MILAN-INTER 1-0
Premessa: sono un tifoso, nel senso più pieno del termine.
Questo vuol dire che sono capace di astrarmi dal contesto marroncino del calcio di questi giorni e focalizzarmi sulla partita come se non ci fosse un domani.
Non sono sicuro che questo sia un pregio, ma tant’è…
Rimandando quindi ad altro momento una eventuale analisi sulle assurdità viste sabato a margine della finale di Coppa Italia, racconterò invece qui di come non si gioca un Derby, e di come giustamente lo si perda. Non tanto perchè la squadra avversaria faccia chissà che (si sono incontrate una squadra mediocre -loro- contro una teoricamente migliore ma francamente imbarazzante), ma proprio perchè è la giustizia divina a punirti per aver peccato di inedia.
Non è possibile giocare quella che per tutti è LA partita con una intensità ed una concentrazione degna di una sgambata infrasettimanale. Il tutto per una sqaudra che, è lo stesso Mister ad ammetterlo, non è per niente capace di gestire e far passare i minuti. Ammesso e non concesso poi che un Derby possa essere giocato con la testa fissa al “primo non prenderle/giochiamo per lo 0-0“.
Più volte nella mia vita di fanatico calciofilo mi sono chiesto se davvero i calciatori vivessero certe vigilie come me, e cioè se passassero in rassegna tutti gli stati d’animo dello scibile umano in poche ore. Personalmente, vivo ogni Derby come uno scontro totale tra due universi opposti, bene e male, yin e yang, cip e ciop: chiamateli come cacchio volete ma quello è.
Lunghi momenti col “serpentun nella pancia” (copyright Shopenauer Bagnoli), attimi di lucido realismo in cui guardi la formazione e pensi “ma dove cazzo vogliamo andare combinati così…“, altri in cui l’ottimismo si mischia a sprezzo del pericolo, portandoti a certezze del tipo “4-0, li massacriamo!“.
Il tutto poi di solito finisce col telefono che squilla o qualcuno che ti grida “oh, mi ascolti o cosa??“.
Il fischio d’inizio arriva come una liberazione, anche se il timore di vedere confermati i tuoi dubbi esistenziali non tarda a tramutarsi in realtà. Passati i primi minuti di banalissima decenza, si capisce presto che i nostri hanno semplpicemente deciso di “aspettare”. Non in attesa di scatenare l’inferno o anche solo un banalissimo contropiede, ma semplicemente di giochicchiare facendo passare il tempo.
E’ solo la mediocrità di chi ci sta di fronte a non farcela pagare prima, anche se la splendida trasversa di Kakà nel finale del primo tempo avrebbe dovuto suonare come epifanico campanello d’allarme.
Invece, come giustamente dice Zio Bergomi citando il Trap, se la spina non l’attacchi subito, poi è difficile rimediare in corsa.
I nostri infatti sfoggiano una coerenza indefessa, continuando ad esibire il nulla assoluto nonostante ci fosse tempo per il cazziatone di metà tempo con muri che tremano e occhi della tigre.
Macchè.
Riusciamo a prendere gol di testa dal Milan. Peggio, da De Jong, un pitbull tatuato al secondo (e incredibilmente non primo) gol in Serie A. Cambiasso censurabile nell’occasione, forse convinto dell’improbabilità di vedere il “suo” uomo capocciare in rete il vantaggio.
Tempo per imbastire una reazione ce ne sarebbe, ad averne la voglia. Pare invece il ritorno di una partita di Coppa in cui all’andata hai vinto 2-0: in sostanza cincischiamo difendendo lo svantaggio. Ricordo una sola parata di Abbiati, su un cross basso di Nagatomo nel primo tempo. La sola bella azione -con Hernanes che verticalizza per Palacio pronto al tiro, poco dopo il loro vantaggio- è neutralizzata ancora da De Jong che si guadagna così i galloni di migliore in campo.
Inutili i cambi del Mister. Triste solitario y final il Principe che in 10 minuti tocca un solo pallone, di testa, spedendolo alto dopo una difficile torsione. Ho avuto un brivido di speranza solo all’ingresso di Abate, dettato più dalla cabala che da motivazioni tènniche, visti i mal di testa causati dal Principe al biondino negli anni scorsi.
Ma in serate come questa, nemmeno la tradizione può nulla.
Torniamo a perdere il Derby dopo 3 anni, in una partita che avrebbe potuto tagliar fuori i cugini da qualsiasi discorso europeo, dandoci al contempo la quasi garanzia di 5° posto (hai detto cotica…).
