INTER-JUVENTUS 1-2
Una partita onesta di una squadra poco più che mediocre, contro un’altra –c’è da dirlo- nettamente superiore.
L’Inter attuale poggia tutto il suo peso sui pochi piedi pensanti in campo: Palacio, Cassano e la bella novità Kovacic, alla terza buona prestazione consecutiva (includendo quella in nazionale contro la Serbia): il ragazzino, che qualche tempo fa avevo messo nella mia personalissima lista dei “rivedibili”, mi sta piacevolmente stupendo, facendo intravedere sempre più spesso il tipo di giocatore che può diventare: bene ha fatto Strama a sottolineare la vista lunga dei dirigenti nel prenderlo a gennaio, tanto per parlar bene di Inter là dove si potrebbe, ma non si fa.
Tornando alla partita, pronti-via e Quagliarella fa il gol a voragine approfittando della scivolata col buco di Ranocchia (male in tutta la partita, i due gol ce li ha entrambi sulla coscienza): pure Handanovic pare un po’ distratto nell’occasione, fatto sta che dopo 3 minuti siamo già sotto, con la Juve che può fare (e fa) quello che vuole: aspetta ordinata e riparte. Di occasioni non se ne vedono granché, ma l’impressione di totale controllo e di altrettanta superiorità purtroppo è palese. Noi sfioriamo il pari con Palacio che di testa impegna Buffon un paio di volte (una soprattutto…), ma paghiamo il solito centrocampo sterile, dove Gargano fa il Gargano e Alvarez fa Alvarez: scarso il primo, nullo il secondo.
La ripresa inizia con “mamma ho perso l’aereo” Guarin al posto di Alvarezza, e il colombiano se non altro corre e dà sostanza, con i nostri che piano piano ci credono.
Pirlo perde uno dei 13 palloni a centrocampo –non lo dice nessuno, così lo dico io- e Kovacic parte palla al piede puntando l’area di rigore. Guarin pensa bene (benissimo!) di ostacolare Chiellini e la palla arriva a Ando’, che imbecca a sua volta Palacio: il controllo a seguire (se voluto) è la cosa più bella dell’azione, ed il destro a battere Buffon in uscita è il giusto coronamento di quel che si chiama azione della Madonna (nel gergo giornalistico applicato all’Inter: sprazzi intermittenti dei singoli a supplire carenza di manovra).
Il pareggio non sarebbe uno scandalo, anche visto l’ennesimo rigore non concesso ai nostri (vedi contatto Chiellini-Cassano a due metri dall’arbitro di porta, per la milionesima volta in stagione inutile orpello arbitrale lava-coscienza); personalmente avrei tanto voluto rivedere con calma anche l’ingresso in area di Kovacic, fermato –mi pare- ancora da un’entrata di Chiellini giudicata da tutti in fretta e furia “sul pallone”. Solo sospetti in questo caso, ma come si sa, a pensar male…
Esaurite le sacrosante querimonie, la Juve legittima la vittoria per il modo in cui ritorna in vantaggio, solo 5 minuti dopo il pari di Palacio. La rimessa laterale è in effetti bianconera, anche se tra arbitro, guardalinee e quarto uomo fanno un gran casino. Morale, sulla palla in profondità i nostri si fermano sperando che esca, Quagliarella invece ci arriva e ributta in mezzo per Matri, con Chivu spettatore non pagante e Ranocchia in versione museale: tap-in da un metro e palla in mezzo alle gambe di Handanovic. Debbo purtroppo attingere alla retorica della “grande squadra che si vede nei momenti di difficoltà”, perché è esattamente quel che ho visto nelle orrende maglie juventine: consapevolezza della propria forza e lucida tenacia nel tornare in vantaggio: su ogni palla si corre fino alla fine, e l’esempio del 2-1, purtroppo lampante, andrebbe mandato a memoria dai nostri.
Onestamente, ai nostri non potevo chiedere più di quel che hanno dato, e la prestazione nel complesso fa addirittura ben sperare per le ultime partite di campionato. Il terzo posto, così come 12 mesi fa, si fa più lontano domenica dopo domenica, con Milan e Napoli a scavare un solco che si fa, lento ma costante, più profondo.
A scanso di equivoci, e se non altro per garantire una continuità di guida tecnica oltreché di prestazioni, occorre far più punti possibili nelle ultime 9 partite, concentrandoci a questo punto sul ritorno di Coppa Italia contro la Roma e cercando di toglierci quella soddisfazioncella che se non altro allevierebbe –e non poco- il rammarico di un’altra stagione “di transizione” (una transizione marrone e maleodorante).
