PIU’ BELLO COSI’?

…Boh, non lo so. Da buon trapattoniano, preferirò sempre un 2-0 ad un 4-2. Aggiungiamoci anche che, per quanto allenate, le mie valvole cardiache hanno subìto un duro colpo nei novanta minuti di domenica sera.

Però… vedere quelli là prima sfotterci anche simpaticamente (cit. per i soli soci del circolo culturale di Piazza Aspromonte), poi tirare fuori tutto il loro livore di donna che dopo anni riconquista il proprio uomo conteso alla rivale, e infine vederli sprofondare dove meritano sotto i colpi dei nostri, è senz’altro un bel modo di concludere il weekend.

Facciamo ordine: formazione sbagliata nel primo tempo. No, Conte non c’entra. C’entriamo io e mio figlio, e sinceramente mi stupisco della leggerezza di entrambi, solitamente così attenti alle scaramanzie domestiche. Io allungato sul divano, il rampollo poltronizzato in pole position. Inizia il match e -cazzo- quelli là giocan bene. È palese la loro dipendenza da Ibra, giocatore immenso (si sapeva) ed anche saggio (questo si sapeva meno) nel capitalizzare i suoi punti di forza a vantaggio della scarsa mobilità data dai 38 anni suonati.

La cosa -interessante da un punto di vista sociologico e comportamentale- è come anche altri compagni trovino giovamento dalla sola presenza dello svedese in campo. Sembrano veramente bambini sperduti a cui serve il cuggino gruosso per farsi coraggio e giocar bene.

Merito di Zlatanasso o colpa del nostro invornimento, il primo tempo del Milan è nettamente il migliore delle ultime stagioni, palese rimprovero all’atteggiamento nerazzurro.

E dire che, per una volta, ai nostri avevo dato fiducia: la sconfitta della Juve e la vittoria della Lazio sembravano fatte apposte per spingere i nostri all’ “oggi o si vince o si vince“, e sappiamo bene come tante altre volte una situazione simile si sia tramutata nella classica tafazzata sotto forma di sconfitta in casa con l’Udinese di turno o pareggio insipido con l’ultima in classifica. Ecco: uno dei meriti di Conte è stato quello di farmi uscire questi pensieracci dalla testa, al punto da fregarmene perfino delle scaramanzie da divano.

In altre parole: chi scrive pensava: stasera li massacriamo!

Ecco, ben ti sta! mi sono detto da solo nell’intervallo, dopo aver visto Ibra segnare di fatto due gol da solo (con Padelli ben più determinante di Rebic) e i nostri non capirci il resto di un cazzo per buona parte del tempo. Certo, avremmo potuto confermare le litanìe di squadra cinica e bla bla bla con l’unica bella azione dei primo tempo: Lukaku scatta sulla destra e lascia indietro Alessietto Romagnoli, la mette in mezzo dove Vecino spara un rigore in movimento tra le braccia di Donnarumma.

Stomachevole il bordocampista rossonero che subito dopo frignava allertando gli spettatori che “Gigio non ce la fa! Gigio si è fatto male!” e apostrofando Romagnoli nell’intervista a fine tempo “Ale“, manco fosse suo fratello. Potere della grande famiglia rossonera

Con le squadre negli spogliatoi, espletiamo le funzioni alimentari in men che non si dica e cambiamo formazione in salotto: io in poltrona presidenziale col rampollo di casa ai distinti divanati a mugugnare a mezza voce “qui bisogna fare subito il 2-1 e poi vediamo“.

Detto fatto: nemmeno il tempo per maledire il solito tiro del cacchio di Candreva che Brozo pensa bene di piazzare un sinistro al volo che esaudisce il desiderio di Jimmy Wikipetula (uno dei mille modi in cui chiamo mio figlio: sto già mettendo da parte i soldi per lo psicologo). Il tappo della bottiglia è saltato, e tempo due minuti Vecino la prende ancora, capitalizzando al meglio l’imbucata di Godin e l’assistenza di Sanchez. Lunghi secondi di suspence per il giusto controllo del VAR (il cileno da una prima immagine a me sembrava in drammatico fuorigioco), e quando l’arbitro fischia, Sky allunga il dramma per qualche altro secondo, indugiando su un primissimo piano del sorriso di Lukaku che poteva sembrare tanto sincero nella gioia quanto amaro nella beffa per un ipotetico annullamento. Una finezza tecnica degna di mamma RAI.

Si riparte dal 2-2 e, contrariamente a quel che pensavo, passa del tempo prima del nostro vantaggio. Loro sono appassiti in concomitanza con Ibra, ma noi abbiamo impiegato più di quanto lecito per incartare la partita e portarla a casa.

Ci pensa il miglior difensore della Serie A, Stefan De Vrij (arrivato a parametro zero, lo ricordo per quelli che “l’Inter non azzecca un acquisto dai tempi di Ronaldo“) con quella che Pellegatti ai tempi chiamava torsione scopadea. Gol della Madonna con il buon Alessietto a guardare. Ibra dà un ultimo segnale di esistenza tentando di brutalizzare il pur robusto Skriniar e colpendo un palo de capoccia (ma sarebbe stato fallo in attacco), Barella si mangia il 4-2 arrivando esausto dopo 60 metri lanciati, e quando tutti implorano Vecino di tener palla e guadagnare l’angolo, il Charrùa pesca invece Moses che a sua volta la mette in mezzo per Lukaku che timbra il cartellino in coda ad una partita di grande sacrificio.

La goduria è massima, e prosegue in una ragionata rassegna del pre e post Derby alla quale non posso sottrarmi.

PRIMA

Se ben ricordate l’anno scorso la Gazza nel presentare il Derby si era esibita in una supercazzola che riusciva a lodare l’Inter per un valore della rosa maggiore di quello dei cugini, e al contempo salutare con entusiasmo il maggior monte ingaggi dei milanisti rispetto ai colleghi bauscia. Stavolta qualcuno dà numeri e commenti più ragionati (siamo i più forti, la nostra rosa vale di più e conseguentemente “costa” di più). Siccome però occorre comunque trovare qualcosa in cui il Milan sia superiore all’Inter, ecco gli emuli del Geometra Galliani: se consideriamo la media punti da Gennaio ad oggi (facciamo l’altro ieri va…) il Milan ha una media punti più alta di quella dell’Inter.

DOPO

Del -19 prima della partita, fatalmente diventati -22 al 90′, tutti zitti o quasi. Resta fondamentale ricordare di un primo tempo in cui i 19 punti in più sembravano a favore del Milan, e ripetere che con Ibra la media punti è raddoppiata.

Quando però era all’Inter, pur con l’Inter che vinceva a mani basse, si parlava di Ibradipendenza.

Interessante poi leggere come la gloriosa rimonta sia partita da un “tiro sbagliato” di Brozovic. Giudizio tecnico nientemeno che Mario Sconcerti, forse noto per le gragnuole di gol da trenta metri nei tornei di redazione negli anni ’70 ed endemicamente incapace di fare un complimento all’Inter che sia netto, perentorio. No: ci vuole sempre il “però” il ridimensionare, il non eccedere in facili entusiasmi. È pur sempre quello che riuscì a definire mediocri o giù di lì l’ultimo scudetto di Mancini e i due di Mourinho perché conquistati con meno punti rispetto ai 97 dell’anno di grazia 2006/2007.

Del resto il giochino, da me anticipato ma assai prevedibile, è ormai chiaro: l’Inter va male? Che ci vuoi fare? È fatta così. L’Inter vince? Quanto conta Conte (cit.)

Infine, il pensiero della buonanotte che ci fa sentire tutti persone migliori: sempre consolatorio, anche quando non ce ne sarebbe motivo, ricordare che il mondo è un brutto posto unicamente per colpa di Mauro Icardi, che spaccava gli spogliatoi. La battuta è perfino banale: facile far danni in quello dell’Inter, “spaccato” per definizione.

Anche un innocuo commento di Perisic all’amico Brozovic, capitano nel Derby complice l’infortunio di Handanovic, diventa un buon gancio per ricordare che lui e l’altro non si sono mai amati.

Grazie, rischiavamo di dimenticarcene.

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TEMPI DA VALUTARE

Un po’ di robe che avevo “nasato” e puntualmente si sono verificate:

Ashley Young a sinistra è come tutti gli esterni destri a sinistra. Bravo, diligente, dotato di intelligenza calcistica, sistematicamente sbilanciato sul piede forte e quindi sull’interno del campo. Ho smesso di contare le volte in cui, nel mercoledì di coppa e nella domenica di Udine, è arrivato sul fondo per poi rientrare sul destro e metterla in mezzo. Ribadisco: è forte, intelligente, fisicamente a posto, abituato a grandi palcoscenici. Tutto quello che volete. Ma è l’ennesimo adattato a sinistra.

