INTER-MARSIGLIA 2-1
Forse, nella sua beffarda crudeltà, è giusto così.
Finire con un tonfo e non dare speranze di possibile continuazione. The party is over.
Spero che il ceffone sia forte abbastanza da convincere il Signor Massimo a fare quel che deve, seppur con 2 anni di ritardo. Basta con l’accanimento terapeutico; stacchiamo la spina.
Non dirò per la millesima volta che la squadra andava gradualmente puntellata negli anni scorsi. Mi limito a far notare che la stessa operazione andrà fatta in maniera decisamente più invasiva –e quindi meno “digeribile”- in estate, facendo tabula rasa o quasi e piantando nuovi semini in attesa che spunti una nuova piantina…
Non posso non chiedermi cosa sarebbe questa squadra oggi con Cavani, Inler e Sanchez stabilmente in rosa, colpi fattibilissimi dal 2010 ad oggi. Non posso non rammaricarmi di come la vecchia guardia sia stata usata come feticcio o panacea davanti a tutte le difficoltà, rimestando la minestra del “questi giocatori fino a pochi mesi fa vincevano tutto”, abbassandoci al livello dei diversamente strisciati senza averne il culo (il riferimento alla Champions vinta nel 2007, senza essere titolata a parteciparvi e giocando 3 partite degne di tal nome, è puramente voluto). Purtroppo le squadre non si fanno con le figurine, altrimenti basterebbero Brehme Matthaeus e Nicolino Berti a risolvere la situazione.
Non che abbia particolare piacere nell’indugiare sullo scempio di ieri sera: usciamo avendo meritato di passare; usciamo battuti da un avversario mediocre, guidato da un allenatore mediocre, che è stato un calciatore mediocre ma vincente, grazie ad un ematocrito costantemente sopra i 50.
C’è stata sfiga, senz’altro, ma anche tanta colpa.
Non puoi sbagliare due gol così nei primi 10 minuti, così come non puoi farti beffare all’andata e al ritorno nel recupero. “Chi l’è sfurtuna’, l’è anca un po’ cujun” dice il vecchio saggio. Traducete voi per Lucio.
L’Inter nei 90’ ha avuto gambe e testa per non più di 30 (diciamo i primi 10 e gli ultimi 20). Si sapeva che loro fisicamente erano due spanne sopra di noi, bestiacce da 1.90 dietro e a metacampo, piccoli e guizzanti sulle fasce e davanti: è quindi tutto da vedere come sarebbero andati gli eventuali supplementari. Maicon non si regge in piedi, Sneijder ben presto lo imita, Deki fa quel che può ma arranca anche lui. Gli unici a salvarsi sono il Capitano e Poli, mentre Forlan deambula senza costrutto e Milito ripete la prestazione di Verona: un errore clamoroso e un gol per farsi perdonare –anche se non abbastanza.
Facendo il fallace giochino dei “se”, stare 2-0 dopo 10 minuti di gioco avrebbe dato tutt’altra storia alla partita, permettendo a noi di abbassare i ritmi e costringendo loro a scoprirsi. Ecco perché ho vissuto come un tremendo presagio i succitati errori sottoporta, che peraltro rimangono gli unici veri pericoli corsi dai marsigliesi fino al 75’ (non conto le punizioni telefonate di Wes o sparate alla cazzo da Stankovic e Maicon. Tra l’altro: Maicon a battere le punizioni!?!?). E lo stesso gol del Principe arriva dopo un altro clamoroso errore del Pazzo, che per fortuna genera una carambola risolta da Milito con proditoria quanto efficace scarpata da 3 metri.
Da lì in poi la speranza è che i nervi facciano quel che i muscoli non possono fare più (…ma da mo’!): far correre la squadra. Serve chiuderla prima del 90’, per non arrivare ai supplementari che ci vedrebbero con la lingua a penzoloni. La squadra per quello si mette anche a correre, complice anche il doppio cambio Pazzo+Obi al posto di Forlan+Sneijder. Ma il fatto che l’Inter si giovi della corsa del giovane nigeriano, lungi dal voler essere una critica al fratellino di Leroy Johnson, è un indicatore preoccupante della nostra pochezza attuale. Obi nell’Inter del futuro ci può stare e può giocare anche diverse partite. Del resto il Triplete l’abbiamo vinto con Muntari in panchina, e Obi è molto più forte e immensamente più intelligente del nuovo fenomeno del centrocampo milanista. Detto ciò, non è Obi il perno che può far svoltare i nerazzurri.
