In questi giorni di bonaccia calcistica e con la testa comprensibilmente dedicata a questioni più gravi – non oso dire più importanti – la rete si sbizzarrisce nel preparare polpette o altre feste del riciclo assortite, proponendo classifiche ed elenchi tassonomici di partite, calciatori, gol ed emozioni sportive in genere.
Per non essere da meno, sfodero tutto il mio malessere nerazzurro nel compitare il mio personalissimo elenco, guidato dal riferimento numerico più insindacabile che ci sia: il numero di maglia.
Attenzione, non parlo di ruolo in campo, no. Proprio di numero sulla maglietta. E siccome il calcio ormai da qualche decennio ha smesso di avere una corrispondenza ontologica tra numero e ruolo, ecco che troverete centrocampisti con un numero solitamente riservato a difensori e viceversa. Tanto per fare un esempio, l’amatissimo (da me) attaccante Mimmo Kallon, alias il Leone della Sierra, giocava col 2 a Reggio Calabria e col 3 all’Inter.
Come vedrete, lo stratagemma vien buono per aggirare alcune scelte altrimenti dilanianti, su tutte quella del portiere.
Di seguito troverete i primi 10 numeri di maglia, arriverò ad una trentina di numeri di maglia, non necessariamente consecutivi (ma spiegherò il perché strada facendo).
Liberi di commentare e dissentire purché con buona creanza (ma anche no, chissefrega!)
Immaginate ora lo speaker ufficiale dello stadio annunciare nell’ordine:
Con il numero 1: Walter… Zenga

L’uomo ragno, il primo portiere di cui abbia veri ricordi (Bordon lo ricordo solo vagamente), campione e interista vero, portiere di altissimo livello e personalità strabordante.
Come tanti di quella generazione, ha vinto meno di quanto meritasse. Come tanti (tutti?) gli interisti, dimenticato appena possibile. Tre volte miglior portiere del mondo, un punto di riferimento unico per un decennio, ricordato invece per l’unico errore di un Mondiale altrimenti perfetto e per la migliorabile percentuale sui rigori parati (in effetti suo unico punto debole). Insieme a Zoff e Buffon sul podio dei migliori portieri italiani all time, non necessariamente terzo.
Con il numero 2: Beppe… Bergomi (coro: Sì Fabio!)

Amato da giocatore, apprezzato da commentatore. Non ha avuto la classe né la personalità per diventare un vero e proprio idolo del sottoscritto, ma è stato un esempio di fedeltà e professionalità per un ventennio. Persona perbene, cosa che all’Inter è una simpatica costante (sì, ne faccio una questione di superiorità ontologica, non rompete i coglioni), è riuscito a passare dal campo al microfono mantenendo le stesse caratteristiche. Criticato da molti interisti per non essere sufficientemente fazioso nelle sue cronache, rappresenta invece quel che chiedo a qualsiasi commentatore: competenza ed onestà intellettuale. Che non significa per forza imparzialità: lui stesso si dichiara interista e non di rado gli scappa un “noi” quando parla dell’Inter, ma ciò non gli impedisce di criticare quando serve. Leggermente troppo assertivo verso il collega di telecronaca (certo Fabio).
Con il numero 3: Andreas… Brehme

The one and only. Ribadisco il mio parere solo all’apparenza azzardato: il miglior terzino sinistro che abbia mai visto giocare.
Ellamadonna! Più forte di Paolo Maldini? A fare il terzino sinistro sì. Paolino è stato un giocatore più forte perché più versatile e con una carriera che parla da sola, qui parlo proprio di ruolo specifico.
Più affidabile di Roberto Carlos, ala sinistra che ha potuto far quel che ha voluto in dieci anni di Real proprio perché a nessuno interessava il fatto che non tornasse mai a coprire. Meno esplosivo il Bremer (come lo chiamava il Trap), senz’altro, ma il tedesco era realmente ambidestro ed aveva una capacità non solo di cross ma anche di lancio che ne faceva un vero e proprio “regista laterale” (copyright azzeccatissimo di Aldo Serena).
Con il numero 4: Javier… Zanetti

Il Capitano, di più, il fratello calcistico della nostra generazione: maggiore talento, ma personalità simile all’altro capitano di questa lista (lo Zio), Zanna è stato da me celebrato nel giorno del suo addio con parole che, a distanza di anni, non hanno perso nemmeno una virgola del loro valore intrinseco. La sua storia all’Inter sembra davvero quella di un romanzo sportivo con tanto di lieto fine, ed il fatto che invece sia tutto vero la rende ancora più bella. In vent’anni ha ricoperto una mezza dozzina di ruoli, con il suo 6,5 in pagella come costante. Un supereroe con cosce da extraterrestre ma la faccia da bravo ragazzo, pettinatissimo.
Con il numero 5: Dejan… Stankovic

È uno dei diversi casi in cui il numero di maglia non corrisponde alla posizione in campo. Il Drago è stato centrocampista totale, raro caso in cui l’eclettismo non andava a scapito della qualità. Detta meglio: sapeva fare benissimo tante cose.
Nelle mie statistiche mentali (e quindi difficilmente suffragate da dati oggettivi), rimarrà sempre il tiratore più sfigato del West, con un numero inenarrabile di pali, traverse, stinchi di portiere a privarlo di numeri ancor più scintillanti della cinquantina di gol fatta in Italia. Quantità, qualità e grinta in servizio permanente effettivo.
Con il numero 6: Stefan… De Vrij

