BAGATELLE POLITICHE
So che l’attesa era palpabile e non ci dormivate la notte, così ho deciso di scrivere quel che penso di Sacchi e delle sue recenti dichiarazioni.
Scrivere spero possa chiarire anche a me come la penso, aldilà dell’idiosincrasia che ho sempre nutrito nei confronti di questo soggetto.
Se devo partire da un’analisi limitata alle sue esternazioni, mi trovo in gran parte d’accordo con Tommaso Pellizzari quando dice:
“se si ricoprono certi ruoli (o se si è comunque una persona di rilevanza pubblica) non è necessario essere razzisti per essere considerati inadatti. Basta esserlo sembrato, anche solo per un secondo. Il problema italiano è che questo concetto è diventato basilare all’estero, mentre da noi ha perso rilevanza per un malinteso senso di che cosa sia il politicamente corretto. Da noi è diventato sinonimo di buonismo ipocrita, mentre all’estero (ovviamente, là dove non si esagera) è il criterio adottato per assicurare rispetto a tutte le categorie sociali: con quel tanto, certo, di formalismo di facciata che l’essere personaggio pubblico richiede. E che è uno dei fondamenti della civiltà”.
Occorre secondo me mettersi d’accordo su cosa si intenda oggi per razzismo.
Nei decenni passati quel termine è stato utilizzato unicamente per bollare qualunque (s)ragionamento si ispirasse a questioni di superiorità della razza e idiozie simili.
Queste stronzate purtroppo non sono ancora scomparse, ma onestà impone di poterne certificare la sensibile diminuzione nel mondo di oggi.
Lo svilupparsi di una società multietnica ha senz’altro avuto un benefico effetto nell’aprire gli occhi a molti di quelli che evidentemente pensavano che persone con un colore della pelle diverso dal nostro vivessero sugli alberi o si nutrissero di bacche e cespugli.
Chiaro, un Calderoli al mondo lo troverai sempre e in ogni quartiere, a riprova che la deficienza (intesa proprio come mancanza, in questo caso di neuroni) abita anche a pochi isolati da noi.
In questo nuovo scenario globbbale si sono però fatti strada due diversi ragionamenti, che hanno al loro interno innegabili elementi di razzismo:
Il primo è quello sintetizzabile con l’ignoranza o la paura del diverso, ed è quello in cui personalmente faccio ricadere le elucubrazioni di Sacchi, ultimo iscritto all’affollatissimo club del “io non sono razzista, però“.
Onestamente, non ce lo vedo Sacchi coi baffetti arringare la folla propugnando la superiorità della razza ariana. Ciò premesso, è innegabile che il riferimento costante (chè il ragazzo mica ha iniziato ieri, vedi infra) ai troppi giocatori di colore, ai tanti stanieri che fin dal calcio giovanile rubano il posto ai nostri giovani virgulti, fino alla vergogna di essere italiano per i suddetti motivi, qualcosa senz’altro dicono.
Vogliamo chiamarlo protezionismo, nazionalismo, miopìa storica? You name it…
Faccio presente che l’uscita è stata stroncata pressocchè unanimemente al di fuori dei patrii confini, a prescindere dalla credibilità del censore di turno.
Torno a citare Pellizzari:
Ci sono ruoli (e persone che li ricoprono) ai quali non è consentita la distinzione fondamentale fra essere e apparire qualcosa. Ad Arrigo Sacchi è capitata la stessa cosa successa al presidente della Federcalcio Tavecchio con la celebre frase su Optì Poba: non c’è dubbio che Tavecchio non sia razzista, ma la sua frase l’ha fatto sembrare tale. E questo conta. Il guaio è che in Italia sembra contare meno che nei Paesi ai quali ci piace credere di assomigliare, come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti: dove infatti le frasi di Tavecchio e Sacchi hanno scatenato un putiferio.
Se poi guardo alle persone, ai colleghi o alle testate che hanno voluto difenderlo, e soprattutto al come ciò sia stato fatto, ho ancor meno dubbi a capire da che parte stare.
No, davvero: Bargiggia ce l’ha coi negretti perchè han ciulato il posto in squadra al figlio??
No, davvero: Ancelotti che mette una toppa che è peggio del buco, citando il capoccione per difendere il suo ex allenatore??