Come constatato dal rampollo di famiglia, che lo pensava mancino “Ah, ma allora a sinistra non abbiamo risolto niente”. Esatto, Pancho.

Guardando indietro al mercoledì di coppa, abbiamo visto il signor Doveri proseguire nella colata di simpatia degli arbitri verso i colori nerazzurri. Pronti via e blocca un contropiede clamoroso – Iachini diventa una belva contro i suoi per quanto sono stati polli – facendo ripetere una rimessa laterale da battere circa 73 cm più indietro. Dopo il gol di Candreva, pur non avendo ravvisato nulla, attende fiducioso che dal VAR qualcuno gli dica qualcosa e possa così annullare il vantaggio nerazzurro. Nice try, sarà per la prossima…

Guardando in casa nostra, continuano i misteri da infortunio. Almeno in questo l’Inter è stata pioniera, decidendo già a inizio anni 2000 di non rivelare mai le effettive entità degli infortuni e soprattutto i tempi di recupero previsti.

Legittima l’esigenza di tutelare la confidenzialità di questi dati e la privacy del calciatore. L’effetto collaterale è lasciare che la stampa scriva quello che vuole, e che i tifosi facciano supposizioni basandosi sul nulla.

Prendiamo Brozovic, azzoppato nella trasferta di Lecce. Tutti subito si sono eccitati prevedendo scenari apocalittici (“salta anche la Juve???“), per passare poi all’eccesso opposto (“dovrebbe rientrare già col Cagliari o al più tardi in coppa con la Fiorentina”).

Portando il tutto agli ultimi giorni, abbiamo potuto ammirare lo stesso Brozo con Sensi uno accanto all’altro… ma in tribuna e non in campo, con Eriksen ad appoggiare il trolley dell’aereo in panchina e giocare una mezz’oretta per pura emergenza ed un’altra dimenticabile ora ieri a Udine.

Apprendiamo altresì che Gagliardini ne avrà per un mese, che in compenso Asamoah è ancora vivo e che Borja Valero non è al meglio. Da buon ultimo, Handanovic si scassa il mignolo e rimane seduto a Udine. Ci sarà nel Derby? Ecco l’ineffabile risposta del sito ufficiale. Ecco l’inevitabile gufata della stampa.

Cambiando sponda del Naviglio, lo storytelling da romanzo rosa del Milan addiviene a più miti consigli, e quindi passiamo da Robocop/Pistolero Piatek cercato dal Tottenham per sostituire Kane (se non è blasfemìa, poco ci manca) alla maledizione del numero 9 che colpisce ancora e lo spedisce dritto-dritto all’Herta. Andiamo a Berlino Fabio! (cit.)

Nulla in confronto al ventilato scambio Paquetà-Bernardeschi, lisergica conferma del clima connivente tra le due diversamente strisciate. Quindi, per capire, la stessa Juve che ha snobbato uno scambio con Rakitic più 10 milioni, sarebbe stata interessata a scambiare il talentuoso ex-Viola con quel pacco di Paquetà. Il tutto con Gadzidis del Milan a dire “no grazie” (“perchè non c’ho una lira”, aggiungio io) Se lo dite voi…

Nulla di drammatico per i valori glicemici rossoneri: c’è pur sempre l’esordio del piccolo Maldini a dare un altro giro di giostra al can-can della grande famiglia rossonera. Di mio ci aggiungo l’ennesima botta di culo dei cugini, che senza Ibra rischiano seriamente di perdere in casa col Verona: pareggio di Çalhanoglu su autorete, due pali del Verona, rigore assai dubbio non concesso agli scaligeri, gli ultimi 25 minuti giocati in 11 contro 10… Poi, al solito, al 92′ il palo lo pigliano loro e sembra quasi che quelli sfigati siano stati i rossoneri.

Inevitabile per la stampa soffermarsi sull’importanza capitale di un 38enne (per quanto forte) nella squadra, ma il contorno è costituito da abbondanti giri di parole aleatori e come tali poco confutabili, all’insegna del “l’impressione è…” “si ha come la sensazione che…” “lo spirito è tutt’altro rispetto a un mese fa…”.

Le speranze ed i timori sono tutti rivolti a domenica sera, quando verosimilmente Zlatanasso tornerà al centro dell’attacco rossonero. I cugini navigano in brutte acque, e non lo scopriamo certo oggi, eppure hanno la capacità di farmi una paura del diavolo (no pun intended) ogniqualvolta ci giochiamo contro. Siamo pur sempre quelli che sono riusciti a far segnare a Comandini l’unica doppietta della sua carriera in Serie A e a far sembrare Serginho un terzino sinistro. Se svesto i panni da antimilanista atavico, debbo riconoscere che Théo Hernandez e Leao, per quanto acerbi e tatticamente migliorabili, sono due talenti puri e come tali temibilissimi, soprattutto per una difesa come la nostra che non ha nella velocità la miglior arma a disposizione e che dovrà fare a meno di Bastoni.

Insomma, inizierà il clima pre-derby con nottate a fissare il soffitto e paure -si spera immotivate- anche per l’ultimo dei panchinari rossoneri.

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PRIMO QUADRIMESTRE

In leggero anticipo rispetto a quelli scolastici -ai miei tempi la scadenza era a fine gennaio, ora non so…- arriva la fine del primo quadrimestre calcistico.

Analizziamo criticamente (cit. ma la potete cogliere solo se allo Zucchi eravate nella sezione B negli anni 80/90):

I NOSTRI

Sono stati bravi se non bravissimi. Come già detto ultimamente, girare a oltre 45 punti (speravo 48, sono 46 e vista l’Atalanta di sabato va già bene così) è un risultato che va aldilà di ogni più rosea aspettativa.

Non rinnego quanto scritto solo pochi giorni fa, e cioè che questo popò di punti è stato conquistato con Sensi e Barella a meno di mezzo servizio, ma a questo aggiungo un altro pezzo di riflessione, che è poi un confronto con chi ci sta vicino.

Da una parte la Lazio, che ha il grandissimo merito di aver vinto le ultime 10 partite di campionato e che, come dire, più di così non può fare. Tanti i punti conquistati con tenacia e un po’ di culo nei minuti finali, e la sensazione che tutto le stia girando (troppo?) bene. Niente più di una civile gufata.

Dall’altra parte, è vero che la Juve ha solo due punti più di noi, ma il “delta” tra il potenziale e quanto fatto vedere è assai ampio. In altri termini: finora ha avuto ragione Chiellini quando ad inizio anno diceva “La Juve di Sarri la vedremo dal 2020“. È questo che mi preoccupa maggiormente: quando anche i vari Rabiot, Ramsey e Douglas Costa avranno terminato i rispettivi rodaggi, quando la difesa avrà digerito l’ingresso di De Ligt senza concedere troppo, ecco che -tecnicamente parlando- saranno cazzi. Là davanti bastano due tra CR7, Dybala e Higuain per assicurare gol e vittorie in quantità, ma lo spazio per crescere in casa bianconera è senz’altro maggiore se paragonato a quello in casa laziale e in casa Inter.

Torna quindi di prepotenza l’argomento mercato. Della mia triade auspicata, il borsino mi vede in vantaggio su uno solo dei nomi (Eriksen pare, se non vicino, quantomeno più fattibile rispetto a Vidal). Young e Giroud sembrano ancor più imminenti per quanto a me non graditissimi.

Commento tecnico: boh…

Resta l’assoluta necessità di allargare la rosa, come fatto presente da Conte che, furbo e lamentino quanto basta, non si è lasciato scappare l’occasione di far vedere a tutti quanto l’Atalanta abbia costretto i nostri a ripiegare nel secondo tempo stante la carenza di alternative credibili.

Onestamente, e per una volta aldilà della ancestrale antipatia, non capisco l’interesse per Kessie del Milan: un suo arrivo in uno scambio alla pari con Politano sarebbe ininfluente da un punto di vista qualitativo (non compri un titolare, solo un’alternativa a Vecino e/o Gagliardini); qualora invece dovesse arrivare proprio in virtù della partenza di uno dei due centrocampisti appena citati, da ininfluente lo scambio sarebbe peggiorativo: Kessie è a mio parere nettamente inferiore a Vecino, mentre pur essendo più mobile e potente di Gagliardini, è assai meno evoluto tatticamente e di difficile gestione a livello caratteriale.

Al di là di tutto, darebbe un segnale di tirare i remi in barca, sulla falsariga di Darmian al posto di Marcos Alonso.

VAR

Ne scrivo volutamente dopo il primo episodio stagionale che ci ha visti increduli beneficiari di errore. È ormai opinione comune che quello di Lautaro fosse fallo da rigore, e tutte le supercazzole sulla spinta di Zapata siano irrilevanti. Per i più curiosi e pruriginosi analisti (quorum ego, chè mi fingo osservatore distaccato ma ho passato ore a zappare su siti di moviolisti e televisioni locali per sentire tutto il sentibile), il colombiano spinge un compagno -Toloi- che a sua volta tampona il nostro, che una volta a terra cianghetta l’avversario con la mano.

