APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO – pt. 2)

Dopo aver rischiato dissoluzioni coniugali, e messo a serio repentaglio amicizie pluriennali, mi armo di coraggio a due mani e proseguo con lo stillicidio iniziato l’altro giorno.

Oggi mi dedicherò ai numeri dall’11 al 20, prendenomi qualche pausa e quindi “risparmiando” un paio di numeri che utilizzerò più avanti.

Iniziamo da uno dei primi veri campioni visti a San Siro.

Con il numero 11: Kalle… Rummenigge

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Come detto, la prima stella internazionale vista all’opera a San Siro. Come Figo, è arrivato avendo già dato il meglio, ma i primi due anni del suo triennio sono comunque stati sufficienti a farci capire che razza di attaccante fosse. Potentissimo, acrobatico (la bagassa dell’arbitro di Inter-Rangers!), un vero mito per il sottoscritto, forse anche perché il formaggino d’oro Grunland era tra i miei preferiti!.

Inizia oltretutto una felicissima parentesi di acquisti dalla Germania che, escluso forse il solo Hansi Muller (simpatico quanto acciaccato) ha portato all’Inter una serie di campioni che lui stesso aveva “benedetto”, e che tanto ci hanno fatto godere a cavallo tra gli anni 80 e 90.

Con il numero 12: Julio… Cesar

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So che nel post-Toldo è passato ad indossare la 1, ma qui fa gioco schierarlo con l’amata 12, tanto per non scontentare nessuno. Ancora oggi non so decidermi nello scegliere tra lui e Zenga quale più migliormente preferito, ma il brasiliano è stato un portiere fantastico per tutto il periodo di permanenza in nerazzurro.

Completo, bravo tra i pali e nelle uscite, buono come para-rigori, notevole anche coi piedi, qualche iniziale problema sul posizionamento sui calci di punizioni (vero Mancio?) aveva come unica pecca un paio di distrazioni all’anno, compensate però ampiamente da tanti sogni acchiappati. Continuo a preferirlo ad altri grandi portieri del recente passato (Toldone, Pagliuca) o del presente (Handanovic), ma onestà impone di riconoscere l’ovvio: l’Inter, di portieri scarsi, negli ultimi 50 anni non ne ha mai avuti.

Salutiamo Seba Rossi con simpatia.

Con il numero 13: Douglas… Maicon

Ecco, con il Maicone ero partito prevenuto, come del resto con molti brasiliani. Atteggiamento uggeggé-uggeggé-alegria-do-Brasil, scarso acume tattico, attitudine difensiva tendente a zero. E questo dovrebbe togliere il posto a Zanetti? Ha ha ha…

Invece, Maicon si è rivelato il miglior terzino destro della storia di questo sport per tutta la sua parentesi nerazzurra. Che Cafù o Dani Alves vengano ricordati ben più spesso di lui è la prova provata del Negazionismo che serpeggia presso la stampa sportiva italiana. Il fatto che i due “rivali” siano stati sulla cresta dell’onda per più anni rispetto al “nostro” non ne fa ipso facto giocatori migliori. Sarebbe come dire che i Beatles sono durati solo otto anni e quindi i Pooh sono più bravi perché son durati quarant’anni. Andate tutti a quel paese: nessuno ha fatto vedere quel che Maicon ha messo in mostra nei 7 anni di Inter (non 10 partite, 7 anni). Corsa, fisico, cross, gol e, col tempo, giusta presenza in difesa (certo, aiutata da Lucio, Samuel e uno dei centrocampisti ma –hey– il sacrificio è ampiamente compensato dai risultati). Il difetto? Una eccessiva tendenza a ridere, specie dopo un errore marchiano, e la sublimazione di uno dei difetti ancestrali dell’Inter: regalare le rimesse laterali all’avversario.

Ma, come dicono a Rio grande do Sul, inscì avèghen

Con il numero 14: Diego… Simeone

Qui urge premessa metodologica. Come sapete, il nostro gioco ha come unico criterio quello del numero di maglia. Tra tutti i coinquilini della stessa casacca, la preferenza poi va data non necessariamente al calciatore più forte tout court, ma a quello che nella parentesi nerazzurra ha fatto meglio. Ecco perché qui non trovate né Patrick Vieira né Clarence Seedorf, probabilmente giocatori più forti del pur valido Simeone, ma che nei loro trascorsi interisti non hanno lasciato il segno indelebile dell’argentino.

Cholo quindi. Altra tessera di quel mosaico di fine anni ’90 che con una maggior legalità e certezza del diritto ci avrebbe visti campioni d’Italia. I primi mesi sono accidentati, con Simoni stesso che gli dice “Diego, San Siro ti fischia, per qualche giornata ti faccio giocare solo in trasferta”. Poi al primo derby la butta dentro e scoppia l’amore. Piedi forse non raffinatissimi, ma grinta, intelligenza calcistica di primissimo livello, ottima propensione all’inserimento – specie di testa -. Come tanti altri nerazzurri paga lo stigma della stampa, che in questo caso ha ingigantito lo scarso feeling tra lui e Ronaldo. Come ho scritto nel libro (compratelo perdìo!), a chi gliene chiedeva conto, rispose “Brutto clima in spogliatoio? Cambiate i condizionatori, tutto il resto è a posto”. Senza contare che il primo a soccorrerlo dopo l’orrendo infortunio dell’Olimpico è proprio lui.

Con i numeri 15 e 16: Nessuno (chi devo mettere: Cauet e Taribo West?)

Con il numero 17: Francesco… Moriero

Torniamo all’applicazione pedissequa del manuale, adattamento calcistico del mitologico Chitarrella per lo scopone scientifico: non può che esserci “il fruttarolo del Salento” a far brillare la maglia 17 (non certo l’immondo Cannavaro), ancora una volta vendemmia 97/98.

In questa storia c’è una discreta dose di culo, evento più unico che raro a latitudini nerazzurre: Moriero in estate è già del Milan, mentre l’Inter ha acquistato il brasiliano André Cruz. Poi, i due si scambiano le destinazioni, per non meglio appurati magheggi contabili al solo costo di un milione… di lire, nemmeno di euro.

Insomma, arriva un’aletta destra tutta riccioli e fantasia che fin lì ha fatto vedere qualche scampolo di classe tra Lecce e Roma. Invece quella stagione sembra Garrincha: dribbla tutti, sforna assist a garganella, segna gol stupendi, pure in rovesciata. Guadagna la Nazionale (“se hace da vuelta estilo Enzo Francescoli” pure lì) e partecipa a Francia ’98 come titolare fisso. Le stagioni successive sono buone ma non all’altezza di quel lampo accecante. Si guadagna il posto per mancanza di alternative credibili e per il copyright di “Sciuscià” ad imperitura memoria.

Con il numero 18: Hernan… Crespo

Non che oggi sia messo male, ma in quegli anni l’attacco argentino poteva pescare a occhi chiusi e schierare Batistuta, Crespo o Cruz come centravanti, e mi limito a quelli che ai tempi giocavano in Italia. Il mio preferito è stato Batigol, che però ha avuto una parentesi alquanto triste e solitaria all’Inter.

Crespo invece è stato, senza tanti giri di parole, un centravanti della Madonna. Forte, completo, giusto mix di classe e tecnica, persona splendida (è a tutt’oggi uno dei pochissimi casi di ex di Inter e Milan ad essere amato da entrambe le sponde del Naviglio), nei suoi anni nerazzurri ha avuto il pregio ed il talento di farsi vedere sia come riferimento principale dell’attacco, sia come utilissima sponda di campioni quali Vieri e Ibrahimovic. Indimenticabile il suo fiuto per il gol, in particolare per alcuni di testa (questo, o questi, per non parlar di questo). Talmente grande da far emozionare anche un cuore di pietra come me quando festeggia così uno dei tanti gol segnati alla Roma, una delle sue ultime realizzazioni in maglia Inter.

Con il numero 1+8, fuori concorso: Ivan… Zamorano

Piccolo artifizio numerico per inserire uno dei miei giocatori preferiti di tutti i tempi. Il Cileno passa alla storia per la scelta del numero di maglia, barba-trucco per ovviare alla cessione della “9” a Ronaldo. Centravanti di altri tempi, con un cuore e due huevos imparagonabili e capaci di supplire a piedi discreti ma nulla più, Zamorano è stato l’esemplificazione della “boglia di bincere” (come l’avrebbe pronunciata lui nel suo splendido accento andino) e probabilmente il miglior colpitore di della storia del calcio. 178 cm di esplosività che lo rendevano capace di saltare in testa a perticoni più alti di lui di 15-20 cm.

Tra i tanti fotogrammi che restano in mente, l’immortale gol con cui apre le marcature a Parigi nella finale di Coppa Uefa, un paio di gol nel Derby, e la marea di insulti in castigliano stretto vomitati contro l’arbitro Ceccarini in quel putrido fine Aprile del 1998. Non c’è interista che non lo porti nel cuore. Ce l’avesse avuta il Chino metà della grinta di questo qua…

Con il numero 19: Esteban… Cambiasso

Euclide applicato al calcio, il giocatore più intelligente mai visto in maglia nerazzurra. Colpo assoluto -anche con un quid di culo, diciamocelo- di calciomercato, il Cuchu arriva nel 2004 a parametro zero dal Real teoricamente come riserva di Davids. In realtà dopo un paio di partite entra in squadra e non esce per i successivi 10 anni.

Regia, contrasto, inserimenti, gol: capelli a parte, tutto quel che volete. Non aveva i piedi di Veron, non aveva il fisico di Nicolino Berti, ma nessuno è stato pietra angolare del centrocampo interista quanto lui. Come e più di tanti altri compagni di squadra, chi scrive nota come il nostro abbia sempre sommato alle qualità calcistiche una sagacia non comune fuori dal campo, perfetto nel rispondere a domande prevenute dei giornalisti così come a esprimere la sua opinione su fatti extra-calcistici. Esempio plastico di kalokagathìa a strisce nerazzurre,

Se fossi una madre americana e lui fosse mio figlio, direi “è lui il prossimo presidente degli Stati Uniti”.

