ASSAGGIA
E così, dopo quasi tre anni, l’indonesiano Thohir cede il suo 70% ai cinesi del Suning Group.
Tutto ciò nonostante le svariate smentite del Presidente e del suo staff. Il che, epidermicamente, è ciò che mi dispiace di più, visto che -per una volta- le Cassandre mediatiche erano ben informate preconizzando l’evento ormai da mesi.
Non mi è piaciuto il modo in cui Thohir ha smentito fino all’ultimo un passaggio di maggioranza, toccando più volte i tasti del “progetto quinquennale” che invece ora saranno altri a portare avanti.
Detto ciò, e lasciando al paragrafetto successivo il passaggio dalle papille gustative all’apparato digerente di questa succulenta polpetta, i conti per Er Filippino, o se preferite per il Cicciobello con gli occhi a mandorla, sono presto fatti.
Rimarrà ancora presidente, quantomeno per la prossima stagione, alla fine della quale i contratti di molti managers interisti scadranno, dopodichè verrà verosimilmente liquidato lasciando l’Inter in mani totalmente cinesi.
Per il mondo nerazzurro, rimasto orfano di “Papà” Moratti già tre anni fa, non fa molta differenza che il padrone del vapore sia indonesiano o cinese, anzi: il gruppo di Nanchino, per dirla con un tecnicismo, ci ha più soldi di Thohir, quindi in prospettiva potrebbe spendere di più (UEFA permettendo).
Non subito però, visto che il pareggio di bilancio tra 12 mesi è un impegno che pare non prorogabile, nè aggirabile con artifizi contabili di triangolazioni intercontinentali all’insegna del “lo pago in Cina ma lo giro in prestito a Milano“.
Quindi che cacchio ce ne facciamo del miliardario cinese se non ci può comprare Maradò?
Calma: i vantaggi ci sono, magari non immediati, ma ci sono.
Thohir era arrivato nel momento in cui la spending review faticosamente accettata e messa in pratica da Moratti stava per finire (sul come sia stata fatta, mi limito qui a citare il Direttore di Fantozzi nella celebre cena). Thohir arrivò con la promessa di aumentare i ricavi, in modo da poter avere moneta sonante da potersi giocare sul mercato.
E per quello i ricavi li ha anche aumentati, passando dai 167 del 2013 agli oltre 180 del 2016. Non abbastanza però, complice l’assenza dall’Europa che conta -e per l’anno appena concluso pure da quella che conta meno.
Il ragazzo del resto aveva sempre parlato chiaro -a volerlo ascoltare-: in assenza di una strategia collettiva per vendere meglio il prodotto Serie A nel mondo, ed avere così maggiori introiti televisivi, l’aumento dei ricavi passava necessariamente per l’approdo in Champions League. Cosa che non siamo nemmeno andati vicini dal far succedere, nemmeno quest’anno (siamo sinceri…).
Piccolo inciso: reduce da un gradevolissimo weekend lungo a Barcellona, ho passato una istruttiva e divertente mattinata al Camp Nou sollazzandomi tra museo, campo, tribune, coppe, spogliatoi e sala stampa. Ora: è vero che, in questi anni, “vendere” un prodotto come il Barça è leggermente più facile che farlo con l’Inter o col Milan. Ammetto pure di non essere mai stato a San Siro per visitarlo nei giorni non di partita, però la differenza è stata di alcune ere geologiche. Difficile quindi mettere in pratica le pur affascinanti teorie sull’internazionalizzazione del brand e compagnia cantante con una squadra che perde col Sassuolo (due volte) e pareggia col Carpi in casa.
Morale: la pur esistente forza trainante del gruppo di Thohir in Indonesia (Paese di 250 milioni di abitanti, non proprio il Bhutan) non ha avuto il successo sperato. In questo Suning è un colosso non paragonabile, oltretutto nato in quella Cina a cui tutti guardano ormai come prima potenza economica mondiale.