Non aveva grandissimi rivali “di numero”, giusto Roberto Carlos che però già ho detto non essere nei miei preferiti. L’olandese è invece un luminare della difesa, intelligente nel chiudere e bravo nel far ripartire. Non disdegna qualche capocciata in gol, specie nel Derby, che non guasta.
In un’epoca in cui i difensori devono impostare e gli attaccanti rientrare, mi piace avere un difensore che fa molto bene il suo, e che solo in un secondo momento sa essere utile nel costruire l’azione, offrendo un’alternativa alla atavica mancanza di fosforo della mediana nerazzurra (“a questa squadra manca un Pirlo” ma andateaccagare!). De Vrij vince il mio personale ballottaggio con Lucio, eroe del Triplete ma troppo “cavallo pazzo” per i miei gusti, senza voler infierire con le orrende sottomaglie con cui giocava.
Con il numero 7: Luis… Figo

Nonostante sia arrivato in nerazzurro già ultra-trentenne, ha fatto vedere sprazzi di classe e talento come pochi. La prima stagione con Mancini – con cui pure non mancarono gli screzi – fu una lectio magistralis di dribbling, assist e qualche sapiente punizia (epica quella del definitivo 4-3 in Supercoppa contro la Roma, dopo essere stati sotto 0-3).
A tutto il talento assommava un basso profilo fuori dal campo, ed una statura morale che nemmeno la manfrina del gatto nero di Appiano ha potuto scalfire. Sta ancora aspettando la restituzione dei 5 mila euro di multa per aver denunciato la presenza di Moggi nello spogliatoio degli arbitri durante un Inter-Juve. Quella simpatia umana di Pavel Nedved gli ruppe il perone arrivando a far arrabbiare perfino il Signor Massimo; fatalmente al suo ritorno l’autonomia in campo era ridotta. Resta un campionissimo che, per una volta, ha visto la propria luce messa in ombra da quel popò di Inter nella quale ha giocato.
Con il numero 8: Zlatan… Ibrahimovic

Il giocatore più imprevedibile e divertente che abbia mai visto in nerazzurro. Ronie è stato il più forte, ma il campionario di colpi di Ibra non l’ho visto in nessuno. Gli dobbiamo tutti lo scudetto 2007/2008 in quella Parma inzuppata dalla quale ci ha trascinati fuori da campione qual è sempre stato. Caratteraccio, megalomane, egocentrico, poco incline a fare gruppo: tutto quel che volete. Ma come diceva Maurizio Mosca, citando a sua volta il ben più autorevole Italo Allodi: “comincia a prenderlo!”.
Mio papà era allo stadio in quell’Inter-Lazio in cui segnò esultando da par suo in risposta ai fischi che gli erano arrivati proprio dal primo anello verde, su cui da sempre si accomodano le terga mie e dei miei familiari. Ricordo ancora il Signor Padre tornare a casa raggiante e dirmi tutto tronfio: “Visto? Ero io che lo fischiavo, gli ho fatto segnare io il gol!” “Sì ma ti ha mandato affanculo…” “E che me frega, l’importante è che l’ha messa dentro!”.
Machiavellico, in effetti.
Con in numero 9: Samuel… Eto’o

Inevitabile che alcuni numeri di maglia (tipo questo, tipo il prossimo…) portino a scelte strappacuore e da sudori freddi. Però mi son messo da solo in questo divertente casino, quindi ne pago il prezzo fino in fondo.
Eto’o quindi: l’unico calciatore al mondo ad aver vinto due volte di seguito il Triplete e con due squadre diverse! Due stagioni in nerazzurro, nemmeno tantissime, ma sufficienti a far capire quanto un fuoriclasse possa mettersi al servizio della squadra se c’è da vincere tutto (il riferimento è al primo anno, e basta con la stronzata del “giocava terzino”, giocava esterno in un 4-2-3-1) e tornare invece centravanti coi controcazzi nel secondo anno, quando in stagione i suoi numeri parlano chiaro: 37 gol in tutte le competizioni giocate dall’Inter. Senza avere un fisico eccezionale, è stato un esempio di tecnica, leadership ed intelligenza calcistica che raramente si è vista su un campo di calcio, ancor meno in nerazzurro.
Con il numero 10: Ronaldo… quello vero

Stratagemma furbetto che mi consente di inserire il brasiliano senza sacrificare l’amato Eto’o, ma che al contempo mi impedisce di inserire Baggio in quello che è nato come puro divertissement e si sta invece trasformando in un sanguinolento deicidio.
Detto ciò, il Fenomeno non può non esserci, essendo semplicemente il giocatore più forte che abbia mai visto giocare nell’Inter. Il primo anno (giocato proprio con la 10) è stato ai limiti dell’inconcepibile per quanto era forte, veloce, letale. Quel grand’uomo di Gigi Simoni ci impiegò poco a capire che “come lui nessuno mai“, e lo disse senza peli sulla lingua al resto dello spogliatoio, formato da esseri senzienti prima che da calciatori, e quindi perfettamente consapevoli che uno così era un lusso che solo loro potevano permettersi.
Uno spartiacque generazionale. Mettendola in musica, Ronaldo è stato come Lucio Battisti nella musica italiana: prima di lui c’erano Claudio Villa, Celentano, Rita Pavone, quando andava bene i cantautori. Dopo di lui è arrivato il rock, il progressive e tanto altro. Ronie ci ha portato nel calcio del 2000, è stato il primo a farci vedere qualità in velocità, forza e controllo. Il tutto facendolo sembrare, se non facile, quantomeno spassoso e divertente. Resta il rammarico di un telaio troppo fragile per contenere quell’esplosività e del modo in cui la storia è finita, ma la magia che ha fatto vedere a tutti noi rimane insuperata.
Devo le mie scuse nell’ordine a:
2- Ivan Ramiro Cordoba
10- Roberto Baggio e Lothar Matthaeus
– Continua