LE ALTRE
Come detto, Milan e Napoli vincono (con gli azzurri sulle montagne russe col Toro). Vince anche la Lazio in rimonta col Catania, mentre Fiorentina e Roma beccano come noi. Ribadisco che, dopo mesi di papocchio di squadre in classifica, la stessa va ora sgranandosi come un rosario. Per quel che ci riguarda, il rosario è di Madonne nel leggerla e nel ripercorrere le decine di occasioni sprecate. Ragionando cinicamente, tra un quarto e un settimo posto preferirei il settimo, tanto per non avere l’impegno di Europa League che tante energie ci ha succhiato nella stagione (a cominciare dalla preparazione estiva anticipata a inizio Luglio). Strama & co. però questo discorso non possono farlo, visto che difficilmente il Mister si vedrebbe riconfermare la panchina con una squadra fuori da tutte le Coppe Europee.
E’ COMPLOTTO
Due cose apparentemente distanti, ma con il comune denominatore della prostituzione intellettuale. Si comincia con l’intervista al Pupone Totti in settimana: giusto e doveroso il tributo ad un grandissimo del nostro calcio a 20 anni dall’esordio in Serie A, con tanto di celebrazione dei gol segnati e della scelta di una vita per una maglia. Leggerissimamente fuorviante il tentativo (ennesimo peraltro) di farne un “campione in campo e fuori” e un “esempio per i gggiovani”: quelli a mio parere sono altri (Zanetti, Maldini, Del Piero… gente che non sputa agli avversari e non prende a calci la gente). E soprattutto, che palle con ‘sta “romanità”! Hai voluto passare tutta la vita nella tua squadra del cuore: bravo, bellissimo. Ma non tirar fuori ogni volta la manfrina del “mi voleva il Real Madrid ma ho fatto la scelta di cuore”. Dì la verità: hai preferito –legittimamente- rimanere Re per tutta la carriera nel giardino di casa, piuttosto che misurarti con altri campioni rischiando di vincere di più, ma essendo meno protagonista. La tua è stata una scelta, che personalmente ritengo anche abbastanza comoda e non molto ambiziosa, ma non una rinuncia: quindi per favore, basta con la litanìa del “noi romani siamo fatti così, siamo diversi, chi non è di Roma non può capire”. Definirei poi a dir poco indelicate alcune uscite del tipo “sono il migliore calciatore italiano degli ultimi 20 anni” o “nel 2000 meritavo il Pallone d’Oro” o “avessi giocato sempre da centravanti avrei già fatto 300 gol”: che siano panzane (le prime due) o verità (la terza), ‘ste cose lasciale dire agli altri…
In provocatoria contrapposizione, parlo qui del black out mentale di Cambiasso nel finale di partita: l’entrata su Giovinco è senz’altro brutta e pericolosa, e meno male che il piede dello juventino, dopo il colpo ricevuto, scivola e non rimane piantato a terra causando danni ben peggiori. E’ in casi come questo che vedi l’uomo e non il giocatore, e per fortuna anche i bianconeri in campo l’hanno capito: Conte lo prende sottobraccio e lo porta via dalla “scena del delitto”, e Cambiasso capisce subito di aver fatto una brutta cosa. Gli stessi avversari non fanno partire la caccia all’uomo che sarebbe stata comprensibile –ovviamente non giustificata- se l’autore del fallo fosse stato il cattivo di turno (un Materazzi a caso). Ecco la differenza: una carriera di specchiata onestà e sportività, nell’umanissimo caso in cui perdi il controllo di te stesso, ti viene in soccorso. Cambiasso chiede subito scusa a Giovinco, si spiega con gli altri e negli spogliatoi torna dagli avversari a ribadire le scuse e sincerarsi delle condizioni del bianconero.
Solo così mi spiego la sola giornata di squalifica comminata dal giudice sportivo Tosel, bianconero reo confesso e statisticamente poco incline a favori a tinte nerazzurre.
Tanto per chiudere il paragone, dopo la didascalica finale di Coppa Italia del 2010 con show di calci e calcioni der Gabidano, di scuse non si è sentita nemmeno l’eco, anzi: la vulgata è stata di Balotelli che se le andava a cercare e di 50.000 persone ad applaudire Totti nella partita successiva, con tanto di bimbi per mano ed “esempio di grande giocatore e grande uomo dentro e fuori dal campo”.
Questo tanto per rispondere all’ultrà Caressa che sbraitava chiedendo “5 ggiornate, 5 ggiornate je devono dà”, senza che lo Zio Bergomi sentisse l’urgenza di dire qualcosa…
Ma va già bene così: quantomeno non l’abbiamo sentito scodinzolare “Sì Fabio, certo Fabio”.
WEST HAM
Doppietta di Carroll e 3-1 a al WBA: si torna alla vittoria e si mantiene un buon margine sulle zone calde.