Insomma il potenziale c’è. La capacità di far leva sul passato glorioso e di vendere fumo (questo attualmente è quel che si può fare visti i risultati) pure.
Vedremo quanto in fretta riusciremo a crescere, magari anche attraverso un nuovo accordo con la UEFA alla fine della prossima stagione.
DIGERISCI
Sì ma te Mario come la vedi?
Siccome la domanda non me la fa nessuno, me la faccio da solo.
Sto invecchiando, perchè la prima cosa a cui ho pensato dopo l’ufficialità è stata: povero Thohir, non riesce a concludere quel che aveva in mente…
Sto invecchiando pure male, perchè credo di essere stato tra i pochissimi interisti a cui non è nemmeno venuto in mente di pensare a Moratti e alla fine della sua “carriera” da azionista (maggioranza o minoranza che fosse) dell’Inter. Approfondirò anche questo argomento nella parte dedicata alla defecatio, non a caso associata alle reazioni mediatiche alla vicenda.
Ripensando ai due anni e mezzo di gestione indonesiana, l’aspetto sportivo lascia chiaramente a desiderare. Col senno del poi, credo che il primo -pur comprensibile- errore sia stato andare avanti con Mazzarri, onesto mestierante ma lontano dall’idea di allenatore/manager che hanno gli stranieri. Il primo anno di Mancini d’altronde è trascorso tra periodi di assestamento e la pressochè sistematica distruzione delle precedenti sessioni di calciomercato, sicchè il Mancio ha compiutamente iniziato a lavorare solo dall’estate scorsa.
Pur non avendo ancora fatto le pagelline del campionato appena finito, posso svelare il prevedibilissmo finale, e cioè che Ciuffolo & co. escono maluccio dall’anno scolastico: a voi decidere per la bocciatura a Giugno o i tre esami a Settembre. La solfa cambia poco.
Ci sono però anche aspetti positivi in questi anni: per metterla sul ridere, non abbiamo più un Direttore Artistico, nè un Direttore Generale con contratto a tempo indeterminato. In termini meno carnascialeschi, con Thohir è arrivata un’organizzazione aziendale al posto di un Club Vacanze dove probabilmente era bellissimo lavorare, ma dal quale sono state lasciate a casa una settantina di persone senza particolari scossoni.
Non credo infatti che i cattivi risultati di questi anni siano da imputare alle scrivanie della sede lasciate vuote.
Ma Thohir non ha fatto solo questo: ha dato una direzione, pur non riuscendo a perseguirla in pieno. Ha fatto capire a cosa bisogna puntare per poter (tornare ad) essere un top Club, ora che il mecenatismo non può più essere una risorsa.
E sono i numeri a dimostrare ciò: di tutte le cifre e le valutazioni di cui si è letto in questi giorni, scelgo quella di Marco Bellinazzo non tanto perchè è quella che più conforta la mia tesi, ma perchè fatta da uno che ne capisce e che, pur tifoso napoletano dichiarato, ha sempre fatto della competenza e dell’imparzialità il suo cavallo di battaglia.
Ebbene, il ragazzo scrive testualmente che
“In pratica, rispetto all’acquisto di tre anni fa, la valutazione del club è raddoppiata. Thohir prese il 70% del club per 250 milioni (75 più i debiti per 180 milioni) con una valutazione complessiva del 100% delle quote intorno ai 350 milioni. Il tycoon indonesiano in altri termini è stato molto più bravo a comprare e a vendere che a gestire l’Inter”.
Parto da qui per fare due domande retoriche:
La gestione precedente sarebbe stata in grado di fare altrettanto? Risposta: no, e proprio perchè consapevole di ciò Moratti si era guardato in giro per trovare qualcuno che potesse farlo.
E senza questi due anni di medicina amara e cura ricostituente, il gigante cinese avrebbe sborsato tutti quei soldi? Risposta: no. Ammesso che a qualche sceicco possa anche interessare buttar via i soldi, questi signori hanno invece un business plan molto chiaro: vogliono entrare in Europa e vendere i loro prodotti ad un altro mezzo miliardo di potenziali clienti. Per far questo, una (gloriosa) squadra di calcio può essere un ottimo veicolo. Se però non si è sicuri che l’investimento possa creare valore, semplicemente non viene fatto.