Con il numero 20: Alvaro… Recoba

Eccezione alle regole del gioco per non vedermi tolto il saluto da quei malati mentali del Sig. Carlo e di Sergio. La mia disistima per il Chino non ha ovviamente nulla a che fare con il piede sinistro che madre natura gli ha dato: non ho visto giocare Corso, ma credo sarebbe stato l’unico nerazzurro a poter rivaleggiare per qualità tecnica con quello di Recoba.

Si aggiudica la maglia per carenza di alternative all’altezza (per quanto, a me Angloma non era dispiaciuto!) e perché rappresenta quel che l’Inter è stata per tanto, troppo tempo: un potenziale incredibile spesso buttato alle ortiche per mancanza di costanza. “Ha le potenzialità ma non si applica”, dicevano i miei professori a mia madre (che già lo sapeva, e anzi li inzigava a mazzularmi ancor di più, ma questa è un’altra storia…), quindi nella ramanzina al Chino c’è anche una dose di autocritica.

Ultima nota per il Sig. Carlo, anche per ricordare degnamente uno dei nostri maestri di vita: se noti ho scelto la foto in cui ha “quei capelli da vecchio mignottone no?!”

Continua

APERITIFSPIEL (GIOCO APERITIVO)

In questi giorni di bonaccia calcistica e con la testa comprensibilmente dedicata a questioni più gravi – non oso dire più importanti – la rete si sbizzarrisce nel preparare polpette o altre feste del riciclo assortite, proponendo classifiche ed elenchi tassonomici di partite, calciatori, gol ed emozioni sportive in genere.

Per non essere da meno, sfodero tutto il mio malessere nerazzurro nel compitare il mio personalissimo elenco, guidato dal riferimento numerico più insindacabile che ci sia: il numero di maglia.

Attenzione, non parlo di ruolo in campo, no. Proprio di numero sulla maglietta. E siccome il calcio ormai da qualche decennio ha smesso di avere una corrispondenza ontologica tra numero e ruolo, ecco che troverete centrocampisti con un numero solitamente riservato a difensori e viceversa. Tanto per fare un esempio, l’amatissimo (da me) attaccante Mimmo Kallon, alias il Leone della Sierra, giocava col 2 a Reggio Calabria e col 3 all’Inter.

Come vedrete, lo stratagemma vien buono per aggirare alcune scelte altrimenti dilanianti, su tutte quella del portiere.

Di seguito troverete i primi 10 numeri di maglia, arriverò ad una trentina di numeri di maglia, non necessariamente consecutivi (ma spiegherò il perché strada facendo).

Liberi di commentare e dissentire purché con buona creanza (ma anche no, chissefrega!)

Immaginate ora lo speaker ufficiale dello stadio annunciare nell’ordine:

Con il numero 1: Walter… Zenga

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L’uomo ragno, il primo portiere di cui abbia veri ricordi (Bordon lo ricordo solo vagamente), campione e interista vero, portiere di altissimo livello e personalità strabordante.

Come tanti di quella generazione, ha vinto meno di quanto meritasse. Come tanti (tutti?) gli interisti, dimenticato appena possibile. Tre volte miglior portiere del mondo, un punto di riferimento unico per un decennio, ricordato invece per l’unico errore di un Mondiale altrimenti perfetto e per la migliorabile percentuale sui rigori parati (in effetti suo unico punto debole). Insieme a Zoff e Buffon sul podio dei migliori portieri italiani all time, non necessariamente terzo.

Con il numero 2: Beppe… Bergomi (coro: Sì Fabio!)

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Amato da giocatore, apprezzato da commentatore. Non ha avuto la classe né la personalità per diventare un vero e proprio idolo del sottoscritto, ma è stato un esempio di fedeltà e professionalità per un ventennio. Persona perbene, cosa che all’Inter è una simpatica costante (sì, ne faccio una questione di superiorità ontologica, non rompete i coglioni), è riuscito a passare dal campo al microfono mantenendo le stesse caratteristiche. Criticato da molti interisti per non essere sufficientemente fazioso nelle sue cronache, rappresenta invece quel che chiedo a qualsiasi commentatore: competenza ed onestà intellettuale. Che non significa per forza imparzialità: lui stesso si dichiara interista e non di rado gli scappa un “noi” quando parla dell’Inter, ma ciò non gli impedisce di criticare quando serve. Leggermente troppo assertivo verso il collega di telecronaca (certo Fabio).

Con il numero 3: Andreas… Brehme

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The one and only. Ribadisco il mio parere solo all’apparenza azzardato: il miglior terzino sinistro che abbia mai visto giocare.

Ellamadonna! Più forte di Paolo Maldini? A fare il terzino sinistro sì. Paolino è stato un giocatore più forte perché più versatile e con una carriera che parla da sola, qui parlo proprio di ruolo specifico.

Più affidabile di Roberto Carlos, ala sinistra che ha potuto far quel che ha voluto in dieci anni di Real proprio perché a nessuno interessava il fatto che non tornasse mai a coprire. Meno esplosivo il Bremer (come lo chiamava il Trap), senz’altro, ma il tedesco era realmente ambidestro ed aveva una capacità non solo di cross ma anche di lancio che ne faceva un vero e proprio “regista laterale” (copyright azzeccatissimo di Aldo Serena).

Con il numero 4: Javier… Zanetti

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Il Capitano, di più, il fratello calcistico della nostra generazione: maggiore talento, ma personalità simile all’altro capitano di questa lista (lo Zio), Zanna è stato da me celebrato nel giorno del suo addio con parole che, a distanza di anni, non hanno perso nemmeno una virgola del loro valore intrinseco. La sua storia all’Inter sembra davvero quella di un romanzo sportivo con tanto di lieto fine, ed il fatto che invece sia tutto vero la rende ancora più bella. In vent’anni ha ricoperto una mezza dozzina di ruoli, con il suo 6,5 in pagella come costante. Un supereroe con cosce da extraterrestre ma la faccia da bravo ragazzo, pettinatissimo.

Con il numero 5: Dejan… Stankovic

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È uno dei diversi casi in cui il numero di maglia non corrisponde alla posizione in campo. Il Drago è stato centrocampista totale, raro caso in cui l’eclettismo non andava a scapito della qualità. Detta meglio: sapeva fare benissimo tante cose.

Nelle mie statistiche mentali (e quindi difficilmente suffragate da dati oggettivi), rimarrà sempre il tiratore più sfigato del West, con un numero inenarrabile di pali, traverse, stinchi di portiere a privarlo di numeri ancor più scintillanti della cinquantina di gol fatta in Italia. Quantità, qualità e grinta in servizio permanente effettivo.

Con il numero 6: Stefan… De Vrij

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Non aveva grandissimi rivali “di numero”, giusto Roberto Carlos che però già ho detto non essere nei miei preferiti. L’olandese è invece un luminare della difesa, intelligente nel chiudere e bravo nel far ripartire. Non disdegna qualche capocciata in gol, specie nel Derby, che non guasta.

In un’epoca in cui i difensori devono impostare e gli attaccanti rientrare, mi piace avere un difensore che fa molto bene il suo, e che solo in un secondo momento sa essere utile nel costruire l’azione, offrendo un’alternativa alla atavica mancanza di fosforo della mediana nerazzurra (“a questa squadra manca un Pirlo” ma andateaccagare!). De Vrij vince il mio personale ballottaggio con Lucio, eroe del Triplete ma troppo “cavallo pazzo” per i miei gusti, senza voler infierire con le orrende sottomaglie con cui giocava.

Con il numero 7: Luis… Figo

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Nonostante sia arrivato in nerazzurro già ultra-trentenne, ha fatto vedere sprazzi di classe e talento come pochi. La prima stagione con Mancini – con cui pure non mancarono gli screzi – fu una lectio magistralis di dribbling, assist e qualche sapiente punizia (epica quella del definitivo 4-3 in Supercoppa contro la Roma, dopo essere stati sotto 0-3).

A tutto il talento assommava un basso profilo fuori dal campo, ed una statura morale che nemmeno la manfrina del gatto nero di Appiano ha potuto scalfire. Sta ancora aspettando la restituzione dei 5 mila euro di multa per aver denunciato la presenza di Moggi nello spogliatoio degli arbitri durante un Inter-Juve. Quella simpatia umana di Pavel Nedved gli ruppe il perone arrivando a far arrabbiare perfino il Signor Massimo; fatalmente al suo ritorno l’autonomia in campo era ridotta. Resta un campionissimo che, per una volta, ha visto la propria luce messa in ombra da quel popò di Inter nella quale ha giocato.

Con il numero 8: Zlatan… Ibrahimovic

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Il giocatore più imprevedibile e divertente che abbia mai visto in nerazzurro. Ronie è stato il più forte, ma il campionario di colpi di Ibra non l’ho visto in nessuno. Gli dobbiamo tutti lo scudetto 2007/2008 in quella Parma inzuppata dalla quale ci ha trascinati fuori da campione qual è sempre stato. Caratteraccio, megalomane, egocentrico, poco incline a fare gruppo: tutto quel che volete. Ma come diceva Maurizio Mosca, citando a sua volta il ben più autorevole Italo Allodi: “comincia a prenderlo!”.

Mio papà era allo stadio in quell’Inter-Lazio in cui segnò esultando da par suo in risposta ai fischi che gli erano arrivati proprio dal primo anello verde, su cui da sempre si accomodano le terga mie e dei miei familiari. Ricordo ancora il Signor Padre tornare a casa raggiante e dirmi tutto tronfio: “Visto? Ero io che lo fischiavo, gli ho fatto segnare io il gol!” “Sì ma ti ha mandato affanculo…” “E che me frega, l’importante è che l’ha messa dentro!”.

Machiavellico, in effetti.

Con in numero 9: Samuel… Eto’o

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Inevitabile che alcuni numeri di maglia (tipo questo, tipo il prossimo…) portino a scelte strappacuore e da sudori freddi. Però mi son messo da solo in questo divertente casino, quindi ne pago il prezzo fino in fondo.