Torniamo invece a sentire l’acqua che ci bagna le caviglie, ed una marea di squadre che si avvicina alle nostre chiappe. Sabato sera arriva la Lazio, in quella che dovrebbe essere l’utima uscita casalinga del Capitano e di un altro paio di grandi vecchi.
A tal proposito, immancabili i soloni che vorrebbero lo scalpo di Mazzarri per non aver concesso al Capitano la passerella nel suo ultimo Derby. Ritengo la discussione di pura lana caprina: se avessimo -inopinatamente- vinto, nessuno se ne sarebbe accorto.
Ancora, se l’avesse inserito per qualche minuto, gli stessi critici avrebbero tacciato il Mister di essere succube di Zanetti e dei suoi sgherri. E’ una guerra -inutile come tutte le guerre- e per di più figlia del solo risultato.
Ben altre, a mio parere, le critiche da volgere all’allenatore, primo responsabile della mollezza vista in campo: aldilà delle abbaglianti mancanze dei giocatori, sta al Mister motivare un gruppo e far capire quanto sia importante battere i rivali cittadini e chiudere in semi-bellezza la stagione.
Intendiamoci, non che un discorso alla Al Pacino ci avrebbe fatto automaticamente vincere. Non sono così illuso da pensarlo. Però sentire minchiate tipo “A volte spendi tante energie nervose prima e arrivi un po’ scarico” nun se po’ senti’…
Boia, se non ci pensi tu a dargli la carica, devo farlo io dal divano di casa? Se è così almeno dimmelo prima che mi organizzo!
LE ALTRE
La Juve vince il suo terzo scudetto senza nemmeno aver bisogno di giocare, stante la figura immonda piantata da Garcia (prima ancora dei suoi giocatori). La grezza d’oro non sta tanto nella pur sorprendente sconfitta dei lupacchiotti a Catania, quanto nell’arrendevolezza di una squadra il cui allenatore per settimane aveva lamentato uno scarso impegno profuso da alcuni avversari della Juve.
La domanda è tanto banale quanto irresistibile: e adesso a Chievo, Bologna, Sassuolo e Livorno che cacchio gli vai a raccontare, caro Rudigarzià?
Il papocchio quantomeno evita alla Juve di conquistare matematicamente lo scudetto in data 5 Maggio, ma ammetto che la cosa è soddisfazione da poco.
E’ COMPLOTTO
Sconcerti dice tante cose, e statisticamente ne dice anche qualcuna giusta. Se però non hai la memoria dalla tua parte -nè qualche schiavetto che ti prepara quattro tabelle in croce a supporto delle tue tesi- almeno evita di dire stronzate.
Non sono mai stato dell’idea che i numeri e le statistiche possano da soli spiegare il calcio: ho amato Rino Tommasi per le sue cronache di tennis e soprattutto di boxe, mentre l’apprezzavo meno quando parlava di calcio. Ho ovviamente “nasato” a km di distanza la faziosità e la malafede di Tosatti, capace di citare numeri al terzo decimale quando la tesi lo richiedeva, e di liquidare poi il tutto con lo slogan di cui detiene il malefico copyright (“torti e ragioni a fine anno si compensano“).
Tornando a Sconcerti, dico: come ‘zzo fai a dire “mi pare la prima volta che uno scudetto venga assegnato senza che la squadra vincitrice debba giocare la sua partita“, quando tutti noi abbiamo ancora negli occhi la Pinetina in festa a Maggio 2009 dopo la sconfitta dei cugini in quel di Udine?
Ancora, e più grave: volendo ipotizzare interventi migliorativi per la Juventus del prossimo anno, il nostro esprime il proprio legittimo parere e individua nel divario tra titolari e riserve uno dei problemi. Vero che la Juve ha giocato la stagione con 15-16 titolari, e con una mezza dozzina di riservacce (con tutto il rispetto per Padoin, Quagliarella, Peluso and co.). Dire però che le grandi squadre sono quelle che hanno 18 o 20 giocatori tutti più o meno dello stesso valore è una cazzata.
Primo perchè, soprattutto al giorno d’oggi, nessuno può permettersi 18 o 20 campioni. Secondo perchè la solita squadra antipatica e facilmente dimenticabile è riuscita a vincere il Triplete (che NON vuol dire vincere tre campionati di fila, care le mie Serve!) con un nucleo ristretto di giocatori e qualche buona riserva.
Siamo sempre lì: avere delle opinioni è legittimo, e certa gente è pure pagata per quello.
Fare di queste opinioni la realtà unica, oggettiva e immutabile è prostituzione intellettuale.
WEST HAM
Battuti per la terza volta in stagione i cuginastri del Tottenham e salvezza conquistata!
We are staying up!