Per una volta mi freno e faccio solo cenno al fallo inesistente fischiato allo stesso Martinez lanciato a rete solo contro il diretto avversario (ancora Toloi), che cadendo all’indietro colpisce il pallone con la mano, ricevendo in regalo da Rocchi una punizione a favore tanto salvifica quanto inesistente. Comprensibile che la portata mediatica di questo errore sia nulla e sparisca rispetto all’altro episodio. Figuriamoci se poi chi ne avrebbe beneficiato è l’Inter…

Due cose da aggiungere a commento, entrambe votate alla chiarezza, tanto per non trovaraci come i protagonisti di Amici di Maria de Filippi e l’ineffabile Chicco Sfondrini che, nelle prime edizioni del programma, ad ogni settimana annunciava novità di regolamento ignote fino a quel punto.

La prima cosa: auspico che al più presto l’arbitro, finito il confronto con il VAR, spieghi a tutti e a chiare lettere cosa è stato giudicato. Il mio sogno è che l’audio dei colloqui sia udibile tanto allo stadio quanto in TV, o quantomeno a un addetto per squadra (facciamoli lavorare questi team manager…).

Abbiamo passato un giorno e mezzo a elucubrare su cosa il VAR avesse visto e giudicato, e cioè se avesse valutato solo la corretta uscita di Handanovic non ravvisandovi nulla di irregolare, ma perdendosi il fulcro del problema e cioè il fallo di Martinez, oppure se avesse effettivamente visto la mano galeotta del Toro ma anche la precedente spinta di Zapata che sostanzialmente andava ad annullare l’eventuale rigore per l’Atalanta.

Mi è persino toccato di dar ragione a Mauro Suma, ci rendiamo conto? (andate al min. 7.30, così non vi faccio perdere troppo tempo)

Oggi Rizzoli ci dice che il VAR ha sbagliato e che quindi -se ben capisco- si sono limitati a rivedere l’uscita del portiere. Male, molto male: che cacchio ci state a fare lì?

Ma ipotizziamo per un momento, come puro esecizio di stile, di trovarci nell’altra ipotesi. A quel punto il VAR fin dove può spingersi? Deve fermarsi al fallo di Martinez o deve giudicare anche che cosa lo causa, e cioè la spinta di Zapata? E se deve giudicarla, è considerata punibile la spinta di un giocatore ai danni di un suo compagno, se l’effetto ultimo è quello di danneggiare un avversario?

L’ambito di applicazione del VAR, teoricamente molto chiaro e limitato, è invece spesso tema di discussioni. Molto più del “il VAR ha sbagliato“, le polemiche ora sono sul “perchè non è nemmeno andato a rivederlo?“.

Il mio sogno di illuminista ci porta alla seconda cosa e tutto sommato al prossimo step che mi aspetto: che ad ogni squadra venga dato un paio di “jolly” da giocarsi in partita, in modo che casi simili, se anche valutati con un silent check, debbano comunque essere rivisti dall’arbitro tramite on field revue.

Il mio sogno è corredato da un’importante precisazione, tanto per non fare di questo strumento un mezzo opportunistico quando non ostruzionistico. Non dovrebbe cioè bastare dire “oh, vai a vedere perchè sul calcio d’angolo c’è rigore per noi“, ma -per stare all’esempio di queste righe- “guarda che qualcuno sgambetta Toloi mentre sta per tirare“.

Aldilà della canea di catastrofisti, restauratori e amanti della zona grigia che vorrebbero un ritorno ai bei tempi andati di arbitro che interpreta le regole secondo la propria sensibilità, il VAR ha cambiato, in meglio e spero per sempre, il gioco del calcio. Siamo chiaramente ancora a metà del guado, e sono proprio gli errori a far capire quali siano le zone che restano ancora scoperte. In altre parole: per rimediare alle falle del regolamento non ci vuole meno VAR ma più VAR! Più chiarezza nelle regole, più diritti alle squadre, intesi sia come possibilità di chiederne l’utilizzo motu proprio, sia come legittima pretesa di sapere in diretta e in modo chiaro che cosa è stato valutato e deciso.

Gli arbitri, aldilà di ogni implicazione di buona o malafede, sono sempre stati gelosissimi del loro potere. Aldilà della bella faccia messa su negli ultimi anni, sono stati gli ultimi a volere un ausilio che ne limitasse il potere discrezionale in campo. Ancora oggi, sono l’unica componente del calcio a non parlare mai se non in casi sporadici e sempre a posteriori, per spiegare il perchè proprio quando la portata della decisione è tale da non poter tacere.

Nel football americano, così come nel Rugby, gli arbitri sono microfonati e si sente tutto quello che dicono.

È utopia?

Il fallo di Lautaro su Toloi.

PROPOSITI PER IL NUOVO ANNO

I nostri stanno andando benone, direi aldilà di ogni più rosea aspettativa. Indipendentemente da come andrà con l’Atalanta sabato sera, 45 punti in un girone danno una proiezione di 90 a fine anno, quota alla quale di norma si vincono scudetti.

È vero che già in anni passati a quest’epoca eravamo in vetta alla classifica, ma onestà impone di dire che il “come” faccia una certa differenza. Dalla pioggia di pur gustosissimmi 1-0 (vendemmia Mancini 2015/2016), all’insostsenibile velocità del primo Spalletti -poi infatti schiantatosi nel solito Gennaio marroncino- arriviamo a Conte, che ha portato la truppa in vetta spremendo il massimo da tanti dei suoi (Lu-La in primis) ma anche dovendo fare a meno dei due pezzi forti del centrocampo. Tre mesi senza Sensinho, due senza Barella, con l’aggravante di dover abusare dei piedi non raffinatissimi di Gagliardini e della limitata tenuta atletica di Borja Valero.

Eppure, si diceva, siamo lì.

Tutto ciò considerato, ed aggiugendo che da Febbraio i nostri avranno anche l’impegno di Europa League che tante energie ciuccia ad ogni squadra, non intervenire con due o tre innesti di valore sarebbe deleterio.

I tre ruoli sono noti: esterno sinistro, centrocampista, punta da panchina. In ordine di importanza, per me i tre nomi sono: Marcos Alonso, Eriksen, Llorente, e spiego il perchè:

Marcos Alonso Risposta semplice e solo apparentemente banale: perchè è un terzino sinistro. Non è “un laterale che può adattarsi anche a…” non è “un jolly difensivo che può venir buono anche per…“. No. È uno che fa quello di mestiere, che lo fa bene, che Conte ha già avuto e che, ultimo dato non trascurabile, batte bene le punizioni col mancino.

Ineluttabile assioma nerazzurro degli ultimi lustri, quel ruolo è il nostro punto debole anche quest’anno, vista l’inaffidabilità fisica di Asamoah e la stiracchiata sufficienza (ma nulla più) di Biraghi. Mi auguro a riguardo che il giovane Di Marco, sistematicamente ignorato dal Mister finora, venga quantomeno tenuto fuori dal mercato finantochè non sarà arrivato il rinforzo, chè se adesso viene un coccolone all’uomo dai parastinchi discutibili, tocca dirottare D’Ambrosio o -peggio- Candreva.

Le alternative allo spagnolo non mi convincono: Darmian è uno che fa benino un po’ di cose, ma arriverebbe come un D’Ambrosio-bis. Per carità, giocatori preziosi per ogni allenatore, ma qui stiamo parlando di un titolare da inserire, non di un rincalzo buono come alternativa. Serve insomma più classe.

Ashley Young (di nome ma non di fatto, visto che ha 34 anni) è il classico adattato. Se sei terzino sinistro e sei destro di piede, o ti chiami Paolo Maldini o abbiamo un problema. In questo lo Zio Bergomi mi ha preceduto nel commento che avrei fatto se solo qualcuno me l’avesse chiesto.

Eriksen Qui ammetto di ragionare -anche- da tifoso, perchè per alcuni versi Vidal sarebbe un acquisto più pronto e funzionale al gioco di Conte, ma andrebbe ad intasare la già troppo nutrita colonia di ex-juventini, dando ulteriore fiato alle trombe dell’ “adesso sì che l’Inter è cambiata, non è più una squadra di matti, meno male che sono arrivati gli juventini“.

Ciò detto, Eriksen ha cinque anni in meno di Vidal e soprattutto sembra poter dare qualcosa a questo sport per un lasso di tempo maggiore rispetto al cileno.

Detto che nel ruolo il mio sogno bagnato resta il laziale Milinkovic-Savic, per il quale ci sarebbe da sborsare una cifra vertiginosa, la ventina di milioni di cui si parla in queste settimane io la farei viaggiare spedita in direzione Tottenham e non Barcellona.