Eto’o quindi: l’unico calciatore al mondo ad aver vinto due volte di seguito il Triplete e con due squadre diverse! Due stagioni in nerazzurro, nemmeno tantissime, ma sufficienti a far capire quanto un fuoriclasse possa mettersi al servizio della squadra se c’è da vincere tutto (il riferimento è al primo anno, e basta con la stronzata del “giocava terzino”, giocava esterno in un 4-2-3-1) e tornare invece centravanti coi controcazzi nel secondo anno, quando in stagione i suoi numeri parlano chiaro: 37 gol in tutte le competizioni giocate dall’Inter. Senza avere un fisico eccezionale, è stato un esempio di tecnica, leadership ed intelligenza calcistica che raramente si è vista su un campo di calcio, ancor meno in nerazzurro.

Con il numero 10: Ronaldo… quello vero

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Stratagemma furbetto che mi consente di inserire il brasiliano senza sacrificare l’amato Eto’o, ma che al contempo mi impedisce di inserire Baggio in quello che è nato come puro divertissement e si sta invece trasformando in un sanguinolento deicidio.

Detto ciò, il Fenomeno non può non esserci, essendo semplicemente il giocatore più forte che abbia mai visto giocare nell’Inter. Il primo anno (giocato proprio con la 10) è stato ai limiti dell’inconcepibile per quanto era forte, veloce, letale. Quel grand’uomo di Gigi Simoni ci impiegò poco a capire che “come lui nessuno mai“, e lo disse senza peli sulla lingua al resto dello spogliatoio, formato da esseri senzienti prima che da calciatori, e quindi perfettamente consapevoli che uno così era un lusso che solo loro potevano permettersi.

Uno spartiacque generazionale. Mettendola in musica, Ronaldo è stato come Lucio Battisti nella musica italiana: prima di lui c’erano Claudio Villa, Celentano, Rita Pavone, quando andava bene i cantautori. Dopo di lui è arrivato il rock, il progressive e tanto altro. Ronie ci ha portato nel calcio del 2000, è stato il primo a farci vedere qualità in velocità, forza e controllo. Il tutto facendolo sembrare, se non facile, quantomeno spassoso e divertente. Resta il rammarico di un telaio troppo fragile per contenere quell’esplosività e del modo in cui la storia è finita, ma la magia che ha fatto vedere a tutti noi rimane insuperata.

Devo le mie scuse nell’ordine a:

2- Ivan Ramiro Cordoba

10- Roberto Baggio e Lothar Matthaeus

Continua

L’ANGOLO DEL TÈNNICO

Da persona responsabile e al tempo stesso controcorrente, mi freno dall’aggiungere i miei microbi all’inquinamento informatico di neo-virologi ed esperti di sanità pubblica, e continuo a coltivare il mio orticello, del quale, se non proprio esperto, sono quantomeno titolato a parlare.

Quindi, l’argomento di giornata è il possibile cambio di modulo di Conte e tutto ciò che gira intorno a questa novità tattica.

Anzitutto, chi scrive è sempre fautore della necessità di una certa apertura mentale da parte degli allenatori. Ho negli anni sviluppato un’intolleranza istantanea a qualsivoglia frase che contenga le parole “il mio calcio”. Il calcio non è tuo, ciccio, esiste da 150 anni ed esisterà anche dopo di te. Quindi, calma e gesso: qui nessuno inventa un cazzo.

Secondo: posto che a certi livelli tutti hanno ormai le stesse competenze tattiche e teoriche, a far la differenza sono i giocatori e, ancor di più, la capacità dell’allenatore di convincerli a fare quel che chiede.

Quindi, e a costo di sembrare pedante e ripetitivo: non esiste lo schema migliore di tutti gli altri in assoluto. Esiste quel che è meglio usare in un certo tempo e con certi giocatori.

Ora, per dire, la “moda” calcistica sembra aver abbandonato le ammalianti trame da tiki-taka per abbracciare il gegen-pressing di Klopp e il calcio turbo-orobico di Gasperini (pur con pochissimi italiani in campo, ma era l’Inter zeppa di stranieri ad essere una vergogna, loro sono un esempio per il nostro calcio, chiusa parentesi polemica). Che dire? Sono tipologie di gioco che incontrano il mio gusto in misura maggiore della fitta ragnatela di passaggi in orizzontale ma, ripeto, sono gusti personali. Nulla che abbia a che fare con l’efficacia in sé dello stile di gioco adottato.

In altre parole: con Xavi, Iniesta e Busquets anch’io avrei cercato di tener palla per il 70% del tempo. Con dei “cavalloni” che corrono a mille per 90’, anch’io me la giocherei uomo contro uomo a tutto campo.

E qui arriviamo a parlare di Conte. Lui stesso ultimissimamente ha ricordato di aver iniziato la sua carriera con un arrembante 4-2-4, per poi passare ad un altrettanto intenso 3-5-2. Con “la difesa a tre” ha vinto a Torino e pure al Chelsea, dove pure aveva alternato vari moduli. Con lo stresso schema ha preso l’Inter portandola in testa alla classifica ed a battersela punto a punto fino ad oggi con Juve e Lazio.

Però…

Però le idee, specie nel calcio, invecchiano presto. L’usura è addirittura maggiore del pur notevole dispendio psico-fisico richiesto ai giocatori, spesso “svuotati” dopo un paio di stagioni con Conte.

Il calcio italiano è ancora quello più tattico al mondo, quello in cui gli allenatori sono più bravi in assoluto a “giocarti addosso”. Da noi quasi nessuno è supponente al punto da non considerare l’avversario e giocare il proprio calcio in fotocopia a prescindere da chi si trova di fronte. Anche chi “fa il figo” facendo dichiarazioni simili, poi alla fine ha ben presente punti di forza e di debolezza della squadra che deve affrontare.

Quindi? Quindi i nostri avversari per i primi mesi della stagione hanno fatto fatica a contrastare un centrocampo finalmente pensante con Brozovic e Sensi ad alternarsi nella costruzione e Barella o Vecino a iniettare muscoli e pressing utili a servire il prima possibile Lautaro e Lukaku.

Dopo un po’, complici anche gli infortuni, le varianti allo spartito sono emerse in tutta la loro pochezza e agli avversari è stato facile capire che, fermato Brozovic, la nostra manovra faceva fatica a trovare un’alternativa al cazzo-di-giro-palla-tra-i-centrali-di-difesa.

L’avevamo già sperimentato negli ultimi anni con Spalletti: se il medianaccio di turno, quando non la punta che si sacrifica, va a pestare i piedi ad Ajeje Brozo, la luce si spegne e davanti il pallone arriva con una fatica tremenda.

La cosa si è palesata in tutta la sua evidenza già prima di Natale, accompagnata dalla scritta luminosa Piano “B” cercasi con urgenza, (già che ci siamo pure “C”).

Per fortuna, il calendario era dalla nostra parte, con la pausa natalizia e le strenne del mercato di Gennaio a disposizione.

Ora, sappiamo che il primo mese dell’anno è stato buttato nel cesso come in tante delle ultime stagioni, e che lo stesso calciomercato invernale ha visto i rinforzi arrivare in maniera forse inutilmente stitica (torno alla domanda polemica: perché prendere il pezzo pregiato a fine mese con la speranza di risparmiare qualche soldo, se poi l’hai pagato pure più di quanto ti avevano chiesto ad inizio mese?).

Ad ogni modo, cosa fatta capo ha: Eriksen è arrivato ed ora Conte pare avergli fatto terminare il rodaggio. La partita in Bulgaria di settimana scorsa, ben più che la pur importante vittoria e il si spera benaugurante primo gol del danese, ci ha portato in dono una bella mezz’ora giocata con un inedito 4-3-1-2, che pare cucito su misura proprio per il nuovo arrivato, posizionato nell’ideale posizione di trequartista libero di tirare in porta e servire le due punte, senza dover pensare troppo ai movimenti dei compagni di reparto.

Il cambio è salutato con favore dal sottoscritto (sono fin troppo diplomatico: mi piace davvero un bel po’), anche perché lascia impregiudicato il potenziale della coppia di attacco, portando al tempo stesso Skriniar e Godin a poter giocare nel loro ruolo preferito (De Vrij forse leggermente sacrificato, ma comunque in grado di contendere il posto ad entrambi: in sostanza tre titolarissimi per due maglie). Sulle fasce D’Ambrosio e Young parrebbero i migliori a disposizione, con Candreva alternativa spregiudicata (un’ala a giocare da esterno basso, come Cuadrado, come Cancelo, per la gioia di Adani), mentre a centrocampo Barella e Vecino ne giocherebbero tante, lasciando l’ultimo posto disponibile in palio tra Brozovic e Sensi.

In altre parole, il summenzionato “piano B” lo vedrei così:

C’è anche un “piano C”, forse meno di rottura rispetto al 3-5-2, che tuttavia permetterebbe come si dice in gergo di “rovesciare il triangolo di centrocampo” e lasciare Eriksen a ridosso delle punte, con Barella a spalleggiare Brozovic in mediana, avendo Sensi quale validissima alternativa ad entrambi, a seconda del match.

Una roba del genere:

Nulla di definitivo, ancora una volta: semplicemente un’alternativa che possa far salire il numero di frecce al nostro arco, che possa ampliare il repertorio e servire a scardinare partite che non vogliono sbloccarsi, che possa diminuire la nostra prevedibilità.

Che ne dite? Che ne dici Mister? Si può provare…

DACCI OGGI IL NOSTRO DISGUSTO QUOTIDIANO

Poco da aggiungere rispetto all’aggiornamento di settimana scorsa, se non un paio di cose “esogene”.

Internamente, continua (e anzi, spero finisca) il mese dell’invornito, con la terza partita sbloccata e poi buttata via a un quarto d’ora dalla fine. Forse un filo di intensità in più rispetto a Lecce, un paio di occasioni nette ma non concretizzate da Sensi e Lukaku, ma in generale un numero di giri che rimane troppo basso.

