Interessante, e lo dico davvero, l’approfondimento della Gazza degli ultimi giorni riguardante la gestione dei vivai delle nostre squadre ed il confronto -spesso impietsoso- con le best practices diffuse in tutta Europa.
Qui cercherò di utilizzare la stessa base-dati proposta dalla Rosea, ma di arrivare a conclusioni -se non diverse- quantomeno più (s)ragionate.
PER FARE UN TAVOLO…
Come dico sempre, il mondo è bello perchè è vario, e quindi non esiste una sola maniera di fare le cose. La banalità a dire che, se è vero che siamo ultimi in Europa nel far crescere giovani calciatori e farli giocare in prima squadra (see table below), è altrettanto vero che la speciale classifica è guidata da campionati minori come Svezia, Slovacchia, Finlandia e Croazia.
Dobbiamo investire di più sui vivai? Sacrosanto, ma occhio alla qualità complessiva del tuo campionato.
Vogliamo vederci più chiaro? Ascoltiamo quel che Stramaccioni dice da anni, non da ieri: all’Italia manca l’ultimo gradino, il passaggio dalla Primavera al calcio “vero”.
Fin lì arriviamo bene se non benone, ma quell’ultimo passetto, che per troppo tempo ci è sembrato quasi automatico, è quello fatale.
Aldilà del miope sadismo con cui è stata vivisezionata l’Inter che nel 2012 ha vinto la Next Gen Series (e le altre italiane ando cazzo stavano?) il confronto tra i nerazzurri e gli olandesi dell’Ajax è purtroppo impietoso per il nostro movimento calcistico:
QUELLI GIOVANI DENTRO
Ad ulteriore conferma del fatto che i numeri, più che darli, bisogna saperli leggere, faccio notare un altro dato interessante, sempre dalla Gazzetta dello Sport. In Italia siamo molto indietro come numero di giovani (Under 21 e Under 23) inseriti stabilmente nelle squadre di Serie A. Dall’altra parte, invece, guidiamo la classifica degli “anzianotti al potere”, con il minutaggio più alto in Europa per gli ultratrentenni.
Non è una bella cosa, lo sappiamo, e del resto che l’Italia sia IL Paese per vecchi è palese a tutti i livelli. Detto ciò, se guardiamo ai Campionati cui dovremmo tendere (Spagna, Inghilterra e Germania), vediamo che solo i tedeschi hanno valori “buoni” (tanti giovani pochi vecchi, età media di 25.7 anni): Liga e Premier sostanzialmente se ne strabattono di età media e giovani da lanciare (appena oltre i 27 anni di media, poco meno di noi).
Certo, direte voi, loro ci hanno i soldi. E con quelli risolvi tutto. Abbiamo vissuto così per un paio di decenni e ce lo ricordiamo bene.
Cerchiamo allora di chiamare le cose col proprio nome e non farci sviare dalla solita faciloneria da titoloni.
Con i giovani NON si vince.
Non automaticamente, per lo meno. Di solito si vince coi campioni. Che però costano. E di soldi non ce n’è.
Quindi, fatta la premessina didascalica ma necessaria a far sparire un po’ di fumo dagli occhi, possiamo grattarci la pera e capire come far emergere i nostri giovani, consci che solo così, e comunque nel medio-lungo termine, potremo ricominciare a dire la nostra. Il concetto delle Squadre B ora pare Vangelo perchè lo dice (e lo fa) l’Ajax, mentre ribadisco che nessuno ha cagato Stramaccioni che lo ripete ai quattro venti da quando ha qualcuno che lo degna di ascolto. Potenza del nulla mediatico nerazzurro di quegli anni…
FASO TODO MI
Mi pare altresì verosimile che il giovane in prestito venga inevitabilmente lasciato un po’ al proprio destino, mentre un monitoraggio costante nel giardino di casa permetta una crescita migliore e più coerente con l’idea del Club proprietario.