Llorente La punta dovrebbe sostanzialmente essere un cambio per Lukaku, quindi lo spagnolo dagli occhi di ghiaccio sarebbe perfetto. Anche lui è già stato agli ordini di Conte, il che dovrebbe facilitarne l’ambientamento. Facendo attualmente panchina a Napoli, non credo avrebbe problemi a farla a Milano. Lo preferisco all’altro nome che circola in questi giorni, e cioè Giroud, per più di un motivo.

Anzitutto, Giroud è il classico attaccante di manovra, che gioca al servizio della squadra, ma che storicamente segna poco: non è un caso che sia diventato campione del mondo con la Francia senza aver segnato nemmeno un gol a Russia 2018. Immaginando l’impiego di questo tipo di punta nelle classiche partitacce che non si sbloccano, preferirei giocarmi il jolly buttando in campo lo spagnolo, pressocchè imbattibile nel gioco aereo ed opportunista quanto basta per piazzare il piedone al momento giusto.

Inoltre, se già è difficile che il Chelsea ceda su Marcos Alonso, è ancor meno probabile che accetti di far partire due suoi giocatori (anche Giroud gioca lì) che, oltretutto, andrebbero a far comodo a Conte, beneficiario di una cospicua buonauscita dopo la parentesi alla corte di Abramovich e senz’altro non molto ben visto da quelle parti. In altre parole: l’ultima cosa che il Chelsea vorrà è fare un favore al Mister che si è appena intascato una decina di milioni di indennizzo.

CHE NE SAR­À DI NOI

Conscio della mia fissazione con il ruolo di terzino sinistro, a mio parere il peso specifico dell’Inter dipenderà dal titolare in quella posizione a fine mercato di riparazione.

Arriva Marcos Alonso? Possiamo giocarcela per lo Scudetto. Arriva Darmian? Ci accomodiamo per il secondo/terzo posto.

È semplicistico, ma la penso così. Avere lo spagnolo tra i titolari fa crescere il valore complessivo della squadra più di avere il Vidal di turno (che giocherebbe al posto di uno tra Brozo, Sensi o Barella).

Voglio dire: a metacampo ne esce uno bravo, ne entra uno bravo, che sia Vidal o Eriksen.

A sinistra, ne esce uno medio (se non mediocre) e ne entra uno bravo.La differenza sta tutta lì.

IZ BACK

Ho smargheritato tanto, cercando di capire se augurarmi il ritorno di Ibra al Milan oppure no, e mi scopro sorprendentemente ad esserne contento.

Non mi rimangio quel che ho detto e scritto: i peana del figliol prodigo che torna là dove si era trovato così bene sono già iniziati, con tanto di dirette dall’aeroporto e endoscopie su come saluta i compagni. Gol come visto, ancora niente (anche se contro la Rhodense ha fatto i numeri!).

Zlatan però farà bene alla Serie A e anche al Milan. Già nella mezzoretta giocata contro la Samp ha fatto vedere di essere il migliore dei rossoneri pur giocando praticamente da fermo. A questi livelli, e con questo livello di concorrenza interna, gli basterà qualche allenamento per elevarsi dalla mediocrità diffusa. Arrivo a dire che, in ottica stadio, a noi conviene che il Milan faccia schifo ma non troppo. Mi diverto come un riccio a vedere la classifica e trovarli saldamente nella colonna di destra, ma pensare ad una partnership con una squadra di centroclassifica per costruire lo stadio del futuro non è il massimo della vita: e visto che i problemi del Milan non finiranno certo con questa stagione, occorre ricordare l’epilogo dell’altro stadio europeo che era stato inizialmente costruito da due squadre della stessa città: l’Allianz Arena di Monaco.

Per carità, non mi farebbe schifo far pagare metà del nuovo stadio al Milan per poi vederli migrare altrove (al Brianteo?), ma è una favola troppo bella perchè possa diventare realtà.

Tornando a Ibra, mi scopro un romanticone dal cuore d’oro: se già non l’avevo fischiato al Derby 2010-2011 quando atterrò Materzazzi con una mossa da arti marziali, a maggior ragione lo accolgo col sorriso adesso: la maniera che ha di ghignare dopo aver fatto la sparata da gradasso me l’ha sempre reso simpatico a pelle, pur essendo probabilmente il più abile mercenario e trasformista del calcio moderno.

Quindi, nonostante tutto, bentornato Zlatanasso!

OTTOBRATA RANCOROSA

PUNTO TENNICO

Il momento che speravo di vedere il più tardi possibile, si è invece palesato nell’ultima settimana giocata: pur facendo due figure più che dignitose, l’Inter esce dagli incroci con Barcelona e Juventus con zero punti.

Hai voglia a smargheritare con i pronostici della vigilia chiedendoti “ma se dovessi vincerne solo una, quale preferiresti?”.

Siamo quindi alla pausa nazionali con una classifica che continua ad essere di tutto rispetto ma con morale e giunture un po’ cigolanti.

Se pensiamo alla partita con la Juve, è parsa diretta la correlazione tra uscita di Sensi e fine del gioco: troppo importante il piccoletto nel centrocampo nerazzurro. Non solo lo trovi ovunque a far la cosa giusta, ha anche il piacevole effetto collaterale di sgravare Brozovic di un po’ di lavoro. Sono in due a smazzarsi la costruzione della manovra, chè ormai tutti hanno capito che con uno schermo sul croato blocchi il grosso del traffico e riduci il possesso palla al ti-tic ti-toc tra i centrali di difesa.

Lunga vita agli adduttori di Sensi, quindi, che se non altro si risparmia la convocazione in Nazionale -che in compenso ci ha già omaggiati di una caviglia di Sanchez ed un dito di D’Ambrosio- ma che verosimilmente non vedremo alla ripresa del Campionato. Il calendario mette in programma la trasferta di Sassuolo, già indigesta ai nostri per definizione, e ancor più scomoda del solito vista la recente scomparsa del patron Squinzi.

Quale miglior occasione per i suoi giocatori di ricordare il loro presidente di note simpatie rossonere“. Già me la sento la canea mediatica…

Ecco: giocarsi quella trasferta senza (tra gli altri) il piccolo-grande ex sarà ancora più complicato, e sarà il primo vero banco di prova per gli uomini di Conte. Come ben sappiamo, già altre volte negli ultimi anni l’Inter aveva infilato una bella serie di vittorie, (Pioli e Spalletti arrivarono a sette), ma ai primi tentennamenti il castello di carte era crollato facendoci ricominiciare ogni volta dalle fondamenta o quasi.

Di più: ad ogni filotto di risultati nel passato si era puntualmente alzata la gufata massima “quel che è evidente è che l’Inter di (…inserire nome del Mister di turno) non ha più le amnesie di una volta e non ci saranno più blocchi mentali e montagne russe”.

E’ quel che dicono anche adesso e, se fossi un osservatore esterno, potrei anche essere d’accordo. Conosco però troppo bene le strisce nerazzurre per dormire sonni tranquilli, e vedo quindi nella ripresa post-Nazionali un ciclo di paratite solo apparentemente morbido.

Il tour emiliano (Sassuolo, Parma, Bologna), con incursioni sul Garda (Brescia, Verona) pare fatto apposta per fare filotto pieno e mantenersi ai piani altissimi della classifica. Vuole però anche dire zero margine di errore e tutto da perdere: basta un pari e torniamo alla solita Inter che butta tutto alle ortiche. Senza contare che in questo bel giretto autunnale c’è anche -se non soprattutto- il doppio incrocio col Borussia per giocarci le poche chances rimaste in Champions.

Andonio e il Gatto Pancrazio che si porta in testa non avranno bisogno di suggerimenti, ma quel che direi io ai ragazzi è “calma: non abbiamo fatto un cazzo. Anzi… testa bassa e pedalare“.

PUNTO COMPLOTTO

Ci sono alcune cose che non cambiano mai, ed altre invece che sono nuove ma che vanno nella stessa direzione. Cerco di spiegarmi partendo dalle certezze granitiche.

Zlatan Ibrahimovic ha giocato due stagioni con la Juve, tre con l’Inter e due col Milan. Questo vuol dire che, volendolo proprio tirare per la giacchetta, il Club italiano in cui è stato per più tempo è stata l’Inter.

Ciononostante, il suo triennio nerazzurro è costantemente lasciato in disparte, quando non ignorato in toto, ogniqualvolta i giornali parlano di lui. Foto di archivio in maglia gobba o rossonera, dichiarazioni relative al calcio italiano sempre rivolte alle altre due strisciate, condite da amarcord all’insegna di “quanto stava bene Ibra alla Juve e al Milan”.