Morale, Thohir è stato il dottore cattivo, che a furia di punture e sciroppi ci ha rimesso in piedi. Il suo è stato un ruolo ingrato, la cui importanza verrà sperabilmente riconosciuta col tempo.
Di questo credo che tutti gli interisti dotati di un minimo di cervello dovrebbero ringraziarlo: se poi è riuscito a vendere meglio (molto meglio) di quanto ha comprato, meglio per lui.
Moratti, tanto per non far nomi, non è mai stato un asso a vendere, e anche stavolta l’ha dimostrato.
ESPELLI
Che poi Moratti e ancor più la sua gestione sia adesso rimpianta dalle stesse penne che ai tempi lo criticatavano entro e oltre i giusti limiti (“è troppo tifoso, è troppo buono, gestisce l’Inter come una famiglia, sbaglia ad essere così passionale“) fa parte del gioco, dell’assenza di coerenza e vergogna con cui i nostri scrivani convivono ormai serenamente.
Sapete come la penso: la stampa rimpiange -adesso- Moratti perchè non ha più il punching ball preferito, su cui poter scrivere di tutto senza paura di rappresaglie.
Thohir tra le altre cose è uomo di comunicazione, ed ha iniziato subito a dire quel che voleva, quando voleva e soprattutto a chi voleva, con educazione sì ma senza la consueta disponibilità sotto gli uffici della Saras (cit.).
Imperdonabile.
Sconcerti, tanto per non far nomi, Thohir non lo può vedere perchè non gli ha mai concesso un’intervista. Per questo ne certifica il fallimento, ignorando volutamente le parti positive della sua gestione.
A ulteriore conferma del non irresistibile timore riverenziale esercitato dall’Inter sui media, curioso che, in un mondo dove il 99,99% degli intervistati racconta una propria verità, spesso non coincidente con la “verità-vera”, lo stesso Sconcerti (“mai una verità“) così come la Gazzetta imputino a Thohir la colpa di non aver vuotato il sacco.
Fin troppo facile registrare la calma piatta sulle balle raccontate sull’altra sponda del Naviglio da un anno abbonante a questa parte sulla cessione del Milan a Mr B. o chi per lui per fantastiglioni di miliardi…
Ma l’Inter non sarebbe l’Inter se non fosse capace di farsi male da sola: eccolo, allora, il succitato ex Direttore Artistico, rimproverare Thohir di non aver capito la peculiarità dell’ambiente-Inter e parlare di occasione persa. Tempismo perfetto, non c’è che dire…
Ancor meglio fa Paolillo, indimenticato “confermatore” di Mancini sotto la pioggia di Parma nel 2008 (“resta all’80%”) e severo maestro pronto a bollare con un bel “4” la gestione Thohir.
Mettendo insieme tutto, riesco anche a togliermi una soddisfazione da cacacazzi rancoroso e provinciale: il Milan, valutato da Silvio 1 miliardo (debiti esclusi) senza che nessuno dicesse niente per oltre un anno, è ora oggetto di trattative per un valore complessivo di circa 700 milioni, una cifra come visto molto simile a quella che riguarda l’affare Inter-Suning.
Visto che citare una fonte può non essere sufficiente, KPMG ha recentemente valutato l’Inter con un equity value (cioè debiti escusi) di 400 milioni che, sommati all’esposizione bancaria dei nerazzurri, fa arrivare l’enterprise value (e cioè il valore lordo) oltre i già citati 700 milioni.
Ecco, in un Paese in cui la più grande cazzata ripetuta 100 volte (da qualcuno) diventa verità, avere delle valutazioni esterne che danno alle due squadre di Milano un valore sostanzialmente analogo è una piccola ma piacevole rivincita.
Per resto, si vedrà…