Anche qui però vedo un limite, che per molti è un pregio ma che io continuo a considerare una vaccata: molti club formano l’intero settore giovanile a immagine e somiglianza della prima squadra, replicando lì lo stesso sistema di gioco usato dai “grandi” (Ajax e Barcellona ancora una volta esempi fulgidi): la cosa ha indubbi vantaggi organizzativi e rende più facile l’adattamento nel passaggio da una categoria all’altra.
I solerti cantori del bel giUoco non mancano di farcelo presente.
Da buon bastian contrario, preferisco soffermarmi su quanto dice, ancora una volta, il buon Strama, quando intravede in questo oltranzismo tattico un limite ben preciso: “Lì (al Barça) dai bambini all’ultima squadra c’è una filosofia precisa che connota fortemente anche l’impronta tattica. Però magari poi lasci per strada qualche profilo, magari se fai solo 4-3-3 trascuri una grande seconda punta o la spingi a fare l’esterno…“.
Tanto per contribuire al dibattito (ipotetico, visto che qui parlo solo io…), ritengo che la duttilità tattica, e la capacità di giocare con diversi sistemi di gioco, dovrebbe far parte del bagaglio di ogni calciatore di valore, al pari di altre qualità tecniche e comportamentali.
DI TERRA BELLA UGUALE NON CE N’E’
Lasciando perdere preferenze e partigianerie personali (dovreste ormai conoscermi abbastanza per fiutare il mio disprezzo per qualsiasi forma di integralismo), arrivo all’ultimo punto di questa sottospecie di analisi arruffata: gli italiani in squadra.
Il punto di partenza è l’inevitabile specchietto (per le allodole) preso dalla Gazza dell’ultimo weekend:
Potrei liquidarlo con una battuta e dire che la squadra con più italiani in rosa è il Sassuolo, ma piccandomi di essere un fine analista la prendo un po’ più larga. Il discorso è sempre lo stesso, e mi spiace che la tabella sia parziale, perchè altrimenti vedremmo che la Premier League ha ancor meno “autoctoni” della Serie A, e la declamatissima Bundesliga non è molto dietro a noi, come ci conferma il CIES in questa tabella, pur aggiornata al 2013.
Ogni altro discorso è demagogico oltre che anti-storico. Esattamente come rimettere dazi doganali è una misura miope e alla lunga controproducente in ambito commerciale, così sbandierare l’autarchia dell’arte pedatoria è roba buona ad ammansire le masse, ma poco più.
Tra il 2003 e il 2010 (per tacer del decennio precedente) il calcio italiano ha vinto 3 Champions League e un Campionato del Mondo, e il rapporto italiani/stranieri, benchè oggettivamente diverso (da 41% a 54%), non basta certo da solo a giustificare il crollo di competitività del nostro calcio
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SI VABBE’, MA ALLA FINE?
Se vogliamo tirare qualche conclusione dal delirio mentale dato dalle mille parole scritte fin qui, possiamo dire che:
1) il Fair Play finanziario ha sparigliato il sistema italiano, fatto di Presidenti-mecenati e Club in perdita “per definizione” (in questo senso, sì, Moratti è l’esempio calzante). La scarsità di risorse è il mare in cui nuota abitualmente l’homo economicus, ma evidentemente non -ancora- l’homo calcisticus italicus;
2) Abbandonato il sistema imprenditoriale basato sul “cià, s’el custa“, i Club devono migliorare aspetti a lungo trascurati, su tutti i ricavi NON da diritti televisivi e valorizzazione dei propri talenti. A tal riguardo:
2.a) Sul primo fronte la Juventus ha fatto da apripista con lo stadio di proprietà, e mi auguro che Thohir possa fare altrettanto con merchandising e marketing strategico. Ad ogni modo, quella è la strada, c’è poco da inventare;
2.b) Sul fronte valorizzazione dei talenti, mi associo all’auspicio di una maggior attenzione al fenomeno, ma solo dopo aver ribadito che si tratta di una non-scelta, bensì di una necessità dovuta alle ristrettezze economiche.
Sintetizzando ancora di più, la soluzione sono le Squadre B nelle quali far giocare i Primavera più promettenti, non il tetto agli stranieri.
Ite missa est.