L’ultima conferma in questo senso si è avuta nell’intervista rilasciata a margine dell’inaugurazione della statua a lui dedicata a Rosengard, in Svezia. Queste le sue parole:

Se posso venire in Italia non vedo il problema, faccio meglio di quanto facciano quelli che ci sono ora. Secondo me la Juventus sta facendo grandi cose, è il simbolo del calcio italiano per la squadra e i calciatori che hanno. Anche l’Inter sta facendo grandi cose con un grande allenatore, stanno spingendo molto. Le altre squadre stanno provando qualcosa ma non sono ancora a livello della Juve e più staccata c’è l’Inter secondo me. Mi dispiace tanto per il Milan, per me deve essere un top club per risultati e per investimenti, con i migliori giocatori del mondo. Ma al momento non è così.

Il grassetto l’ho aggiunto io di bellezza. Questo invece il modo in cui sono state riassunte sui giornali italiani:

Onore alla Juve, carezze malinconiche all’amatissimo Milan. Fine delle trasmissioni. Chi l’avrebbe mai detto? Del resto, la damnatio memoriae del periodo nerazzurro non è certo una novità: tra i millemila esempi, ecco come veniva descritto Zlatanasso in estate dall’ineffabile redazione sportiva di Repubblica:

Passiamo invece alle novità: la stampa plaude agli acquisti nerazzurri e riconosce il valore di alcuni di loro: nello specifico parliamo di Lautaro, Sensi, Barella e Bastoni.

Bene, direte voi, vedi che fanno complimenti anche all’Inter? Vedi che sei paranoico? Sì, certo, aspettate un attimo.

Di Sensi si riesce a dire testualmente che il suo rendimento altissimo per l’Inter è un limite. Non basta: altrove si parla dell’ottima accoppiata Sensi-Barella, aggiungendo prontamente che però mancano le alternative.

Ancor più interessante la disamina sul giovane difensore Bastoni: tutti entusiasti per l’esordio del ragazzo a Genova contro la Samp, ma altrettanto pronti a spegnere facili entusiasmi: occhio che col ragazzino che vien su bene, potrebbe anche partire Skriniar!

Concetto simile per il Toro Martinez: bravo, bene, tutto quel che volete… Certo che adesso la clausola è da ritoccare, c’è pur sempre il Barcellona che lo corteggia.

Concludendo: la novità è che si parla bene di molti giocatori interisti (a mio parere è un modo indiretto per fare i complimenti a Conte, ma ammetto che il mio è un processo alle intenzioni). La conferma è che il mercato è quella cosa che per ogni altra squadra rappresenta un’opportunità, e per l’Inter sempre e solo una minaccia.

PUNTO ORGOGLIONE

E’ di qualche giorno fa la notizia che l’Uefa ha premiato l’Inter quale miglior settor giovanile europeo. Mi piace anche in questo caso riportare il testo ufficiale perchè dice molto, soprattutto a chi vuol sentire:

“La Commissione Esecutiva della Uefa ha scelto di premiare FC Internazionale Milano per la categoria ‘Miglior Club Professionista’. Questo premio viene assegnato alle società che, oltre alla propria attività professionistica, si impegnano in un’agenda ricca di specifiche iniziative sociali a dimostrazione dell’impegno del club per le comunità locali e l’attività di base. La Commissione Esecutiva ha ritenuto che l’Inter meritasse di vincere questo premio.”

Questo in risposta ai tanti Arrighi Sacchi che hanno sempre sputato veleno su un Settore capace nell’ultima quindicina di anni di vincere campionati in quantità, di far esordire tanti giocatori nella massima Serie, e soprattutto di accompagnarne la crescita sportiva a quella umana, culturale e professionale (anche qui, tra i tanti esempi, prendo quello del giovane Natalino).

Tanto per essere chiari, e tornando alla motivazione: quelle poche righe dovrebbero tappar la bocca e far arrossire tanto i critici del “cosa conta vincere il Campionato Allievi, è più importante preparare questi ragazzi allo sport e alla vita in generale” quanto i cinici del “Bella la manfrina di Inter Campus e Inter Academy, ma l’Inter è una squadra di calcio e di tanti ragazzi non ce n’è uno che poi arriva ad alti livelli”.

Come contrappunto di puro dispetto ricordo ai più distratti che i nostri cugini, quelli che propongono giUoco (cit.), sono attualmente nella Serie B del Campionato Primavera.

Come si dice in questi casi: me so’ sfogato.

DE PANZA E DE CAPOCCIA

Ragazzi, ragioniamoci insieme perchè il momento è delicatissimo per tutti.

La domanda delle 100 pistole è questa: fino e a punto l’amore per i nostri colori può essere superiore, farci resistere, abbozzare e deglutire anche di fronte a scempi fino a poco fa nemmeno concepibili?

Tifosi che ho sempre ritenuto illuminati e fulgidi esempi di complottismo ragionato hanno espresso il loro personalissimo “No Maria io esco“, e ne rispetto la coerenza e la lucidità.

Faccio un esercizio di stile, prendendo questa teoria e ficcandola in mezzo ai miei quattro neuroni, e mi chiedo: sono io in grado di rinunciare a mente fredda all’amore per l’Inter, decidendo scientemente di spegnere una passione che mi accompagna da più di quarant’anni?

Mi spiace per la consorte, ma no, non ne sono capace. Non a freddo, non a priori, non a tavolino.

Attenzione: non è detto che si arrivi a un momento del genere. Ma, se così sarà, il motivo dovrà essere viscerale e non razionale. In altre parole, e per tornare al titolo di questa spataffiata, de panza e non de capoccia.

Da quando sono piccolo e frequento San Siro, il momento più bello della partita è la salita dagli scalini e la vista di quel prato verde verso cui, nei successivi 90 minuti, vomiterai improperi e insulti saltuariamente inframmezzati da applausi e urla di giubilo.

Analogamente, il fischio di inizio di qualsiasi partita vista in poltrona alle mie latitudini inizia con l’immancabile “Partiti!“, con analogo serpentun nello stomaco.

Ecco: quello sarà il termometro migliore per capire quanto le strisce nere e azzurre riusciranno a mascherare a sufficienza un inquietante contaminazione juventina che potrebbe non fermarsi alla (già più che sufficiente) combo Conte-Marotta.

Sarà solo la prova dei fatti che mi dirà se sarò ancora capace di emozionarmi per questi colori o se anche per me si è oltrepassato il punto di non ritorno.

Al solito, poco o nulla da ridire dal punto di vista squisitamente tecnico: il nuovo Mister e l’attuale Direttore sono, nei rispettivi ruoli, fior fior di professionisti ma, come giustamente detto, il passato non si cancella e nemmeno si dimentica. Si può cercare,- lì sì, con uno sforzo di concentrazione e impegno- di non pensarci, di ignorarlo scientemente, ma la puzza di gobbo resta.

Se poi dovesse davvero arrivare lo scambio Icardi-Dybala, tutte le teorie giudoplutomassoniche sul nemico che arriva a distruggere l’avversario dall’interno troverebbero una plastica rappresentazione. Non uno, non due ma tre indizi che, da sempre, nel mondo dorato dei Luoghi Comuni Maledetti, fanno una prova.

Da quelli là negli anni abbiamo sempre e solo ricevuto pacchi o poco più. Ibra e Vieira non li calcolo, perchè in quel caso la situazione era talmente eccezionale da non poter considerare quelle come vere e proprie trattative di mercato.

Dai tempi dello scambio Anastasi-Boninsegna, a Causio e Tardelli arrivati ormai pronti per il pensionamento, quando ci è andata bene dalla Torino bianconera abbiamo avuto giocatori dal rendimento sufficiente e nulla più. Limitandomi all’amato ruolo del terzino sinistro, penso al recente Asamoah o al dignitoso De Agostini, che ricordo con piacere per un gollonzo in un Derby ma proprio solo per quello.

Insomma, da quelli lì storicamente riceviamo poco.

Ci aspetta, o per lo meno MI aspetta, una stagione ancor più schizofrenica del solito, in cui ogni mossa o anche semplice dichiarazione di Conte (“non più pazza, l’Inter dev’essere forte“) verrà vivisezionata in ottica di rottura col passato, di discontinuità con la tradizione e con i valori nerazzurri.

Sono anni che vado dicendo che la retorica della Pazza Inter ha significato stagioni intere a crogiolarci nella nostra splendida imperfezione: onanismo mentale che ci ha fatto star fermi a ricordare i bei tempi mentre gli altri ci passavano avanti. Eppure, lo stesso concetto, detto da qualcun altro, può essere letto come una passata di spugna sulla lavagna, un reset non richiesto e una ripartenza fondata su un diverso DNA.