Finito l’inciso sul nigeriano, e tornando all’ultimo quarto d’ora, il casino organizzato produce un paio di mischie e un colpo di testa del Cuchu –entrato per un Poli stanchissimo- che non riesce a governare la palla strumpallazza nell’area piccola. E proprio quando tutti aspettano l’agonia dei supplementari arriva il premio sfiga (o cujun, come s’è detto poc’anzi) con un rinvio alla cazzo del loro portiere per Brandao, subentrato negli ultimi minuti al posto di un (dolce) Remi che doveva essere un satanasso e si è rivelato più inoffensivo del cane Zerbino o della scimmietta. Al suddetto (Brandao, non Zerbino) riesce la giocata della vita, ovvero contrastare Lucio, stoppare a seguire con la schiena e tirare di sinistro a 1 mm dal piede di Samuel e sotto la panza di Julio Cesar. Il brasiliano, che se possibile fa crescere a livelli siderali il mio odio per lui palesandosi nel dopo partita come Atleta di Cristo, è l’ennesimo carneade che contro di noi ha avuto la serata da raccontare ai nipotini di fronte al caminetto. E mi sorprende che la gente ancora non abbia capito la diretta correlazione tra pippa-colossale-che-entra-in-campo e uccello-padulo-in-zona-Inter. Dovrebbero esserci anche delle pubblicazioni scientifiche al riguardo.
La tragedia (sportiva, s’intende) si trasforma in beffa 30 secondi dopo, con Pazzini abbattuto in area e conseguente rigore: si realizza quindi un cortocircuito tale per cui il nostro segna, ma ad esultare sono gli altri, stante il triplice fischio finale dell’arbitro subito dopo.
Quel che è certo è che non siamo, né mai siamo stati, fortunati. Vinciamo e andiamo a casa, mentre altri ne prendono 3 e passano. Ma è giusto così, ripeto. Che non ci siano alibi né tentennamenti. L’applauso a questi uomini c’è stato e la gratitudine sarà sempiterna. Ora serve voltare pagina, e non mancherò di dare al Sig Massimo i miei preziosi consigli sotto forma di possibili nuovi acquisti, liste di proscrizione e piani strategici quinquennali.
E’ COMPLOTTO
Non ho molto da dire sulla gara di ieri, a parte le lenzuolate sul ciclo finito che del resto erano in canna dal giorno dopo Madrid ed aspettavano solo il momento giusto per essere eiaculate.
Quel che vorrei far notare, seppure con un paio di giorni di distanza, è la reazione della stampa (intesa proprio come categoria, o corporazione) all’indegna uscita di Zlatanasso nel dopopartita all’indirizzo di una giornalista di Sky, rea di avergli chiesto se fosse ancora arrabbiato con Allegri.
Il MinCulPop rossonero ha fatto solerte il suo mestiere, minimizzando l’accaduto e comunicando che in serata tra i due c’era stata una telefonata chiarificatrice (chiarire cosa? Che sei un buzzurro? Devi scusarti, non chiarire) e che insomma il caso era chiuso.
Ma se la favoletta da Milanello Bianco era quanto di più prevedibile potevamo aspettarci, il silenzio assordante dei colleghi della sventurata giornalista non me li aspettavo. Non è vero. Mi aspettavo anche quelli. Tutti compatti ad attaccare Mourinho che insulta un inviato, beccato per l’ennesima volta in zona a lui non autorizzata. Duri e puri nel boicottare la successiva conferenza stampa e nel respingere sprezzanti le scuse dell’allenatore “alla persona, ma non al professionista perché lui lì non ci poteva stare” (così disse il Profeta, ineccepibile come sempre).
Qui invece, silenzio su tutta la linea. Un silenzio assordante e di un color marroncino…