La novità di giornata, che -poi vedremo- novità non è, arriva appunto da fuori. Torniamo cioè ad essere snobbati da arbitri ed istituzioni, ovviamente stando al passo coi tempi. Faccio finta di credere che sia finito il tempo in cui ti fischiano dal nulla un rigore che non c’è o te ne negano uno palese, ma restano tanti altri modi per farti capire che in un’ideale scala di considerazione presso la classe arbitrale tu, interista, sei saldamente in zona retrocessione.

Provo quasi pena per Conte, geneticamente impossibilitato a capacitarsi di un simile trattamento. Personalmente, provo sempre una sorta di piacere perverso nel vedere il nuovo Mister di turno scontrarsi con la realtà che, a queste latitudini, viviamo con rancorosa rassegnazione da anni. Vedi i Ranieri, gli Spalletti, i Conte strabuzzare gli occhi e sacramentare increduli e per lo meno ti consoli: “ah, allora tutto quello che (ci) succede non è normale…”.

Nello specifico, l’arbitraggio di Manganiello non è macchiato dall’errore che falsa il risultato in maniera palese: io avrei dato il rigore su Young e avrei anche qualcosa da dire sul contatto Joao Pedro-Godin che precede il loro pari, ma devo confessare che la spintarella di Martinez sul gol è veramente al limite.

Il punto è un altro, e sta nel metro di giudizio e la strafottenza dell’arbitro. Segna El Toro, Manganiello convalida facendo ampi segni di aver visto e aver valutato la spinta come veniale, ciononostante attende l’ok del VAR (che, a quanto capisco, non potrebbe intervenire per una valutazione soggettiva dell’arbitro di campo, ma va beh…). Arrivata la benedizione dalle alte sfere, si riparte 1-0 per noi e, da lì in avanti, in buona sostanza smette di fischiare ogni tipo di fallo sui nostri.

Al 93′, e quindi dopo un’oretta di andazzo del genere, Martinez e in subordine gli altri ovviamente sbagliano a protestare in quella maniera, e Lautaro in particolare la combina grossa rischiando di rimanere seduto per più di una partita, ma siamo alle solite: il bambino petulante ti tampina per un’ora e alla fine tu salti per aria e becchi la nota.

La cosa che, al solito, mi fa inalberare ancor più della condotta arbitrale è il giudizio dei Crosetti di turno, tutti bravi a condannare la reazione esagitata dei nerazzurri, atteggiandosi a maestrini petulanti quando non a tifosi da Bar Sport. La Stampa a Torino per anni l’hanno chiamata La Bugiarda, ed evidentemente i soprannomi vanno meritati e mantenuti:

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Il tutto nella stessa giornata in cui la Juve perde (e male) a Napoli, facendo vedere per l’ennesima volta i limiti del progetto Sarriano, per una volta nemmeno coperti dalle prodezze del singolo.

Anche qui, rapido ripasso di complottismo: CR7 segna per la millesima partita di fila e, con Dybala e Higuain, sta tenendo la Juve in testa alla classifica nonostante una manovra che di armonia e spettacolo ancora poco fa vedere. Eppure, nessuno che osi cedere ai tanto comodi Luoghi Comuni Maledetti. Del resto stiamo pur sempre parlando di Juve, di Sarri, di CR7, mica di Inter e del centravanti di turno: si vede che la frase “sfrutta i colpi del campione per supplire alle carenze di giUoco” non viene bene detta con accento torinese…

CALCIOMINCHIATA – LE ULTIME DAI CAMPI

Oggi, dopo settimane nelle quali “questo è il giorno giusto per Eriksen”, il danese dovrebbe ufficialmente diventare un giocatore dell’Inter. Gran colpo, non c’è che dire, prendi a 20 milioni un giocatore che ne vale serenamente il quadruplo. Però…

Però, puttanaeva: sei partito facendo il figo e offrendo 10 milioni, e come uno stillicidio sei passato a 13, 15, 17 per poi capitolare agli inamovibili 20 chiesti dal Tottenham (anzi, pure qualcosina in più).

Per tanto così, e sapendo che Levy è un osso durissimo, non era meglio accettare subito i 20 milioni e portarselo a casa due settimane fa? Capace che tra Lecce e Cagliari un paio di punti in più li avremmo fatti… E in ogni caso avrebbe già un paio di settimane di allenamenti in gruppo.

Va beh, meglio tardi che mai.

Per il resto, noto con piacere che Young, comprato come esterno sinistro, ha debuttato (a destra) e messo un ottimo assist per Martinez (sempre di destro). Attendo di vederlo sull’altra fascia per capire se, arrivato sul fondo, sarà altrettanto bravo col mancino o se farà il rinterzo effettato con sbiliguda veniale per rientrare sul destro e crossare.

Le ultimissimissime dicono di un Vecino che potrebbe restare, anche se più per mancanza di offerte all’altezza che per reale convincimento. Se così fosse ne sarei felicissimo: a parte il debito di un paio di gol passati alla storia, il Charrùa è superiore a tutti gli eventuali rimpiazzi di cui si è parlato in queste settimane.

Segnalo che la punta di scorta diventa ancora più urgente dopo la pazziata di Martinez: continuo a preferire Llorente a Giroud, ma uno dei due è necessario che arrivi il prima possibile. Ricordo che tre delle prossime quattro saranno con Milan, Lazio e Juve.

CARI FOTTUTISSIMI CUGINI

Rieccoli, i MeravigliUosi, e devo dire che (non) mi erano mancati.

Nell’ordine: dopo due considerevoli botte di culo con Udinese e Brescia, tutta la stampa è allineata nel ricordare le “quattro vittorie consecutive, se consideriamo anche la Coppa Italia“.

Non solo. Formati al divino insegnamento del Geometra Galliani, se consideriamo la media punti da Gennaio in avanti, il passo è addirittura “da scudetto“. La stessa Coppa Italia, da sempre terzo obiettivo stagionale per chi ha le coppe Europee, per i rossoneri (digiuni anche quest’anno da gite infrasettimanali) può valere 25 milioni di ricavi.

Che Piatek, Suso e Paquetà dal GreNoLi del 2020 siano passati ad essere tre pacchi che non si riesce a piazzare a nessuno è una verità scomodissima da ammettere; meglio dire che sono “il tesoro del Milan“. Il succo è lo stesso ma fa tutto un altro effetto.

Il “Giova” direbbe “intanto c’ho un capitale immobilizzato e gli interessi...”

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Come dico spesso, sapendo di ripetermi: c’è una parte di Milano in cui splende sempre il sole.

Lascio alla fine quella che ritengo la cosa più insopportabile.

Il Milan, come sappiamo, è una grande famiglia, ma non solo. La strategia comunicativa rossonera prevede che tutti i personaggi di successo, le squadre più vincenti di un determinato periodo, i campioni presenti o passati, siano comunque assimilabili al Milan: il ragazzo tifa Milan fin da bambino, la tal squadra gioca proprio come giocava il Milan di Sacchi/Capello/Ancelotti, il tal campione ricorda gli anni del Milan come i migliori della sua vita.

Siamo tutti amici, ci vogliamo bene (cit.)

Ora: cerco di dirla bene sapendo che sto camminando sulle uova.

Una cosa del genere per me è da vomito:

Con questa roba qui il Milan ci dice: la morte di Kobe è una tragedia per tutti, ma per noi un po’ di più perchè tifava Milan, quindi era più amico mio che tuo. Manca solo il gnégnégné alla fine.

Non mi aspettavo niente di diverso da loro, solertissimi a postare l’inevitabile -e giusto, per carità- messaggio di cordoglio per la scomparsa di un tale campione.

La manfrina del lutto al braccio e del minuto di silenzio l’hanno proposta ieri, ed ero stato contento di sapere che in un primo momento la Lega Calcio avesse negato l’autorizzazione, come a dire: il calcio non c’entra una mazza. Kobe sarà doverosamente ricordato nel prossimo turno di campionato di basket, che era il suo sport.

E invece, grazie al combinato disposto tra potenza mediatica da tardo impero e scrivani di corte compiacenti, stasera assisteremo a questo atto di prepotenza emozionale.

Non che a Milanello Bianco siano nuovi a colate glicemiche del genere.

Nell’ottobre del 2011, con il povero Simoncelli appena scomparso, prepararono in fretta e furia la maglia per l’occasione, da esibire oltretutto in tutt’atro contesto, e cioè mentre Gattuso parlava dei suoi problemi all’occhio di quella stagione (peraltro curati tardi e male dal mirabolante MilanLab):

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Chi mi sta vicino mi dice che quando fra cent’anni dovesse capitare la stessa cosa a un grande personaggio di dichiarate simpatie nerazzurre, anche l’Inter farà così.

Non credo, proprio perchè lo stile è qualcosa che hai dentro.

Se così dovesse essere, non avrei problemi a dichiarare il mio disgusto.

Dopodichè, l’ultima cosa che voglio fare è tirare il povero Kobe per la giacchetta. Che la terra sia lieve a lui, alla figlia e a tutti gli altri.

BENVENUTO MISTER

E finalmente, dopo qualche mese, anche Conte ha capito cosa voglia dire essere l’allenatore dell’Inter.

Non vinci? Sei un incapace, e ancor di più la Società che ti ha scelto.

Vinci? sì ma sfruttando cinicamente gli errori degli avversari e speculando sul contropiede.

Per fortuna, il Mister Agghiaggiande non le manda a dire e, dopo aver risposto per le rime a Zazzaroni ed altri nelle scorse settimane, l’altra sera ha riservato lo stesso trattamento a Fabio&Fabio (Caressa e Capello).

Capello ha testualmente detto che l’Inter gioca con la difesa bassa e sfruttando in contropiede gli uno-contro-uno concessi dalle difese avversarie.

Quando Conte ha replicato stizzito, ecco che i due in studio hanno messo una toppa che era peggio del buco, affrettandosi a dire al Mister “no no, non hai sentito tutto il discorso” e aggiungendo di aver fatto riferimento anche al pressing alto che consentiva all’Inter di recuperare palla vicino all’area avversaria. Balle, questo l’ha detto solo Conte, e a ben vedere è l’esatto contrario di quanto sostenuto da Capello (altro che “sto dicendo le stesse cose che dici tu”).