Buona parte dei difensori di Sacchi sono -guarda caso- legati al mondo rossonero e/o berlusconiano (chè Carletto è simpatico a tutti ma me la ricordo l’intervista in cui magnificava al figlio bambino le qualità di “quel signore lì alla tele“).
Buona parte dei difensori di Sacchi, insomma, la pensa come lui e non vede il problema, chè alla fine ragioniamo tutti per luoghi comuni, vecchi stereotipi (per fortuna passati) e poi in fin dei conti non volevamo mica offendere nessuno.
Ecco quindi il secondo ragionamento, forse nato in reazione del primo: i detrattori lo bollano come buonismo o come eccesso di politically correct, io invece lo ritengo sintomo di intelligenza, di saper vivere, se mi si passa la definizione.
Chiamiamolo senso di opportunità.
Ovvio che non possiamo crocifiggere un semplice cittadino che fa queste uscite, se il suo amatissimo ex-ex-ex-Presidente del Consiglio pestava merde diplomatiche simili...
Non si capisce, non si vuole capire quanto siano delicate ed importanti certe tematiche.
Qui siamo invece al “ma che cazzo vogliono? mica li ha chiamati “negri“! Che poi… non è mica colpa sua se sono neri, quindi di cosa stiamo parlando??“.
Un Bar Sport. Mal frequentato. Con tutto il rispetto per i tanti Bar Sport.
E ADESSO PARLIAMO DI COSE SERIE
Chè alla fine, tutto ‘sto delirio farneticante serve solo come preambolo per la vera ragione del mio astio verso l’Arrighe nazionale.
Ieri sera, per la prima volta, ho sentito fare la domanda che attendevo dal 1987: complice l’esternazione di cui si è detto e la concomitante ricorrenza del compleanno di Baggio Roberto, emblema del geniale fantasista poco inquadrabile negli schemi da lavagnetta e quindi incompatibile col sacchismo, le mie orecchie hanno sentito ergersi soave il dilemma:
Ma Arrigo Sacchi ha fatto bene o male al calcio?
Chi mi conosce sa come la penso. Sintetizzando in due righe: con quel popò di squadrone ha vinto poco (1 solo scudetto, 2 Coppe Campioni ai tempi dell’embargo inglese, con la nebbia di Belgrado e incontrando Steaua Bucarest e Benfica in finale. Taccio sull’Intercontinentale vinta al 458′ con autogol su punizia di ChiccoBubuEvani).
Ovunque sia andato, da lì in poi, ha raccolto briciole, Mondiale USA ’94 compreso.
Ma non è questo il punto. Sono un nerazzurro rancoroso e il mio è un fiero parere fazioso.
Il problema è che quest’uomo da vent’anni continua a citare il “suo” Milan quale unica pietra angolare e solo termine di paragone possibile per qualsivoglia squadra di pallone del globo terracqueo.
Episodicamente, e con malcelata falsa modestia, fa entrare nel suo cerchio magico l’Ajax di Cruyff e il Barcelona di Guardiola. Bontà sua.
Da più di vent’anni lui e i suoi sodali sparano minchiate sull’imprescindibilità del vivaio, sull’assoluta necessità di avere una base autoctona per vincere, addirittura sul fatto che tanti giocatori debbano venire dal bacino della città della squadra (sei di Cinisello? Eh eh eh… non vai bene!). Tutto meravigliosamente smentito dai fatti, nel senso che si può tranquillamente vincere anche in maniera diversa.
Oltretutto, qualcuno dovrebbe far presente a questi qui che tra quei tempi e i nostri ci sono ormai quasi trent’anni. Trent’anni nei quali il mondo, che piaccia o no, è cambiato.
E se non sono capaci, o se si ritengono così intelligenti da non dover perdere tempo per capire davvero come funziona il settore giovanile meglio gestito in Italia, è grave.
Non tanto per loro. Di loro chissefrega.
E’ grave, come al solito, che nessuno glielo faccia presente. Di più: li si difende, moltinemicimoltoonore.
Come scrissi nella nota con cui nel 2001 restituivo al mittente lo sgradito omaggio “Silvio Berlusconi: una storia italiana“:
il problema non sei tu: il problema è chi ci crede!
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