E’ difficile rimanere lucidi e non cedere alla tentazione -anche questa qualunquista- di buttar tutto nel cesso, all’insegna del “che cazzo vuoi che ne sappiano ‘sti cinesi qua di cos’è l’Inter“: pur arrivando da un pulpito che faccio fatica ad apprezzare, condivido il messaggio lanciato dalla Curva Nord. O meglio: inizialmente mi aveva lasciato un po’ spiazzato (sentir parlare proprio loro di legalità e garantismo…), poi ho letto quel che ne pensava Tony Damascelli (sì, proprio lui) e allora è stato facile accomodarmi dalla parte opposta certo di essere nel giusto.

Morale, che sia Conte a presentarsi spoglio di certi “valori” o presunti tali e pronto invece a farsi immergere dalla storia e dalla tradizione dell’Inter.

Per il resto, la speranza è che la squadra sia costruita cum grano salis e non con acquisti fatti tanto per fare o per far favori a procuratori compiacenti.

In altri termini, dal calciomercato mi aspetto Barella, Rakitic, mica Darmian e la rivalutazione del Gagliardini di turno.

Ma per questo ci sarà tempo.

Vado, è l’ora della terapia.

UN DILEMMA AGGHIACCIANTE

Il titolo è facile ma la riflessione è assai contorta.

L’ipotesi è che l’Inter faccia bene (o male) a prendere Conte come prossimo allenatore.

La tesi muove da una prima linea di demarcazione, che correrà per tutto il post: un conto è il ragionamento del tifoso, un altro quello del distaccato osservatore di cose nerazzurre.

Ovvio che chi scrive si ritrovi assai di più nella prima categoria, ma cercherò comunque di essere quanto più equidistante possibile.

Il tifoso non può accettare l’arrivo di un personaggio come Antonio Conte: anche sorvolando sul trapianto di capelli (il Mancio si era rifatto le borse sotto gli occhi, eppure l’abbiamo amato per tanto tempo), il chierichetto lo ricordo col sorriso beffardo negli spogliatoi di Udine al 5 Maggio dichiarare alla telecamera che stava godendo, anzi “gotento”, sfoggiando il marcato accento salentino.

Non solo: è stato capitano di una Juve moggiana e lippiana -ancor di più agricoliana- che ha vinto per buona parte degli anni ‘90 in un ladrocinio di campionati e coppe che avevano un unico comun denominatore: il ricorso massiccio all’abuso di farmaci. L’ematocrito di Deschamps ai livelli del miglior scalatore del Tour de France, o i cardiotonici dati come se fossero caramelle hanno segnato le vittorie di quegli anni, che solo la prescrizione (sì, cari gobbi, i veri prescritti siete voi…) ha salvato dalla condanna della giustizia ordinaria – per quella sportiva era ahimè tardi.

Non che come allenatore il nostro abbia iniziato meglio… Prima della scia di vittorie in bianconero, il nostro tra Siena a Bari -lui leccese dint’– casca nel puttanificio di partite accomodate e scommesse serpeggianti, per le quali tutti ricordiamo il suo patteggiamento di malavoglia. Come succede nei migliori casi, l’imitazione è più fedele dell’originale.

Infine, l’arrivo di Conte seguirebbe di pochi mesi quello di Marotta, già digerito a fatica. Le ultime voci parlano anche dell’aggiunta di qualche altro transfuga dalla parte sbagliata di Torino. Tutto ciò di certo non fa dormire sonni tranquilli sulla riva giusta del Naviglio. Del resto basta tornare indietro al precedente tentativo, vecchio giusto di un ventennio, per ricordare come finì.

Mai più, dissero tutti gli interisti, che pure con Trapattoni avevano avuto la prova che l’esorcismo poteva anche avere successo.

E proprio il grande Giuànin, che era andato a scovare Conte in Puglia ad inizio anni ‘90, potrebbe essere il trait d’union tra i due stati d’animo di questo sproloquio.

Vero: Conte è gobbo, ma non arriva dritto-dritto dalla Juve. Di più: non si è lasciato bene con Agnelli, il che dalle mie parti è sempre un pregio (il nemico del mio nemico è mio amico). Dopo quei tre scudetti in bianconero (su cui tornerò infra) ha fatto un mezzo miracolo con la Nazionale, uscendo ai quarti all’Europeo dopo i rigori con la Germania ma avendo prima battuto la Spagna, il tutto con Giaccherini, Pellè, Darmian, Sturaro ed Eder e facendo appassionare agli azzurri anche un mondialista come me. Chiuso con l’Italia, va a Londra e vince col Chelsea, prima di finire nelle antipatie di Abramovic e compagnia e lasciare la parola alle spade (leggasi avvocati e richiesta di risarcimento plurimilionaria).

Accetterei quindi il suo arrivo all’Inter? Boh, torniamo al dilemma iniziale: il tifoso, manco p’ocazz, l’interista freddo e distaccato -if any- magari sì.

Non dimentichiamo infatti che Conte ha preso una Juve conciata molto peggio dell’Inter attuale e, complice il nulla pneumatico di quegli anni, è riuscito a vincere subito. Certo, vincere da juventini e quindi col leggendario gol di Muntari, ma in ogni caso ha preso un gruppo di reduci da due settimi posti e ci ha vinto tre scudetti di fila. Ricordo Matri, Quagliarella, Toni, Caceres, Asamoah, Lichsteiner, il già citato Giaccherini; insomma, non aveva in mano tutti Buffon e Pirlo. Di più: il vero colpo di quella squadra fu di andare a prendere un ormai dimenticato Barzagli a Wolfsburg e farne un pilastro della difesa insieme a Chiellini a Bonucci. Ha insomma dimosrato di saper tirar fuori il meglio dal materiale umano a disposizione.

Certo, avrebbe un certo numero di cose da farsi perdonare, per quanto fin da tempi non sospetti abbia dichiarato che la sua unica “fede” è quella legata alla professione e non alla squadra di appartenenza. Il periodo ipotetico dell’irrealtà di cui parlava nel lontano 2013 pare ora essere assai realizzabile.

Se fosse una persona furba e intelligente, e soprattutto se desse retta ai miei sogni, avrebbe probabilmente il modo per entrare nell’universo interista senza particolari traumi. Quel che leggerete di seguito è una pìa speranza, che pare già essere svanita leggendo i giornali di questi giorni. Caro Conte: come secondo, non portarti il pur logico e dignitosissimo Barzagli. Portati Cambiasso e presentati con lui, della serie “mi manda Picone”.

Arriverebbe con un campione recente e assoluto della storia nerazzurra, probabilmente quello con maggiori potenzialità di diventare un allenatore di successo, che potrebbe cominciare proprio da secondo la sua nuova vita.

Io il film me lo sono fatto andando a ripescare forse l’unico cartellino rosso di Cambiasso in Serie A, con il nostro che al culmine della frustrazione per una sconfitta in casa contro la Juve, è atterrato di suola sulla tibia del povero GIovinco in un intervento assolutamente improvvido, e come tale non da lui. Ebbene: in quella circostanza ricordo proprio Conte andare a frapporsi tra il Cuchu e l’orda di bianconeri in cerca dello scalpo del nerazzurro.

Resto un romantico sognatore, motivo per il quale la carrambata tra pelati palesi e pelati rinnegati non troverà spazio: ci troveremo Conte con Barzagli secondo e l’insopprimibile bisogno di ricorrere a massicce dosi di Maalox innaffiate da Fernet Branca.

Se c’è una cosa che da tifoso mi lascerebbe contento dell’arrivo di Conte sarebbe ricacciare in bocca ai soliti giornalettisti la frase fatta del “Conte va all’Inter solo come ripiego. Se Allegri non rimane, Conte torna alla Juve”.

Ecco, vedere la Juve che pur senza Allegri non si ricongiunge con Conte, e quindi dover ammettere che l’Inter è la sua prima scelta, sarebbe una magra ma piacevole consolazione, quantomeno per un ossessionato dai media come me.

Magari…

ADAGIO MA NON TROPPO

FROSINONE-INTER 1-3

Altri tre punti, un’altra partita archiviata. Finchè va avanti, bene così.

L’Inter arriva in terra ciociara e fa vedere una confortante solidità per più di un’ora, diventata già al lunedì mattina “un buon primo tempo seguito da una preoccupante ripresa“. La verità è che i nostri, pur ricevendo da Perisic e Icardi due tra le peggiori esibizioni stagionali, approcciano bene la gara ed approfittano del pressing avversario non esattamente asfissiante per partire dal basso e portare tanta gente a concludere. Paradigmatica in tal senso l’azione del vantaggio, con la matassa che si dipana ordinata da Handanovic ai difensori, fino ad arrivare a D’Ambrosio bravo a scendere sulla fascia e ancor più a pennellare er crosse. In area sono in quattro dei nostri: la prende quello più tabbozzo, ma il Ninja lavora bene di torsione scopadea (cit. Pellegatti) e fa 1-0.