Per essere ancora più chiari: difendi basso? Non fai pressing nella metacampo avversaria ma aspetti sulla tua trequarti, una volta che hai la palla lanci lungo sul centravanti e speri che la butti dentro.

Fai pressing alto? I tuoi centrocampisti vanno alla caccia del pallone fino alla trequarti avversaria, cercando di costringere gli altri all’errore, in modo da recuperare la bocca a trenta metri dalla porta, non a ottanta. In questo caso, peraltro, si inserisce in maniera coerente la critica avanzata da Bergomi e Costacurta, che hanno chiesto a Conte se potessero esserci margini di miglioramento in un paio di transizioni del Napoli che per poco non hanno causato problemi all’Inter. Ecco, Conte in quello è stato chiaro: pressando alti, il rischio che si corre è quello. Se l’avversario riesce a superare la prima linea, ecco che alle spalle c’è un sacco di campo che resta sguarnito, mettendo a rischio la difesa. È il vecchio concetto della coperta corta, che alla fine è anche abbastanza facile da capire.

Ma no, si continua sul vecchio canovaccio: vinci? sì, ma sei solo un’Inter cinica che sfrutta con pochi lampi le prodezze dei suoi campioni.

Ci si mette ancora una volta il Corriere dello Sport a fare la finta vergine, portando l’ipocrisia a nuovi livelli di sofisticazione.

Un pezzo del genere trasuda tutta la malafede di chi lo scrive. Perchè è noto a tutti che la critica è pressocchè unanime nel condannare chiunque giochi in contropiede e osi ritornare al mittente le proposte di bel giUoco e mille passaggetti a tre all’ora. Ma quando, guarda caso, tali critiche sono rivolte all’Inter sotto forma di falso complimento -oltretutto prendendo una cantonata proprio nel merito tecnico della questione- ecco che ci si meraviglia del perchè ci si debba vergognare di un sistema di gioco che tanto ha fatto vincere al calcio italiano.

In altre parole, Conte non si incazza per l’accusa di essere un contropiedista. Si incazza perchè così dicendo si sceglie di ignorare il modo in cui fa giocare la squdra, limitandosi a vedere una parte del quadro e pigliando una cantonata che non fa onore al passato dell’allenatore Capello.

Furbo Zazzaroni a chiamare i mostri sacri a difendere quella che -ribadisco- è una posa posticcia. Che l’immenso Gianni Mura “parteggi” per un calcio essenziale e senza troppi ghirigori è noto, oltre che da me condiviso. Che proprio lui si presti a dar manforte a questa manovra di dissimulazione mi lascia un po’ così, allo stesso modo della sua critica al VAR ed all’eccessivo uso della tecnologia nel calcio.

Ma lui è Gianni Mura e può dire quel che vuole.

Gli altri pure, anche se hanno una credibilità ed un’onestà intellettuale nemmeno paragonabile.

Ad ogni modo, caro Conte, ora hai finalmente capito di cosa noi interisti ci lamentiamo da anni. Ci dai una mano tu a iniziare a rispondere come si deve?

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PROPOSITI PER IL NUOVO ANNO

I nostri stanno andando benone, direi aldilà di ogni più rosea aspettativa. Indipendentemente da come andrà con l’Atalanta sabato sera, 45 punti in un girone danno una proiezione di 90 a fine anno, quota alla quale di norma si vincono scudetti.

È vero che già in anni passati a quest’epoca eravamo in vetta alla classifica, ma onestà impone di dire che il “come” faccia una certa differenza. Dalla pioggia di pur gustosissimmi 1-0 (vendemmia Mancini 2015/2016), all’insostsenibile velocità del primo Spalletti -poi infatti schiantatosi nel solito Gennaio marroncino- arriviamo a Conte, che ha portato la truppa in vetta spremendo il massimo da tanti dei suoi (Lu-La in primis) ma anche dovendo fare a meno dei due pezzi forti del centrocampo. Tre mesi senza Sensinho, due senza Barella, con l’aggravante di dover abusare dei piedi non raffinatissimi di Gagliardini e della limitata tenuta atletica di Borja Valero.

Eppure, si diceva, siamo lì.

Tutto ciò considerato, ed aggiugendo che da Febbraio i nostri avranno anche l’impegno di Europa League che tante energie ciuccia ad ogni squadra, non intervenire con due o tre innesti di valore sarebbe deleterio.

I tre ruoli sono noti: esterno sinistro, centrocampista, punta da panchina. In ordine di importanza, per me i tre nomi sono: Marcos Alonso, Eriksen, Llorente, e spiego il perchè:

Marcos Alonso Risposta semplice e solo apparentemente banale: perchè è un terzino sinistro. Non è “un laterale che può adattarsi anche a…” non è “un jolly difensivo che può venir buono anche per…“. No. È uno che fa quello di mestiere, che lo fa bene, che Conte ha già avuto e che, ultimo dato non trascurabile, batte bene le punizioni col mancino.

Ineluttabile assioma nerazzurro degli ultimi lustri, quel ruolo è il nostro punto debole anche quest’anno, vista l’inaffidabilità fisica di Asamoah e la stiracchiata sufficienza (ma nulla più) di Biraghi. Mi auguro a riguardo che il giovane Di Marco, sistematicamente ignorato dal Mister finora, venga quantomeno tenuto fuori dal mercato finantochè non sarà arrivato il rinforzo, chè se adesso viene un coccolone all’uomo dai parastinchi discutibili, tocca dirottare D’Ambrosio o -peggio- Candreva.

Le alternative allo spagnolo non mi convincono: Darmian è uno che fa benino un po’ di cose, ma arriverebbe come un D’Ambrosio-bis. Per carità, giocatori preziosi per ogni allenatore, ma qui stiamo parlando di un titolare da inserire, non di un rincalzo buono come alternativa. Serve insomma più classe.

Ashley Young (di nome ma non di fatto, visto che ha 34 anni) è il classico adattato. Se sei terzino sinistro e sei destro di piede, o ti chiami Paolo Maldini o abbiamo un problema. In questo lo Zio Bergomi mi ha preceduto nel commento che avrei fatto se solo qualcuno me l’avesse chiesto.

Eriksen Qui ammetto di ragionare -anche- da tifoso, perchè per alcuni versi Vidal sarebbe un acquisto più pronto e funzionale al gioco di Conte, ma andrebbe ad intasare la già troppo nutrita colonia di ex-juventini, dando ulteriore fiato alle trombe dell’ “adesso sì che l’Inter è cambiata, non è più una squadra di matti, meno male che sono arrivati gli juventini“.

Ciò detto, Eriksen ha cinque anni in meno di Vidal e soprattutto sembra poter dare qualcosa a questo sport per un lasso di tempo maggiore rispetto al cileno.

Detto che nel ruolo il mio sogno bagnato resta il laziale Milinkovic-Savic, per il quale ci sarebbe da sborsare una cifra vertiginosa, la ventina di milioni di cui si parla in queste settimane io la farei viaggiare spedita in direzione Tottenham e non Barcellona.

Llorente La punta dovrebbe sostanzialmente essere un cambio per Lukaku, quindi lo spagnolo dagli occhi di ghiaccio sarebbe perfetto. Anche lui è già stato agli ordini di Conte, il che dovrebbe facilitarne l’ambientamento. Facendo attualmente panchina a Napoli, non credo avrebbe problemi a farla a Milano. Lo preferisco all’altro nome che circola in questi giorni, e cioè Giroud, per più di un motivo.

Anzitutto, Giroud è il classico attaccante di manovra, che gioca al servizio della squadra, ma che storicamente segna poco: non è un caso che sia diventato campione del mondo con la Francia senza aver segnato nemmeno un gol a Russia 2018. Immaginando l’impiego di questo tipo di punta nelle classiche partitacce che non si sbloccano, preferirei giocarmi il jolly buttando in campo lo spagnolo, pressocchè imbattibile nel gioco aereo ed opportunista quanto basta per piazzare il piedone al momento giusto.

Inoltre, se già è difficile che il Chelsea ceda su Marcos Alonso, è ancor meno probabile che accetti di far partire due suoi giocatori (anche Giroud gioca lì) che, oltretutto, andrebbero a far comodo a Conte, beneficiario di una cospicua buonauscita dopo la parentesi alla corte di Abramovich e senz’altro non molto ben visto da quelle parti. In altre parole: l’ultima cosa che il Chelsea vorrà è fare un favore al Mister che si è appena intascato una decina di milioni di indennizzo.

CHE NE SAR­À DI NOI

Conscio della mia fissazione con il ruolo di terzino sinistro, a mio parere il peso specifico dell’Inter dipenderà dal titolare in quella posizione a fine mercato di riparazione.

Arriva Marcos Alonso? Possiamo giocarcela per lo Scudetto. Arriva Darmian? Ci accomodiamo per il secondo/terzo posto.

È semplicistico, ma la penso così. Avere lo spagnolo tra i titolari fa crescere il valore complessivo della squadra più di avere il Vidal di turno (che giocherebbe al posto di uno tra Brozo, Sensi o Barella).

Voglio dire: a metacampo ne esce uno bravo, ne entra uno bravo, che sia Vidal o Eriksen.

A sinistra, ne esce uno medio (se non mediocre) e ne entra uno bravo.La differenza sta tutta lì.

IZ BACK

Ho smargheritato tanto, cercando di capire se augurarmi il ritorno di Ibra al Milan oppure no, e mi scopro sorprendentemente ad esserne contento.

Non mi rimangio quel che ho detto e scritto: i peana del figliol prodigo che torna là dove si era trovato così bene sono già iniziati, con tanto di dirette dall’aeroporto e endoscopie su come saluta i compagni. Gol come visto, ancora niente (anche se contro la Rhodense ha fatto i numeri!).

