giocatore stilisticamente splendido, talento da vendere. L’anno in cui arriva fa la scelta avventata di scegliere quel popò di numero, facendo storcere il naso a tanti di noi. Arriva oltretutto in coppia con Jovetic, altro diamante di classe ma come lui dotato della solidità e della grinta di un lombrico.

Non ha particolari colpe, lo riconosco, ma che una punta scelga il numero di Milito a così poca distanza dall’addio al Principe è un peccato di ubris che non gli si può perdonare. Vero, il numero l’anno prima l’aveva già scelto Dodo, altro mascariato dalla maledizione della fascia sinistra nerazzurra, ma quello lì almeno era un difensore!

Con il numero 23: Christian…Brocchi

Antipatia allo stato puro, devo essere sincero, già nella trascurabile stagione interista. Ennesimo giocatore medio (non mediocre) che i casi della vita, e l’inevitabile culo che da sempre circonda tutto ciò che è rossonero, hanno fatto assurgere a grande campione in quanto panchinaro del Milan di Ancelotti. Godibilissimo nel ruolo di pupillo della premiata ditta Silvio&Adriano, dopo il fallimento da Mister rossonero (come i colleghi “cuori rossoneri” Pippo e Clarenzio) negli ultimi tempi sta mostrando mirabilie sulla panca del Monza. A chi potesse interessare, il combinato disposto tra proprietà, dirigenza e allenatore ha fatto allontanare chi scrive da ogni simpatia biancorossa (peraltro da sempre alquanto blanda), spingendomi nel contempo a supportare l’arcirivale Como.

Un divertissement e nulla più, ma quando leggi stronzate simili, come fai a resistere…

Con il numero 24: Vratislav… Gresko

So che le cose non accadono per effetto di una sola causa. So che, nella vita così come nel calcio, saltare a facili conclusioni è spesso fuorviante. So che non è giusto ridurre il tutto ad un singolo episodio, ma… è tutta colpa sua.

Passi Moggi, passi l’arbitro De Santis, passi l’Udinese in versione zerbino, ma nulla mi toglie dalla testa che se fossimo andati al riposo sul 2-1 per noi, quel 5 maggio lo scudetto sarebbe stato nostro.

Invece, il minchione pensò bene di fare quel cazzo di retropassaggio di testa, dando il via ad un effetto valanga che ha rovinato tutto. Non metto i link. Fa ancora troppo male…

Non l’avrei perdonato nemmeno fosse stato Ronaldo o Vieri, figuriamoci questo slovacco scaleno che, notizia degli ultimi giorni, nel dopo-partita addirittura si chiedeva come mai tutti fossero così tristi e incazzati, e che insomma a lui di perdere uno scudetto all’ultima giornata era già capitato tre volte. Non mi capacito di come Materazzi, che ha riportato la notizia un questi giorni, non l’abbia terminato seduta stante…

Con il numero 25: Vampeta

La storia la sappiamo tutti, quella del giocatore un po’ Vampiro e un po’ Capeta (Diavolo), da cui l’accattivante soprannome. Il baffetto alla Clark Gable ed una certa metrosexualità hanno contribuito a celebrare la portata di questo “pacco”. Camminava per il campo come il peggiore Andrade dei tempi di Roma anni ’80 (non a caso soprannominato “Er Moviola”), venne presto spedito al PSG dopo che era stato compagno di Ronaldo ad Eindhoven. Del resto il Fenomeno, campione assoluto sul campo, è sempre stato rivedibile nel ruolo di talent scout: oltre a Vampeta, suggerì il terzino sinistro Gilberto

Lapidario il commento di Brunone Pizzul dopo la finale del Mondiale 2002: “E va beh… anche Vampeta è campione del Mondo…”. Sipario.

Con il numero 31: Jérémie… Brechet

Ennesimo tentativo di pescare il jolly per colmare l’annosa lacuna del terzino sinistro. Uno dei pochi casi in cui la parola “fallimento” può essere usata senza tema di smentita. Talmente scarso da risparmiare il giro di gogna mediatica al collega di ruolo e di maglia Alvaro Pereira.

Con il numero 34: Martin… Rivas

Confesso che ho dovuto ricorre alla rete per ricordarmi il nome. Del resto, questa è la sua pagina di Wikipedia. Il trascorso nerazzurro è pressocchè nullo, ma è la prova vivente di quel che potremmo definire l’indotto Recoba. Non solo 10 anni del Chino, con splendidi gol del 3-0 e lunghi mesi di apatia calcistica, ma anche una pletora di compagni di asado e di mate, tutti gentilmente forniti dalla scuderia di Paco Casal. Colpisco quindi il quasi innocente stopper quale monito indiretto alla gestione dell’epoca (per una volta non molto simpatttica).

Con il numero 45: Mario… Balotelli

Eh… Mario, Mario… cosa devo fare con te? Ti ho difeso per tanto, troppo tempo, prima di cedere ai ragionamenti da bar, ma non privi di una certa dose di verità: “il gran culo di quello lì è stato di essere nero, ché se era bianco non se lo cagava nessuno”. Fatte un paio di correzioni sulla consecutio temporum, e sgrezzata da una generosa dose di politically incorrect, l’affermazione non è così campata per aria: la carriera di Mario nostro è stata un’eterna promessa non mantenuta.

Continuo a ritenerlo il talento migliore della sua generazione (e non solo), capace di grandi gol… ma purtroppo solo di quelli, e nemmeno poi così frequenti. Intelligenza calcistica a livelli mediocri, un naturale istinto nell’infilarsi in qualsiasi casino, polemica, atteggiamento sconveniente, un’indolenza forse solo apparente ma che ha l’immediato effetto di indisporre chi ti viene a vedere “ué fioeu! se te gh’et minga voeuja de giuga’ vegni giò mi… per la metà dei danée che te dànn”. Ero lì la sera in cui ha sfanculato un intero stadio, da cui credo sia uscito indenne solo perché ha coinciso con la miglior serata di calcio vista a latitudini interiste da decenni. CI pensò comunque Matrix a rimetterlo in riga, seppur per poco. Potevi essere, non sei stato. Ciao.

Con il numero 54: Hakan… Sukur

Altro mito del Signor Carlo che, come avrete capito, ha gusti calcistici questionabili, e da me invece subito “nasato” come bidone. Ha segnato un golazo in un Derby: la cosa è stata sufficiente a farmi entrar nel cuore gente come Minaudo o Schelotto per cui figuriamoci… Niente a che vedere con bomber degli anni del Galatasaray, quando fece fuori il Milan dalla Coppa. Le ultime vicende politiche e umane hanno contribuito a rendermelo più simpatico, ma per il resto N.C.S. (Non Ci Siamo).

Lascio a voi ogni chiosa sull’elenco di malfattori calcistici appena scorso.

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