La cosa confortante è che i nostri non si fermano. Ripeto: di fronte non abbiamo esattamente il Barcelona, nè il nostro vantaggio li smuove dall’atteggiamento attendista visto nel primo quarto d’ora. Fatto sta che i nostri pestano il loro blues sul solito Do/Fa/Do Sol/Fa/Do e Skriniar viene affossato in area. Rigore solare che Icardi cede “spintaneamente” a Perisic, il quale realizza di sinistro spiazzando Sportiello. Vero che Beavis è ambidestro, ma ne avevo visti solo due prima di lui tirare i rigori indifferentemente coi due piedi. Andy Brehme e Paolo Maldini (anche se Paolino quello col sinistro l’aveva sbagliato…). Ad ogni modo, 2-0 e tutti quasi felici. “Quasi” perchè, nonostante il doppio vantaggio, ci sarebbe spazio per il triplone, con Politano a mangiarselo dopo bella incursione centrale e per mancanza di cazzimma in un altro paio di occasioni.

Poco male. Si riparte come si era finito, con i nostri ancora in controllo del match fino a un paio di minuti prima del gol che riapre per un po’ la partita. Skriniar & Co. hanno tre o quattro volte l’opportunità di liberare l’area, al limite anche con la proditoria pesciada in fallo laterale, e invece cincischiano consentendo al Frosinone un pressing quasi involontario, che porta Cassata (nomen omen) a concludere da fuori e Handanovic a toccare ma non a respingere.

Seguono 10 minuti di chiavicanza, più per nostro smarrimento che per reale pericolosità dei gialli di casa: Ciano sfiora il gol della vita su punizia, ma per il resto si viviacchia. Entra Keita per dare il cambio a un Perisic già segnalato sotto i livelli minimi di decenza, e si presenta con un siluro che voleva essere un cross teso per Icardi, che a momenti rimane decapitato nell’urto con la palla. Fuor di metafora, aggiungiamo pure che un centravanti in stato di forma appena migliore avrebbe comunque fatto gol.

L’ex Capitano si fa per così dire perdonare nei minuti finali, quando sfrutta bene l’animalanza di Vecino, con cui triangola sapientemente al limite dell’area e sul filo del fuorigioco per il 3-1.

L’ultima parola agli uruguagi (cit.).

LE ALTRE

La Juve ha l’innato potere di fare incazzare sempre tutti, e decide quindi quasi scientemente di perdere a Ferrara, suscitando le perplessità e le critiche sempre assai urbane di Sinisone Mihajlovic. Probabilmente la giustificazione della formazione da asilo Mariuccia era “per preparare al meglio il ritorno con l’Ajax”.

Cito Luca Bottura quando parlava di “battuta Ikea”: chiudetevela da soli, fa comunque ridere.

Il Milan rischia seriamente di arrivare quarto avendo battuto la Lazio e beneficiando dell’inatteso pareggio dell’Atalanta. La lontananza del malefico duo Silvio/Geometra ha forse affievolito il mio odio calcistico nei loro confronti, ma seguo sempre con disprezzo le loro gesta, soprattutto quando cercano di nascondere o minimizzare malefatte e colpi di genio che ad altre latitudini avrebbero campeggiato per settimane sulla stampa nazionale.

E’ COMPLOTTO

Nulla di particolarmente nuovo o trascendentale da segnalare, se non la convinta e pervicace insistenza nel dipingere l’Inter come il posto da cui tutto vogliono o debbano andarsene. Tra le poche certezze della vita, insomma, rimane l’immortale #CrisiInter.

Spalletti rischia di rimanere anche la prossima stagione unicamente perchè esonerarlo costa troppo. Nulla che abbia a che fare con un’analisi dei suoi risultati (buoni o scadenti che siano).

Conte in realtà potrebbe “beffare” l’Inter ed accordarsi con la Roma, iscrivendosi all’affollatissimo club di quelli che “l’Inter l’avrebbe anche preso, è stato proprio lui a dire di no”.

Icardi e Perisic, chettelodicoaffà, dovranno comunque essere venduti per far fronte ai già ricordati malumori di spogliatoio e per rispettare i paletti del FPF che continua ad aleggiare sull’orizzonte nerazzurro pur in conclusione di Settlement Agreement. Il che è corretto da un punto di vista normativo: l’Inter a Giugno chiuderà il periodo di “sorveglianza”, ma dovrà continuare a rispettare -come ogni altra squadra affiliata alla UEFA- i parametri prescritti.

La questione, al solito, è quella del Same but Different. Non si capisce infatti perchè, ad esempio, le stesse cautele -ripeto: sacrosante- non siano mai prese in considerazione quando si blatera di fantamercato di altre squadre, con numeri di bilancio decisamente peggiori di quelli nerazzurri.

Ma sarei un ingenuo a stupirmene.

“Ma amici mai, per chi si ama come noi, non è possibile…”

DOVE ERAVAMO RIMASTI

INTER-ATALANTA 0-0

Torno a compitare le mie massime sui nostri amatissimi dopo un pareggio che, fuori dal contesto di classifca, mi avrebbe visto smadonnante, e che invece mi corrobora come un piatto di zuppa calda in una notte di fine inverno (so’ poeta, checcevoifa’).

Certo, un Icardi come si deve avrebbe battuto Gollini a metà primo tempo e verosimilmente l’avremmo portata a casa ma, viste le poche partite rimaste da giocare, un occhio va fatalmente a calendario e classifica, che dice +5 sugli inseguitori più prossimi e una partita in meno da giocare.

Non siamo bravi a fare questi giochini di calcolo e precisione, il girone di Champions ne è la conferma temporalmente più vicina. Oltretutto, l’infortunio di Brozovic in questo momento è quanto di peggio potesse capitare, vista la centralità di Ajeje nel progetto di squadra di Spalletti.

Borja Valero ha piedi e testa migliori, ma anagrafe e fisico buoni per non più di mezz’ora di partita (preferibilmente l’ultima, con lui fresco e gli avversari con 60′ di gioco nelle gambe). In questo senso, illluminante ieri il cambio deciso da Spalletti a metà ripresa, quando sacrifica un Gagliardini tornato alle nefandezze perpetue dopo i brilli estemporanei di Genova (cinquemila lire di SIAE al Prof. Fiumi del Liceo Zucchi) e ci permette di ritornare in controllo del match, dopo mezz’ora buona a cavallo dei due tempi in cui i nostri faticano e non poco a contenere Ilicic e il resto dei Gaspe-boys.

Icardi, su cui, se mai l’avrò, occorrerebbe qualche settimana per sunteggiare il recente vissuto, fa benissimo quel che la critica votata al bel giUoco gli chiede da anni: partecipa all’azione lanciando Perisic dopo pochi minuti e favorendo lo splendido lob di Vecino poco dopo, che un ottimo Gollini mette in corner.

E’ beffardo ma forse inevitabile che tanta qualità in fase di raccordo e rifinitura vada a discapito della proverbiale freddezza sotto porta, con Maurito a sbagliare un gol che normalmente segna ad occhi chiusi. Non che la palla sia così facile da “scavare”, ma da lui… questo ed altro.

Ad ogni modo, poco dopo Politano arriva due volte al tiro nella stessa azione e con quello sostanzialmente finisce il nostro primo tempo. L’Atalanta prende coraggio e, pur senza creare grandi occasioni, gestisce la partita per il resto della frazione.

La ripresa sostanzialmente continua sullo stesso canovaccio, con Gagliardini a perdere una palla tanto grave quanto prevedibile -quantomeno da me: inizio a dire “dalla via! non fare cagate!! occhio che arriva l’uomo!!!” ben prima che la realtà confermi i miei timori- e Ilicic a mettere il Papu solo a porta vuota. Per fortuna l’argentino ha le gambette corte, e per questioni di centimetri rimaniamo con la porta inviolata.

La partita continua con il nulla di Perisic mostrato per 90′ e con sprazzi di un Vecino convincente, come quando con l’esterno destro tocca benissimo per l’inserimento del Ninja, troppo debole però per impensierire il portiere avversario.

E’ quasi finita ed è come se entrambi i pugili fossero convinti di averla vinta ai punti. Nessuno può dirsi pienamente soddisfatto ma, come detto in apertura, entrambi rosicchiano un punto al Milan e mantengono il distacco inalterato su Lazio e Napoli.

Anche il Napoli, ebbene sì: proprio in quanto interista nell’intrame guardo con preoccupazione a chi ci sta dietro, ma un occhio ogni tanto a chi sta davanti lo butto….

LE ALTRE

Gli uomini di Ancelotti hanno piano piano consegnato lo scudetto alla Juve, infilando il pareggio casalingo col Genoa come ultimo anello di una stagione che li ha visti sempre più come seconda forza indiscussa. Troppo forti per tutte le altre, troppo deboli per impensierire Allegri & Co.