Zlatan però farà bene alla Serie A e anche al Milan. Già nella mezzoretta giocata contro la Samp ha fatto vedere di essere il migliore dei rossoneri pur giocando praticamente da fermo. A questi livelli, e con questo livello di concorrenza interna, gli basterà qualche allenamento per elevarsi dalla mediocrità diffusa. Arrivo a dire che, in ottica stadio, a noi conviene che il Milan faccia schifo ma non troppo. Mi diverto come un riccio a vedere la classifica e trovarli saldamente nella colonna di destra, ma pensare ad una partnership con una squadra di centroclassifica per costruire lo stadio del futuro non è il massimo della vita: e visto che i problemi del Milan non finiranno certo con questa stagione, occorre ricordare l’epilogo dell’altro stadio europeo che era stato inizialmente costruito da due squadre della stessa città: l’Allianz Arena di Monaco.

Per carità, non mi farebbe schifo far pagare metà del nuovo stadio al Milan per poi vederli migrare altrove (al Brianteo?), ma è una favola troppo bella perchè possa diventare realtà.

Tornando a Ibra, mi scopro un romanticone dal cuore d’oro: se già non l’avevo fischiato al Derby 2010-2011 quando atterrò Materzazzi con una mossa da arti marziali, a maggior ragione lo accolgo col sorriso adesso: la maniera che ha di ghignare dopo aver fatto la sparata da gradasso me l’ha sempre reso simpatico a pelle, pur essendo probabilmente il più abile mercenario e trasformista del calcio moderno.

Quindi, nonostante tutto, bentornato Zlatanasso!

OTTOBRATA RANCOROSA

PUNTO TENNICO

Il momento che speravo di vedere il più tardi possibile, si è invece palesato nell’ultima settimana giocata: pur facendo due figure più che dignitose, l’Inter esce dagli incroci con Barcelona e Juventus con zero punti.

Hai voglia a smargheritare con i pronostici della vigilia chiedendoti “ma se dovessi vincerne solo una, quale preferiresti?”.

Siamo quindi alla pausa nazionali con una classifica che continua ad essere di tutto rispetto ma con morale e giunture un po’ cigolanti.

Se pensiamo alla partita con la Juve, è parsa diretta la correlazione tra uscita di Sensi e fine del gioco: troppo importante il piccoletto nel centrocampo nerazzurro. Non solo lo trovi ovunque a far la cosa giusta, ha anche il piacevole effetto collaterale di sgravare Brozovic di un po’ di lavoro. Sono in due a smazzarsi la costruzione della manovra, chè ormai tutti hanno capito che con uno schermo sul croato blocchi il grosso del traffico e riduci il possesso palla al ti-tic ti-toc tra i centrali di difesa.

Lunga vita agli adduttori di Sensi, quindi, che se non altro si risparmia la convocazione in Nazionale -che in compenso ci ha già omaggiati di una caviglia di Sanchez ed un dito di D’Ambrosio- ma che verosimilmente non vedremo alla ripresa del Campionato. Il calendario mette in programma la trasferta di Sassuolo, già indigesta ai nostri per definizione, e ancor più scomoda del solito vista la recente scomparsa del patron Squinzi.

Quale miglior occasione per i suoi giocatori di ricordare il loro presidente di note simpatie rossonere“. Già me la sento la canea mediatica…

Ecco: giocarsi quella trasferta senza (tra gli altri) il piccolo-grande ex sarà ancora più complicato, e sarà il primo vero banco di prova per gli uomini di Conte. Come ben sappiamo, già altre volte negli ultimi anni l’Inter aveva infilato una bella serie di vittorie, (Pioli e Spalletti arrivarono a sette), ma ai primi tentennamenti il castello di carte era crollato facendoci ricominiciare ogni volta dalle fondamenta o quasi.

Di più: ad ogni filotto di risultati nel passato si era puntualmente alzata la gufata massima “quel che è evidente è che l’Inter di (…inserire nome del Mister di turno) non ha più le amnesie di una volta e non ci saranno più blocchi mentali e montagne russe”.

E’ quel che dicono anche adesso e, se fossi un osservatore esterno, potrei anche essere d’accordo. Conosco però troppo bene le strisce nerazzurre per dormire sonni tranquilli, e vedo quindi nella ripresa post-Nazionali un ciclo di paratite solo apparentemente morbido.

Il tour emiliano (Sassuolo, Parma, Bologna), con incursioni sul Garda (Brescia, Verona) pare fatto apposta per fare filotto pieno e mantenersi ai piani altissimi della classifica. Vuole però anche dire zero margine di errore e tutto da perdere: basta un pari e torniamo alla solita Inter che butta tutto alle ortiche. Senza contare che in questo bel giretto autunnale c’è anche -se non soprattutto- il doppio incrocio col Borussia per giocarci le poche chances rimaste in Champions.

Andonio e il Gatto Pancrazio che si porta in testa non avranno bisogno di suggerimenti, ma quel che direi io ai ragazzi è “calma: non abbiamo fatto un cazzo. Anzi… testa bassa e pedalare“.

PUNTO COMPLOTTO

Ci sono alcune cose che non cambiano mai, ed altre invece che sono nuove ma che vanno nella stessa direzione. Cerco di spiegarmi partendo dalle certezze granitiche.

Zlatan Ibrahimovic ha giocato due stagioni con la Juve, tre con l’Inter e due col Milan. Questo vuol dire che, volendolo proprio tirare per la giacchetta, il Club italiano in cui è stato per più tempo è stata l’Inter.

Ciononostante, il suo triennio nerazzurro è costantemente lasciato in disparte, quando non ignorato in toto, ogniqualvolta i giornali parlano di lui. Foto di archivio in maglia gobba o rossonera, dichiarazioni relative al calcio italiano sempre rivolte alle altre due strisciate, condite da amarcord all’insegna di “quanto stava bene Ibra alla Juve e al Milan”.

L’ultima conferma in questo senso si è avuta nell’intervista rilasciata a margine dell’inaugurazione della statua a lui dedicata a Rosengard, in Svezia. Queste le sue parole:

Se posso venire in Italia non vedo il problema, faccio meglio di quanto facciano quelli che ci sono ora. Secondo me la Juventus sta facendo grandi cose, è il simbolo del calcio italiano per la squadra e i calciatori che hanno. Anche l’Inter sta facendo grandi cose con un grande allenatore, stanno spingendo molto. Le altre squadre stanno provando qualcosa ma non sono ancora a livello della Juve e più staccata c’è l’Inter secondo me. Mi dispiace tanto per il Milan, per me deve essere un top club per risultati e per investimenti, con i migliori giocatori del mondo. Ma al momento non è così.

Il grassetto l’ho aggiunto io di bellezza. Questo invece il modo in cui sono state riassunte sui giornali italiani:

Onore alla Juve, carezze malinconiche all’amatissimo Milan. Fine delle trasmissioni. Chi l’avrebbe mai detto? Del resto, la damnatio memoriae del periodo nerazzurro non è certo una novità: tra i millemila esempi, ecco come veniva descritto Zlatanasso in estate dall’ineffabile redazione sportiva di Repubblica:

Passiamo invece alle novità: la stampa plaude agli acquisti nerazzurri e riconosce il valore di alcuni di loro: nello specifico parliamo di Lautaro, Sensi, Barella e Bastoni.

Bene, direte voi, vedi che fanno complimenti anche all’Inter? Vedi che sei paranoico? Sì, certo, aspettate un attimo.

Di Sensi si riesce a dire testualmente che il suo rendimento altissimo per l’Inter è un limite. Non basta: altrove si parla dell’ottima accoppiata Sensi-Barella, aggiungendo prontamente che però mancano le alternative.

Ancor più interessante la disamina sul giovane difensore Bastoni: tutti entusiasti per l’esordio del ragazzo a Genova contro la Samp, ma altrettanto pronti a spegnere facili entusiasmi: occhio che col ragazzino che vien su bene, potrebbe anche partire Skriniar!

Concetto simile per il Toro Martinez: bravo, bene, tutto quel che volete… Certo che adesso la clausola è da ritoccare, c’è pur sempre il Barcellona che lo corteggia.

Concludendo: la novità è che si parla bene di molti giocatori interisti (a mio parere è un modo indiretto per fare i complimenti a Conte, ma ammetto che il mio è un processo alle intenzioni). La conferma è che il mercato è quella cosa che per ogni altra squadra rappresenta un’opportunità, e per l’Inter sempre e solo una minaccia.

PUNTO ORGOGLIONE

E’ di qualche giorno fa la notizia che l’Uefa ha premiato l’Inter quale miglior settor giovanile europeo. Mi piace anche in questo caso riportare il testo ufficiale perchè dice molto, soprattutto a chi vuol sentire:

“La Commissione Esecutiva della Uefa ha scelto di premiare FC Internazionale Milano per la categoria ‘Miglior Club Professionista’. Questo premio viene assegnato alle società che, oltre alla propria attività professionistica, si impegnano in un’agenda ricca di specifiche iniziative sociali a dimostrazione dell’impegno del club per le comunità locali e l’attività di base. La Commissione Esecutiva ha ritenuto che l’Inter meritasse di vincere questo premio.”

Questo in risposta ai tanti Arrighi Sacchi che hanno sempre sputato veleno su un Settore capace nell’ultima quindicina di anni di vincere campionati in quantità, di far esordire tanti giocatori nella massima Serie, e soprattutto di accompagnarne la crescita sportiva a quella umana, culturale e professionale (anche qui, tra i tanti esempi, prendo quello del giovane Natalino).

Tanto per essere chiari, e tornando alla motivazione: quelle poche righe dovrebbero tappar la bocca e far arrossire tanto i critici del “cosa conta vincere il Campionato Allievi, è più importante preparare questi ragazzi allo sport e alla vita in generale” quanto i cinici del “Bella la manfrina di Inter Campus e Inter Academy, ma l’Inter è una squadra di calcio e di tanti ragazzi non ce n’è uno che poi arriva ad alti livelli”.

Come contrappunto di puro dispetto ricordo ai più distratti che i nostri cugini, quelli che propongono giUoco (cit.), sono attualmente nella Serie B del Campionato Primavera.

Come si dice in questi casi: me so’ sfogato.

CONTRASTI E STRATEGIE

CONTRASTI

Uno dei rischi del reiterare nel tempo la stessa tesi è quello di ritrovarti a scrivere sempre lo stesso pezzo. Lì per lì ti pare di non aver niente di nuovo da dire, eppure la produzione di prove ed evidenze in quantità ti conforta e porta mattoni alla tua “casetta dei complotti”.

Quindi, sunteggiando al massimo, la domanda retorica potrebbe essere così posta: Com’è che il Milan non c’ha manco gli occhi per piangere, non sa se e come arriverà a domattina, eppure tratta Sensi, Schick, Ceballos, Torreira, Mancini, Veretout e Mario Rui, provando anche lo sgambetto all’Inter per Barella?

E com’è che l’Inter, che pure a Maggio è uscita dal Settlement Agreement –finalmente qualcuno pare accorgersene!– continua ad avere l’assoluta necessità di fare plusvalenze (20 , 30, 40 milioni!), cosa che invece per tutti gli altri è solo un’opportunità da cogliere if and when?

La risposta, nemmeno troppo fantasiosa ma terribilmente reale, è che #ècomplotto.

Il fascino di dipingere un’Inter in difficoltà, a navigare a vista in mezzo al mare in tempesta è evidentemente irresistibile, con i nostri pennivendoli incapaci di cambiare spartito nonostante il mood della serata suggerisca di cambiare repertorio. Quel che su una sponda del Naviglio è un rischio, un pericolo, un ostacolo cui fare attenzione, sulla riva “giusta” e zuccherosa è invece un’opportunità, un sogno, un progetto. L’ho già scritto, lo so, non rompete. C’ho ragione e lo sapete anche voi.

Negli anni cupi delle nozze coi fichi secchi abbiamo salutato ad ogni finestra di calciomercato le partenze di Icardi, Perisic e compagnia, prontamente rinfoderate dagli scrivani di corte e rimandate alla fermata successiva. Nessuno, dico nessuno, ha mai fatto un’analisi complessiva del periodo di vigilanza-UEFA cui l’Inter ha dovuto sottostare e del come sia riuscita ad uscirne economicamente indenne o quasi.

E’ innegabile che i risultati sportivi degli ultimi 5 anni nereazzurri siano stati al di sotto della storia del Club. Gli ultimi due anni, con la qualificazione in Champions raggiunta all’ultimo, hanno risollevato una media davvero bassa visti i 110 anni di storia nerazzurra.

Ciò detto, vediamo anche di capire a fondo il periodo che l’Inter si sta mettendo alle spalle. Il termine di paragone in Italia non può che essere la Roma, unica altra squadra ad aver dovuto accedere al Settlement Agreement per risolvere i propri problemi di bilancio.

Senz’altro lo scouting giallorossi (Sabatini in primis) ha permesso ai lupacchiotti di scovare negli anni carneadi o giocatori dimenticati, facendoli diventare (o tornare ad essere) ottimi giocatori: Alisson, Rudiger, Manolas, Strootman, Lamela, Kolarov, El Shaarawi.

Il tifoso romanista obietterà che poi nulla è stato fatto per tenere in rosa il talento fatto crescere, e non potrei essere più d’accordo. Uno dei passaggi più significartivi dell’addio di De Rossi è stato proprio il riferimento al “livello successivo” cui ci si avvicinava sempre ma a cui non si arrivava mai, viste le periodiche necessità di vendere per far cassa:

Piccolo dispiacere negli anni è che tante volte, anche con la passata stagione, ho avuto la sensazione che la squadra ha fatto un passo indietro sul più bello“.

Daniele De Rossi, 14 maggio 2019

L’Inter, se mi si passa il paragone, di talento in questi anni ne ha generato meno. Si è trovata un centravanti come Icardi quasi senza farlo apposta, ha fatto crescere bene i due croati e ha pescato il jolly con Skriniar due anni fa. Contrariamente alla Roma, è però riuscita a tenerli in rosa, riuscendo a chiudere i vari bilanci entro i limiti prefissati dall’UEFA e sbugiardando le cassandre che preconizzavano de profundis a mezzo stampa, per la epidermica goduria di chi scrive.

In sostanza: voto 8 al ragioniere, voto 5 al direttore sportivo.

Ho sempre pensato che, soprattutto in periodi di ristrettezze economiche, più ancora che vendere bene, fosse essenziale comprare benissimo. Il che vuol dire non fare operazioni inutili, e non comprar bidoni.

Grazialcazzo, direte voi. Eppure non è così immediato come concetto.

E’ peculiare il fatto che ogni stagione di calciomercato parta all’insegna di “tre-quattro innesti, non di più” e finisca puntualmente con una dozzina di operazioni il cui valore aggiunto, quando c’è, è assai modesto. A chi giova tutto ciò? Siamo davvero (come Inter, come calcio italiano) nelle mani dei procuratori in maniera così sfacciata? Della serie: ho già 3 mediani ma devo un favore al Raoila di turno e quindi mi prendo anche il quarto?

Spero di no, ma non trovo altre spiegazioni tecniche per tanti acquisti visti arrivare negli ultimi anni.

STRATEGIE

Non che il mercato che sta iniziando abbia prodromi così diversi. Sulla fascia destra ad esempio, abbiamo in rosa D’Ambrosio, Candreva e Politano: tre giocatori con caratteristiche diverse, siamo d’accordo, ma che calpestano le stesse zolle di campo, e con un allenatore che pare essere convinto del suo 3-5-2 e che quindi ha bisogno di un solo giocatore che faccia su e giù per tutta la corsia.

Possiamo discutere su chi dei tre sia il più indicato a fare questo mestiere (nessuno?), ma non mi è chiara la strategia che porta a comprare il quarto giocatore di fascia destra, con gli altri tre ancora saldamente ai loro posti. Ammetto la mia ignoranza, e la prossima volta che sentirò il nome di Valentino Lazaro sarà la seconda. Spero sia fortissimo, ma qual è il senso di prenderlo quando ne hai già tre in rosa che -chi più, chi meno- giocano nello stesso ruolo?

Probabilmente non sarei mai diventato un bravo direttore sportivo, perchè vedo che nessuno in Serie A ragiona come ragionerei io: com’è messa la rosa? Dove sono i punti deboli? Partiamo da quelli, rinforziamo la catena partendo dagli anelli più molli, e da lì risaliamo.

Invece vedo ragionamenti diversi, per non dire opposti. Restando in tema Inter, si parla di rivoluzionare in toto o quasi l’attacco. via Icardi, Perisic e Nainggolan sul mercato in attesa di offerte, cercando in cambio Dzeko, Lukaku e Barella. Tutti acquisti difficili perchè all’Inter, da sempre, nessuno concede sconti nè fa favori (ma questo necessiterebbe di un approfondimento a parte).

In compenso, ci teniamo stretti Gagliardini, Candreva, Borja Valero…

Non capisco. Ma non è una novità.

Current mood

DE PANZA E DE CAPOCCIA

Ragazzi, ragioniamoci insieme perchè il momento è delicatissimo per tutti.

La domanda delle 100 pistole è questa: fino e a punto l’amore per i nostri colori può essere superiore, farci resistere, abbozzare e deglutire anche di fronte a scempi fino a poco fa nemmeno concepibili?

Tifosi che ho sempre ritenuto illuminati e fulgidi esempi di complottismo ragionato hanno espresso il loro personalissimo “No Maria io esco“, e ne rispetto la coerenza e la lucidità.

Faccio un esercizio di stile, prendendo questa teoria e ficcandola in mezzo ai miei quattro neuroni, e mi chiedo: sono io in grado di rinunciare a mente fredda all’amore per l’Inter, decidendo scientemente di spegnere una passione che mi accompagna da più di quarant’anni?

Mi spiace per la consorte, ma no, non ne sono capace. Non a freddo, non a priori, non a tavolino.

Attenzione: non è detto che si arrivi a un momento del genere. Ma, se così sarà, il motivo dovrà essere viscerale e non razionale. In altre parole, e per tornare al titolo di questa spataffiata, de panza e non de capoccia.

Da quando sono piccolo e frequento San Siro, il momento più bello della partita è la salita dagli scalini e la vista di quel prato verde verso cui, nei successivi 90 minuti, vomiterai improperi e insulti saltuariamente inframmezzati da applausi e urla di giubilo.

Analogamente, il fischio di inizio di qualsiasi partita vista in poltrona alle mie latitudini inizia con l’immancabile “Partiti!“, con analogo serpentun nello stomaco.

Ecco: quello sarà il termometro migliore per capire quanto le strisce nere e azzurre riusciranno a mascherare a sufficienza un inquietante contaminazione juventina che potrebbe non fermarsi alla (già più che sufficiente) combo Conte-Marotta.

Sarà solo la prova dei fatti che mi dirà se sarò ancora capace di emozionarmi per questi colori o se anche per me si è oltrepassato il punto di non ritorno.

Al solito, poco o nulla da ridire dal punto di vista squisitamente tecnico: il nuovo Mister e l’attuale Direttore sono, nei rispettivi ruoli, fior fior di professionisti ma, come giustamente detto, il passato non si cancella e nemmeno si dimentica. Si può cercare,- lì sì, con uno sforzo di concentrazione e impegno- di non pensarci, di ignorarlo scientemente, ma la puzza di gobbo resta.

Se poi dovesse davvero arrivare lo scambio Icardi-Dybala, tutte le teorie giudoplutomassoniche sul nemico che arriva a distruggere l’avversario dall’interno troverebbero una plastica rappresentazione. Non uno, non due ma tre indizi che, da sempre, nel mondo dorato dei Luoghi Comuni Maledetti, fanno una prova.

Da quelli là negli anni abbiamo sempre e solo ricevuto pacchi o poco più. Ibra e Vieira non li calcolo, perchè in quel caso la situazione era talmente eccezionale da non poter considerare quelle come vere e proprie trattative di mercato.