Cosa mi fa essere allora speranzoso? Il fatto che, proprio perchè ormai chiuso, il Campionato possa essere visto dagli azzurri come un fastidioso appuntamento tra le fatiche di Europa League, e che possa quindi vederli scialacquare qualche altro punticino per strada. All’ultima giornata ci sarà lo scontro diretto in trasferta: l’anno scorso con la Lazio ci ha detto bene…

In realtà, aperti gli occhi dal bel sogno (chè quello è e quello rimane…), tocca azzerare le tafazzate, e vincere almeno le prossime due, contro Frosinone e soprattutto Roma in casa. Di incroci pericolosi ce ne saranno parecchi, per noi ma anche per la canea di squadre alle nostre spalle. Testa sulle spalle e poche cagate: dipende tutto da noi. Facciamo finta che sia un vantaggio…

E’ COMPLOTTO

Sempre in attesa di sviscerare i peggiori istinti della stampa italiana nella vicenda Icardi, faccio solo presente il reiterato ricorso al seguente sillogismo:

Mauro non va d’accordo con Spalletti, nè con Perisic: a giugno inevitabilmente Icardi andrà via.

Spalletti non va d’accordo con Icardi: è ormai al capolinea l’avventura del tecnico all’Inter.

Perisic ha ridotto a zero i suoi rapporti con Icardi: a giugno per lui si apriranno le porte della Premier.

Morale: siccome la convivenza tra questi tre soggetti, per vari motivi e con varie responsabilità, pare essere ormai impossibile, salomonicamente andranno via tutti e tre.

Bello poi sentire Marco Cattaneo eccitarsi mentre dice “e domani l’Atalanta battendo l’Inter potrebbe arrivare a soli due punti dal terzo posto!” evitando anche solo di contemplare l’ipotesi di una vittoria interista, che avrebbe portato i nostri a 7 punti di vantaggio sui quarti, e guardandosi bene dal dire che il pareggio o la vittoria atalantina avrebbero significato problemi per il Milan.

Da parte loro, i rossoneri hanno tutte le ragioni a lamentarsi dell’ennesimo atto di sudditanza arbitrale nei confronti di “quelli là”. Il “mani” di Alex Sandro è beffardamente simile, anche nell’angolo di campo, al fallo fischiato due anni fa a un De Sciglio ancora di rossonero vestito, che decise nel recupero una partita ferma sul pari.

Non ci sono molte alternative alla scontata citazione de La fattoria degli animali: i maiali, cioè i gobbi fuor di metafora, sono più uguali degli altri. Il VAR ha innegabilmente fatto calare il numero di errori e tra le sue poche colpe ha quella di essere arrivata con decenni di ritardo. Detto ciò, la casistica del fallo di mano, è senz’altro quella cui va… messo mano (perdonate il gioco di parole) prossimamente. Personalmente sarei favorevole a criteri rigidi e per nulla interpretabili, che in buona sostanza limitino il più possibile la discrezionalità dell’arbitro.

Al famigerato trofeo BerlusCaloni, che mi vide inopinato vincitore nell’anno aureo 2010, avevamo una regola semplicissima. La tocchi di mano? E’ sempre fallo. Carambola, involontarietà, rimpallo… Frega un cazzo: è fallo.

Quattro moccoli la prima volta, e poi tutti d’accordo: dura lex sed lex.

E’ chiedere troppo?

Chiudo con l’ennesimo parallelo tra gli effetti degli errori arbitrali sulle opposte sponde del Naviglio: di qua, quando lo si prende inder posto, arrivano moniti a non mettere in dubbio la buona fede e, citando i classici, a stare zitti. Al più si ammette l’errore, interpretandolo come una buona occasione di crescita per l’arbitro.

Di là si chiede scusa.

Pallonetto a voragine, l’azione più bella della partita…

PUNTUALISSIMI

TORINO-INTER 1-0

Come ogni anno, arriva l’inverno e con lui il simpatttico masochismo nerazzurro, sempre pronto a tafazzare quanto di buono fatto fin qui e rimettere tutto (e tutti) in discussione.

Infatti lo schieramento “a specchio” contro allenatori che praticano il 3-5-2 da lustri -e che già aveva portato ai quattro fischioni presi a Bergamo- viene amabilmente riproposto contro il Toro di Mazzarri, al quale non sembra vero di poter gestire la partita sostanzialmente uomo contro uomo, con i suoi ad avere in corpo il doppio della benza e i nostri “mangiati” in ogni angolo del campo dai diretti avversari.

l’Inter prosegue nel nulla o quasi fatto vedere contro il Sassuolo, con l’aggravante di non aver imparato una mazza di niente dagli errori precedenti.

Spalletti, in altre parole, la combina grossa. Per dirne una: Miranda centrale di sinistra si trova a dover dialogare con Joao Mario e Dalbert su un binario nel quale i tre manca poco si diano del lei da quanto poco sono affiatati. Il terzino sinistro fa sincera pietà per tutta la partita, se si escludono un paio di salvataggi da difensore puro nell’ultimo quarto d’ora di gara. E’ in ottima compagnia, sia chiaro. I due Joao saranno non a caso tra i sostituiti, allorquando Spalletti pensa di cambiare sistema osando, almeno nelle intenzioni, una squadra più coraggiosa.

Macchè.

Male tutti, come già col Sassuolo. Stavolta anche Handanovic ci mette del suo, tornando al tentativo di “parata di sguardo” quando contempla il beffardo pallonetto di Izzo metterci 5 secondi buoni prima di morire a fil di palo nella nostra porta.

L’inizio dei nostri, con Icardi e Martinez a comporre un inedita coppia d’attacco dall’inizio, non è nemmeno male, se è vero che Lautaro arriva a concludere fuori di poco una bella azione da lui stesso iniziata.

Peccato che, in buona sostanza, i nostri si fermino lì. Maurito non becca palla per tutta la partita, Vecino fa a gara con Joao Mario a chi ne perde di più, Brozo predica malinconico nel deserto. Si capisce che lo 0-0 è un risultato segnato, a meno di giocare sugli errori degli avversari o su qualche episodio. Detto fatto. Prendiamo gol alla mezz’ora del primo tempo ma è come essere già al 90′: non c’è reazione, calma piatta, una beata minchia di nulla.

Come diceva il mio vecchio vicino di tribuna:

“Non c’è ali, non c’è schemi, non c’è un cazzo!”.

Ineluttabile assioma cartesiano.

Entrano prima Nainggolan e poi Politano, adeguandosi in tempo zero alla ruminanza dei compagni, con il romano che si fa addirittura espellere dopo aver cercato un fallo (che non c’è) anzichè superare l’avversario che aveva nelle gambe un’ora di partita in più.

Il Toro vince avendo fatto il minimo indispensabile eppure avendolo pienamente meritato.
Il che, se ci pensate, va ancor più a demerito dei nostri.

CRISIINTER

Eccola di nuovo tra noi, la CrisiInter. In tre partite di Campionato abbiamo segnato un gol (quattro nelle ultime sette) nelle ultime due abbiamo portato a casa un punto. Rimaniamo terzi con un margine ancora discreto (+5) solo perchè il turno di campionato mette Roma, Milan e Lazio contro avversarie di valore uguale se non superiore (Atalanta, Napoli e Juve), permettendoci di minimizzare le conseguenze della sconfitta almeno a livello di classifica.

Per il resto invece parte il circo: Spalletti è in bilico, Perisic ha chiesto di andarsene, Icardi non segna da 5 partite, Candreva e altri chiedono la cessione, Marotta deve intervenire con giocatori e proprietà a riportare calma e chiarezza. Ce n’è per tutti.

Al solito, la cosa che manca di più alla squadra è ordine e chiarezza, in campo così come fuori. C’è anche poco da aggiungere, tanta è l’evidenza dell’assunto. Non so quanto Marotta sia abituato a dover fronteggiare situazioni simili, in cui bastone e carota devono essere dosati con perizia da piccolo chimico: ad ogni modo è la sola strada da perseguire, e spero che il nuovo dirigente sia davvero in gamba e se la cavi senza tutto lo spessore della Vecchia Signora a guardargli le spalle.
Non sprecherò KB di rete e preziosi secondi della vostra attenzione per ribadire che non sono a favore di cambi di panchina, nè adesso nè a Giugno, a meno che la cosa non faccia parte di un effettivo cambio di strategia a livello societario.

In altre parole, Spalletti per ieri lo stramaledico, dopodichè forza ragazzo chè giovedì arriva la Lazio e la Coppa Italia la voglio vincere.

Potrei ammorbarvi con interminabili sedute di autocoscienza sulla gestione dei nostri giocatori e sull’atteggiamento sempre un po’ scazzatiello di molti componenti della squadra, ma mi fermo qui, muto rimprovero all’invornimento collettivo dei nerazzurri.

Niente E’ COMPLOTTO, qualsiasi sterco mediatico stavolta è pienamente meritato.

Maledetti…

Sapessi noi, Mister…