Dai tempi dello scambio Anastasi-Boninsegna, a Causio e Tardelli arrivati ormai pronti per il pensionamento, quando ci è andata bene dalla Torino bianconera abbiamo avuto giocatori dal rendimento sufficiente e nulla più. Limitandomi all’amato ruolo del terzino sinistro, penso al recente Asamoah o al dignitoso De Agostini, che ricordo con piacere per un gollonzo in un Derby ma proprio solo per quello.

Insomma, da quelli lì storicamente riceviamo poco.

Ci aspetta, o per lo meno MI aspetta, una stagione ancor più schizofrenica del solito, in cui ogni mossa o anche semplice dichiarazione di Conte (“non più pazza, l’Inter dev’essere forte“) verrà vivisezionata in ottica di rottura col passato, di discontinuità con la tradizione e con i valori nerazzurri.

Sono anni che vado dicendo che la retorica della Pazza Inter ha significato stagioni intere a crogiolarci nella nostra splendida imperfezione: onanismo mentale che ci ha fatto star fermi a ricordare i bei tempi mentre gli altri ci passavano avanti. Eppure, lo stesso concetto, detto da qualcun altro, può essere letto come una passata di spugna sulla lavagna, un reset non richiesto e una ripartenza fondata su un diverso DNA.

E’ difficile rimanere lucidi e non cedere alla tentazione -anche questa qualunquista- di buttar tutto nel cesso, all’insegna del “che cazzo vuoi che ne sappiano ‘sti cinesi qua di cos’è l’Inter“: pur arrivando da un pulpito che faccio fatica ad apprezzare, condivido il messaggio lanciato dalla Curva Nord. O meglio: inizialmente mi aveva lasciato un po’ spiazzato (sentir parlare proprio loro di legalità e garantismo…), poi ho letto quel che ne pensava Tony Damascelli (sì, proprio lui) e allora è stato facile accomodarmi dalla parte opposta certo di essere nel giusto.

Morale, che sia Conte a presentarsi spoglio di certi “valori” o presunti tali e pronto invece a farsi immergere dalla storia e dalla tradizione dell’Inter.

Per il resto, la speranza è che la squadra sia costruita cum grano salis e non con acquisti fatti tanto per fare o per far favori a procuratori compiacenti.

In altri termini, dal calciomercato mi aspetto Barella, Rakitic, mica Darmian e la rivalutazione del Gagliardini di turno.

Ma per questo ci sarà tempo.

Vado, è l’ora della terapia.

SISIFO INVORNITO

NAPOLI-INTER 4-1

Allora, sfoggiamo le quattro nozioni da Liceo Classico rimaste impigliate tra i pochi neuroni a disposizione e spieghiamo succintamente di cosa stiamo parlando.

Sisifo è uno dei tanti uomini della mitologia greca che, per vari motivi, viene cazziato dagli Dèi -vedremo poi perchè- e condannato a soffrire in eterno, un po’ sulla scorta di quanto avviene nei gironi infernali di Dante, tanto per fare paragoni sempliciotti ma come dicono i latini- famo a capisse.

Ora, nel caso di specie Sisifo è condannato a spingere una roccia dalla base alla cima di un monte, con la piccola aggravante di dover ripetere l’esercizio ogniqualvolta la roccia raggiunge il cucuzzolo della montagna visto che il masso, capriccioso, non trova di meglio da fare che rotolare nuovamente alle pendici del monte.

In termini post-ellenici, e citando Enzino Jannacci, lo si definirebbe “un laurà de ciula” e in pochi potrebbero dargli torto.

Ecco, il laurà de ciula è proprio la definizione plastica dei 90′ minuti giocati dai nostri in quel di Napoli domenica sera.

Con un’ulteriore aggravante: Sisifo infatti, per lo meno si era meritato la giusta punizione per essersi macchiato del peggiore dei peccati possibili nel mondo greco: quello di considerarsi pari -se non superiore- agli Dèi. E’ un affronto inaccettabile per Zeus e compagnia, simile ma ancor più grave del concetto di superbia, e difatti arrivati perfino ai giorni nostri con il termine originale di Ubris.

Se fossi più bravo con formattazioni e robe varie lo scriverei coi caratteri greci, o almeno metterei la dieresi sulla U. Insomma farei di tutto per non sentirlo pronunciare come fanno i meridionali (per una volta fatemi essere il leghista d’antan che non sono mai stato): i professori del liceo nati sotto Roma lo pronunciavano orrendamente iubris (anzi iubbbris, con un paio di B in omaggio), e il mio pur migliorabile accento ellenico trasecolava in raccapriccio.

Del resto, come i nordici suscitano al più una risata compassionevole quando cercano di imitare gli accenti del Sud, così sarà assai arduo trovare un napoletano, siciliano, pugliese o calabrese capace di pronuciare correttamente il più comune insulto lombardo “vadarvial…”. Ecco, quell’ultima “U” -qui omessa per eleganza- è foneticamente conosciuta come “U francese o lombarda” e si prounucia esattamente come la prima lettera della nuova parolina che abbiamo imparato.

Comunque, basta razzismi fonetici e torniamo ai nostri amatissimi craniolesi. Per lo meno, si diceva, quello là si credeva simile agli Dèi da quanto era figo, e per questo veniva punito. I nostri sembrano un’accozzaglia di invorniti stonati di grappa e in tenuta da spiaggia.

Ma diosanto! Avete buttato nel cesso ogni singolo punto di vantaggio nell’ultimo trimestre, riducendovi a dover conquistare tre punti in due partite. Il giorno prima di giocare, questi punti da tre diventano due, grazie al pari della Roma a Sassuolo. Cionondimeno, i nerazzurri scendono in campo contro un Napoli che nulla ha da chiedere al campionato (al contrario di noi) e che invece ci piglia a ceffoni senza nemmeno doversi impegnare più di tanto per un’ora e mezza.

Magari i nostri si fossero sentiti superiori agli Dèi! Almeno li avremmo visti andare tutti in attacco volendo spaccare il mondo, anche a costo di venire puniti in contropiede.

Macchè: la corsetta indolente di Miranda sui gol degli avversari è la miglior esemplificazione della non voglia di giocare dei nostri.

Non si salva nessuno, nè in campo, nè in panchina, nè in tribuna. Arriverei a salvare Handanovic (uno che piglia 4 pere il nostro uomo migliore…) e questo dice tutto.

Come confidato ad amici e parenti, se solo fossi un po’ meno tifoso sogghingnerei alla vista di questa tragicommedia commentando “vi sta bene!“.

Ma per fortuna o purtroppo lo sono, diceva Gaber, e quindi non ho il distacco necessario per prenderla con filosofia. Sono invece tra il preccupato, il rassegnato e l’incazzato.

Preoccupato perchè, scusate la banalità, si rischia di non arrivare nemmeno quarti dopo aver passato il 90% del campionato in terza posizione.

Rassegnato, perchè siamo la squadra tifata da Murphy, quello della legge: se c’è un modo per mandare tutto in vacca, state sicuri che l’Inter lo troverà.

Incazzato, perchè oltre al danno qui si rischia la beffa: non è tanto l’Atalanta in Champions a darmi fastidio (anzi: applausi a scena aperta), quanto il fatto che un nostro inciampo sul rettilineo finale andrebbe a tutto vantaggio di “quelli là”, che hanno una squadra non di una ma di due categorie inferiori in termini di rosa, talento e qualità, e che invece -vuoi per tenacia, vuoi per culo- è lì a un punto da noi, pronta ad approfittare dei nostri consueti psicodrammi.

La recente storia nerazzurra individua nel Lazio-Inter dell’anno scorso l’eccezione alla regola secondo cui i nostri, la partita decisiva, la sbagliano.

Solo quest’anno ne abbiamo giocate tre, fallendole tutte. PSV in Champions, Lazio in Coppa Italia, Eintracht in Europa League. Tre partite giocate in ciabatte, esattamente come visto domenica al San Paolo, segno evidente dell’assoluta mancanza di personalità da parte del gruppo nel suo complesso.

Da lunedì saremo pieni di liste di proscrizione, progetti triennali, conferenze stampa di presentazione con sorrisi a 32 denti e tifavo questa squadra fin da bambino, e tutti ci divertiremo nel dare voti e giudizi.

Ma del domani, oggi, me ne fotto. Oggi conta solo l’Empoli, che va battuto senza se e senza ma. Spero che i tanti che popoleranno le tribune di S.Siro siano capaci di dimenticare tutto per 90′ e tifare come pazzi, per poi sfogare tutto il loro livore arretrato al fischio finale.

Faccio solo una considerazione riguardo al futuro: io posso anche essere d’accordo con i tanti che dicono che “all’Inter servono solo due o tre ritocchi e poi è a posto“, ma torniamo sempre a parlare di zona grigia.

Mi spiego. Oggi, nell’Inter, di giocatori scarsi ipso facto non ce ne sono. Per fortuna non abbiamo più i Kuzmanovic, i Belfodil, i Montoya e i Dodò degli anni scorsi. Altrettanto, però, di campioni non ce n’è. Ce n’era uno che era campione a suo modo, e cioè Icardi, nel senso che segnava tanto quanto un campione. Per il resto abbiamo diversi buoni giocatori e qualcuno in alcune giornate buonissimo. Ma campioni, zero.

Ecco: se i tre “ritocchi” dovessero essere tre campioni (a caso: Godin, uno tra Modric e Rakitic e una punta di uguale spessore, della quale però al momento fatico ad individuare le sembianze) è possibile che il carisma dei succitati possa contagiare positivamente la succitata zona grigia. Ma se dobbiamo andare avanti per innovazioni incrementali, con Bergwjin per Perisic, Dzeko per Icardi, Danilo per D’Ambrosio… non credo che ne caveremo molto.

Ad ogni modo, ci sarà tempo per capirne di più, ora sotto con l’Empoli, con margini di errore tendenti a zero e propensione al turpiloquio tendente a infinito.

Anche l’orsetto non ne può più…